mercoledì 18 marzo 2020

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I grandi parchi americani - Olympic.




Berlusconi: in 20 anni, 784 milioni di rimborsi e finanziamenti elettorali - Primo Di Nicola, Francesco Giurato e Antonio Pitoni

Berlusconi: in 20 anni, 784 milioni di rimborsi e finanziamenti elettorali

Praticamente 110 mila euro al giorno. Ecco quanto l'ex Cavaliere ha incassato dalla sua discesa in campo. Attraverso Forza Italia e il Popolo della Libertà. Utilizzando le diverse leggi che hanno reintrodotto i contributi pubblici alla politica. Aboliti dagli italiani con il referendum del 1993. (art. di aprile 2015)
Una montagna di soldi. Quasi 800 milioni di euro in vent’anni. E’ la cifra che l’ex premier Silvio Berlusconi, oggi decaduto e ineleggibile in Parlamento dopo una condanna definitiva per frode fiscale, è riuscito ad incassare dallo Stato con finanziamenti e rimborsi elettorali. Dalla sua discesa in campo nel 1994, attraverso Forza Italia (Fi) e il Popolo della libertà (Pdl), nato nel 2007. Per la precisione, come risulta dai bilanci delle forze politiche che ilfattoquotidiano.it ha consultato, 784 milioni 182 mila 330 euro, l’equivalente di 1.518 miliardi 388 milioni 720 mila 109 lire. Una paghetta, per  lui, di circa 110 mila euro al giorno. Nonostante nel 1993, appena un anno prima del debutto azzurro, sulla scia degli scandali di Tangentopoli, gli italiani avessero decretato con un referendum plebiscitario l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.
FONDO MILIONARIO Con le politiche del 1994, segnate dal successo del Cavaliere contro “la gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto, oltre che di consensi, Fi fa subito incetta anche di miliardi. Grazie ad un blitz parlamentare che, a pochi mesi dal risultato referendario, come per magia, introduce il «contributo per le spese elettorali» ripristinando di fatto il finanziamento pubblico appena abrogato dal 90,3% degli elettori italiani. Lo stratagemma adottato è quello della costituzione del fondo per le spese elettorali: una torta da 90 miliardi 845 milioni di lire (46,9 milioni di euro) da dividere tra i partiti in base ai voti ottenuti. L’equivalente di 1.600 lire per ogni cittadino italiano, che consente a Forza Italia di incassare 33,7 miliardi del vecchio conio (17,4 milioni di euro). Un sistema che resterà in vigore fino al 1997, giusto il tempo di versare nel salvadanaio azzurro altri 12,9 miliardi di lire (6,6 milioni di euro) nel 1995, anno delle amministrative, e consolare il Cavaliere con 20,3 miliardi (10,5 milioni di euro) per la sconfitta rimediata dall’Ulivo di Romano Prodi alle politiche del 1996. Passa un anno e gli italiani sono chiamati ancora al voto per una nuova tornata amministrativa. Mentre gli alchimisti parlamentari si rimettono al lavoro per ritoccare di nuovo il sistema di calcolo dei contributi elettorali. Con una legge in vigore dal 2 gennaio 1997 che introduce «la contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici». In pratica i contribuenti possono destinare il 4 per mille dell’imposta sul reddito al finanziamento di partiti e movimenti politici (ma senza scegliere il partito), per un totale massimo di 110 miliardi di lire (56,8 milioni di euro). Inoltre, per il solo 1997, una norma transitoria ingrossa ancora di più la torta fissando a 160 miliardi di lire (82,6 milioni di euro) il tesoretto del fondo per l’anno in corso. E così, anche l’assegno di Forza Italia diventa più ricco: 30 miliardi di lire (15,5 milioni di euro). Prima che, per effetto del nuovo regime, si riduca a 20,8 miliardi di lire (10,7 milioni di euro) nel 1998.
