mercoledì 30 dicembre 2020

Carlassare: “La Carta tutela la vita, il vaccino può essere obbligatorio per legge”. - Silvia Truzzi

 

Covid-19 - La pandemia tra diritti e doveri.

Di cosa parliamo quando parliamo di vaccino? Dell’articolo 32 della Costituzione e del diritto alla salute, l’unico caso in cui un diritto viene qualificato come “fondamentale.” Lo aveva sottolineato Lorenza Carlassare, professore emerito di diritto costituzionale a Padova, che all’alba del Fatto aveva guidato i nostri lettori in una lettura ragionata della Carta. Oggi, tornando a parlare di diritto alla salute, la professoressa spiega quali sono i punti cardine da cui partire: “La salute è tutelata nella Carta come diritto fondamentale dell’individuo e come interesse della collettività”. Due sono i riferimenti costituzionali “l’individuo e la collettività: il diritto del primo può cedere, eccezionalmente, soltanto di fronte a un interesse della seconda”.

Così, non sembra esserci dubbio: il vaccino potrebbe essere obbligatorio. C’è chi però sostiene che sarebbe una violazione della libertà dell’individuo.

Il legislatore – nel limitare la libertà individuale, inviolabile secondo l’articolo 13 – si muove entro i margini ben definiti dall’articolo 32: la salute come fondamentale diritto della persona e come libertà di rifiutare ogni trattamento quando non sia in gioco l’interesse della collettività. Della possibilità di rifiutare trattamenti sanitari si è parlato a lungo a proposito del fine vita. Ma la situazione che stiamo vivendo ora riguarda chiaramente l’interesse della comunità.

Lei ha scritto che ‘la Costituzione rimette la persona al centro del sistema segnando una svolta decisa con il sistema autoritario dove è la collettività, identificata spesso con lo Stato, il valore centrale rispetto al quale il singolo è strumento’. Non vale nel caso dell’epidemia?

L’ultimo comma dell’articolo 32 dice che ‘la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona’. Trattamenti sanitari imposti, ai quali il paziente non abbia consentito, sono rigorosamente vietati. Il trattamento sanitario può essere imposto soltanto quando sia direttamente in gioco l’interesse collettivo: sicuramente legittimo è ogni intervento diretto a prevenire o fermare malattie contagiose che si risolvono in un diretto danno sociale. La vaccinazione è un esempio tipico. Non si può essere costretti a curarsi quando è in pericolo la propria vita, ma non quando la mancanza di cure mette in pericolo la vita di altri.

Il governo per ora pare orientato alla volontarietà: scelta che è stata letta da alcuni come il tentativo di non prevaricare l’arbitrio dei cittadini.

Io credo che il motivo sia pratico: non sappiamo ancora con ragionevole certezza quante dosi saranno disponibili e in quali tempi.

E cosa risponde a chi dice che il vaccino obbligatorio sarebbe un’intromissione dello Stato?

Che sbaglia, per i motivi che ho spiegato prima. La legge può imporre la vaccinazione. Solo la legge naturalmente, nessun atto diverso: la riserva di legge per la limitazione dei diritti individuali è assoluta.

Secondo il dottor Guariniello gli operatori sanitari che rifiutino il vaccino possono essere licenziati in base alla legge sulla sicurezza sul lavoro.

Secondo me medici e infermieri devono vaccinarsi, perché mettono a rischio i pazienti con cui entrano in contatto. In questi mesi abbiamo visto quel che è accaduto nelle rsa e negli ospedali. Credo basti questo. Per consentire trattamenti sanitari imposti, l’interesse della collettività dev’essere anche attuale, come accade oggi con tutta evidenza in questa epidemia mondiale.

Si parla di un possibile obbligo per i dipendenti pubblici e non per quelli del settore privato. Discriminante?

