domenica 16 gennaio 2022

Ma non era lui il buono?. - Marco Travaglio

 

In attesa che B., il prossimo Capodanno, ci racconti a reti unificate la barzelletta della mela, dobbiamo accontentarci di quelle di Enrico Letta. “Sorpreso” e “deluso” per la candidatura al Quirinale del padrone di suo zio, spiega di non poterlo votare perché “è un leader di partito”, dunque “divisivo”, e invita Salvini e Meloni a levarlo di mezzo. Lui è fatto così: se, puta caso, assiste a una rapina in banca, chiama il 113 per denunciare alcuni divisivi in fuga. Del resto, se chiedete in giro un commento su B. al Colle, tutti vi risponderanno che sarebbero fieri di farsi rappresentare nel mondo da un vecchio puttaniere pregiudicato, che per vent’anni ha finanziato la mafia e frodato lo Stato per poi denunciarlo a Strasburgo perché tortura gli innocenti, ma purtroppo è un leader di partito, quindi è divisivo, dunque pazienza: meglio Vallanzasca, che non ha partiti quindi è unitivo. Ma ciò che più ci affascina è l’idea che debbano essere Salvini e la Meloni (o il suo impiegato Gianni Letta, il famoso capo della Resistenza interna) a liberarci del loro alleato ed ex premier per non “deludere” il Pd e i suoi derivati. Tipo Repubblica, che dopo 10 anni riesuma l’antiberlusconismo e tuona contro i “vassalli” Matteo e Giorgia. Come se toccasse a loro combatterlo. E come se non fosse stato Letta jr. nel 2013 a governare con lui.

A questo punto noi, gente semplice, rischiamo la labirintite. A furia di leggere i giornaloni e di ascoltare i pidini, avevamo capito che nel centrodestra il buono fosse B., noto “argine” moderato, liberale ed europeista contro i due cattivi sovranisti, populisti, fascisti, razzisti. Ce l’avevano spiegato De Benedetti, Scalfari, Folli, Franco, Veronesi (Sandro) e giù giù tutti gli altri, ben felici che B. desse una mano a lor signori nei governi Monti, Letta, Renzi. Un anno fa erano tutti intenti a riabilitarlo, nella speranza che salvasse l’Italia dal putribondo Conte, ma pure dagli orridi Salvini e Meloni, con la “maggioranza Ursula”: quella che nel 2019 aveva eletto la Von der Leyen alla guida della commissione Ue (M5S, Pd-Iv, LeU e FI). Poi agli Ursuli si aggiunse pure la Lega e nacque il governo Draghi, senza che nessuno – neppure Grillo – notasse nel Caimano-Psiconano la minima magagna. Ora, d’improvviso, gliele rinfacciano tutte. L’altra sera, nella telefiera del tartufo, c’era persino chi sprizzava sdegno per l’ex Cirielli sulla prescrizione, dopo aver massacrato per tre anni Bonafede che l’aveva rasa al suolo. Che ha fatto di male B. in così poco tempo? Semplice: Frankenstein s’è imbizzarrito ed è sfuggito al controllo di quanti si illudevano di usarlo, mentre è sempre stato lui a usare loro. Già nel 2011 diceva a Lavitola: “Me ne vado da questo paese di merda”. Lui l’aveva capito, gli altri no.

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Addio scheda bianca. Conte vuole un nome di “spessore morale”. - Tommaso Rodano

 

In cerca di un candidato di bandiera.

Per Giuseppe Conte è il momento più delicato da quando ha accettato di prendersi sulle spalle il Movimento 5 Stelle. La sfida Quirinale è dietro l’angolo e le difficoltà per l’ex premier nel tenere insieme le truppe di Camera e Senato sono ben note, con una settantina di parlamentari che ormai giocano una partita tutta loro, di pura sopravvivenza, pronti a ostacolare l’ascesa di Mario Draghi al Colle per scongiurare la fine anticipata della legislatura.