INCASSI RECORD Per i partiti è un campanello d’allarme: solo una minima parte dei contribuenti ha aderito alla contribuzione volontaria. Così, mentre si marcia al ritmo di un’elezione l’anno, nel 1999, con il voto per il rinnovo del Parlamento europeo in calendario, il Parlamento dispone l’ennesima modifica alla disciplina dei contributi pubblici. E al sistema del 4 per mille subentrano i rimborsi elettorali. Una formula dietro la quale si nasconde il totale ripristino del finanziamento pubblico dal momento che l’entità dei rimborsi è del tutto sganciata dalle spese effettivamente sostenute per la campagna elettorale. Si ritorna, infatti, ad un contributo fisso di 4.000 lire per abitante che fa lievitare a quasi 200 miliardi il fondo per le spese elettorali messo a disposizione dallo Stato. Non solo. La riforma prevede cinque diversi fondi ai quali i partiti potranno attingere: per le elezioni alla Camera, del Senato, del Parlamento Europeo, dei Consigli regionali, e per i referendum. Insomma, piovono soldi per ogni tornata. Con un paletto: i rimborsi vengono pagati in cinque rate annuali in caso di legislatura politica completa, mentre l’erogazione è interrotta in caso di fine anticipata della legislatura. Il nuovo sistema entrerà in vigore a partire dalle politiche del 2001. Intanto, nel 1999, oltre alla vittoria delle Europee con il 25,16% dei voti, Forza Italia festeggia anche il mega assegno da 43,9 miliardi di lire (22,6 milioni di euro) incassato dallo Stato. Cifra leggermente inferiore rispetto ai 44,8 miliardi (23,1 milioni di euro) intascati nel 2000, quando gli italiani sono chiamati di nuovo alle urne per il rinnovo dei consigli regionali. E siamo al 2001. Va in scena l’election day: politiche e amministrative accorpate in un unico scrutinio. Forza Italia torna al governo del Paese e incassa il rimborso record nell’ultimo anno della lira: 124,8 miliardi (64,4 milioni di euro).
PIOGGIA DI DENARO Dal 2002 arriva l’euro. E mentre gli italiani fanno i conti con gli indiscriminati aumenti dei prezzi, trascinati al rialzo dall’innaturale equivalenza “mille lire uguale un euro”, anche in Parlamento si mettono al passo con i tempi. E le vecchie 4.000 lire di contributo vengono arrotondate a 5 euroun euro per ogni voto ottenuto moltiplicato per ogni anno di legislatura, da corrispondere in 5 rate annuali. Insomma, con il passaggio alla moneta unica europea, l’ammontare complessivo da erogare a favore dei partiti nell’arco di una singola legislatura più che raddoppia passando da 193,7 a 468,8 milioni di euro (907,8 miliardi di vecchie lire). E mentre cambia la valuta, non cambia invece la frequenza delle elezioni. Stavolta si vota per le amministrative e per Forza Italia l’ingresso nella moneta unica si dimostra subito un ottimo affare: poco più di 80 milioni di rimborsi elettorali. I contributi dello Stato per il 2003, invece, sono poca cosa: nel conto economico di quell’anno figurano appena 1,2 milioni di euro, rimborsati per le elezioni regionali del Friuli Venezia Giulia. Ma già l’anno successivo, con il rinnovo del Parlamento europeo, Forza Italia torna ad incassare un assegno di oltre 55 milioni di euro. E dopo i 40,7 milioni maturati nel 2005, anno delle elezioni regionali, gli azzurri fanno il botto nel 2006 con il primo assegno a sei cifre dell’era euro da 134,2 milioni. Tutto sommato una consolazione niente male per la seconda sconfitta subita da Berlusconi alle politiche per mano di Prodi dopo quella del 1996. Una pioggia di denaro pubblico frutto dell’ulteriore intervento legislativo sulla