I lavoratori del pubblico, pensiamo alla sanità e alla scuola ma anche alla giustizia, entrano nella stragrande maggioranza a contatto con le persone. La Consulta l’ha spiegato bene: eguaglianza vuol dire trattare in modo uguale situazioni uguali, ma anche trattare in modo diverso situazioni diverse. Se una persona disabile ha un accompagnatore, questo non è un privilegio: il criterio che prevale nel trattare situazioni differenti è quello della ragionevolezza.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/30/la-carta-tutela-la-vita-il-vaccino-puo-essere-obbligatorio-per-legge/6051047/

Cazzari a rotelle. - Marco Travaglio

 

A furia di sentirlo ripetere a reti ed edicole unificate, pensavamo che in Italia il vaccino non sarebbe arrivato per colpa di quei dementi di Conte, Speranza e Arcuri, che lo promettevano a fine 2020, mentre l’avremmo visto fra uno-due anni. Invece oggi siamo a 480mila dosi. Allora dicevano: sì, ma non avremo le siringhe per colpa di quei dementi di Speranza e Arcuri. “Il mondo fa scorta di siringhe. L’Italia rischia di restare senza aghi per il vaccino” (Stampa, 9.11). “Vaccino senza siringhe: ‘Ordini da tutta Europa, ma non dall’Italia’” (Luciano Capone, Foglio, 18.11). “Vaccino anti-Covid, Italia senza siringhe? Arcuri: ‘Non so dirglielo’. Gelo in conferenza stampa” (Libero, 19.11). Invece sono arrivate pure le siringhe. Allora si è detto: sono quelle sbagliate, costano troppo e sono introvabili. Colpa di quel demente di Arcuri che, invece di fare scorta nella farmacia sotto casa, s’è fissato – chissà con quale tornaconto – con le “luer lock”. “Arcuri paga le siringhe a peso d’oro. Le luer lock costano 14 volte di più di quelle scelte dagli altri paesi Ue” (Mario Giordano, Verità, 10.12). “Le siringhe a rotelle e altri nonsense di Napoleone Arcuri” (Christian Rocca, Linkiesta, 11.12). “‘Niente tappi alle siringhe’: un nuovo flop di Arcuri?” (Giornale, 16.12). “Vaccino: Arcuri fa il buco con le siringhe” (Nicola Porro, 19.12). E giù battutone sulle “siringhe a rotelle”. E giù puntatone di Diritto e rovescio (Del Debbio), Quarta Repubblica (Porro), Non è l’Arena (Giletti) sulle “siringhe d’oro”. E giù tweet di Calenda (“Arcuri va licenziato”), Salvini (“Mancano milioni di siringhe… Visto lo ‘storico’ di Arcuri, evitiamo di dover nominare un nuovo commissario agli aghi e alle siringhe a marzo”) e interrogazioni di Lega e Fd’I.

Ora si scopre che a raccomandare le “luer lock” è il bugiardino di Pfizer, infatti tutta l’Ue ha acquistato quelle (ma non erano introvabili?), che non costano né il doppio né 14 volte quelle normali, ma pochi cent in più. Londra invece, furba lei, ha preso le standard (“luer slip”). Ora l’Aifa ha autorizzato l’estrazione di 6 dosi anziché 5 da ogni fiala Pfizer, cioè ad avere un 20% di vaccini gratis ogni cinque già acquistati, ma solo se la siringa è la famigerata “luer lock” di quel demente di Arcuri (che evita sprechi di siero residuo e consente di recuperarli per la sesta dose). Cosa che potranno fare l’Italia e gli altri paesi Ue e non il Regno Unito (salvo che ricompri tutte le siringhe). Risultato: le fiale Pfizer acquistate dall’Italia per 26,5 milioni di italiani vaccinati in sei mesi con 5 dosi ciascuna serviranno a vaccinarne 31,8 (5,3 in più). Con un risparmio di 63 milioni di euro che, detratti gli 1,7 milioni di costi in più per le “luer lock”, fanno 61,3 milioni pubblici guadagnati. Si attendono le scuse dei cazzari a rotelle.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/30/cazzari-a-rotelle/6051046/

martedì 29 dicembre 2020

I tg deprimenti e la nostalgia della tv di Biagi. - Antonio Padellaro

 

