martedì 25 maggio 2021

La vignetta di Vauro su: "il Fatto Quotidiano" di oggi

 



C’è un’aria. - Marco Travaglio

 

In quest’arietta da regimetto, non nuova, peraltro, nel Paese con l’intellighenzia più serva del mondo, sta passando l’idea che i partiti debbano stare a cuccia e lasciar fare tutto a Draghi, il nostro Ronaldo (che peraltro ha appena trascinato la Juve al minimo storico del decennio). Ogni proposta è bollata come un fastidioso disturbo al Manovratore, ogni protesta come un sabotaggio delle magnifiche sorti e progressive dei Migliori e dai giornaloni si levano moniti contro i partiti che “piantano bandierine”. Prima che la sindrome di Stoccolma renda le forze politiche ancor più paralizzate e afasiche di quanto già non siano, è il caso di ricordare a lorsignori alcuni fondamentali della democrazia parlamentare: Draghi e i suoi tre o quattro “tecnici” non hanno mai preso un voto, diversamente dai partiti. E alle prossime elezioni, verosimilmente, Draghi siederà sul Colle o su qualche altra poltrona oppure a casa, mentre a chiedere i voti agli elettori saranno i partiti. Il governo esiste in quanto e finché il Parlamento gli dà la fiducia. Ciascun partito è liberissimo di votarla o di negarla in base a quello che il governo fa. E non c’è “Europa”, o suo improvvisato portavoce, che possa dire ai rappresentanti del popolo cosa devono fare.

Semmai è Draghi che dovrebbe pensarci mille volte prima di mettere le mani sulla Rai e sulle altre partecipate di Stato senza consultarli. Quanto ai miliardi del Recovery, peraltro procacciati dal governo precedente, arriveranno in base al Piano presentato alla Ue (per il 95% copiato da quello di Conte e per il 5% modificato in peggio) e alle riforme promesse su giustizia, lavoro, ambiente, burocrazia. Ma non le decide l’Europa e nemmeno il governo: le decide il Parlamento, libero di votarle o bocciarle o modificarle in base ai programmi e alle aspettative degli elettori dei vari partiti. Se i 5Stelle vogliono il salario minimo e il sorteggio dei togati del Csm e non vogliono la prescrizione, la separazione delle carriere, l’azione penale discrezionale, l’abolizione del codice degli appalti e altre deregulation foriere di stragi tipo Morandi e Mottarone, nessuno può obbligarli a votare l’opposto in nome di presunte urgenze europee o esigenze di unità nazionale. Lo stesso vale per Pd e Lega&FI sulla tassa di successione. I partiti non solo possono, ma devono “piantare bandierine”, cioè combattere le battaglie promesse agli elettori, anche a costo di disturbare i manovratori senza elettori. Se troveranno buoni compromessi per le famose “riforme”, bene. Sennò si saluteranno, manderanno Draghi al Quirinale o dove vuole lui, e torneremo a votare per chi pare a noi. Non alla fantomatica “Europa”, che fra l’altro non ha fra i suoi compiti quello di insegnarci a votare.

IlFQ

Covid-19 meno grave grazie ai vaccini: ora la sfida è bloccare il virus. - di M.T. Island

 

Non è tutto finito, non dobbiamo commettere lo stesso errore della scorsa estate. I vaccini stanno mettendo in protezione gli over 60, dove si concentrava la maggioranza dei casi gravi e dei decessi, ma resta molta strada da fare. Il secondo obiettivo da centrare è la riduzione della circolazione del virus in tutta la popolazione: e non sarà facile, come dimostra il caso inglese dove i contagi, nonostante le vaccinazioni, si sono di fatto stabilizzati da oltre un mese. Alcuni dei risultati finora raggiunti possono essere valutati con una doppia chiave di lettura, positiva o negativa, a seconda di quale punto di riferimento si voglia utilizzare: il picco delle fasi epidemiche, oppure l’obiettivo ideale da raggiungere per mettere la Covid-19 davvero sotto controllo. Insomma, le cose vanno meglio, anzi molto meglio rispetto al passato. Ma sarebbe un errore imperdonabile affidarsi solo ai vaccini, trascurando le altre misure che restano indispensabili per arrivare all'obiettivo finale: tornare a una vita davvero normale, senza colori o limitazioni di sorta.