disciplina dei rimborsi elettorali, partorito da un decreto voluto proprio dal governo Berlusconi: si stabilisce che l’erogazione dei rimborsi elettorali è dovuta per tutti i 5 anni di legislatura, anche in caso di scioglimento anticipato delle Camere. In pratica, se la legislatura dura un solo anno, i partiti percepiscono i ratei annuali anche per il successivo quadriennio. Il risultato è che, a partire dal 2008, i partiti iniziano a percepire un doppio rimborso, incassando contemporaneamente i ratei annuali della XV e della XVI legislatura. Un meccanismo perverso, noto come «proroga regalo», che inaugura una vera e propria cuccagna per i partiti interrotta solo nel 2010 da un altro decreto emanato sempre dall’esecutivo dell’ex Cavaliere. Nel 2007, intanto, si vota solo nel piccolo Molise e Forza Italia deve accontentarsi di iscrivere a bilancio appena 329 mila euro.
PREDELLINO D’ORO Il 2008, invece, è l’anno dei grandi cambiamenti. E di nuovi record. Il 18 novembre 2007 Berlusconi sale sul predellino a Piazza San Babila, archivia Forza Italia riunendo nel Popolo della libertà (Pdl) anche Alleanza nazionale e torna al governo dopo la caduta di Prodi. L’ultimo bilancio della prima vita del partito azzurro annota il picco massimo mai registrato nei 15 anni di vita di Fi: 154,8 milioni di euro ai quali si aggiungono anche i primi 2,2 milioni incassati proprio dal Pdl nell’anno della transizione dal vecchio al nuovo soggetto politico. Nel 2009 si torna a votare per le Europee: il Popolo della libertà vince le elezioni, spedisce a Bruxelles 29 deputati e incassa 20,5 milioni di euro. Nel 2010, mentre nelle casse del partito del predellino piovono altri 32,7 milioni di euro, inizia la lenta frenata dei contributi statali. L’anno successivo, oltre all’interruzione del meccanismo della «proroga regalo» in caso di fine anticipata della legislatura, arriva anche una prima sforbiciata al fondo statale per le spese elettorali. Ma in attesa degli effetti dei tagli, il Pdl mette all’incasso un altro assegno da 31,5 milioni di euro. La mannaia definitiva si abbatte sui contributi pubblici nel 2012 con il governo guidato da Mario Monti: riduzione del fondo del 50%. A completare l’opera ci penserà poi il suo successore, Enrico Letta, fissando al 2017 l’ultimo anno di erogazione dei rimborsi elettorali prima della definitiva scomparsa. E, aspettando la fine del count down, nel 2012 il Pdl incamera altri 35,9 milioni.
GRANDE RITORNO L’anno successivo, proprio nei mesi del “sofferto” sostegno al governo Letta, Berlusconi rompe ancora una volta il giocattolo, rottama il Pdl e tiene di nuovo a battesimo Forza Italia. Ma è ancora il Popolo della libertà ad intascare i 22,9 milioni di rimborsi elettorali rendicontati nel 2013. Nel triennio successivo, invece, dovrà accontentarsi delle ultime briciole di quella enorme fetta da quasi 800 milioni servita finora al partito di Berlusconi e finanziata dai contribuenti. 
FINANZIAMENTI E RIMBORSI ELETTORALI (1994-2013)
FORZA ITALIA
1994 € 17.428.001 (33.745.315.824 lire)
1995 € 6.666.358 (12.907.870.166 lire)
1996 € 10.509.770 (20.349.753.260 lire)
1997 € 15.534.176 (30.078.359.313 lire)
1998 € 10.775.449 (20.864.179.364 lire)
1999 € 22.694.348 (43.942.386.295 lire)
2000 € 23.149.601 (44.823.878.626 lire)
2001 € 64.453.767 (124.799.896.937 lire)
2002 € 80.098.963
2003 € 1.223.015,00
2004 € 55.457.715
2005 € 40.739.742
2006 € 134.260.442
2007 € 329.341
2008 € 154.889.210
POPOLO DELLA LIBERTA’
2008 € 2.263.097
2009 € 20.504.343
2010 € 32.737.794
2011 € 31.552.146
2012 € 35.980.084
2013 € 22.934.968
TOTALE € 784.182.330

