giovedì 24 dicembre 2020

L’anello fuso di Einstein. - Eleonora Ferroni

 

Il telescopio Hubble ha catturato un altro sorprendente esempio dell'effetto lente gravitazionale. In questo caso la luce dalla galassia di fondo è stata distorta e curvata dalla gravità dell'ammasso di galassie che si trova di fronte. Gal-Clus-022058s è un oggetto unico nel suo genere perché sembra un anello in via di fusione.

Nell’immagine potete ammirare l’elegante spettacolo di un anello di Einstein catturato dal telescopio di Nasa/Esa Hubble. Gal-Clus-022058s, in direzione della costellazione della Fornace, è il più grande e uno dei più completi anelli di Einstein mai scoperti finora. Visivamente è un oggetto unico nel suo genere perché sembra proprio un anello “fuso”, diciamo quasi liquefatto.

Che cos’è un anello di Einstein? La forma insolita di questo oggetto è causata da un fenomeno chiamato lente gravitazionale, una delle preziose eredità ci ha lasciato Albert Einstein e predetto nella sua Teoria della Relatività Generale. Si tratta dell’immagine di una galassia molto distante dalla Terra la cui distorsione è prodotta dalla flessione dei raggi luminosi provenienti dalla sorgente a causa del forte campo gravitazionale di una galassia massiccia chiamata “lente”, che si trova tra la sorgente e l’osservatore.  Gli astronomi sfruttano l’effetto di curvatura della luce per studiare oggetti estremamente lontani e impossibili da osservare con i telescopi terrestri o con i satelliti. La lente d’ingrandimento formato galattico distorce la struttura dello spazio-tempo nei dintorni, piegando letteralmente la luce e disegnando archi o addirittura anelli quando queste le due galassie sono esattamente allineate

Nel caso dell’immagine catturata da Hubble, la luce dalla galassia di fondo è stata distorta e curvata dalla gravità dell’ammasso di galassie che si trova di fronte. L’allineamento quasi esatto della galassia sullo sfondo con la galassia ellittica centrale dell’ammasso, ha deformato e ingrandito l’immagine della galassia di fondo in un anello quasi perfetto. La gravità delle altre galassie nell’ammasso provoca ulteriori distorsioni.

(foto: Crediti: Esa/Hubble & Nasa, S. Jha; Acknowledgment: L. Shatz)

https://www.media.inaf.it/2020/12/21/anello-fuso-di-einstein/?fbclid=IwAR1T1GKh2VAmYjJJ8kFbrJj5dFTLBnbFzqvCY1QPK7YN3RV3se13SwUdmyc

Turchia: scoperta maxi-miniera d'oro nel nord-ovest.

 

Conterrebbe 99 tonnellate per un valore di 5 miliardi di euro.

(ANSA) - ISTANBUL, 22 DIC - Un'importante miniera d'oro dal valore stimato di quasi 5 miliardi di euro è stata scoperta nel nord-ovest della Turchia. Il sito, che rientra nella proprietà dell'azienda per la produzione di fertilizzanti Gubretas, si trova nella località di Sogut, circa 250 km a sud di Istanbul, e conterrebbe 99 tonnellate del metallo prezioso.

A rendere nota la scoperta è stato il proprietario della compagnia e responsabile delle Cooperative di credito agricolo del Paese, Fahrettin Poyraz, citato da Anadolu.
"Entro due anni saremo in grado di estrarre le prime quantità d'oro", ha sostenuto Poyraz. La sua società ha acquisito il controllo dell'area interessata lo scorso anno a seguito di una controversia giudiziaria. Le azioni della compagnia hanno fatto segnare oggi un aumento di circa il 10% alla Borsa di Istanbul.
Secondo il ministro dell'Energia Fatih Donmez, nel 2019 la Turchia ha registrato il record nell'estrazione e produzione d'oro, per un totale di 38 tonnellate. (ANSA).

https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2020/12/22/turchia-scoperta-maxi-miniera-doro-nel-nord-ovest_fd1c7d90-d954-419b-92f1-63e2e30a088f.html?fbclid=IwAR0e7fjMBeBbLgK1d6gcpDhdXH31mg53t5AYUQPWoJMTPbaCXbxzO8cK8T0

Astronave, non solo Moncler: Invernizzi ritira i 4 mln donati. - Andrea Sparaciari

 

Fiera. Anche l’importante Fondazione non si fida più dell’ospedale-simbolo di Fontana&Gallera.