La fase attuale dell'epidemia.

Iniziamo come sempre la nostra analisi facendo il punto sulla situazione della Covid-19 in Italia. Utilizzeremo i dati dell'ultima settimana epidemiologica completa (15-21 maggio) per assorbire le oscillazioni giornaliere che spesso dipendono da fattori che si ripetono ciclicamente: per esempio il calo dei test e di conseguenza dei positivi rilevati durante i weekend. A livello nazionale i nuovi casi sono stati 36.754, con un calo di 17.244 unità (-31,9%) rispetto ai 53.998 del periodo precedente (8-14 maggio). La media giornaliera dei positivi rilevati scende da 7.714 a 5.250, e si avvicina sensibilmente al valore soglia indicato dall'Istituto superiore di Sanità (4.311, ovvero 50 casi alla settimana per 100.000 abitanti) come punto di svolta per la ripresa in piena efficienza delle attività di tracciamento sul territorio. Si tratta del primo obiettivo da centrare senza indugi, perché un'epidemia viene messa sotto controllo solo quando il contact tracing riesce a gestire il numero dei casi rilevati: ovvero quando, oltre a rilevare il maggior numero possibile di individui infettati, riesce a ricostruire i contatti (e possibilmente i contatti dei contatti) isolandoli per il necessario periodo di osservazione (per la Covid-19 due settimane). Che si stia avvicinando questo importante traguardo è testimoniato anche dall'ultimo Report esteso dell'Iss, che rileva come nell'ultima settimana il 33,7% dei positivi sia stato rilevato grazie alle attività di contact tracing, superando il 31,2% dei positivi individuati e testati perché sintomatici. Questa inversione dei valori si verifica dopo mesi nei quali si osservava una chiara prevalenza dei test eseguiti sui soggetti con sintomi: una condizione che riflette non solo l'alta circolazione del virus sul territorio, ma anche l’impossibilità di avere un approccio mirato al tracciamento dei contatti. Quando invece prevalgono le positività riscontrate grazie al contact tracing significa che la rete di sorveglianza può lavorare al meglio, individuando i soggetti infettati e impedendo al virus di sfruttare il classico effetto moltiplicatore riflesso da valori crescenti di Rt. Tornando ai dati dell'ultima settimana epidemiologica è anche importante rilevare come stia scendendo in modo consistente il numero dei nuovi ingressi in terapia intensiva: 468 tra il 15 e il 21 maggio, con un calo del 29,5% dai 664 della settimana precedente, ma soprattutto del 75,2% rispetto al massimo di 1.892 registrato nella settimana epidemiologica 13-19 marzo, nel corso della terza fase espansiva del contagio. I dati inducono a un attento, se non cauto, ottimismo anche se valutati a livello regionale. In particolare considerando le Regioni che abbiamo monitorato in modo costante negli ultimi mesi in quanto “motore” principale della fase di crescita delle infezioni: sempre nel periodo 15-21 maggio in Lombardia, della quale occorre valutare i numeri considerando che rappresenta da sola un sesto della popolazione italiana, i nuovi casi sono stati 6.009, in calo del 25,2% sugli 8.035 della settimana precedente; in Campania 5.001 (-37,9% da 8.055); in Veneto 1.999 (-34,0% da 3.031) e in Emilia Romagna 2.859 (-30,7% da 4.130). Oltre ai valori assoluti, che non permettono una valutazione comparata tra aree geografiche diversamente popolate, è importante considerare i numeri visti in precedenza in rapporto alla popolazione residente: al primo posto si trova la Campania con 87,7 nuovi casi per 100.000 abitanti, seguita da Emilia Romagna (64,9 casi per 100.000), Lombardia (60,0) e Veneto (41,6).

Test in calo, un errore da non ripetere.