martedì 17 marzo 2020

‘Perché costruire un ospedale in Fiera se c’è già l’ex nosocomio di Legnano con 2 padiglioni attrezzati?’. La denuncia di un sindacalista. - Andrea Sparaciari


Attilio Fontana (a sinistra) e Giulio Gallera (a destra) alla conferenza di presentazione del nuovo centro di soccorso per il coronavirus a Fiera Milano City. Imagoeconomica.

«I posti letti per ricoverare i pazienti COVID-19 ci sono già in Lombardia, basta attivarli». È la pesante denuncia di Riccardo Germani, portavoce di ADL Cobas Lombardia, nonché lavoratore dell’Ospedale di Legnano.
Secondo Germani, infatti, mentre il Pirellone in pompa magna ha annunciato di aver affidato al neo-commissario Guido Bertolaso la realizzazione di un ospedale da 500 posti presso i padiglioni della ex Fiera di Milanoa una decina di chilometri da quei padiglioni esiste «una struttura che ha tutte le potenzialità per accogliere velocemente nuovi pazienti». È l’ex Ospedale Civile di Legnano, nosocomio attivo fino a 9 anni fa, tutt’ora dotato del «vecchio monoblocco e di ben due padiglioni realizzati e predisposti 10 anni fa, con tutte le attrezzature».
Secondo Germani, la struttura che è sostanzialmente integra, è dotata di «camere già attrezzate con predisposizione di ossigeno, una rianimazione, reparti di terapia intensiva, reparti che oggi sono chiusi. Mentre è aperto e funzionante in una struttura nuovissima un prezioso laboratorio di analisi. A nostro avviso sarebbe una soluzione immediata se si rendesse operativa questa struttura con l’investimento di meno risorse economiche che potrebbero, invece, essere utilizzate per materiali, dispositivi e per assumere il personale sanitario necessario per gestire più di 500 posti letto, i quali si renderebbero disponibili senza alcuno spreco di risorse e di tempo».

Ironia della sorte, l’ultimo padiglione costruito nel vecchio ospedale di Legnano era stato proprio il reparto specializzato in malattie infettive, terminato nel 2002, una costruzione iniziata ben 10 anni prima. Reparto che aveva funzionato solo per pochi anni, visto che poi Regione Lombardia – erano i tempi del saccheggio alla Sanità del presidente Roberto Formigoni – aveva deciso di costruirne un altro, a pochi chilometri di distanza. Con una spesa complessiva sui 150 milioni. «Un’operazione in project financing, dove i privati guadagnano, grazie all’affitto pagato dal Pirellone», spiega Germani a Business Insider Italia, «Quello fu un vero saccheggio della sanità pubblica, si figuri che ancora oggi le casse pubbliche stanno pagano i mutui delle ultime costruzioni nel vecchio ospedale», aggiunge amaro. 
«È lodevole ogni iniziativa per trovare nuovi posti letto», commenta l’on. Riccardo Olgiati (M5s) «tuttavia, prima di costruirne una ex novo da 500 posti, forse sarebbe stato meglio vedere se si potevano riconvertire quelle già esistenti ed attrezzate. E a me risulta che mai alcun sopralluogo sia stato fatto a Legnano». Non solo, Olgiati aveva anche interessato della questione il Direttore Generale della ASST Milano Ovest, Fulvio Adinolfi, il quale aveva però risposto che «la strada era stata valutata, ma poi abbandonata per una questione di tempi e di risorse».
Una risposta che per Olgiati suona quasi come una beffa «considerando tutti i soldi che per fortuna stanno arrivando dalle donazioni». Per l’on. M5s, insomma, sarebbe stato molto meglio ristrutturare che impiegare tempo e risorse per approntare un punto sanitario in padiglioni destinati ad ospitare la Fiera del Ciclo e Motociclo…
confutare però la tesi dell’utilizzabilità della struttura, il consigliere regionale di +Europa, Michele Usuelli, che è anche un medico, il quale nel pomeriggio riferisce sulla sua pagina Facebook che secondo il capo ufficio tecnico dell’ospedale in questione la riconversione sarebbe infattibile. E aggiunge: «Continuo a chiedere che sia chiara e trasparente la strategia con cui si sta pensando ai 500 posti in fiera, che mi pare terribilmente difficile realizzare ed utile solo a certe condizioni. O, meno miracolisticamente, continuiamo ad usare le sale operatorie chiuse, già armate di anestesisti ed infermieri. Lì dentro ci sono i letti di risveglio, che sono letti di terapia intensiva con tutti gli allacciamenti. Sono stati già usati tutti?».
E, proprio mentre scoppiava la polemica sull’inutilizzo di Legnano, il presidente Attilio Fontana, l’assessore Giulio Gallera e il presidente di Fondazione Fiera, Pazzali presentavano il cantiere del futuro ospedale alla stampa.
«Il centro di terapia intensiva alla Fiera di Milano sarà pronto in 10 giorni», aveva detto Gallera lunedì 16 marzo ad alta voce, aggiungendo (ma a voce un po’ più bassa) che quei dieci giorni sarebbero partiti solo  «da quando riusciremo a recuperare i respiratori, che sono l’elemento più importante, e il personale». Cioè ad oggi si sta lavorando, ma non si sa quando si potrà essere operativi. Del resto, l’assessore è ben conscio che la Protezione Civile nei giorni precedenti aveva chiaramente specificato di non essere in grado di fornire il materiale sanitario richiesto e che avrebbe preferito che Regione Lombardia puntasse sul rafforzamento di strutture già esistenti (come Legnano, per esempio). 
Tuttavia il Pirellone ha scelto di continuare sulla sua strada. Si tratta di una scelta politica, un modo per ribadire la propria autonomia da Roma, per marcare le distanze dal governo. Un progetto che poggia su due pilastri: dipingere Bertolaso come “l’eroe padano” («Guido Bertolaso ha gestito emergenze in tutto il mondo, contiamo che lui possa avere i canali (per ottenere i respiratori, ndr)», ha dichiarato Gallera) e dall’altro, far vedere quanto sono bravi i nuovi vertici di Fondazione Fiera. Quegli stessi vertici nominati da Matteo Salvini quando era al governo, compresa la ex compagna del Capitano, Giulia Martinelli, già capa della segreteria di Fontana e ora vice-presidente della Fondazione, come raccontato da Business Insider Italia.
Una strategia condivisa da tutta l’opposizione: non è affatto un caso infatti che martedì 17 marzo Silvio Berlusconi dal suo prudenziale esilio da Nizza ha fatto sapere di aver staccato un assegno da 10 milioni di euro, proprio «la somma necessaria per la realizzazione del reparto di 400 posti di terapia intensiva alla Fiera di Milano», ha twittato un giubilante Bertolaso. Che non ha nascosto la sua gratitudine nei confronti del vecchio protettore: «Grazie Presidente per questo gesto d’amore per la sua città e per il suo Paese», ha infatti aggiunto subito dopo l’annuncio.

