sabato 18 settembre 2021

Bernabè perepè. - Marco Travaglio

 

Il senso dell’umorismo è raro. Ma quello del ridicolo è introvabile. È quanto ha voluto dimostrare giovedì a Ottoemezzo Franco Bernabè, ex amministratore di tutto, nominato dall’amico Draghi alla presidenza di Acciaierie d’Italia. Altrimenti, alle domande sul premier che l’ha nominato, si sarebbe schermito per il conflitto d’interessi; o, se proprio avesse voluto rispondere, avrebbe evitato l’aureola portatile; o, se proprio gli fosse scappata l’aureola, l’avrebbe accompagnata con una timida critica, magari marginale, che so, al colore della cravatta di Draghi. Invece no. Parlando del Super Green Pass di Super Mario, ha premesso che “sicuramente l’Italia è uno dei Paesi che ha affrontato meglio l’emergenza Covid”. Ma non quando l’emergenza era davvero emergenza e nacque il Recovery (c’era un altro premier che la damnatio memoriae vieta di nominarlo): il meglio è ora grazie a Draghi. Bernabè cita l’immunologo americano Fauci, facendogli dire che ora “siamo i leader internazionali”. In realtà Fauci ha detto: “L’Italia è stata uno dei Paesi colpiti dal Covid più severamente e prima degli Usa e da voi abbiamo imparato molto”. E chi c’era quando fummo colpiti? Sempre il premier che non si può nominare.

Il seguito del manager nominato da Draghi che parla di Draghi è impagabile: “Il fatto che Draghi fosse assente alla conferenza stampa sul Green Pass sottolinea simbolicamente che ha vinto l’Italia. In fondo abbiamo vinto gli Europei, abbiamo fatto il pieno di medaglie alle Olimpiadi e alle Paralimpiadi, ora Fauci ci dice che siamo i leader internazionali… L’Italia esce vincitrice a livello internazionale… è entrata in un periodo di eccezionale positività. Con l’uscita della Merkel e i problemi degli Usa, avere una persona riconosciuta a livello mondiale per autorevolezza e credibilità farà tornare gli investimenti”. Purtroppo – e qui Bernabè s’incupisce un po’ – “la comunicazione del governo è abbastanza efficace, ma c’è una cacofonia su giornali e tv che non aiuta a chiarire le idee alla gente”. Già: questi giornali sono sempre lì a cercare il pelo nell’uovo pur di mettere in cattiva luce la sua Luce, incuranti dei rigori parati e tirati e delle medaglie vinte. E non basta: “Purtroppo la politica affronta tutto in negativo, il dibattito politico è sulla negatività e non sulla positività”. Giusto: basta con la guerriglia urbana in Parlamento contro il governo, basta con le imboscate dei ministri al premier, basta con i tupamaros dei giornali e dei talk pregiudizialmente antidraghiani: possibile che in Draghi non trovino mai nulla di buono? Eppure almeno un colpo di genio l’ha avuto: nominare Bernabè. E, se ha nominato un genio, dev’essere un genio anche lui. Non ce lo meritiamo, ecco.

ILFQ

Stato-mafia, il bis delle condanne è in salita. - Marco Lillo

 

Secondo grado. Dell’Utri ed ex Ros sperano.

Tra pochi giorni la Corte di assise di appello di Palermo dovrà decidere se la sentenza di primo grado sulla cosiddetta Trattativa Stato-mafia del 20 aprile 2018 vada confermata o annullata. Il processo iniziato nel 2012 ha visto alla sbarra insieme i boss Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca (Totò Riina e Bernardo Provenzano sono morti durante il processo), il medico mafioso Antonino Cinà e l’allora comandante del Reparto Operativo Speciale dei carabinieri, Angelo Subranni, l’ex vicecomandante Mario Mori e l’ex colonnello Giuseppe De Donno più l’ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri.