Conte ha bisogno di dare una direzione finalmente chiara al Movimento e anche ieri ha incontrato i suoi per aggiornare la strategia sul Quirinale. Durante la riunione si è soffermato a lungo sull’ipotesi Berlusconi, su cui pure alle prime battute aveva avuto qualche inciampo e timidezza, ma adesso pronuncia parole nette: “Una proposta irricevibile e improponibile – ha detto – che non è garanzia di unità nazionale. È fatta per dividere e spaccare il Paese proprio in un momento in cui abbiamo maggiore bisogno di coesione e del più ampio coinvolgimento”. Va da sé che ogni ipotesi di confronto con il centrodestra è destinata a cadere sul nascere, finché resta in piedi la candidatura vessillo del Caimano: “Il solo fatto di annunciarla produce l’effetto di compromettere un dialogo costruttivo con il centrodestra – il ragionamento dell’ex premier –.

Mancano pochi giorni alla prima votazione e il solo fatto di insistere su questa candidatura produce l’effetto di allontanare una soluzione di alto profilo, anche morale, ampiamente condivisa di cui c’è urgente bisogno”. Il dibattito asfittico sul Quirinale, secondo Conte, sta producendo a cascata una paralisi generale dell’attività politica e di governo: “Significa stallo sui ristori a chi è colpito dall’emergenza pandemica, stallo su interventi contro il caro bollette”. Un’immagine imbarazzante, per l’ex premier: “La gente in fila per i tamponi e la politica che si chiude per una settimana a fare di conto col telefono in una mano e il pallottoliere nell’altra? Noi non lo permetteremo”.

E invece non si esce da lì, da settimane l’opinione pubblica resta cristallizzata sul racconto della corsa al Colle dell’ex Cavaliere. Una corsa inverosimile, secondo Conte. E pure impopolare: “È un’opzione è fuori dalla realtà”, scandisce. “Fatevi un giro sui social, sulle bacheche dei quotidiani, nei commenti sotto gli articoli che facevano il punto sul vertice del centrodestra: è il Paese a respingere questa candidatura. Non solo il M5S. I cittadini dimostrano ancora una volta di essere un passo avanti rispetto alle tentazioni e rivendicazioni di Palazzo. Non mi stupisce che Berlusconi giochi legittimamente le carte a sua disposizione. Quello che stupisce, semmai, è che non sia chiaro che questa opzione è fuori dalla realtà”.

Il centrodestra però ha fatto il suo nome, almeno sulla carta. Nel centrosinistra invece la strategia non è per nulla chiara, tra fedeltà draghiane, invocazioni di Mattarella bis e minacce di Aventino. “Per noi la partita è diversa – ragiona Conte – è più complicata. La nostra scelta per il Quirinale parte da un’asticella alta: per noi un nome non vale l’altro. Il profilo che auspichiamo richiama coesione, unità ed etica pubblica. Siamo aperti al confronto per il bene dell’Italia: se fosse così anche per centrodestra il dialogo unitario delle forze politiche sarebbe oggi a uno stadio avanzato”.

L’ex premier insiste, nei suoi discorsi, sulle parole “morale” ed “etica pubblica”. L’idea che prende forma nel Movimento 5 Stelle è quella di rinunciare all’ipotesi che era stata ventilata finora, di abbandonare l’aula nelle prime tre votazioni contro l’ipotesi Berlusconi o di votare scheda bianca. Ora si pensa invece che sarebbe più efficace contrapporgli subito un altro candidato. Una figura, appunto, di alto profilo e “spessore morale”. Un nome diverso da quelli che circolano.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/16/addio-scheda-bianca-conte-vuole-un-nome-di-spessore-morale/6457555/

Renzi, più parla di sé e più sta sulle palle. - Antonio Padellaro

 

Non è nuova la tesi secondo la quale Matteo Renzi stia facendo tutto questo casino per “bisogno di visibilità”. Lo ha ripetuto, lunedì sera a Otto e mezzo, Pier Luigi Bersani, caricando sul leader di Italia Viva il termine “vigliaccata” a proposito della salute degli italiani usata a sproposito per ottenere i soldi del Mes.