Ai dati positivi che abbiamo appena visto si accostano, purtroppo, quelli negativi sul fronte dei test eseguiti: il massimo è stato registrato nella settimana epidemiologica 10-16 aprile, con il numero record di 2.051.720 tamponi. Da lì è iniziata una fase di riduzione: dapprima moderata (-0,9% sia nella settimana 17-23 aprile, sia in quella 24-30 aprile), poi via via più consistente con il -3,0% del periodo 1-7maggio e il -4,0% di quello 8-14 maggio. Per arrivare fino al -9,9% dell'ultima settimana. Il calo cumulato, dal momento di picco, raggiunge ormai il 17,7%.La strategia di riduzione dei test eseguiti, che implica una parallela e ovvia riduzione dei positivi individuati, costituisce una fin troppo intuibile scorciatoia per ottenere (o mantenere nel tempo) gli allentamenti legati al cambio di colore e della relativa fascia di rischio. E non è per nulla nuova, come abbiamo visto alla fine dello scorso anno: quando fu propedeutica non alla soluzione del problema, ma a una ripresa del contagio che sarebbe esploso tre mesi più tardi.Attualmente la situazione è diversa, grazie alla disponibilità dei vaccini: è difficile ipotizzare una nuova ondata epidemica come quelle vissute in passato (primavera ed autunno 2021, fine inverno 2021) ma non dobbiamo dimenticare che la maggior parte della popolazione è ancora priva di protezione e costituisce un bacino importante nel quale il virus può circolare in modo efficace. Ne vedremo più avanti i possibili rischi.Un altro elemento negativo, per quanto riguarda l'esecuzione dei test, è costituito dal basso numero di tamponi molecolari: che ormai rappresentano solo il 53,9% del totale a fronte di una progressiva crescita dei tamponi rapidi. Che non solo individuano meno positivi rispetto a quelli molecolari, ma in più sono del tutto inutilizzabili per il sequenziamento del materiale virale e il riconoscimento delle varianti.Per capire il rischio collegato a questa diminuzione dei test usiamo volutamente un parallelo con il Regno Unito, che entra spesso nei confronti per quanto riguarda gli allentamenti e la ripresa delle attività, molto meno in quelli sulle misure adottate per fronteggiare l'epidemia. Se utilizziamo i rispettivi dati aggregati, con i dati disponibili e consolidati possiamo confrontare la nostra ultima settimana epidemiologica con quella 14-20 maggio del Regno Unito, pur tenendo conto della differenza di popolazione (peraltro non eclatante, 66 milioni contro 60 milioni in Italia). I test totali eseguiti in Uk sono stati 6.083.150 contro 1.687.084 in Italia; i tamponi molecolari 1.800.560 contro 909.550 in Italia (le medie giornaliere sono rispettivamente 257.222 e 129.935).L'effettuazione dei test durante le fasi di allentamento delle restrizioni è una delle regole fondamentali dell'epidemiologia, e segue precise logiche che proveremo a sintetizzare di seguito. Secondo l'ultimo Report esteso dell'Iss il 16,8% dei nuovi positivi, nel periodo 3-16 maggio, è stato individuato proprio grazie alle attività di screening: in pratica 1 caso su 6, dato che pone l'accento sull'importanza di mantenere il più possibile elevato il numero dei test tampone, e non di diminuirne progressivamente il numero come invece si sta verificando da qualche settimana, in coincidenza con gli allentamenti delle restrizioni.Come abbiamo visto si tratta di una situazione purtroppo già vissuta in passato, perché meno test hanno come logica ricaduta meno positivi individuati, e quindi minori restrizioni. E ignorare i positivi è la cosa peggiore che si possa fare perché restano liberi di circolare e trasmettere il contagio.Inoltre, quando si attraversa una fase di riduzione dei casi, in assenza di numeri elevati di soggetti sintomatici da testare sono proprio le attività di screening a consentire l'individuazione (magari in modo del tutto casuale) dei soggetti positivi e asintomatici, prevenendo la formazione di focolai e cluster importanti.Esattamente come accade per altri indicatori che abbiamo imparato a conoscere, anche per i test esistono curve che si esprimono in modo differente a seconda della fase epidemica: quando il numero dei casi è molto (troppo) alto prevalgono i positivi individuati perché sintomatici; quando i contagi iniziano a calare (come in questo momento) prevalgono quelli rilevati con il contact tracing; quando i valori scendono a livelli molto bassi quelli individuati grazie alle attività di screening, sulle quali bisogna spingere al massimo per ripulire il territorio da soggetti non individuabili diversamente.Per questo motivo la riduzione in corso dei test eseguiti è un non senso dal punto di vista epidemiologico: il numero dei test dovrebbe essere almeno mantenuto costante, spostando l'attenzione dalle verifiche sui soggetti con sintomi (ora in calo) alla verifica di gruppi di popolazione individuati su base statistica e in grado di restituire una visione corretta della diffusione del contagio sul territorio. Senza trascurare l'importanza di avere a disposizione, grazie ai soli test molecolari, materiale genetico virale da esaminare per l'individuazione delle varianti: meglio se costante, sistematica e giornaliera, come accade nel Regno Unito, piuttosto che affidata a flash survey come avviene in Italia restituendo al massimo un'immagine istantanea della situazione.