Il Covid è pessimo ma a peggiorarlo concorrono i tg e non soltanto, come dice Massimo Cacciari a La Verità, per “il martellante bollettino di guerra che sfianca la gente e butta a terra il morale” (lui non fa certo mancare il suo contributo). Abbiamo fatto anche l’abitudine alla deprimente sfilata serale delle figurine partitiche. Quelle che in occasione della pausa natalizia ricorrono alla panchina lunga con dei tizi riconoscibili solo ai propri affetti stabili, chi afflitto da alopecia invasiva e chi intubato nella mascherina (non manca mai Nicola Fratoianni di Sinistra italiana, la cui presenza resta rassicurante come il pastorello nella Grotta). Sui contenuti dei dichiaranti non ci soffermeremo se non per segnalare le due categorie che sostanziano le polemiche di giornata. “Si dimetta e si vergogni”, se “insorge l’opposizione”. “Chieda scusa e si vergogni”, se “insorge la maggioranza” (tutti i tg usano il medesimo format).

Tale scambio insurrezionale di vergogne evidenzia nel personale politico di ogni livello l’inclinazione a pontificare, senza mai azzardare uno straccio di argomento che uno. Mentre in studio si rifugge da qualsiasi valutazione nel merito, come se l’esercizio della ragion critica equivalesse ad afferrare un tizzone ardente a mani nude. O forse soltanto per pigrizia. Sono le occasioni nelle quali cresce il rimpianto per il giornalismo televisivo di Enzo Biagi, Ezio Zefferi (scomparso in questi giorni), Andrea Barbato, per citarne alcuni soltanto. Prendiamo la comica distribuzione dei regali ad uso social dell’uomo dei pacchi Matteo Salvini. Oppure la genialata vaccinale del presidente campano Vincenzo De Luca, più Crozza di Crozza ogni giorno di più. Pensate a cosa ne avrebbero ricavato di intelligente e di brillante il Fatto di Biagi, o la Cartolina di Barbato. Altro che vegetare con i “si dimetta” e con i “chieda scusa”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/29/i-tg-deprimenti-e-la-nostalgia-della-tv-di-biagi/6050006/

Verdini e le visite in carcere: da Salvini a Renzi, politici in processione a Rebibbia.

 

Se il saluto del segretario leghista al "suocero" appare scontato, meno ovvio è quello del leader di Italia Viva proprio nei giorni in cui soffiavano venti di crisi.

Sarà che spira aria di crisi di governo, ma è un fatto che tra il 23 e il 24 dicembre molti politici sono andati a trovare Denis Verdini, 69 anni, fiorentino, recluso nel carcere di Rebibbia dal 3 novembre, dopo la condanna a sei anni e sei mesi per la bancarotta del Credito cooperativo fiorentino. Una processione bipartisan, che va da Matteo Salvini a Matteo Renzi e Luca Lotti, passando per diversi esponenti del centrodestra.

Se, di fatto, la visita di Salvini appare piuttosto scontata, dal momento che il leader leghista è fidanzato da due anni con la figlia di Verdini, Francesca, meno ovvia invece è quella del leader di Italia viva. Che forse ha sentito il bisogno di consultarsi con il banchiere ed ex senatore proprio nei giorni in cui teneva il premier Conte con le spalle al muro sul Recovery fund minacciando la crisi. Singolare anche la visita di Luca Lotti: il deputato renziano, già ministro dello Sport, ma rimasto nel Pd (a suo tempo motivò la sua scelta di non trasferirsi nel partito di Renzi perché "il frazionismo mina la credibilità in politica") è tra i personaggi coinvolti nel caso Consip, assieme a Tiziano Renzi (padre di Matteo) e lo stesso Verdini.

A portare un saluto a Verdini, che nel frattempo si è fatto crescere una lunga barba bianca, anche molti ex compagni di centrodestra come Ignazio Larussa, Daniela Santanché, Maurizio Lupi e Renata Polverini. Ma anche il re delle cliniche romane e forzista Antonio Angelucci.