In primo grado Bagarella si è visto infliggere ben 28 anni; Cinà, Dell’Utri, Mori e Subranni dodici anni; De Donno otto anni e Giovanni Brusca è stato salvato dalla prescrizione. Massimo Ciancimino è stato condannato per calunnia a otto anni. Nel processo parallelo l’ex ministro Dc Calogero Mannino, con il rito abbreviato, è stato assolto con sentenza confermata in appello e definitiva nel 2020.

I sostituti procuratori generali che sostengono l’accusa in appello (Giuseppe Fici e Sergio Barbiera, guidati dal procuratore generale Roberto Scarpinato) dopo lo stop su Mannino hanno chiesto comunque la conferma delle condanne per gli altri imputati.

Il reato Minaccia a corpo polito dello Stato.

Il reato contestato non è la trattativa in sé ma la minaccia a corpo politico o amministrativo dello Stato, prevista dall’articolo 338 del codice penale. Il tema non è quindi se prima i carabinieri e poi Dell’Utri abbiano trattato con la mafia, ma se abbiano turbato l’azione dello Stato, dal 1992 al 1994, veicolando la minaccia di Cosa Nostra attuata con le stragi e gli attentati nel periodo 1992-1994.

Le domande cui dovrà rispondere la Corte di Assise di Appello sono in sostanza due: la minaccia allo Stato attuata con le stragi è stata veicolata dai carabinieri del Ros e poi da Marcello Dell’Utri alle istituzioni? Le presunte ‘trattative’, che vedono come protagonisti da un lato i carabinieri e Dell’Utri e dall’altro gli emissari della mafia, configurano un reato? I carabinieri del Ros – Subranni, Mori e De Donno – sono stati condannati per l’innesco della Trattativa con don Vito Ciancimino dopo la strage di Capaci mentre Marcello Dell’Utri, co-fondatore di Forza Italia, è stato condannato per le pressioni veicolate al governo Berlusconi nel 1994.

La sentenza di appello è attesa a partire dal 21 settembre. Le possibilità teoriche sono tre: conferma della condanna per tutti; assoluzione per tutti; oppure condanna per il primo segmento della Trattativa e non per il secondo o viceversa. La Corte potrebbe cioè assolvere solo Dell’Utri e condannare Mori, Subranni e De Donno. Oppure potrebbe condannare solo Dell’Utri. Più difficile ipotizzare uno ‘smembramento’ del destino dei tre ex carabinieri.

Il presidente della Corte di assise di appello è Angelo Pellino, ricordato come il presidente della Corte di Trapani che nel 2014 ha condannato i boss per l’uccisione di Mauro Rostagno.

Giudice a latere è Vittorio Anania, che ha indossato la sua prima toga, prestatagli da un collega, al picchetto d’onore per le morti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Difficile fare previsioni, ma la strada verso la conferma della condanna è in salita. L’ostacolo più grande è il giudicato definitivo della Cassazione che assolve l’ex ministro democristiano Calogero Mannino per gli stessi fatti.

I due processi, quello con il rito abbreviato contro Mannino e quello ordinario contro tutti gli altri imputati, hanno avuto esiti diversi su fatti praticamente uguali. E questa non è una buona notizia per l’accusa.

Mannino assolto definitivamente nel 2020.

Infatti la Procura generale capeggiata da Roberto Scarpinato ha cercato senza successo di ottenere dalla Cassazione e dalla Corte costituzionale la possibilità di ribaltare l’appello perso contro Mannino. Invano. Dopo la riforma del 2017, quando c’è una doppia assoluzione, il ricorso al terzo grado è inammissibile. La questione di legittimità costituzionale di questa norma è stata rigettata. Risultato: per la giustizia italiana Mannino è innocente e non ha attivato la Trattativa per salvarsi la vita contattando il generale Subranni. Non ha mai aiutato Cosa Nostra. Anzi l’ha combattuta. Il verdetto definitivo su Mannino bolla la tesi della Procura generale (sostenuta dagli stessi pm oggi nell’altro processo) così: “Non solo infondata, ma anche totalmente illogica e incongruente con la ricostruzione complessiva dei fatti”.