Obiettivi raggiunti da raggiungere.

Il primo importante traguardo è stato quasi raggiunto, con la messa in sicurezza di una larga parte della popolazione più anziana con “almeno” una dose di vaccino: mentre scriviamo il 63,6% tra i 60 e 69 anni; il 79,5% tra 70 e 79 anni; il 90,3% tra 80 e 89 anni e il 92,7% degli over 90. Buono anche il risultato ottenuto con le doppie somministrazioni, che ormai superano l'80% nella popolazione over 80. Una situazione che ha permesso di centrare un secondo obiettivo, la forte riduzione dei ricoverati, dimezzati dal 3 al 23 maggio, e un terzo con la parallela discesa dei decessi: che nell'ultima settimana hanno registrato una media giornaliera di 152, contro i 237 della prima settimana di maggio. I vaccini agiscono in questo momento proprio sui soggetti più esposti a forme gravi della Covid-19, con oltre il 96% dei decessi concentrato tra gli over 60 da inizio epidemia. Considerando però gli obiettivi da raggiungere dobbiamo guardare le due facce della medaglia: non solo quella che ci porta a essere soddisfatti per aver già vaccinato il 35,4% della popolazione generale, un dato che non sembrava alla nostra portata solo un paio di mesi fa; ma anche l'altra, quella che ci dice come il 64,6% della popolazione sia ancora da vaccinare. Includiamo in questo numero anche le persone che hanno contratto la malattia e sviluppato anticorpi per via naturale, perché non sappiamo esattamente quanto duri la protezione indotta dall'infezione (in via cautelativa si pone un limite di circa sei mesi). Allo stesso modo possiamo guardare con molta soddisfazione alla riduzione dei nuovi casi, come abbiamo visto in precedenza ormai vicini alla soglia che permette la ripresa del tracciamento; ma non possiamo dimenticare che la circolazione del virus è tutt'ora molto sostenuta. Lo vediamo chiaramente dal confronto con i dati del maggio 2020, quando l'Italia stava attraversando una fase epidemica molto simile a quella attuale fatta di allentamenti e di una rapida riduzione delle infezioni. Un anno fa (settimana epidemiologica 18-24 maggio) i nuovi positivi erano stati 4.423, con una media giornaliera di 631; in quella 15-21 maggio 2021 sono stati 36.754, con una media giornaliera di 5.250. I vantaggi innegabili del vaccino non impediscono quindi una circolazione del virus quasi 9 volte superiore a quella dello scorso anno: lasciando spazio a una ancora possibile ripresa del contagio, anche se probabilmente non a una nuova ondata epidemica come quelle vissute in passato, ma piuttosto a una crescita progressiva soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione. Motivo che dovrebbe consigliare, come del resto viene raccomandato (ma sempre meno rispettato) il mantenimento delle misure di prevenzione personali: prime fra tutte l'uso delle mascherine e il distanziamento interpersonale. Parlare di togliere le mascherine in questa fase non solo è prematuro, ma rischia di generare una percezione di eccessiva confidenza e sicurezza che potrebbe portare ad allentare ulteriormente le precauzioni quotidiane. Non dobbiamo inoltre dimenticare che più il virus circola, più si replica, più commette errori (mutazioni) nel farlo, più aumenta la probabilità che venga selezionata una variante in grado di eludere (in quel caso si spera solo parzialmente) la risposta immunitaria indotta dal vaccino. In questa fase, dove gran parte della popolazione è protetta con una singola dose, aumenta il rischio che venga selezionata proprio una variante venuta a contatto con la risposta anticorpale dei soggetti parzialmente protetti, e sopravvissuta ad essa. Ed è quindi fondamentale abbattere il più possibile il numero dei nuovi casi, riducendolo a livelli prossimi allo zero: come non siamo riusciti a fare la scorsa estate.