Ora, se è pur vero che la visibilità mediatica del senatore di Rignano è alle stelle (9.138 citazioni a fronte delle 8.754 del premier Giuseppe Conte) trattasi di una potenza di fuoco che non accresce di un solo decimale la “popolarità” del suo partitino personale, impantanata sotto un malinconico 3 per cento. Alla luce di questi numeri si potrebbe dedurre che il Rottamatore stia rottamando il principale postulato della civiltà dell’immagine (politica e non). Ovvero: parlate male di me purché parliate di me. Coniato sull’idea che la peggiore iattura che possa capitare a un essere umano sia quella di essere ignorato dai propri simili.

Ma, come è noto, Renzi è anche un innovatore e gli va perciò dato atto di avere creato, empiricamente, le basi per un secondo postulato. Ovvero: più parlo (parlate) di me e più sto sulle palle a tutti. Con un’eccezione (anche Carlo Calenda sta sulle palle a molti, pur tuttavia nei sondaggi cresce al 4%) e un paio di corollari.

Primo: provocare la crisi di governo con il Paese messo in ginocchio dalla pandemia avrebbe lo stesso effetto sulle persone di un tale che, poniamo, giura solennemente sul suo immediato ritiro della politica se perde il referendum (come è andata a finire si sa).

Secondo: si può considerare la reputazione più importante dei voti, o viceversa, ma perdere l’una senza neppure avere gli altri è da bischeri (scusate il toscanismo).

Esiste una terza ipotesi: che Renzi abbia deciso di sacrificarsi e di farsi esplodere, come Pietro Micca, per il bene supremo del Paese. Adesso però non c’è bisogno di ridere.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/13/piu-parla-di-se-e-piu-sta-sulle-palle/6063842/?fbclid=IwAR2d7G7LbPl_c3pO-2cpasjRA3pSxEd_NERb16CjD6zMgvOI_pzDSV7xqjg

sabato 15 gennaio 2022

ECCO COME GLI STATI UNITI CONCEPISCONO IL “DIALOGO”. - Pepe Escobar

Washington non prenderà in considerazione le proposte russe sul contenimento della NATO e non ha nemmeno intenzione di discuterne l'idea. Alla faccia del "dialogo."


È stato il primo incontro ad alto livello tra Russia e NATO dal 2019, subito dopo il non sequitur del dialogo senza dialogo tra Stati Uniti e Russia sulla “garanzia di sicurezza” all’inizio della settimana scorsa a Ginevra.

Quindi, cosa è successo a Bruxelles? Essenzialmente un altro dialogo senza dialogo, completo di  prefazione kafkiana da parte della NATO: siamo pronti al dialogo, ma le proposte del Cremlino sono inaccettabili.

Questo è stato un raddoppio parte dell’inviata americana alla NATO, Julianne Smith, che ha incolpato preventivamente la Russia per le azioni che “hanno accelerato questo disastro.”

Ormai ogni essere senziente in Eurasia e nella sua appendice europea dovrebbe essere a conoscenza delle due principali, e razionali, richieste della Russia: nessuna ulteriore espansione della NATO e nessun sistema missilistico dispiegato vicino ai suoi confini.

Ora passiamo alla macchina della propaganda. I luoghi comuni del segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, sono stati prevedibilmente in linea con la sua spettacolare mediocrità. Parlando di un dialogo già sabotato in partenza, ha detto che era “importante iniziare un dialogo.”

La Russia, ha continuato, “ha sollecitato la NATO a rifiutare le richieste di ammissione dell’Ucraina [nella NATO]; l’alleanza ha risposto rifiutandosi di scendere a compromessi sull’allargamento.” Eppure, la NATO “ha accolto con favore le consultazioni bilaterali” sulle garanzie di sicurezza.