Come accennato la condanna per Verdini per la bancarotta dell'ex Credito cooperativo fiorentino è diventata definitiva il 3 novembre. lI giudici della Quinta sezione penale della Cassazione, presieduta da Paolo Antonio Bruno, hanno confermato la condanna a più di sei anni inflitta in Appello, ad eccezione di quattro mesi caduti per prescrizione. I supremi giudici non hanno accolto quindi la richiesta del sostituto procuratore generale della Cassazione che aveva chiesto per Verdini un nuovo processo d'Appello in relazione ad alcuni capi di imputazione.

https://www.repubblica.it/politica/2020/12/28/news/verdini_e_le_visite_in_carcere_da_salvini_a_renzi_politici_in_processione_a_rebibbia-280149938/

Io credo che uno dei motivi che spingono alcuni personaggi a fare visita al condannato Verdini, sia il fatto che lui sappia tutto di loro e che, pertanto, potrebbe distruggerli politicamente e legalmente.
Verdini è la vittima sacrificale provvista di un grande potenziale, quello di tenere in pugno personaggi da lui addestrati che risiedono in parlamento e che, a loro volta, in virtù dei "consigli" ed "aiuti" ricevuti, hanno il compito di portare a termine i programmi preventivamente pattuiti, quelli, cioè, meno graditi ai cittadini in quanto imposti da chi detiene il potere economico; per cui, alla prima inadempienza del contratto, scatta la ritorsione...
E, per evitare e bloccare la ritorsione, è necessario munirsi di spiegazioni che dimostrino, senza ombra di dubbio, i motivi del ritardo dell'adempienza. 
Renzi, conscio del suo scarso seguito, lo fa pubblicamente, lapalissianamente, (della serie: lo faccio a te, ma è per farlo sapere a mia suocera) ostacolando il governo. 

Verdini, a mio parere, è l'altra faccia della politica quella che perde il suo onorevole significato di arte di governare, per cui, chi si rivolge a lui per consigli e suggerimenti, è l'esempio del politico da non supportare.
cetta.

Recovery, Renzi: “Piano di Conte giustizialista, no alla prescrizione”. Ma è l’Europa che ha chiesto più volte all’Italia di riformarla. -

 

Per attaccare il governo e provare a dividere la maggioranza il leader d'Italia viva ha tirato fuori la prescrizione, che nelle bozze del piano Next generation Ue è citata solo 4 volte visto che è in vigore dal gennaio scorso. A chiederci la riforma è stata per anni la Commissione Europea ma l'argomento è fonte di attrito tra il Pd e i 5 stelle. Come il Mes, altro argomento sul quale l'ex premier sta puntando per provare a creare crepe nell'esecutivo.

Matteo Renzi sostiene che il Recovery plan preparato dal governo di Giuseppe Conte sia un piano “impregnato di cinquestellismo giustizialista nel momento in cui si parla della prescrizione”. Un attacco a testa bassa quello del leader d’Italia viva, che al Senato ha presentato una sorta di piano alternativo preparato dal suo partito. “Noi partiamo dalla cultura: no al manettarismo di seconda mano di alcuni membri di questa coalizione”, dice il senatore di Firenze. Ma a cosa si riferisce? La bozza del Recovery cosa c’entra col “cinquestellismo giustizialista“? E perché il leader d’Italia viva parla ancora di prescrizione, che è una riforma approvata nel gennaio del 2019 ed entrata in vigore in quello successivo, quindi prima dell’esplosione della pandemia?