Il caso inglese: i nuovi positivi hanno smesso di scendere.

Che i vaccini siano una delle armi, anche se la migliore e più importante, ma non l'unica contro il Sars-CoV-2 lo possiamo vedere utilizzando di nuovo i dati del Regno Unito. Anche in questo caso non per dire che tutto va bene a prescindere, ma per prendere atto di una situazione che sta creando qualche preoccupazione oltre Manica. Nonostante il procedere rapidissimo della campagna vaccinale (il 24 maggio risultava protetto con almeno una dose il 72,3% della popolazione, con doppia dose il 43,5%) da metà aprile il numero dei nuovi casi ha smesso di scendere, passando a una fase stabile con numeri oscillanti tra 1.800 e 2.300 positivi giornalieri. Questa difficoltà nell'abbattere ulteriormente la circolazione virale, in presenza della variante indiana che è ancora allo studio per quanto riguarda le principali caratteristiche, inclusa la risposta al vaccino, ha portato alla decisione di abbreviare l'intervallo tra prima e seconda dose: dopo che proprio il Regno Unito aveva fatto da apripista nell'aumentare l'intervallo di tempo tra le due somministrazioni.

In conclusione.

1) Finalmente abbiamo a portata di mano la possibilità di controllare l'epidemia, ovvero di costringerla a muoversi secondo i nostri obiettivi invece di inseguirla come abbiamo fatto finora.
2) Abbiamo quasi raggiunto l'obiettivo di rendere la Covid-19 una patologia con effetti clinici gestibili grazie alla protezione, per quanto ancora parziale, della popolazione più anziana e quindi più esposta a forme gravi della malattia.
3) Allentare le misure di precauzione in questa fase potrebbe comportare il doppio rischio di permettere una circolazione virale sostenuta tra i giovani e di selezionare nuove varianti resistenti al vaccino grazie ai ceppi sopravvissuti a una risposta immunitaria ancora incompleta (nell'intervallo tra prima e seconda dose).
4) Il periodo estivo, con l'auspicato e auspicabile da un punto di vista economico arrivo di decine di milioni di turisti provenienti dall'estero, concentrerà ulteriormente la popolazione in alcune aree del Paese (mare, montagna, città d'arte) aumentando il problema dei controlli e la possibilità di diffusione del virus.
5) La prosecuzione di una strategia di estrema attenzione, oltre a consentire la messa in protezione di tutta la popolazione ad alto rischio, è fondamentale per abbattere la circolazione sul territorio del Sars-CoV-2. Un tema non trascurabile, come abbiamo visto dall'esempio inglese.
6) In questa fase deve essere assolutamente evitata una riduzione delle attività di tracciamento, mantenendo un alto numero di test effettuati: già oggi insufficiente, in particolare per quanto riguarda i tamponi molecolari e il conseguente sequenziamento del materiale genetico virale. Nessun liberi tutti, quindi, per almeno un po' di mesi. Dare al virus nuove opportunità proprio mentre lo stiamo battendo non sarebbe accettabile, né giustificabile. Senza dimenticare che sentirsi al sicuro perché abbiamo risolto il problema in Italia, senza curarsi degli oltre 7 miliardi di persone che abitano il pianeta, significa attuare con precisione matematica la strategia dello struzzo.