La NATO ha anche proposto una serie di ampie consultazioni sulla sicurezza e “la Russia non ha ancora accettato, ma non le ha nemmeno escluse.”

Non c’è da stupirsi, i Russi avevano già notato, addirittura in anticipo, che questa non è altro che una tattica di stallo.

Il Sud globale sarà sollevato nel sapere che Stoltenberg ha difeso le blitzkrieg militari della NATO sia in Kosovo che in Libia: dopo tutto “erano state fatto sotto l’egida delle Nazioni Unite.” Quindi erano benigne. Non una parola sulla incredibile performance della NATO in Afghanistan.

E poi, il tanto atteso punto cruciale: La NATO si preoccupa delle truppe russe “al confine con l’Ucraina” (in realtà a 130-180 km di distanza), all’interno del territorio europeo russo.

E l’alleanza considera “falsa” l’affermazione che la sua espansione sia “un atto aggressivo.” Perché? Perché “diffonde la democrazia.”

Bombardami e fammi diventare democratico, baby.

Ecco in due parole il vangelo della NATO. Ora confrontatelo con le sobrie parole del vice ministro degli esteri russo, Alexander Grushko.

Grushko ha accuratamente spiegato che “la NATO è determinata a contenere la Russia. Gli Stati Uniti e i loro alleati stanno cercando di raggiungere la superiorità in tutte le aree e in tutti i possibili teatri di operazioni militari.” Questo è un velato riferimento alla Full Spectrum Dominance, che, dal 2002, rimane il vangelo americano.

Grushko ha anche fatto riferimento alle “tattiche di contenimento dell’era della Guerra Fredda” e al fatto che “la cooperazione [con la Russia] è stata completamente interrotta” – dalla NATO.

Ancora: “La Russia ha onestamente e direttamente sottolineato alla NATO che un ulteriore peggioramento della situazione potrebbe portare a conseguenze disastrose per la sicurezza europea.”

La conclusione è stata netta: “La Federazione Russa e la NATO non hanno affatto un’agenda positiva e convergente.”

Praticamente, a Washington tutte le fazioni russofobe della macchina bellica bipartisan non riescono assolutamente ad accettare il fatto che nei Paesi europei che non facevano parte della NATO nel 1997 non dovrebbero stazionare forze dell’Alleanza e che gli attuali membri della NATO non dovrebbero tentare alcun intervento militare in Ucraina, così come in altri stati dell’Europa orientale, della Transcaucasia e dell’Asia centrale.

Lunedì a Ginevra, il vice ministro degli esteri Ryabkov aveva già sottolineato, ancora una volta, che la linea rossa della Russia è inamovibile: “Per noi, è assolutamente vitale fare in modo che l’Ucraina non diventi mai, mai, mai un membro della NATO.”

Fonti diplomatiche hanno confermato che, a Ginevra, Ryabkov e la sua squadra hanno dovuto, a tutti gli effetti, agire come insegnanti dell’asilo, assicurandosi che non ci fossero “malintesi.”

Ora confrontatelo con ciò che ha detto Ned Price, del Dipartimento di Stato americano, dopo quelle estenuanti otto ore condivise tra Ryabkov e la vice segretario di Stato, Wendy Sherman: “Washington non prenderà in considerazione le proposte russe sul blocco dell’espansione della NATO e non ha neanche intenzione di discuterne l’idea.”

Alla faccia del “dialogo.”

Ryabkov ha confermato che non ci sono stati progressi. Facendo ricorso al tono didattico, ha dovuto sottolineare: “Chiediamo agli Stati Uniti di dimostrare un massimo di responsabilità in questo momento. I rischi legati ad un possibile inasprimento del confronto non dovrebbero essere sottovalutati.”