Vaccino Covid-19, parte la sperimentazione sull’uomo. - Francesca Cerati

Coronavirus, negli Usa al via test sull'uomo per un vaccino. Ue offre 80 mln a CureVac, possibili test da giugno

A Seattle i test inizieranno su 45 giovani volontari sani con diverse dosi sviluppati dai Nih e dalla startup biotech del Massachusetts Moderna.

Partono i test sull’uomo per il vaccino Covid-19. Lo rivela un funzionario dei National Institutes of Health (Nih), finanziatori dello studio che si sta svolgendo presso il Kaiser Permanente Washington Health Research Institute di Seattle.
I test inizieranno su 45 giovani volontari sani con diverse dosi sviluppati congiuntamente da Nih e la startup biotech del Massachusetts, Moderna. Il vaccino, come si legge nel comunicato dell'azienda, si chiama mRna-1273. L'obiettivo è puramente quello di verificare che il vaccino non mostri effetti collaterali di rilievo, ponendo le basi per ampliare i test . Se tutto andasse liscio si tratterebbe di un record assoluto: 3-4 mesi per lo sviluppo e l’applicazione di un nuovo vaccino (nel caso della Sars il vaccino fu sviluppato in 20 mesi).
I funzionari della sanità pubblica americana ribadiscono comunque che ci vorranno da un anno a 18 mesi per convalidare qualsiasi potenziale vaccino.
Mentre i casi di Covid-19 continuano ad aumentare, si allunga la lista delle società che stanno febbrilmente lavorando alla ricerca di un vaccino.
E la ricerca contro il coronavirus utilizza approcci diversi, compresi quelli più moderni e meno testati chiamati vaccini “plug and play”. Dal momento che si conosce il codice genetico di Sars-CoV-2 è infatti possibile ricostruirlo, senza usare l’originale. Così alcuni scienziati stanno selezionando piccole sezioni del codice genetico del coronavirus e lo stanno inserendo in altri virus completamente innocui. Altri gruppi stanno usando frammenti di codice genetico grezzo (Dna o Rna a seconda dell’approccio) che, una volta iniettati, dovrebbero iniziare a produrre frammenti di proteine virali che il sistema immunitario può imparare a combattere.

Oltre a Moderna Pharmaceuticals -che utilizza il complesso proteico S (proteina virale Spike S), come i vaccini codificati contro i coronavirus responsabili della sindrome respiratoria mediorientale (Mers) e della sindrome respiratoria acuta grave (Sars) - anche Inovio Pharmaceuticals nella sua sede di San Diego ha già iniziato i test preclinici e la produzione su piccola scala di un vaccino a base di Dna. La società prevede di iniziare gli studi clinici negli Usa, in Cina e in Corea del Sud ad aprile per un totale di 3.000 dosi e di aspettarsi i primi risultati in autunno. L’obiettivo è di avere 1 milione di vaccini pronti per ulteriori studi clinici o di emergenza entro la fine dell’anno.