La strada per la conferma della condanna è dunque un vicolo stretto e tortuoso. Quando nel 2018 furono condannati Subranni e compagni, c’era già l’assoluzione del 2015 del primo grado di Mannino. La Corte d’assise d’appello ora per confermare la condanna però dovrà saltare un muro più alto. L’assoluzione di primo grado per Mannino è diventato un giudicato. Dopo l’assoluzione di Mannino, la Corte d’assise scavalcò quel verdetto di primo grado così: “Al Subranni, invero, deve ricondursi l’ideazione della trattativa con i vertici mafiosi da cui ebbe a scaturire la minaccia rivolta da questi al governo della Repubblica. Subranni, infatti, ha recepito (anche) le preoccupazioni esternategli in modo sempre più pressante, già all’indomani dell’uccisione di Salvo Lima, da Calogero Mannino, il quale temeva – deve dirsi, peraltro, fondatamente – di poter essere una delle possibili successive vittime della vendetta (…) in tale contesto, nasce l’iniziativa del Ros comandato da Subranni diretta a intraprendere i contatti con Vito Ciancimino col fine precipuo di raggiungere, attraverso l’intermediazione del predetto che si sapeva essere particolarmente vicino ai corleonesi di Cosa Nostra, direttamente i vertici dell’associazione mafiosa”.

Per la sentenza di primo grado, Mori e De Donno avrebbero quasi confessato la ‘trattativa’ nel 1998 quando testimoniarono al processo di Firenze sulle stragi continentali.

La Corte li ha condannati anche sulla base delle loro parole perché l’iniziativa di andare a parlare nel 1992 con il mafioso Vito Ciancimino era tesa “non già come preteso dagli imputati allo sviluppo investigativo di indagini dirette a identificare i responsabili della strage di Capaci e a catturare i grandi latitanti di Cosa Nostra, ma all’intendimento di ristabilire in un certo senso una “normalità” di rapporti con gli esponenti dell’associazione mafiosa, e cioè quella “coabitazione” (…), di modo da far salva la vita a coloro che temevano di essere travolti dalla furia mafiosa (in primis l’On. Mannino che, come si è già detto, in tal senso aveva sensibilizzato l’amico Subranni)”.

Un anno dopo, la Corte di appello del processo Mannino ha confermato l’assoluzione dell’ex ministro nella sentenza ormai definitiva firmata dalla presidente Adriana Piras che fa a pezzi questa tesi. Il Ros avrebbe fatto “un’operazione info-investigativa di polizia giudiziaria comunicata da Mori e De Donno al loro diretto superiore gerarchico che allora era il generale Subranni (…) realizzata attraverso la promessa di benefici personali a Ciancimino (…) tale operazione si proponeva attraverso la sollecitazione a un’attività di infiltrazione di Vito Ciancimino in Cosa Nostra, che ne avrebbe dovuto contattare i capi, il precipuo fine della cattura di Totò Riina”.

Insomma nessun input politico di Mannino. Nessuna trattativa finalizzata a far finire le stragi in cambio di benefici a Cosa Nostra. Solo un tentativo di arrestare Riina con la soffiata di Ciancimino in cambio di benefici individuali a don Vito.

Addirittura, sempre per la sentenza di appello che assolve Mannino, non sarebbe provato nemmeno che il mancato rinnovo nel novembre 1993 di circa 300 decreti di isolamento carcerario al 41-bis fosse dettato dal cedimento alla minaccia stragista.

Questa lettura minimalista è rigettata dalla sentenza firmata dal presidente Alfredo Montalto nel 2018 secondo la quale nell’azione del Ros di Mario Mori c’era “il chiaro invito a Ciancimino (…) a prestare la propria opera per recapitare ai vertici mafiosi un messaggio di apertura al dialogo (“Ma non si può parlare con questa gente?”) finalizzato a “normalizzare” l’anomalia creatasi a seguito dell’uccisione di Salvo Lima e della prevedibile e prevista uccisione di altri politici oltre che della vendetta che aveva travolto il Dott. Falcone, nel rapporto di secolare coabitazione tra mafia e Istituzioni di modo da far cessare la totale contrapposizione (il “muro contro muro”) che, evidentemente, a Mori (e a Subranni che lo aveva incaricato), rispetto alla ‘coabitazione’, appariva invece innaturale”.