IlSole24Ore 

Arrestato boss della ’ndrangheta Morabito: era uno dei 10 latitanti più pericolosi.

 

Operazione congiunta dei carabinieri del Ros e del Servizio di cooperazione internazionale di polizia, con la collaborazione di Dea, Fbi e dipartimento di giustizia statunitense.

Il boss della 'Ndrangheta Rocco Morabito è stato arrestato in Brasile in un'operazione congiunta dei carabinieri del Ros e del Servizio di cooperazione internazionale di polizia, con la collaborazione di Dea, Fbi e dipartimento di giustizia statunitense. Morabito, ricercato dal 1994, era inserito nell'elenco dei 10 latitanti più pericolosi del Viminale.

Arrestato anche Vincenzo Pasquino.

Il boss era già stato arrestato nel 2017 in Uruguay dopo 23 anni di latitanza ma due anni dopo era riuscito a fuggire dal carcere di Montevideo dove era in attesa di estradizione in Italia. Con Morabito è stato arrestato anche Vincenzo Pasquino, latitante originario di Torino, anche lui inserito nell'elenco dei latitanti pericolosi. All'indagine che ha portato all'arresto dei due hanno collaborato anche il gruppo dei carabinieri di Locri e quelli del comando provinciale di Torino.

La cattura in un albergo.

Rocco Morabito è stato arrestato in un albergo di Joao Pessoa, capitale dello stato di Paraiba, assieme ad altri due stranieri, secondo quanto ha rivelato il ministro della Giustizia brasiliano, Anderson Torres. «L'arresto compiuto dalla polizia federale dimostra, ancora una volta, il nostro impegno nella lotta alla criminalità. Congratulazioni per la brillante operazione di polizia e di intelligence», ha detto Torres. Il sito del ministero della Giustizia e della sicurezza pubblica brasiliano ricorda che Morabito era ricercato dal 2019, dopo l'evasione in Uruguay, e sul suo capo pendeva un mandato di cattura emesso dal Supremo tribunale federale (Stf).

La soddisfazione della Dda.

«Siamo soddisfattissimi di questa attività, iniziata il giorno dopo la sua fuga in stretta collaborazione con l'autorità giudiziaria e la polizia giudiziaria uruguaiana, in collegamento con la Dda di Reggio Calabria, i carabinieri del Ros del comando provinciale di Reggio Calabria e di Locri, successivamente con il supporto della Dea, dell'Fbi, della polizia brasiliana e Interpol. Abbiamo messo in campo tutte le eccellenze investigative per raggiungere questo risultato». Lo dice all'AdnKronos, commentando la cattura del superboss Rocco Morabito, il capo della Dda di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri.

La precedente fuga.

«La fuga di Morabito poco prima dell'estradizione in Italia era una sconfitta – aggiunge -, ringraziamo anche la Direzione generale della Cooperazione internazionale del ministero che ci ha supportati in questa ricerca. Sono state messe in campo tutte le collaborazioni a livello internazionale di cooperazione di polizia giudiziaria che ci hanno consentito questo risultato importantissimo».

«Fra l'altro con Morabito è stato arrestato anche un altro pericoloso latitante seguito dalla Dda di Torino con cui abbiamo collaborato. Un risultato importante che testimonia come non si è mai abbassato il livello di guardia nella lotta al narcotraffico e ai latitanti che si sottraggono alle ricerche a loro carico».