In campo c’è anche l’Università australiana del Queensland (che come le due società americane è finanziata dal Cepi, Coalition for epidemic preparedness innovations), e dallo scorso 27 febbraio anche gli scienziati israeliani dell’Istituto di ricerca Migal hanno dichiarato di essere pronti a produrre un vaccino orale nelle prossime 8-10 settimene appena ottenuta l’approvazione sulla sicurezza (entro 90 giorni). E poi, in ordine sparso su tempi e terapie/vaccini ci sono le multinazionali del farmaco come Gsk, J&J, Sanofi e Takeda, e le biotech Regeneron Pharmaceuticals e Vir Biotechnology.

La biologia sintetica.
Ma chi scommette che gli scienziati possano fare ancora meglio di quello che oggi è in dirittura d’arrivo sono la Bill e Melinda Gates Foundation e il National Institutes of Health americano. Se, come sembra, anzichè scomparire come la Sars, il virus Covid-19 diventasse una parte permanente del serraglio microbico mondiale, sarà necessario un approccio nuovo, una sorta di piattaforma modulabile da utilizzare anche per eventuali future pandemie.

Come dice Neil King, un ricercatore dell’Università di Washington “sapevamo che ci sarebbe stata un’altra epidemia di coronavirus”, dopo Sars e Mers “e ce ne sarà un’altra dopo”, che potrebbe emergere sempre da questa famiglia di virus. “Abbiamo bisogno di un vaccino contro il coronavirus universale”. La speranza è nella biologia sintetica per assemblare virtualmente potenziali vaccini in maniera più rapida e capace di rispondere alle mutazioni virali. A questo scopo i ricercatori attraverso il computer stanno progettando nuove nanoparticelle proteiche autoassemblanti “tempestate” di antigeni. Se i test sugli animali con il primo vaccino a nanoparticelle saranno indicativi, potrebbe essere più potente dei vaccini virali vecchio stile come quelli per l’influenza.

Le proteine come i Lego.
Utilizzando un algoritmo di progettazione proteica, gli scienziati potrebbero infatti determinare che, per esempio, una nanoparticella di 25 nanometri di diametro e composta da 60 pezzi identici è l’ideale per indurre l’immunità (il sistema immunitario umano si è evoluto per interpretare le disposizioni ripetitive delle molecole come un segno di pericolo). Rendere le nanoparticelle il nucleo di un vaccino ha anche una serie di vantaggi: riduce o elimina la necessità di un adiuvante (ingrediente che aumenta la risposta immunitaria) perchè la nanoparticella è sufficiente da sola; l’attacco degli antigeni su questo substrato rende l’intero complesso così tollerante al calore che non necessita di refrigerazione (caratteristica cruciale per i vaccini da distribuire nei paesi poveri); la nanoparticella può essere costellata da antigeni di diversi virus che si potrebbe addirittura ottenere un vaccino contro il “pan-coronavirus”.

Coronavirus, le Borse falliscono il rimbalzo. Lo spread si allarga oltre i 280 punti base. Scholz: “Per Germania uso Mes prematuro”.

Coronavirus, le Borse falliscono il rimbalzo. Lo spread si allarga oltre i 280 punti base. Scholz: “Per Germania uso Mes prematuro”