E infatti la prescrizione con il Recovery plan c’entra davvero poco. A chiederci di riformare l’istituto giuridico che fava evaporare processi dopo un certo periodo di tempo è da anni l’Europa. Il motivo? Sono più di uno. “Il termine della prescrizione ostacola la lotta contro la corruzione”, perché “incentiva tattiche dilatorie da parte degli avvocati” e il risultato è che “un’alta percentuale di cause cade in prescrizione dopo la condanna di primo grado“. E quindi se “la questione non sarà affrontata, la fiducia dei cittadini e degli investitori nello Stato di diritto potrebbe diminuire”, scriveva la Commissione Europea nell’ultimo richiamo formale al nostro Paese. Era il 2017, Paolo Gentiloni sedeva a Palazzo Chigi e per l’Italia arrivava l’ultima grande bocciatura sul tema della prescrizione. L’anno dopo il primo esecutivo guidato da Conte ha iniziato a studiare una riforma che rispondesse a quanto da Bruxelles chiedevano da anni. Una legge che tra mille polemiche sarebbe poi entrata in vigore durante il secondo governo di Conte, quello dei 5 stelle e del Pd. E del quale farebbe parte lo stesso Renzi.

Il condizionale è d’obbligo visti i toni usati negli ultimi giorni dal leader d’Italia viva. Che forse non a caso ha tirato fuori la prescrizione per creare divisioni all’interno della maggioranza: si tratta infatti di una riforma che ha creato più di qualche attrito tra i 5 stelle e il Pd tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020. Un po’ come il Mes, altro argomento che divide le due principali forze di governo, e sul quale Renzi ha furbamente puntato nelle ultime settimane. Lo stesso si può dire per la giustizia. La miccia che ha infiammato l’ex segretario del Pd è rappresentata da un paragrafo del piano Next generation Ue. Una parte neanche troppo estesa: solo undici di pagine (su 125) sono dedicate alla riforma della giustizia. Non c’entra niente il “manettarismo” ma invece il fatto che tutti i Recovery plan dei Paesi Ue devono rispettare i rigidi paletti fissati dalla Commissione europea. Regole necessarie per assicurare che i 750 miliardi del Next generation Eu raggiungano gli obiettivi stabiliti da Bruxelles. Ma non si tratta solo di “paletti” generali: ogni Paese è anche tenuto a proporre misure con cui “affrontare efficacemente” i punti deboli rilevati dal Consiglio nelle sue raccomandazioni specifiche pubblicate ogni anno. Per l’Italia la lista è lunga: al primo posto c’è la lentezza della giustizia, soprattutto quella civileSecondo l’ultima stima del Cepej, la commissione europea per l’efficacia della giustizia del consiglio d’Europa, in alcuni casi i processi più lenti dell’intera Unione sono quelli che si celebrano nei tribunali italiani.

E infatti nel Recovery plan di Conte la riforma della giustizia è considerata una riforma “abilitante” di sistema. “Vogliamo rimuovere i principali ostacoli che impediscono al Paese e al suo ricco tessuto imprenditoriale di crescere come sa e può fare. Questo vuol dire innanzitutto affrontare con determinazione alcune riforme essenziali: quella della giustizia civile e penale, per garantire un’effettiva tutela dei diritti e degli interessi attraverso procedimenti snelli e processi rapidi”, è il preambolo del dossier preparato dall’esecutivo. Il governo spiega che “la tempestività delle decisioni giudiziarie è elemento essenziale per le imprese, per gli investitori e per i consumatori. Nelle loro decisioni di investimento, le imprese hanno bisogno di informazioni certe sul quadro regolamentare, devono poter calcolare il rischio di essere coinvolte in contenziosi commerciali, di lavoro, tributari o in procedure d’insolvenza; devono poter prevedere tempi e contenuti delle decisioni. Ad essere svantaggiate sono soprattutto le imprese di minori dimensioni, particolarmente esposte agli effetti negativi di una giustizia inefficiente”. Vuol dire che una giustizia veloce attrae investimenti, mentre una lenta, farraginosa e che non funziona li respinge.