Dopo quella di Moncler, un’altra donazione milionaria a Regione Lombardia per l’Ospedale in Fiera riprende la via di casa. Si tratta dei 4 milioni di euro della potentissima Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi del 2 aprile 2020. Assegni staccati da tre società riconducibili alla Fondazione: la Finnapo S.r.l. (2,8 milioni bonificati il 6 aprile 2020); l’Immobiliare Mongesu S.r.l. (700 mila euro bonificati il 3 aprile); la Bina S.r.l. (che, sempre il 3 aprile, dona altri 500 mila euro). Totale: 4 milioni tondi. Fondi vincolati a uno scopo, la costruzione della struttura ospedaliera. Ma che si riveleranno non necessari, considerati i 21 milioni raccolti dalla Fondazione Fiera. Così Fondazione Invernizzi, come Moncler, ha dovuto scegliere se lasciare i fondi al Pirellone oppure prenderli indietro.

Il 21 giugno 2020 Fondazione Invernizzi, come testimonia la delibera di giunta n. 3982 del 14 dicembre, ha reclamato il denaro con una motivazione chiara: “Destinare le donazioni per due importanti progetti (di ricerca, ndr) individuati dalla stessa Fondazione con l’Università degli Studi di Milano”. E, visto che la legge regionale n. 4/2020 prevede l’obbligo di “destinare i proventi delle donazioni” solo “per iniziative di carattere emergenziale”, Regione Lombardia è stata costretta a restituire il denaro.

Una questione tecnica, ma fino a un certo punto: la Fondazione, infatti, avrebbe potuto scegliere di lasciare i 4 milioni alla Regione, anche se, per statuto, può finanziare solo progetti specifici. Avrebbe cioè potuto scegliere la via di Moncler e foraggiare progetti proposti dalla giunta Fontana. Invece ha preferito riprenderli e girarli alla Statale di Milano, che per altro non ha ancora individuato i “due importanti progetti. “Al momento la donazione alla Statale non è stata ancora formalizzata, né riscossa”, chiarisce l’Università al Fatto. “Quando la donazione verrà effettuata, sarà portata all’attenzione del cda dell’ateneo. L’intenzione sarebbe quella di finanziare i progetti di ricerca Covid non ancora finanziati”. Un messaggio chiaro: sui soldi meglio che decida la Statale, piuttosto che il Pirellone.

Una scelta comprensibile, considerando anche la nube di mistero che circonda i 10 milioni ripresi da Moncler un mese fa. La società dei piumini, dopo l’articolo del Fatto che raccontava come avesse richiesto indietro la donazione anch’essa destinata all’Ospedale in Fiera, aveva fatto sapere che avrebbe utilizzato 2 milioni per l’acquisto di 15 mezzi da destinare alle Usca, mentre i restanti 8 sarebbero andati per un progetto di telemedicina da attivare presso l’Ospedale di Niguarda. Un mese dopo del progetto di telemedicina si sono perse le tracce. “Come sindacato non ne sapevamo nulla prima e non ne sappiamo nulla ora”, spiega Isa Guarneri, segretaria FP Cgil Milano. Nonostante il sindacato, subito dopo l’articolo del Fatto, avesse chiesto informazioni precise ai vertici della Sanità Lombarda sul tanto pubblicizzato “Progetto Moncler”. Senza ottenere alcuna risposta. Il 13 novembre Niguarda ha effettivamente avviato un progetto simile a quello annunciato da Moncler – si chiama “Monitoraggio territoriale dei pazienti Covid” ed è gestito da 4 infermieri –, tuttavia questo pre-esisteva alla donazione di Moncler ed era stato approvato ben prima della restituzione del denaro.