Dopo un nuovo lunedì nero, le piazze del Vecchio Continente hanno aperto in positivo per poi tornare in rosso. Stesso andamento per Wall Street. Milano in altalena, deboli anche a Parigi e Francoforte. L'Esma ha per la prima volta nella storia abbassato la soglia che fa scattare l’obbligo di comunicazione delle posizioni nette corte alle autorità nazionali di vigilanza.
Un altro rimbalzo fallito dai mercati europei dopo il nuovo lunedì nero per l’emergenza coronavirus. Piazza Affari – che in avvio segnava +3,23% – ha girato in negativo, per poi restare molto volatile. Milano, dopo essere tornata di qualche decimo di punto percentuale in positivo, continua a oscillare. Perdite contenute anche per gli altri listini del Vecchio Continente, tutti in rosso tranne Madrid. Lo spread tra Btp e Bund tedeschi, che si era ristretto in avvio, torna pericolosamente ad allargarsi e supera i 280 punti base. Il rendimento del decennale italiano resta ampiamente sopra il 2%. Questo nonostante fonti di mercato riferiscano all’Ansa di acquisti particolarmente ‘pesanti’ da parte della Bce sui Btp per tenere a bada il differenziale. La Borsa di Wall Street ripeto lo stesso schema dell’Europa: dopo un timido tentativo di rimbalzo in avvio, anche Dow Jones e Nasdaq sono tornati in rosso. Gli investitori temono che i contagi da coronavirus portino l’economia americana in recessione.
Lunedì l’autorità europea Esma ha per la prima volta nella storia abbassato dallo 0,2% allo 0,1% la soglia che fa scattare l’obbligo di comunicazione delle posizioni nette corte alle autorità nazionali di vigilanza, in Italia la Consob. L’intervento aumenta la trasparenza sulle mosse ribassiste degli investitori. La Consob dal canto suo ha rinnovato il divieto giornaliero di vendita allo scoperto di 20 titoli quotati – da Telecom a Unicredit – e ha deciso di avviare la procedura finalizzata all’adozione di ulteriori misure restrittive. Anche sulla Borsa di Parigi scatta il divieto temporaneo di vendite allo scoperto che riguarda 92 titoli azionari. Un provvedimento che è stato annunciato dall’Autorité des marchés financiers (Amf), ovvero la Consob francese. Tra le azioni coinvolte alcune big del comparto finanziario del Cac40, come Axa, Bnp Paribas, SocGen e Credit Agricole.
Il dibattito sul possibile utilizzo del Mes.
Intanto, in attesa della riunione odierna dell’Ecofin, il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, è tornato a parlare del tema del Meccanismo europeo di stabilità finito sul tavolo dell’Eurogruppo di lunedì. Nell’ottica di un whatever it takesper contrastare l’emergenza sanitarie ed economica, i ministri delle finanze riuniti in videoconferenza hanno esaminato anche la possibilità di attivare il fondo salva-Stati Mes, creato nel 2012, per finanziare un piano di interventi coordinato a livello europeo. Per la Germania – che ha la spazio finanziario per aiutare la propria economia – è troppo presto per pensare all’utilizzo del Mes e fornire aiuti ai Paesi dell’Eurozona in difficoltà. “Il dibattito è prematuro“, ha dichiarato Scholz al quotidiano tedesco Handelsblatt.
Lunedì sera il direttore dell’Esm Klaus Regling ha spiegato: “Abbiamo una capacità di prestito non utilizzata di 410 miliardi di euro, circa il 3,4% del pil dell’Eurozona. Abbiamo una serie di strumenti diversi dei quali mai usati. Dunque penseremo, e potremmo farlo insieme alla Commissione, se e come questi strumenti possano essere utili in queste circostanze”.
La cronaca di ieri: un altro lunedì nero
Lunedì l’indice Ftse Mib ha chiuso in calo di oltre 6 punti percentuali. Ennesimo bagno di sangue a Wall Street: il Dow Jones e l’S&P500 hanno sofferto la seduta peggiore dal crash del Black Monday del 1987, capitolando rispettivamente del 12,9% e del 12%. Il Nasdaq ha riportato la seduta peggiore di sempre, crollando del 12,3%. Ieri il presidente americano Donald Trump ha aperto alla possibilità di una recessione anche per l’economia Usa. Eventualità ritenuta ormai probabile anche in Europa.
La volatilità, in un momento in cui il mondo intero è attanagliato dalla paura del coronavirus, è ai massimi storici. L’indice Vix o indice della paura ha riportato la chiusura più alta di sempre, a 82,69 punti, superando il precedente record testato durante la crisi finanziaria del 2008, a 80,74. Non ha retto nemmeno l’oro, bene rifugio per eccellenza: è crollato sotto i 1.500 dollari l’oncia per poi risalire marginalmente.

L'archivio di Harry Belafonte va alla biblioteca di Harlem.

L'ARCHIVIO DI HARRY BELAFONTE VA ALLA BIBLIOTECA DI HARLEM © EPA

60 anni da Banana Boat, carte e musica trovano casa.