Nella bozza dell’esecutivo si riportano i dati di uno studio condotto da Cer-Eures: “Si evidenzia che lentezze ed inefficienze della giustizia ci costano 2,5 punti Pil, pari a circa 40 miliardi di euro. Alcuni autori ritengono che una riduzione della durata delle procedure civili del 50 per cento accrescerebbe le dimensioni medie delle imprese manifatturiere di circa il 10 per cento. Una giustizia più rapida creerebbe anche 130mila posti di lavoro in più e circa mille euro all’anno di reddito pro-capite”. Ma non solo. “Altri studi – continua sempre la bozza del Recovery – mostrano che i ritardi nei tempi di consegna dei lavori pubblici crescono laddove la giustizia è più inefficiente, a causa della riduzione del valore atteso della sanzione comminata. Una riforma efficace dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie è dunque una riforma per il Paese e per il sistema economico europeo”. Insomma di “manettarismo” c’è ben poco, anzi è proprio grazie a una seria riforma giudiziaria che i lavori pubblici potranno ripartire ed essere completati nei tempi previsti.

D’altra parte quelle 11 pagine dedicate alla giustizia non sono solo un’idea di Conte ma rispondono alle raccomandazioni della Commissione Ue per il 2019-2020, che per l’ennesima volta chiedeva al nostro Paese un intervento su alcuni aspetti del nostro sistema giudiziario. A cominciare dalla “riduzione della durata dei processi civili e penali nei tre gradi di giudizio” per proseguire con la “riduzione del carico della sezione tributaria della Cassazione” la “necessità di semplificazione delle procedure“, fino alla “repressione della corruzione“. È l’Europa che chiede a Roma la riforma della giustizia come condizione fondamentale per avere i fondi del Recovery.

Fin qui si parla di riforma della giustizia e velocizzazione dei processi. Cosa c’entra dunque la prescrizione?Per presentare il piano Ciao, come Italia viva ha battezzato la sua proposta al governo, Renzi ha più volte ripetuto una frase usata come fosse uno slogan: “No alla prescrizione, sì alla cultura. Io parto dalla cultura, chi vuole partire dal giustizialismo può farlo ma io voglio partire dalla cultura possiamo discuterne”. Ma è davvero così? Per la verità nella bozza del Recovery di Conte la parola “prescrizione” compare solo quattro volte e tutte nello stesso breve periodo. Viene usata per spiegare che tra i punti a favore di una giustizia più veloce (quella che l’Europa ci chiede di realizzare coi fondi del Recovery) c’è anche quello di “massimizzare gli effetti della riforma del regime della prescrizione introdotta dalla legge n. 3 del 2019 (entrata in vigore, in questa parte, nel gennaio 2020) che, stabilendo il blocco del corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado o l’emissione del decreto penale di condanna, ha restituito competitività ai procedimenti speciali (patteggiamento e giudizio abbreviato)”. Cosa vuol dire? “Nel nostro sistema – prosegue il documento – la scelta di queste forme più rapide di definizione del processo era scoraggiata – soprattutto per i reati sanzionati con pene detentive meno gravi e perciò assoggettati a più brevi termini di prescrizione – dalla prospettiva concreta di fruire ‘gratuitamente’ dell’estinzione del reato per effetto della prescrizione, una prospettiva evidentemente più appetibile degli ‘sconti di pena‘ collegati alla scelta dei riti alternativi”.

Tradotto: con la scure della prescrizione sempre in agguato, per gli imputati era conveniente far durare i processi il più a lungo possibile e non fare ricorso ai riti speciali che garantiscono pene più miti in cambio di un processo più veloce. Con la riforma della prescrizione in vigore – seppur tra le polemiche – dal gennaio scorso – resta dunque da rendere più agili i procedimenti per avere un sistema funzionante, celere e che garantisce la certezza della pena. E che quindi attrae anche gli investimenti. È quello che chiedono tutte le forze politiche, spesso solo a parole. Lo fanno da anni, come da anni l’Europa ci chiedeva di riformare la prescrizione mentre continua a chiederci di velocizzare i processi. Renzi, però, pare non essersene accorto.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/28/recovery-renzi-piano-di-conte-giustizialista-no-alla-prescrizione-ma-e-leuropa-che-ha-chiesto-piu-volte-allitalia-di-riformarla/6049875/

Recovery: Renzi fa Ciao a Conte, ma non molla ancora le poltrone. - Wanda Marra

 

Sempre Appesi a italia viva. Il “piano”. Nuovo show in Senato del leader di Iv: attacca il governo, prende tempo sull’addio. Pd preoccupato: “Bisogna rispondergli”.