I pm a maggio depositata la memoria sull’ex ministro.

La Corte di assise di appello ora dovrà scegliere tra queste due opposte tesi. I sostituti procuratori generali Fici e Barbiera hanno depositato a maggio una memoria di 78 pagine in 21 punti che contesta le omissioni e l’illogicità nella motivazione della sentenza Mannino e la mancata assunzione di prove asseritamente decisive. In testa le testimonianze dei collaboratori Francesco Onorato e Giovanni Brusca. E poi il travisamento della testimonianza di Agnese Borsellino sulle confidenze ricevute dal marito poco prima della strage di via D’Amelio sul generale Subranni. La Corte d’assise di appello potrebbe opporre il giudicato assolutorio su Mannino oppure potrebbe rivalutare quei fatti e darne diversa lettura.

Forse solo la sorte processuale di Marcello Dell’Utri potrebbe essere più facilmente slegata da quella di Mannino e dei carabinieri. Dell’Utri in fondo è stato assolto già in primo grado per la prima fase della Trattativa ed è stato condannato solo per il suo ruolo di ‘mediatore’ nel periodo successivo alla vittoria di Forza Italia nel 1994. Secondo i giudici di primo grado, avrebbe incontrato Vittorio Mangano due volte nel 1994 per parlare delle modifiche legislative delle norme sugli arresti dei boss che Cosa Nostra chiedeva al governo Berlusconi, a suon di bombe.

Nella ricostruzione della Corte di assise, i mandanti di quell’iniziativa di Mangano sarebbero stati i boss Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca. A raccontare le confidenze ricevute sugli incontri sul lago di Como dallo stesso Mangano è stato un collaboratore di giustizia vicino a Mangano, Salvatore Cucuzza, poi morto.

Nel precedente processo per concorso esterno in associazione mafiosa contro Dell’Utri però Cucuzza non era stato ritenuto attendibile sul punto. Tanto che in quella sentenza, divenuta definitiva nel 2014, Dell’Utri è stato condannato sì, ma per i suoi rapporti con Cosa Nostra solo fino al 1992. Mentre è stato assolto per il periodo successivo.

I giudici del processo sulla Trattativa hanno però superato l’ostacolo di quel giudicato favorevole all’ex senatore con elementi nuovi. Si sono così convinti che Cucuzza dica il vero: per la Corte di Assise, Mangano incontrò Dell’Utri, percepì la minaccia e la riferì a Berlusconi. “Il destinatario finale della “pressione” o dei “tentativi di pressione”, e cioè Berlusconi, venne a conoscenza della minaccia in essi insita e del conseguente pericolo di reazioni stragiste”. Certo, manca un testimone diretto della trasmissione della minaccia a Berlusconi, mai indagato. La Corte d’assise ammette che “si tratta di una prova indiretta”. Ora bisognerà vedere se quella prova basterà anche in appello.

ILFQ

Addio alle password, svolta con il sistema Microsoft.

Risposta agli attacchi in aumento, 579 tentativi ogni secondo.


Svolta Microsoft, si potrà dire addio alle password. In risposta ai numerosi tentativi di violazione, 579 ogni secondo, il colosso di Redmond rende disponibile per tutti Authenticator, un sistema lanciato lo scorso marzo solo per i clienti aziendali.

Una volta attivata la nuova opzione, si riceverà un messaggio di testo sul numero di cellulare registrato o sull'indirizzo email, per validare un nuovo login. Per passare al nuovo livello di sicurezza già da adesso, bisogna installare l'app Authenticator, per iOS e Android, e collegare il proprio account Microsoft. Basterà poi selezionare le opzioni di sicurezza avanzate e attivare la voce 'passwordless account' dalle opzioni addizionali. Quando diventa visibile il messaggio 'password removed', vuol dire che l'aggiornamento al nuovo metodo è stato abilitato. Di fatto, attivando Microsoft Authenticator, si cancellano in automatico le varie password salvate sul profilo Microsoft, così che non sarà più necessario inserirle per accedere agli account da nuovi dispositivi. Un'intrusione di terzi nel proprio profilo non porterà ad alcun furto possibile, in assenza di chiavi registrate. Secondo le ultime ricerche dei Microsoft Labs, ci sono in media 579 attacchi alle password collegate agli account Microsoft ogni secondo, pari a 18 miliardi all'anno. 