NEW YORK - La musica e le carte di Harry Belafonte tornano a casa a Harlem: a sei decenni dal leggendario "Banana Boat", registrazioni, appunti, lettere del cantante giamaicano-americano sono stati acquistati dallo Schomburg Center for Research in Black Culture, una divisione della New York Public Library con sede a dieci isolati dall'Apollo Theatre.
Una volta catalogato, l'archivio offrira' uno spaccato finora inedito di una lunghissima vita in cui arte e attivismo politico si sono continuamente intrecciati. Belafonte ha compiuto 93 anni il primo marzo e ha festeggiato proprio all'Apollo con uno degli ultimi "singalong" in un teatro dell'era del coronavirus: tutti gli spettatori si sono uniti al leggendario cantante e attore per una delle sue canzoni piu' famose, il brano dei lavoratori portuali del turno di notte che, dopo aver caricato la bananiera, facendosi ormai giorno, vogliono tornare a casa. "Banana Boat", resa in Italia da artisti diversi come Pino Daniele, Celentano e Mina, usci' nel 1956 nell'album "Calypso" e due anni dopo il Quartetto Cetra ne fece una parodia con "Pummarola Boat".
Due settimane fa, in onore di Belafonte, era stato il rapper Doug E. Fresh a dare il ritmo al celebre ritornello "Day-O!" all'Apollo, una "cattedrale di spiritualita'", come aveva aveva scritto nelle sue memorie del 2001 il cantante e attore amico di Marlon Brando e Martin Luther King, dei Kennedys e di Nelson Mandela. "Ogni pezzo di carta racconta una storia", ha detto Kevin Young, il direttore dello Schomburg: "Non solo su Belafonte, ma sulla storia dei neri in America, il nostro attivismo e la nostra arte".
Belafonte appartiene a tutto questo: fu il primo cantante ad avere un album venduto in un milione di copie (proprio "Calypso") e il primo afro-americano a vincere un Emmy. Bello e carismatico, fu anche in prima nel movimenti per i diritti civili: dalla Freedom Summer alla marcia del 1963 su Washington, dal boicottaggio dell'apartheid in Sud Africa allo spettacolo We Are the World con Stevie Wonder, Michael Jackson, Bob Dylan e Cyndi Lauper. La vendita dell'archivio per una cifra non precisata e' una sorta di ritorno a casa: Belafonte nacque come artista all'American Negro Theater, la cui prima sede fu proprio in una cantina dell'edificio che ospita il centro. Nel 1946 Harry aveva 19 anni ed era stato da poco congedato dalla Navy quando comincio' la lavorare come usciere al teatro e un'attrice, a cui lui aveva fatto lavoretti in casa, gli regalo un biglietto per una rappresentazione. "Avrei preferito cinque dollari", ha detto Belafonte al New York Times: "Ma una volta che messo piede in quel posto, non mi sono piu' guardato alle spalle".


Da piccola dicevo che da grande avrei sposato lui e, alla domanda che mi facevano: "quando sarai grande lui sarà già vecchio" rispondevo: "Lui mi aspetterà". L'ho adorato e lo adoro ancora. Fu lui ad organizzare la riunione di tutti i cantanti di "we are the world".
Da wikipedia:
Il 20 dicembre 1984 il musicista statunitense Harry Belafonte, indignato per il fatto che gli artisti afroamericani non avessero fatto nulla per aiutare gli etiopi, i maggiormente colpiti dal cataclisma, decise di produrre e realizzare un brano musicale per una raccolta fondi specifica per l'Etiopia e contattò allora il manager e produttore Ken Kragen, il quale suggerì di coinvolgere vari artisti statunitensi, sul modello del progetto britannico. Kragen chiamò Lionel Richie, che a sua volta propose Quincy Jones come produttore.
La sera stessa Richie chiamò Jones, che si trovava in quel momento in compagnia di Michael Jackson, di cui aveva già prodotto gli album Off the Wall e Thriller e che si apprestava a lavorare al successivo Bad. Jackson stesso aderì con entusiasmo al progetto e pochi giorni dopo Jones e Richie si ritrovarono assieme a lui nella sua casa ad Encino, in California, per comporre il brano: We Are the World prese forma nell'arco di due giorni,[7][9] quindi i tre lavorarono alla lista di artisti da coinvolgere nel progetto.
Grande!
C.