Indossa la cravatta rossa, fa proiettare delle slide, non evita la locuzione “io da premier” (come se il tempo non fosse passato), Matteo Renzi in conferenza stampa in Senato. Ma il messaggio più esplicito è il titolo del suo documento con ben 61 punti di critica al Recovery Plan di Giuseppe Conte: si chiama “Ciao”. Quello che è ufficialmente un acronimo (Cultura, Infrastrutture, Ambiente, Opportunità) evoca tanto i “Ciaone” dei (suoi) bei tempi che furono, lanciato all’indirizzo di “Giuseppi”.

Naturalmente, lui smentisce l’interpretazione, ma alla fine dello show in tono minore, visto che evidentemente c’è una pandemia, lo esplicita: “Non si può tirare troppo per le lunghe, se non c’è accordo sul Recovery faranno senza di noi e le ministre e il sottosegretario si dimetteranno”.

Parla di “settimane” per arrivare a un accordo Renzi. Una tempistica inquietante: più si va per le lunghe, più l’Italia rischia il ritardo nella presentazione del Piano alla Commissione per ricevere i fondi europei. Cosa che potrebbe davvero mettere all’angolo Conte e a rischio il governo. Anche per la reazione delle Cancellerie del Vecchio Continente. Tanto è vero che ieri al Nazareno commentano con un unico concetto: “Conte deve rispondere a lui e al Pd. Deve fare il capo della maggioranza”.

Ma intanto, l’ex premier procede per step. Se Conte recepirà un numero di proposte sufficienti, si va avanti, altrimenti, si dichiara pronto ad aprire la crisi, dopo la Befana. Il punto è: quali proposte? Perché, la critica è feroce e radicale: “Il piano manca di ambizione, è senz’anima, si vede che non c’è un’unica mano che scrive. È un collage talvolta raffazzonato di pezzi di diversi ministeri”. La frecciatina – implicita – è anche al ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, “reo” di non ricordare esattamente ogni locuzione riferita alla giustizia. “Serve un salto di qualità”, precisa Renzi.

Ma oltre a smontare nel dettaglio vari capitoli (dai 2,1 miliardi per i giovani considerati troppo pochi, alla proposta di dare 6 miliardi ai Comuni), l’ex premier tira fuori esattamente le questioni più ostiche per il M5S. Tanto per cominciare chiede di implementare i fondi per la sanità con il Mes. E poi propone al governo di fare lo ius culturae, mentre boccia senza mezzi termini il reddito di cittadinanza. Così come attacca il M5S che ha votato contro il parere del governo sul Tav. Poi ribadisce un altro tema per lui essenziale: “Il presidente del Consiglio affidi la delega ai servizi ad una persona terza”. Conte non ha intenzione di cedere. Ma in queste ore, in casa dem, riappare il nome di Marco Minniti come candidato. Almeno sulla carta, potrebbe andar bene anche al leader di Iv.

Ma poi sono più d’uno i temi su cui renziani e dem sono d’accordo: dalla struttura di governance, che deve tenere conto dei ministeri, ad alcune debolezze del piano. “I punti che Renzi può portare a casa sono potenzialmente tutti, tranne il Mes”, commenta un senatore dell’ala più governista del Pd.

La palla è di nuovo nella metà campo di Conte. Renzi si è indispettito rispetto alla sua performance a Porta a Porta. Troppo poco disposto a prenderlo in considerazione. La trattativa si preannuncia complessa. “Io non ho paura di niente”, dice il senatore di Scandicci, commentando Bettini, che parla di elezioni con una lista Conte e un’alleanza Pd-M5S. Cosa in parte vera: con il 2% ha poco da perdere. E il suo obiettivo reale resta il Conte-ter, magari con un ministero in più non per se stesso, ma per Maria Elena Boschi o Ettore Rosato.