ANSA

Andrea Scanzi - Intervento Montevarchi

 

La “polemica” sulla mia presenza mercoledì a Montevarchi mi ha divertito molto. L’avevo prevista in ogni dettaglio. È tutto dannatamente prevedibile, quando si vive in un paese con certa destra (renziani compresi) e certa presunta stampa.
Non devo spiegazioni a nessuno e rifarei tutto, ma ci tengo a ribadire alcuni punti.
- Ho deciso di andare a Montevarchi all’ultimo momento, allungando il viaggio in moto. Mi sono pure preso un po’ di pioggia sulla A1. Volevo vedermi l’intervento di Conte e, alla fine, salutarlo. Speravo di mimetizzarmi tra la folla, ma al 300esimo selfie ho capito che ormai con l’anonimato ho smesso per sempre. Nel bene e nel male.
- Non era minimamente previsto che salissi sul palco. Me l’ha chiesto Conte arrivando (con due ore di ritardo, maledetto!) e chiedendomelo davanti a tutti. Sapevo che, accettando, avrei dato la stura alla peggior destra (renziani inclusi) e alla peggior stampa rosicona. Ho accettato proprio per quello: avevo voglia di fare un po’ di casino, perché quando tutto è troppo calmo mi annoio e poi mi smottano gli zebedei dalle fondamenta. E ne soffro.
- Come ho detto più volte, ci sono solo due leader politici che possono chiedermi di salire sul palco con loro: Bersani e Conte. Non significa che la pensi sempre come loro: significa che ne ho stima. E non ho nessun motivo o voglia di nasconderlo.
- Non ho sentito nessuna minaccia a Renzi. La piazza era gremita e civilissima. Le volte in cui Renzi è stato citato o evocato sono partiti fischi come se piovesse, ma é normale: quello lì sta sulle palle anche ai sassi. E non per colpa mia. Eravamo nel “suo” Valdarno e quei fischi devono avergli fatto girare parecchio le palline, così ha imbastito ‘sta polemica da peracottari.
- Se avessi sentito minacce a suo danno, sarei stato il primo a denunciarle e dissociarmi. Non le ho sentite. Se qualcuno ha pronunciato quelle parole orrende, mi dissocio e le condanno adesso. Con fermezza assoluta. A Renzi auguro ogni fortuna umana e ogni fallimento politico. Nel secondo caso, peraltro, sta facendo tutto da solo. Egregiamente. Continua così, Matteo!
- Questa cosa del “giornalista imparziale” è una delle più grandi puttanate mondiali. Tutti i più grandi giornalisti e intellettuali sono sempre stati (eccome) schierati, e in Italia essere “imparziali” vuol quasi sempre dire essere paraculi e cerchiobottisti. Cosa che io proprio non sono: citofonate ad altri, in Italia non c’è che l’imbarazzo della scelta. Il discrimine è l’onestà intellettuale, non certo il non schierarsi. E lezioni di onestà intellettuale non ne prendo certo da renziani e derivati. Quella è rumenta della peggior risma.
- Ero e resto un uomo che mai si candiderà nella vita (sono altro e faccio altro), ma che non ha mai nascosto di essere di sinistra. Il mio voto non può che andare, a oggi, a una di queste tre forze: Pd, M5S o sinistra radicale (le cito in ordine di grandezza stando ai sondaggi). Spero nella nascita del campo progressista di bersaniana memoria, questa destra mi fa politicamente vomitare (renziani inclusi) e se posso indebolirla mi ci butto a capofitto. Adoro rompere i coglioni a chi detesto e se abitassi a Montevarchi ovviamente voterei Il candidato di centrosinistra e M5S. Salgo sui palchi quando mi pare, dico quello che mi pare e faccio - ora e sempre - quello che mi pare. Se poi a qualcuno tale mio approccio schietto e sincero non piace, meglio. Neanche loro piacciono a me.
Augh!
*****
(Ah, dimenticavo. Tutta questa riflessione l’ho pubblicata solo per poter pubblicare questa foto e far vedere quanto diavolo sia figa la catena rossonera attaccata ai miei jeans!)