Dire, nelle parole di Ryabkov, che da parte dei Russi è stato fatto uno sforzo “significativo” per convincere gli Americani che “giocare col fuoco” non è nel loro interesse, è l’eufemismo del nuovo secolo.

Lasciate che vi sanzioni fino all’oblio.

Un rapido riepilogo è fondamentale per capire come le cose siano potute andare all’aria così velocemente.

La strategia non esattamente segreta della NATO è stata, fin dall’inizio, quella di fare pressione su Mosca affinchè negoziasse direttamente con Kiev sul Donbass, anche se la Russia non è menzionata negli accordi di Minsk.

Anche se Mosca era stata costretta a diventare parte del confronto Ucraina/Donbass, la cosa non l’aveva turbata minimamente, visto che aveva mandato a monte un colpo di stato e una rivoluzione colorata in Bielorussia. Subito dopo, i Russi avevano allestito in brevissimo tempo un’impressionante forza d’attacco – con le corrispondenti infrastrutture militari – nel territorio della Russia europea per rispondere in modo fulmineo, nel caso si fosse verificato un attacco ucraino nel Donbass.

Non c’è da stupirsi che un allarmato NATOstan abbia dovuto fare qualcosa riguardo all’idea di combattere la Russia fino all’ultimo Ucraino impoverito. Potrebbero almeno aver capito che l’Ucraina sarebbe stata completamente distrutta.

Il bello è come Mosca ha ribaltato la situazione con una mossa di un nuovo jiu-jitsu geopolitico. L’Ukro-demenza incoraggiata dalla NATO – completa della vuota promessa di entrarne a far parte – ha dato la possibilità alla Russia di chiedere il blocco di ogni ulteriore espansione della NATO, con in più il ritiro di tutte le infrastrutture militari dall’Europa orientale.

Era ovvio che Ryabkov, nei suoi colloqui con la Sherman, avrebbe rifiutato qualsiasi suggerimento sullo smantellamento dell’infrastruttura logistica allestita dalla Russia sul proprio territorio europeo. In pratica, Ryabkov ha fatto a pezzi la Sherman. Ciò che è rimasto sono state vaghe minacce di ulteriori sanzioni.

Eppure, sarà un compito di Sisifo convincere l’Impero e le sue satrapie della NATO a non mettere in scena una sorta di avventura militare in Ucraina. Questo è il succo di ciò che Ryabkov e Grushko hanno detto più e più volte a Ginevra e Bruxelles. Hanno anche dovuto sottolineare l’ovvio: se verranno imposte ulteriori sanzioni alla Russia ci sarà un grave contraccolpo, soprattutto in Europa.

Ma come è umanamente possibile che professionisti esperti come Ryabkov e Grushko discutano razionalmente con un gruppo di dilettanti come Blinken, Sullivan, Nuland e Sherman?

Ci sono state alcune serie speculazioni su quando, in futuro, la Russia, non si preoccuperà nemmeno più di ascoltare i “balbettii infantili” americani (copyright Maria Zakharova). Potrebbe essere intorno al 2027, o anche al 2025.

Quello che succederà è che il prolungamento quinquennale del nuovo trattato START scade nel febbraio 2026. Dopo non ci sarà più un tetto per le armi strategiche nucleari. Il gasdotto Forza della Siberia 2 verso la Cina renderà Gazprom ancora meno dipendente dal mercato europeo. Il sistema finanziario combinato Russia-Cina diventerà praticamente impermeabile alle sanzioni statunitensi. La partnership strategica russo-cinese condividerà una tecnologia militare ancora più sostanziale.

Tutto ciò è molto più consequenziale dello sporco segreto, che non è un segreto, nell’attuale teatro kabuki delle “garanzie di sicurezza”: la nazione eccezionalista e “indispensabile” è congenitamente incapace di rinunciare all’eterna espansione della NATO verso, beh, lo spazio esterno.