IlSole24Ore


Benedetta Pilato, chi è la nuotatrice che a 16 anni ha battuto il record del mondo nei 50 rana. - di Arianna Ravelli, inviata a Budapest

 

Le parole definitive sulla nuotatrice le ha dette Federica Pellegrini: «Lei a 16 anni è molto più sveglia di come ero io a 19»

Ciao mondo, mi chiamo Benedetta Pilato, ho 16 anni e sarai costretto a fare i conti con me. La più veloce, la più potente, la più esplosiva nei 50 metri rana adesso è lei, che batte il record del mondo della regina Lilly King, 29’’30 contro 29’’40 della statunitense, un mostro sacro verso il quale Benny non mostra alcun timore reverenziale: «È molto simpatica, se la sai prendere. Io l’ho conosciuta proprio qui a Budapest a ottobre, durante la Isl», che è una competizione privata che raccoglie i migliori nuotatori e che per Bendetta è stata un bel passaggio di crescita: «Sono stata qui due mesi da sola, mi è servito tanto: alla mattina seguivo le lezioni in Dad, al pomeriggio allenamento e gare».

Le parole definitive su Benedetta Pilato, questa ragazza figlia del Sud che sembra rifiutare tutti i luoghi comuni («Taranto è dove ci sono i miei legami ma io sto bene ovunque»), non una parola sul fatto che a casa non c’è la piscina di 50 metri e che lei e l’allenatore devono andare a Bari due volte alla settimana per allenarsi («È anche divertente»), non una lamentele sul lavoro che non c’è, le ha dette Federica Pellegrini, una che comunque quanto a precocità non ha scherzato: «Io avevo 19 anni, quando, a Melbourne, ho conquistato il mio primo record del mondo, dopo non riuscii a dormire: ma lei a 16 anni è molto più sveglia di come ero io a 19, io faticavo con la pressione mediatica, lei la regge bene».

Corsera

Considerazioni su informazione, disinformazione e conoscenza nel XXI secolo. - Sara Sapienza











                 Parliamo di informazione disinformazione e del paradosso dell’era moderna nella quale la conoscenza è a portata di tutti, basta un tocco sul cellulare per accedere alla vasta e sconfinata raccolta di sapere disponibile online.

Il paradosso sta proprio nella possibilità di inserire qualsiasi informazione, opinione, pensiero, sentimento su di un blog, un proprio sito internet, avallando ipotesi e ragioni personali, anche senza fornire spiegazioni logiche o matematiche che siano state comprovate oppure, come sovente accade, senza citare nessuna fonte storica, scientifica, nessuna divulgazione.

Nulla e basta.

Allora accade che il nostro World Wide Web per quanto vasto e senza confini si componga e ricolmi di informazione e disinformazione.

Di conseguenza , si perde l’abitudine di filosofare, di pensare criticamente o semplicemente mettere in discussione ciò che si apprende. Perché in realtà non lo si apprende.

Perché se davvero una persona volesse comprendere o apprendere qualcosa dovrebbe di conseguenza documentarsi in toto, comprendendo le sfumature che compongono l’insieme di un concetto.

Non osserviamo più ciò che ci circonda ponendoci domande, ci abituiamo piuttosto a non porne, un po’ per pigrizia, un po’ perché non abbiamo tempo, un po’ perché di fatto, non ce ne poniamo più.

Cito a tal proposito: «Chi pensa sia necessario filosofare deve filosofare e chi pensa non si debba filosofare deve filosofare per dimostrare che non si deve filosofare; dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui, dando l’addio alla vita, poiché tutte le altre cose sembrano essere solo chiacchiere e vaniloqui.» (Aristotele, Protreptico o Esortazione alla filosofia, B6)

L’età dell’informazione globale sembra quindi aver portato l’uomo ad avere tutto pronto secondo le leggi del consumismo.

Ragionamenti fatti senza sforzi e conquistati senza comprensione.

Basta aprire il motore di ricerca e selezionare con un click la prima cosa che troviamo. Fenomeno che notiamo spesso con le testate giornalistiche, la verità può essere presentata in tanti modi diversi, con altrettanti giochi di parole diversi. Con il tempo, si perde anche l’abitudine o la voglia di pensare in maniera critica, di studiare un argomento e poi di studiare quello posto di contro così da vedere i volti opposti della stessa medaglia.

Quando tutto è a portata di mano in maniera così semplice, ci disabituiamo tutti a chiederci come si arriva ad una tale soluzione, come si giunge ad un certo ragionamento. Ci disinteressiamo semplicemente, poiché abbiamo comunque già la soluzione dinanzi i nostri occhi, non ci serve altro del resto.