La stessa società dei piumini, interrogata in proposito, ha preferito non rispondere. E anche sulle dotazioni delle Usca aleggia più di un dubbio: “Non mi risulta che a Milano siano entrati in servizio nuovi mezzi”, dice la consigliera Pd Carmela Rozza. “Anzi, il vero problema, oltre alla carenza di medici e infermieri, è ancora oggi la mancanza di mezzi attrezzati”.

E, intanto, l’Ospedale alla Fiera di Milano continua a lavorare, ma ampiamente sottodimensionato, a causa della carenza di personale sanitario. Lunedì 20 dicembre i ricoverati in terapia intensiva erano 47 sui 540 totali della Lombardia; il giorno prima erano 47 su 560 e quello prima ancora, i letti occupati erano 55 su 602 pazienti gravi totali. Non certo numeri enormi, per un’Astronave che avrebbe dovuto “salvare la Lombardia” e l’intero Paese. Avrebbe dovuto avere oltre 400 letti pienamente funzionanti. Peccato siano rimasti per lo più sulla carta.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/24/astronave-non-solo-moncler-invernizzi-ritira-i-4-mln-donati/6047055/

Monoclonali, Palù apre alla sperimentazione. L’Aifa riscrive la vicenda del “trial mancato”, ma finisce per ammettere l’occasione persa. - Thomas Mackinson

 

“Stiamo valutando una sperimentazione nei prossimi giorni”. Sui farmaci a base di anticorpi il neopresidente dell'Agenzia ha impresso la svolta. “Sono un sicuro presidio nel momento in cui non riusciremo a fare il vaccino a tutti". Ma l'ente difende la sua inerzia ricostruendo a suo modo l'occasione lasciata cadere nel nulla di sperimentarli gratis già a novembre. "Mai arrivata proposta di cessione gratuita", ma perché l'Aifa stessa non l'ha più chiesta. "Arrivata solo quella di autorizzazione alla vendita". Ma il ministero della Salute ormai poteva solo comprare il Bamlanivimab. Ecco come sono andate le cose.

“L’Aifa ha interesse a sperimentare i monoclonali”. Sui farmaci a base di anticorpi Giorgio Palù ieri ha impresso la svolta all’agenzia che presiede dal 4 dicembre. Dopo le rivelazioni del Fatto ha messo il punto all’ordine del giorno riaprendo la strada che, per ragioni poco chiare, era stata chiusa: “Sono un sicuro presidio nel momento in cui non riusciremo a fare il vaccino a tutti. Stiamo valutando una sperimentazione nei prossimi giorni”. In verità lo sostiene da sempre, ma per riaprire il discorso tocca cancellare la macchia: l’occasione mancata di sperimentare già a novembre 10mila dosi di Bamlanivimab, il farmaco sviluppato da Eli Lilly contro il Covid-19, a beneficio di altrettanti pazienti e a costo zero.

Nicola Magrini, dg dell’Aifa, s’intesta la smentita di una storia che il Fatto ha ricostruito – in forza di documenti testimonianze dirette – e di cui prima nulla si sapeva. Magrini, che mai ha accettato di parlarne, parla ora di “una generica disponibilità a collaborare” della multinazionale di Indianapolis. Sostiene che l’agenzia non ha ricevuto alcuna proposta di “cessione gratuita delle dosi” bensì una richiesta di autorizzazione alla vendita, non alla sperimentazione. E che in ogni caso: “Non è vero che abbiamo rifiutato l’accesso in Italia”.

Racconta tutt’altro la documentazione in nostro possesso. Tutti i decisori pubblici coinvolti, a partire dallo stesso Magrini, fin dal 7 ottobre erano chiamati a valutare esclusivamente la proposta di un “trial clinico-pragmatico” gratuito che avrebbe garantito al nostro Paese ormai schiacciato dalla seconda ondata l’accesso a una delle poche cure disponibili al mondo contro il virus. Nessun documento di quelli visionati parla di vendita: un’opzione che l’Italia ha valutato solo quando il tergiversare dell’Aifa sulla sperimentazione ha reso impossibile la cessione, perché il 9 novembre il farmaco è stato autorizzato negli Usa ed è entrato in commercio.