Allo stesso tempo, i Russi sono assolutamente consapevoli di una verità abbastanza prosaica: gli Stati Uniti non combatteranno per l’Ucraina.

Quindi benvenuti nell’Irrazionalismo Instagrammato. Cosa succede dopo? Molto probabilmente una provocazione, con la possibilità, per esempio, di una false flag chimica da imputarsi alla Russia, seguita da – che altro – ancora più sanzioni.

Il pacchetto è pronto. Arriva sotto forma di un disegno di legge dei senatori Dem sostenuto dalla Casa Bianca per arrecare “danni severi” all’economia russa nel caso in cui Mosca risponda finalmente alle loro preghiere e “invada” l’Ucraina.

Le sanzioni colpirebbero direttamente il presidente Putin, il primo ministro Mishustin, il ministro degli esteri Lavrov, il capo dello stato maggiore delle forze armate, il generale Gerasimov, e “i comandanti di vari rami delle forze armate, comprese l’Aeronautica e la Marina.”

Le banche e le istituzioni finanziarie prese di mira includono Sberbank, VTB, Gazprombank, Moscow Credit Bank, Alfa-Bank, Otkritie Bank, PSB, Sovcombank, Transcapitalbank, e il Russian Direct Investment Fund. Sarebbero tutti tagliati fuori dallo SWIFT.

Se questa legge vi sembra una dichiarazione di guerra, è perché lo è. Chiamatela la versione americana del “dialogo.”

Pepe Escobar

Fonte: strategic-culture.org
Link: https://www.strategic-culture.org/news/2022/01/13/this-is-how-us-does-dialogue/
13.01.2022
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

https://comedonchisciotte.org/ecco-come-gli-stati-uniti-concepiscono-il-dialogo/

“Figura adatta”. Così lo definiscono Salvini e Meloni. - Giacomo Salvini

 

VICOLO CIECO - Vertice a casa di Silvio, il leader di Forza Italia impone a Salvini e Meloni la candidatura: “Voglio fedeltà”. I dubbi degli alleati sui numeri.

“Chi è contrario alla mia candidatura lo dica adesso o taccia per sempre”. Alle 14.30, quando Silvio Berlusconi, con tono solenne, quasi presidenziale, apre il pranzo del centrodestra nel salone di villa Grande, cade un silenzio insolito. Nessuno fiata. Nessuno, nonostante i sospetti e i dubbi, riesce a dirgli niente. E dunque il dado è tratto: i leader del centrodestra, dopo due ore e mezzo di vertice, indicano Berlusconi come candidato della coalizione per la presidenza della Repubblica. È lui, come recita il comunicato finale, “la figura adatta a ricoprire in questo frangente difficile l’alta carica con l’autorevolezza e l’esperienza che il Paese merita e che gli italiani si attendono”. La candidatura viene proposta seppur con una postilla, non solo formale: i leader del centrodestra chiedono a Berlusconi – ormai in campo da settimane – di “sciogliere la riserva”. Una precisazione che tiene aperto uno spiraglio su cui Meloni e Salvini puntano molto e che Berlusconi invece, al momento, non prende nemmeno in considerazione: la possibilità che a 24 ore dal quarto scrutinio del 27 gennaio, il leader di Forza Italia possa fare un passo indietro per fare il kingmaker di un altro candidato nel caso dovesse capire che non ci sono i numeri per arrivare alla soglia dei 505 voti. L’ipotesi preferita da Gianni Letta – che ieri è tornato a chiedere un candidato “condiviso” – e dai tre ministri azzurri che non condividono la strategia del cerchio magico di Arcore.