Fb.18.9

venerdì 17 settembre 2021

Il buco dell'ozono ora è più grande dell'Antartide.

 

Lo indicano i satelliti del programma europeo Copernicus.

Il buco dell'ozono quest'anno ha raggiunto un'estensione superiore a quella dell'Antartide, una delle più grandi e profonde degli ultimi anni: lo mostrano le osservazioni del satellite Sentinel 5P, una delle sentinelle della Terra del programma Copernicus gestito da Commissione Europea e Agenzia Spaziale Europea (Esa). Idati sono stati raccolti nell'ambito del servizio di monitoraggio atmosferico Copernicus Atmosphere Monitoring Service (Cams) del Centro Europeo per le Previsioni Meteorologiche a Medio Raggio. Il dato arriva in occasione della Giornata internazionale per la preservazione dello strato di ozono, che si celebra oggi.

Il buco nello strato di ozono si forma ogni anno durante la primavera australe, tra agosto e ottobre, e raggiunge il massimo tra metà settembre e metà ottobre. Quest'anno, dopo una condizione iniziale piuttosto nella norma, è aumentato notevolmente parecchio la scorsa settimana ed è ora più grande del 75% rispetto alle misure rilevate in questo stesso periodo dell'anno a partire dal 1979.

"Seppur simile a quello del 2020, quest'anno il buco dell'ozono si è trasformato in uno dei più duraturi mai registrati", osserva Vincent-Henri Peuch, direttore del Copernicus Atmosphere Monitoring Service. Per Antje Inness, del Centro Europeo per le Previsioni Meteorologiche a Medio Raggio, "il monitoraggio del buco dell'ozono al Polo Sud va interpretato con cautela, visto che le dimensioni, durata e concentrazioni sono influenzati dai venti locali. Tuttavia ci aspettiamo che si chiuda entro il 2050".

Con la fine della stagione primaverile dell'emisfero australe, quando le temperature nella parte superiore della stratosfera cominciano a salire, l'impoverimento dell'ozono rallenta, il vortice polare si indebolisce e, infine, si rompe, portando i livelli di ozono alla normalità entro dicembre.

(In alto: Mappa del buco dell'ozono sull'Antartide sulla base dei dati del 16 settembre (fonte: ESA/CAMS)

ANSA

Green pass: chi è senza non può essere licenziato. Ecco le misure. - Matteo Guidelli

 

Le nuove regole per il lavoro, avvocati in tribunale senza certificato.

Magistrati e dipendenti di Bankitalia, colf, badanti, elettricisti e idraulici, ministeriali e dipendenti dei consigli comunali, governatori e consiglieri regionali eletti alle elezioni, volontari: dal 15 ottobre e fino al 31 dicembre, quando è prevista la scadenza dello stato d'emergenza, il green pass diventa obbligatorio in tutti i luoghi di lavoro e andrà ad incidere direttamente sulla vita di 23 milioni di italiani di cui 14 milioni e 700mila impiegati nel settore privato. Compresi deputati e senatori anche se, essendo Camera e Senato organi costituzionali, spetterà a loro decidere da quando e con quali modalità adeguare il proprio ordinamento in base al principio dell'autodichia, ossia dell'autonomia decisione.

OBBLIGO PER TUTTI I LAVORATORI - Il decreto, 9 articoli nell'ultima bozza, introduce innanzitutto l'obbligo per tutti i dipendenti pubblici: "personale delle amministrazioni pubbliche, delle Autorità amministrative indipendenti, compresa la Consob e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, della Banca d'Italia, nonché degli enti pubblici economici e degli organi di rilievo costituzionale" nonché tutti i "titolari di cariche elettive o di cariche istituzionali di vertice".