“Il 7 ottobre il virologo Guido Silvestri da Atlanta chiamò me”, racconta ora la senatrice M5S Elena Fattori. “Mi parlò della possibilità di far avere all’Italia almeno 10mila dosi di quel medicinale a costo zero”. La senatrice chiama subito il capo segreteria di Speranza, Massimo Paolucci. “Il ministero mi diede immediato riscontro. Da lì in poi la palla passò all’Aifa dove la cosa evidentemente si è arenata, non so perché”. Una versione che coincide con quella del viceministro Pierpaolo Sileri: il giorno stesso, nel giro di 16 minuti, girò la proposta all’Aifa per le opportune valutazioni del caso: a distanza di due mesi e mezzo non ha avuto risposta. L’aspettano anche i senatori M5S della Commissione Sanità: due giorni fa hanno depositato un’interrogazione al ministro Speranza in cui chiedono, alla luce della notizie emerse, cosa intenda fare. Il presidente Palù ha risposto nei fatti, travolgendo resistenze mai chiarite a un trial clinico di monoclonali già in uso all’estero.

Sempre di questo (non di vendita) si parla ancora nella riunione del 29 ottobre tra i vertici mondiali della Lilly, il gruppo regolatorio dell’Aifa, Gianni Rezza per il ministero, Giuseppe Ippolito (Cts e Spallanzani) e lo stesso professor Silvestri che da Atlanta aveva dato impulso all’iniziativa. La conferma definitiva che quello fosse l’oggetto, mai la vendita, arriva proprio da Ippolito: in una lettera al Fatto del 18 dicembre il direttore dello Spallanzani parla appunto di “sperimentazione”, non di offerte di acquisto.

La smentita dell’Aifa gioca però con le parole, usa a sua discolpa i propri atti mancati. Sostiene, ad esempio, di non aver mai ricevuto la proposta di sperimentazione gratuita. E questo è assolutamente vero, ma non l’ha ricevuta per il semplice fatto che al termine della riunione citata l’ha lasciata cadere per palese disinteresse. La multinazionale, contattata dal Fatto nei giorni scorsi, aveva confermato: “L’interlocuzione sul trial clinico gratuito è stata interrotta allora”. Aifa però rimarca d’aver ricevuto la richiesta di autorizzazione alla vendita. Facendo così passare il sospetto che alla fine di questo si trattasse: “In data 20 novembre – si legge – l’azienda Eli Lilly ha presentato all’Aifa una offerta per l’acquisto del farmaco da parte dell’Ssn, consegnando una ipotesi di contratto alla Struttura Commissariale all’emergenza Covid-19 il giorno 25 Novembre”.

Quello che la smentita non dice è che in realtà, persa l’occasione, non poteva accadere altrimenti. Il 9 novembre l’Fda americana autorizza l’uso d’emergenza del Bamlanivimab e da quel giorno, col prezzo fissato in 1200 dollari per le prime 300mila dosi, la casa madre di Indianapolis non può più cederne 10mila gratis a un altro Paese. Tuttavia l’Italia all’improvviso è disposta anche a pagare il farmaco che poteva avere gratis: il 16 novembre il ministero della Salute riporta la multinazionale al tavolo con Arcuri per l’unica opzione rimasta: trattare il prezzo.

L’Aifa infine torna sui limiti regolatori che sono la foglia di fico di tutta la storia. “Gli anticorpi monoclonali – si legge nel comunicato – necessitano di una approvazione europea, mentre l’azienda Eli Lilly ha proposto una procedura di approvazione del farmaco in deroga a tali procedure”. Ricorda poi che Ema ha espresso un giudizio assai cauto sulle possibilità di approvare il Bamlanivimab sulla base dello studio di fase 2 che evidenziava benefici moderati e ha richiesto ulteriori dati a supporto”. Non spiega però perché quei risultati siano bastati agli altri Paesi. Gli Stati Uniti hanno acquistato un milione di dosi, in Canada ne arriveranno altre migliaia dallo stabilimento di Latina. L’Ungheria fa parte dell’Unione dal 2004 e ha autorizzato il farmaco senza aspettare l’Ema. La Germania è sulla stessa scia.