Ieri sera, intanto, ha avuto una riunione con i suoi parlamentari. Gli stessi che continuano a giurare ai colleghi Pd che non hanno intenzione di aprire una crisi. Nel rispondere a una domanda sul tema fatta da Daniela Preziosi del Domani, Renzi equivoca e le risponde definendola giornalista del Fatto. Un’occasione per scagliarsi contro questa testata e le esortazioni a Conte a “sfancularlo”.

Il prossimo round domani, quando la delegazione di Iv si recherà al tavolo al Mef.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/29/recovery-renzi-fa-ciao-a-conte-ma-non-molla-ancora-le-poltrone/6049992/

Ciaone. - Marco Travaglio

 

Un sogno tira l’altro. Quello di Padellaro era Conte che sfancula Messer Duepercento in Senato come fece con l’altro Matteo. La mia variante era il premier che trova una dozzina di senatori centristi disposti a votargli la fiducia per salvare la legislatura e il posto, dimezzando Iv, consacrando quel che ne resta come pelo superfluo della politica e liberandoci delle molestie quotidiane delle Bellanova, Bonetti e Scalfarotto. Ma a Natale ho fatto un sogno ancor più liberatorio: Conte saluta e se ne va, rubando il titolo del piano-fuffa dell’Innominabile, “Ciao”. Se ne torna ai suoi mestieri di professore e avvocato, fra gli applausi dei giornaloni e dei loro padroni che finalmente hanno trovato l’”anima” (de li mortacci loro). Così lascia ai suoi veri nemici, cioè mezzo Pd e Iv, i capaci e i competenti, apprezzatissimi all’estero e popolarissimi in Italia, il pallino della crisi. Quelli mettono subito le grinfie sui servizi segreti, scannandosi come fiere tra chi vuol darli all’Innominabile e chi preferisce l’usato sicuro di Pollari, Mori e De Gennaro. Affondano le ganasce nei 209 miliardi del Recovery e se li spartiscono alla vecchia maniera, senza task force di controllo a disturbare le mangiatoie. Chiedono per l’Italia – unico paese Ue ad ammettere la bancarotta – i 36 miliardi del Mes, lottizzandoli fra i governatori che ne fanno un sol boccone coi rispettivi cognati. Cacciano quell’incapace di Arcuri e fanno gestire i vaccini a De Luca, che se li inietta tutti i giorni, prima e dopo i pasti.

Via anche quell’impiastro della Azzolina: l’Istruzione va alla Boschi, così impara (l’Istruzione). Gli Esteri a B., gli Interni a Salvini, l’Economia a Giorgetti, gli Affari Ue a Borghi o a Bagnai, la Giustizia a Verdini grazie all’indulto speciale per svuotare le carceri (così i radicali e gli scrittori al seguito rimangiano), lo Sviluppo a Bertolaso (come sviluppa lui nessuno mai), il Lavoro a Brunetta, l’Antimafia a Siri. Resta da decidere il premier. Draghi risponde: “Fossi matto”. E parte la mattanza fra i pretendenti, che sommati insieme non fanno un terzo di Conte nei sondaggi. Poi iniziano le ricerche di una maggioranza: uno spasso, visto che i 5Stelle si fanno incredibilmente furbi e non prestano all’ammucchiata un solo voto. Passano le settimane e l’Ue, stufa di aspettare il Recovery Plan, ci cancella la prima rata. Così Mattarella manda tutti a votare, tranne i leader che han causato la crisi, barricati in casa per paura del linciaggio. Conte, visti i sondaggi bulgari, è costretto a tornare in pista. Ma, anziché farsi un partito, accetta l’offerta di guidare il nuovo direttorio dei 5Stelle. E li riporta al 30%, rubando voti a destra, FI e Pd e mandando Iv sottozero, con una campagna elettorale di un solo slogan: “Ciaone”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/29/ciaone/6049975/