E anche a tutti quei soggetti che, "a qualsiasi titolo" svolgono la propria attività lavorativa in un'amministrazione pubblica, anche se con contratti esterni. La norma vale anche per gli organi costituzionali - Presidenza della Repubblica, Camera, Senato, Corte Costituzionale - ma spetterà a loro definire in che modo applicarlo. Stesso discorso per il settore privato: "chiunque svolge un'attività lavorativa" per accedere al luogo di lavoro è obbligato a "possedere e esibire la certificazione". Sia nel pubblico sia nel privato, non dovranno esibire il green pass tutti coloro che sono esentati dalla campagna vaccinale.

ANCHE NEI TRIBUNALI MA NON PER GLI AVVOCATI - Il decreto introduce anche una norma ad hoc per l'accesso a tribunali e uffici giudiziari: il green pass dovranno averlo i magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari e onorari, gli avvocati e i procuratori dello Stato e i componenti delle commissioni tributarie. La norma non varrà però per i legali: le disposizioni, dice il decreto, "non si applicano agli avvocati e altri difensori, consulenti, periti e altri ausiliari del magistrato estranei all'amministrazione della giustizia, testimoni e parti del processo". Un avvocato potrà dunque andare in tribunale senza avere il certificato ma, ad esempio, dovrà mostrarlo per entrare in uno studio legale.

TAMPONI A 15 EURO PER TUTTI - Per non penalizzare ulteriormente chi non vorrà o non può vaccinarsi, il decreto introduce i tamponi a prezzo calmierato per tutti nelle farmacie che hanno aderito al protocollo d'intesa: gratis per chi non si può vaccinare, 8 euro per i minori e 15 euro per tutti gli altri. Nella bozza è prevista per le farmacie che non rispettano i prezzi una sanzione da mille a 10mila euro e il prefetto potrà disporre anche la chiusura dell'attività per 5 giorni.

GREEN PASS VALIDO PER 72 ORE - Per quanto riguarda i tamponi, con un emendamento al decreto green pass bis, è stata inoltre estesa la validità dell'esito dei molecolari a 72 ore mentre quella degli antigenici continuerà ad essere 48 ore.

CONTROLLI DEI DATORI, ANCHE A CAMPIONE - Il governo ha previsto che a verificare se i lavoratori sono in possesso del green pass, sia nel pubblico che nel privato, dovranno essere i datori di lavoro ai quali spetta inoltre il compito di definire, entro il 15 ottobre, le "modalità operative per l'organizzazione delle verifiche", che potranno essere anche a campione. Ci dovrà essere un responsabile incaricato degli accertamenti che, in via prioritaria, dovranno essere eseguiti al momento dell'accesso. La validità del green pass potrà essere verificata, nel privato, con la app ''VerifiCa19' mentre nel pubblico il premier, su proposta dei ministri per la pubblica amministrazione e della salute, potrà definire delle linee guida "per la omogenea definizione delle modalità organizzative".

SANZIONI FINO A 1.500 EURO E SOSPENSIONE DELLO STIPENDIO -  "La retribuzione non è dovuta dal primo giorno di assenza". Lo stop allo stipendio scatta fin dal primo giorno per i lavoratori del pubblico e del privato che non abbiano il certificato verde. Nel pubblico chi non ha Green pass è ritenuto "assente ingiustificato" e dopo il quinto giorno di assenza il rapporto di lavoro è sospeso. Nel privato invece il lavoratore è assente senza diritto alla retribuzione fino a presentazione del pass. Nessuna conseguenza disciplinare e niente licenziamenti, in ambo i casi. Per i datori di lavoro che non effettuano i controlli sono previste inoltre sanzioni da 400 a mille euro, mentre dipendenti pubblici, privati e autonomi che verranno sorpresi in un luogo di lavoro senza il pass rischiano una sanzione da 600 a 1.500 euro. E sanzioni sono previste anche per i magistrati ordinari: l'accesso senza il pass è considerato "illecito disciplinare" ed è sanzionato in base alla normativa di riferimento. 