E’ stato chiarito che in Italia si poteva autorizzare senza violare la legge, bensì applicandola: la 648/1996 è stata fatta apposta per autorizzare medicinali innovativi autorizzati in altri Stati, ma non in Italia, e quelli non ancora autorizzati dall’Ema ma in corso di sperimentazione clinica. La legge è sul sito dell’Aifa, per altro, con l’elenco dei farmaci. Nel 2005, ad esempio, Aifa autorizzò il trastuzumab per il trattamento del tumore alla mammella un anno e mezzo prima dell’Ema: ed è un anticorpo monoclonale, proprio come il Bamlanivimab. Adesso, dopo l’inchiesta, la posizione dell’Aifa è cambiata. È una vera fortuna. Potevamo essere i primi d’Europa, potremmo rischiare di non arrivare ultimi. Questa, alla fine, è la storia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/23/monoclonali-palu-apre-alla-sperimentazione-laifa-riscrive-la-vicenda-del-trial-mancato-ma-finisce-per-ammettere-loccasione-persa/6045886/

Pronto il controesodo da Italia Viva ai dem: cinque senatori in fuga. - Giacomo Salvini

 

Dopo settimane di borbottii e di critiche a mezza bocca al capo (“A volte Matteo si sveglia la mattina, legge i giornali e fa il pazzo” si è sentito dire un senatore dem da un renziano doc), il colpo di grazia ai senatori di Italia Viva lo ha dato il sondaggio Ipsos di sabato scorso. I renziani hanno notato un dato passato inosservato rispetto alla risalita del gradimento di Conte: Matteo Renzi è il leader meno amato dagli italiani, anche dietro Vito Crimi (all’11%). Poi lunedì le dichiarazioni di Dario Franceschini (“Con la crisi si va il voto e noi andiamo con Conte”) hanno fatto emergere i malumori: una pattuglia di senatori renziani, nel caso in cui la situazione precipitasse, sarebbe pronta alla scissione per entrare prima nel Misto, con un gruppo di “responsabili” per sostenere il governo e poi rientrare nel Pd.

Sui 18 senatori renziani quelli più insofferenti sono 4-5, ma qualcuno arriva addirittura a 8. I nomi che girano sono Giuseppe Cucca, Eugenio Comincini, Donatella Conzatti, Leonardo Grimani e Gelsomina Vono. I diretti interessati smentiscono ma l’insofferenza nel partito c’è e il Pd, tramite gli ex renziani di Base Riformista di Luca Lotti e Lorenzo Guerini, osserva i sommovimenti dentro IV e non gli dispiacerebbe fare lo sgambetto all’ex capo riaccogliendo molti ex compagni.

“Sono passati da Macron a Pecoraro Scanio – sogghigna un senatore Pd – e molti non ci stanno più”. I sondaggi (Swg dà il partito al 2,8%) e le simulazioni con il Rosatellum (Iv non avrebbe nemmeno un senatore) stanno creando un clima di terrore nel ventre di Italia Viva e per questo nelle ultime ore Renzi e i suoi hanno provato a chiudere il recinto: “Noi vogliamo allungare la legislatura” ha fatto sapere Renzi. Poi il capogruppo al Senato, Davide Faraone: “La battuta di Franceschini ha preoccupato tutti i gruppi, pensi a fare meglio il ministro e lasci stare il Colle”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/23/pronto-il-controesodo-da-italia-viva-ai-dem-cinque-senatori-in-fuga/6045954/

“Aspi, tentata truffa allo Stato da 18 milioni”. M.G.