Persino io qui oggi posso dire la mia, avvalorando le mie affermazioni senza nemmeno incontrare una critica, perché posso scrivere indisturbata e pubblicare il mio contenuto senza nulla citare, dichiarando la veridicità dei miei intenti.

Così viaggia facilmente la disinformazione ai giorni nostri.

Giorni distanti dal periodo in cui hanno vissuto altri uomini come Newton che osservavano il mondo desiderando comprenderlo come nessuno aveva mai fatto fino a quel momento, per poterlo spiegare ad altri. Pronti anche a filosofeggiare sulle soluzioni, sia che fossero personaggi insofferenti o iracondi come il sopracitato, sia che fossero pronti a mettere in discussione le proprie scoperte. Perché prima il pensiero critico veniva insegnato ancora nelle accademie, scuole e licei.

A tal proposito: non sapevo nulla dell’indole  iraconda di Newton, riportata nell’articolo “sembrano i Pink Floyd e invece è Newton” quindi sono andata a cercare su diversi siti, per appurare ed approfondire questa nuova.

Origine Immagine: WEB

Radio Off

lunedì 24 maggio 2021

Energia cara (e troppo inquinante), ora i minatori di Bitcoin si accordano con i petrolieri. - Virginia Della Sala

 

La joint venture tra chi estrae idrocarburi e i produttori di criptovalute:  quando viene estratto il greggio fuoriesce gas naturale che viene usato per fare monete elettroniche.

Cosa unisce direttamente i minatori di Bitcoin e i petrolieri? Nelle scorse settimane il patron di Tesla, Elon Musk, ha annunciato che non venderà le sue auto con le crypto perché bitcoin, per il suo consumo energetico, non è sostenibile per il Paese e non lo sarà fino a che non si troverà un’alternativa ecologica alla produzione di energia. Una selezione che è quanto mai lontana e che non è escluso abbia inferto un colpo quasi mortale alla reputazione delle cripto dato che il Mondo è nella fase in cui tutto ciò che non è green è destinato al fallimento.

In attesa dunque che il mondo del Bitcoin si faccia magari trascinatore del vero switch alle rinnovabili e all’energia verde, dalla Reuters arriva una storia magnifica e degna di essere raccontata. In pratica, sulle aree petrolifere statunitensi che si estendono lungo le Montagne Rocciose e le Grandi Pianure, esiste una strana joint venture tra i petrolieri e i minatori di Bitcoin. In sostanza, spiega la testata, quando i petrolieri estraggono il greggio generano spesso la fuoriuscita di gas naturale. Solo che non avendo gasdotti disponibili o non essendo in quantità tali da giustificarne la creazione, questo si disperde nell’atmosfera.

Così, i minatori si sono muniti di veri e propri rimorchi dotati di tubi, generatori e computer con i quali catturano questo gas, lo trasformano in energia e producono le cripto. Si tratta, spiega Reuters, di supercomputer che raggiungono una temperatura di 71 gradi Celsius. Per i petrolieri è un modo per rispondere anche alle pressioni delle istituzioni che gli impongono di ridurre le emissioni. Così, in pratica, le eliminano vendendole o regalandole. Altrimenti dovrebbero bruciare quel gas, caricandosi anche dell’onere dell’inquinamento. Così invece lo spostano sui minatori di cripto.

Secondo un rapporto degli analisti della Bank of America le emissioni complessive di C02 dell’industria globale di Bitcoin sono aumentate a 60 milioni di tonnellate, pari allo scarico di circa 9 milioni di automobili. Si tratta di oltre 20 milioni di tonnellate in più rispetto a due anni fa.

E nel sogno al momento fantascientifico di chi vorrebbe che questo finisse, tali operazioni potrebbero essere la soluzione all’inquinamento prodotto in Asia proprio per l’elettricità delle cripto. Anche così però la sostenibilità non è garantita. E da essa, ormai, dipende il futuro di Bitcoin&c.

IlFQ