ANSA

Altro che fannulloni, anche a giugno boom di lavoratori stagionali: 70mila in più rispetto al periodo pre-pandemia. Lo certifica l’Inps. - Mauro Del Corno

 

Forte rialzo per i licenziamenti disciplinari, tecnicamente esclusi dal "blocco" scaduto a fine giugno. Nel complesso nella prima metà del 2021 i nuovi contratti sono stati 3,3 milioni a fronte di 2,4 milioni di cessazione. Il mercato del lavoro cresce ma diventa sempre più precario. Ampio ricorso agli stagionali anche in Campania, la regione che conta più percettori di reddito di cittadinanza.

E’ proseguito anche in giugno il boom di ricorso ai lavoratori stagionali. A dimostrazione di quanto siano infondati gli allarmi su un presunto ruolo del reddito di cittadinanza nello scoraggiare la ricerca dei posti di lavoro, anche a termine. Lo certifica l’Inps che nell’aggiornamento del suo osservatorio sul precariato segnala come in giugno i nuovi contratti per stagionali siano stati 246mila, ovvero 80mila in più rispetto al giugno 2020 e 70mila rispetto al giugno 2019, ovvero quando ancora la pandemia non era iniziata. Nei primi sei mesi del 2021 i contratti stagionali sono stati 495mila, a fronte dei 293mila dei primi sei mesi del 2020 e dei 483mila dello stesso semestre 2019. Gli stagionali, insomma, sono sempre di più e lo scorso giugno è stato caratterizzato da un vero e proprio boom per questo tipo di contratto di lavoro. Questo nonostante le condizioni di lavoro siano spesso caratterizzate da irregolarità nel trattamento, stipendi bassi e orari arbitrari, come documentato dalle inchieste de IlFattoquotidiano.it

In generale, nel solo mese di giugno 2021, si sono registrate quasi 677mila posizioni di lavoro in più rispetto a giugno 2020 dopo la prima ondata di Covid ma anche 378mila in più di giugno 2019, prima della pandemia. Ma mentre i nuovi contratti a tempo indeterminato salgono da 77mila a 97mila, quelli a termine schizzano da 246mila a 337mila. Crescono di 30mila unità anche i contratti di somministrazione (quelli attraverso le agenzie interinali) e di 20mila i contratti intermittenti. Quello che emerge dall’ Osservatorio Inps è insomma un mercato del lavoro in ripresa ma sempre più precario. Il tutto in attesa di conoscere i dati di luglio, primo mese senza il blocco dei licenziamenti, prorogato fino ad ottobre solo per la moda e il tessile. Le regioni più dinamiche sono state la Lombardia, con 61mila contratti in più rispetto a giugno 2019, il Lazio (+48mila) oltre a Campania (+53mila) e Sicilia (+45mila) dove però è forte l’incidenza di stagionali per i mesi estivi.

Come scrive l’Inps nel primo semestre del 2021 sono state registrate 3.323.000 assunzioni (a fronte di 2,4 milioni di cessazioni), con un aumento rispetto allo stesso periodo del 2020 del 23%, esito di una crescita iniziata a marzo 2021. L’aumento ha riguardato tutte le tipologie contrattuali, risultando però più accentuato per le assunzioni di contratti stagionali (+78%) e in somministrazione (+34%); pressoché stabili risultano invece le assunzioni a tempo indeterminato (+2%). Le trasformazioni da tempo determinato nei sei mesi del 2021 sono risultate 214.000, in flessione rispetto allo stesso periodo del 2020 (-21%); nel secondo trimestre 2021 si sono registrate comunque variazioni positive. I licenziamenti economici relativi a rapporti di lavoro a tempo indeterminato – anche se ancora bloccati, salvo particolari fattispecie – nel secondo trimestre del 2021 sono aumentati del 29% rispetto al corrispondente trimestre dell’anno precedente; maggiore risulta l’incremento dei licenziamenti disciplinari: +67%. Le cessazioni per dimissioni costituiscono la tipologia di cessazioni che ha evidenziato nel medesimo periodo l’incremento più consistente (+91%).

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