 

La nuova accusa ha preso campo nelle ultime settimane e ha assunto la forma di una grande tentata truffa: 18,7 milioni di euro che, secondo la Procura e la Guardia di Finanza di Genova, Autostrade per l’Italia intendeva farsi rimborsare dallo Stato per lavori mai fatti. Un “retrofitting”, cioè un miglioramento strutturale delle barriere antirumore, che in realtà non è mai avvenuto, se non nelle pieghe dei documenti contabili. Esisteva invece eccome, ma era stato nascosto, l’antefatto: l’errore commesso dal gruppo concessionario nella progettazione delle barriere che per questa ragione venivano abbattute dal vento e non reggevano ai test anticrash, oltre a essere fissate con una resina non a norma (“sono incollate con il Vinavil”, copyright di uno dei progettisti). La tentata truffa dunque è il nuovo reato che la Procura contesta all’ex ad Giovanni Castellucci e ai suoi collaboratori, Michele Donferri Mitelli e Paolo Berti (tutti già indagati anche per attentato alla sicurezza dei trasporti e frode in pubbliche forniture).

Secondo la procura sapevano che le barriere antirumore erano un obbligo per la concessionaria, previste da un piano sottoscritto con la concessione. Occorreva dunque cambiare tutto, ma sarebbe costato “150 milioni di euro”. Per questo Donferri aveva caldeggiato la soluzione “aziendalista”: abbassare le “ribaltine”, ovvero la parte superiore delle barriere, abbassate così da 5 a 3 metri, dunque meno esposte alle folate di vento. Così piegate “sembrano disegnate da Renzo Piano”, scrive divertito Castellucci in un sms a Berti. Non solo quell’intervento non riduceva il rischio crollo, ma di fatto riproponeva il problema del rumore. Così, quando i residenti si lamentavano, una nuova squadra andava a rimetterle come erano prima. Ciò che emerge ora, è il secondo tempo di quella vicenda. Nelle pieghe dei bilanci è emerso infatti che quell’attività senza meta (le ribaltine abbassate e poi rialzate) era diventata un progetto di “retrofitting”: una ristrutturazione, per cui la concessionaria rivendicava il diritto a detrarne i costi. Il trucco è spiegato in un’informativa della Finanza: “I costi per il ripristino delle barriere sono stati scomputati alla voce F2”. La voce di bilancio che indica i miglioramenti strutturali. “Un po’ come se un inquilino facesse passare spese di manutenzione ordinaria per spese straordinarie e strutturali – semplifica un investigatore – per poi accollarle al proprietario di casa”. Nell’informativa la presunta ristrutturazione viene definita senza mezzi termini “un escamotage”.

Ecco il dettaglio. “Nel novembre del 2017 (per una spesa del 2018), il direttore di tronco di Genova Stefano Marigliani presenta un primo preventivo di 55mila euro per il 2018, e di 5 milioni per gli anni successivi. Un lavoro indicato come potenziamento degli ancoraggi e inserito alla voce F2”. Marigliani viene allontanato dopo l’avvio dell’inchiesta sul crollo del Ponte Morandi. La questione dei rimborsi attraversa quindi la vecchia e la nuova gestione. Gli ultimi sono infatti stati richiesti dopo l’addio di Castellucci e lo spostamento o il licenziamento dei dirigenti investiti dalle indagini. Dopo aver sentito il nuovo management, i giudici riconoscono ai nuovi dirigenti di essere stati “ragionevolmente all’oscuro” di quanto loro stessi hanno domandato indietro allo Stato. Così dice Mirko Nanni, successore di Marigliani, che per il 2020 firma una richiesta fotocopia a quella precedente: 994mila euro per il 2020, 2 milioni 900mila euro per gli anni successivi. “Ho scoperto che quelle barriere erano difettose dalla Procura”, ha detto a verbale.

E il ministero, come controllava? Sentito a verbale come testimone, Carmine Testa, il responsabile dell’ufficio territoriale del ministero delle Infrastrutture spiega di essere stato ingannato: “Non sono in grado di dire dove si collochi la voce F2”. E ancora: “Nessuno mi aveva riferito di un adeguamento e potenziamento delle barriere”. A sgombrare il campo dai dubbi è il dirigente del Mit, Felice Morisco: “Se la concessionaria commette un errore le conseguenze rimangono a suo carico”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/23/aspi-tentata-truffa-allo-stato-da-18-milioni/6045939/

mercoledì 23 dicembre 2020

Natale a Rignano. Si tratta su tutto, dai canditi a come si aprono i regali. - Alessandro Robecchi

 

Che sono tempi bui lo abbiamo già detto, vero? Che non sarà il solito Natale lo abbiamo letto da qualche parte, giusto? Bene, metà del lavoro è fatto. Ora passiamo a trattare l’argomento “Feste-in-pochi-e-in-zona-rossa”, con piccoli accorgimenti e trucchi per passare in armonia i giorni più santi dell’anno, quelli in cui si celebra la gloria del bambinello. No, non quello là che pensate voi, un altro bambinello, quello di Rignano.
Le settimane della vigilia sono state agitate e ricche di discussioni. Si faceva l’albero, e lui minacciava di fare il presepe, in subordine, ok, fare l’albero ma che non sembri un cedimento! Vuole scegliere le luci, poi appendere almeno una pallina ma non si può mettere il puntale finché non c’è la Bellanova. Alla fine, dopo estenuanti tira e molla, si è fatto l’albero, lui ha messo una pallina gialla sul terzo ramo dal basso e ha rilasciato gioiose dichiarazioni in cui “Senza di me sarebbe stato un Natale senz’albero!”.
Questo il pregresso. Ma veniamo al magico giorno della festa. Il gioco dell’oco. Non c’è gusto a fare la tombola in quattro o cinque, e anche il Mercante in Fiera perde molto del suo fascino senza il nonno rincoglionito a cui bisogna dire le cose tre volte. Quindi, un consiglio: il gioco dell’oco. Funziona sempre. Tabellone, dadi, sapienti tattiche e qualche variante nelle regole: un giocatore parte con due punti e mezzo, tira i dadi, spariglia, minaccia, piange, supera, arretra, arringa le folle, rilascia sette interviste al giorno sulle sue impareggiabili strategie, e alla fine resta… con due punti e mezzo. Non è successo niente, ma ci siamo divertiti. Lui un po’ meno, ma dice che ha vinto. Tutti allegri.
Il panettone. Altro snodo cruciale del Natale, la cerimonia del panettone. Ma attenzione, c’è un commensale deciso a sollevare qualche problema. Non vuole i canditi, come ha dichiarato al Corriere due settimane fa. Non vuole l’uvetta come ha rivelato in un retroscena già all’inizio del mese. Contesta che il panettone sia tagliato a fette triangolari. Valuta nuove maggioranze tra i commensali per aprire il pandoro, ripetendo che non fa tutto questo casino per avere una fetta di panettone in più. Ma poi, a pensarci, chi metterebbe lo zucchero a velo sul pandoro? Vuole che la stesura sia collegiale. Allora torna al panettone, vuole tagliarlo lui, in subordine far aprire lo spumante a Rosato. Qualche consiglio agli altri commensali: è Natale, non litigate, dategli una fettina più grossa e vedrete che si placa. Di spumante, bevetene parecchio, ne avrete bisogno.
I regali. Ci avviciniamo al dramma. L’apertura di pacchi e pacchettini è un momento che rivela molto della natura umana, da come si esprimono gioia e sorpresa, a come si mascherano le delusioni. Le famiglie più sagge sanno che azzeccare il regalo per il ragazzo difficile è fondamentale, e qui potete sbizzarrirvi, giocare sui bei tempi andati (un bel modellino di aereo presidenziale), o puntare sulle sue abilità alla Playstation, con nuovi games fantasy, tipo “Rottamator”, un eroe sparatutto che finisce a spararsi in un piede. Un consiglio per farlo felice: il modellino Lego della Farnesina da montare, che ci tiene tanto. Per i carrarmatini del Risiko bisogna aspettare che si liberi un posto alla Nato, portate pazienza.
Nel frattempo si è fatta sera, siamo un po’ storditi e stanchi. Ci meritiamo un po’ di relax, magari la tivù, un telegiornale. Dove compare un tizio che dice che è stato un Natale bellissimo. Per merito suo. Dovremmo ringraziarlo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/23/natale-a-rignano-si-tratta-su-tutto-dai-canditi-a-come-si-aprono-i-regali/6045964/