A ogni modo, nei prossimi giorni la campagna di scouting di Berlusconi – aiutato dal “telefonista” Vittorio Sgarbi – andrà avanti. E la “verifica” dei numeri e dei nomi sarà fatta in un nuovo vertice di giovedì prossimo dopo la trasferta di Berlusconi a Bruxelles per ricordare David Sassoli. Tra i fedelissimi del leader azzurro gira un report secondo cui arriverebbe a quota 493 voti (a 12 dal traguardo) ma in pochi ci credono. “Ne abbiamo convinti 15, ma coi franchi tiratori si elidono” spiega Sgarbi. Dunque ne mancano almeno altri 50-60. Per questo ieri i leader del centrodestra hanno deciso che da lunedì i capigruppo dei partiti metteranno in piedi una war room per aggiornarsi sui voti: si incontreranno tutti i giorni e si aggiorneranno sul pallottoliere. Anche perché, nonostante le richieste sui numeri, né Meloni, né Salvini sono riusciti a opporsi alla candidatura dell’ex premier. “Non possiamo rompere la coalizione” dice ai suoi il leghista.

Così, all’ ora di pranzo, Berlusconi riunisce i due “giovanotti” in un mini vertice. Entrambi gli dicono: “Vogliamo eleggerti, non solo candidarti”. Un modo per metterlo in guardia da una scalata proibitiva. Ma lui va avanti. E apre il pranzo allargato ai centristi, a base di parmigiana, branzino e calamari, con un discorso istituzionale. “Io ci sono e ci tengo molto. Mi metto in gioco ma siete voi che dovete darmi garanzie sui numeri e sulla vostra fedeltà”. A quel punto, prende la parola Salvini che prova ad avanzare qualche dubbio. Si è portato da casa le schede storiche sulle elezioni di Scalfaro e Mattarella per far capire all’ex Cavaliere che servono numeri molto alti: “Il primo ha avuto 672 voti, il secondo 665. La Lega sarà compatta ma la garanzia non c’è nel voto segreto. Devi dirci chi sono e quanti sono i parlamentari che hai convinto”. Anche Meloni mette i suoi dubbi sul tavolo: “FdI ti sostiene, ma mancano ancora 50 voti”. Ma tutti e due, alla fine, lo dicono apertamente: “Sei il nostro candidato”. I centristi Maurizio Lupi, Lorenzo Cesa e Luigi Brugnaro si accodano. Anche Gianni Letta concorda. Meloni vuole un impegno su una legge elettorale maggioritaria ma Brugnaro non firma. Ma questa spaccatura diventa un dettaglio. Perché alla fine conta solo un fatto: la candidatura di Berlusconi ora è realtà.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/15/e-ufficiale-le-destre-candidano-b-ce-la-war-room-per-contare-i-voti/6456796/

Quelli che… figuriamoci. - Marco Travaglio

 

Quando, il 1° dicembre, uscimmo con la copertina “No al garante della prostituzione” e lanciammo la petizione contro B. al Quirinale, i tromboni dei giornaloni, quelli che la sanno sempre lunga, ridacchiavano: figuriamoci se B. sarà candidato al Colle, è solo una boutade per poi ritirarsi e fare il kingmaker di Draghi, ma il Fatto resuscita il suo cadavere perché non può fare a meno di lui. Figuriamoci. Sono 29 anni che questo trust di cervelli lo scambia per De Coubertin e dice “figuriamoci”. Nel 1993 il refrain era “figuriamoci se entra in politica”: ci entrò. Nel ’94 “figuriamoci se caccia Montanelli dal Giornale”: lo cacciò; “figuriamoci se vince le elezioni”: le vinse; “figuriamoci se va al governo senza vendere le tv”: ci andò e se le tenne. Nel ’96 “figuriamoci se non si ritira”: non si ritirò, anzi fu promosso padre costituente. Nel 2001 “figuriamoci se rivince”: rivinse; “figuriamoci se si abolisce i reati e i processi”: li abolì. Nel 2002 “figuriamoci se caccia Biagi, Santoro e Luttazzi”: li cacciò (con molti altri). Nel 2008 “figuriamoci se rivince”: rivinse per la terza volta. Nel 2009 “figuriamoci se sopravvive a Noemi, D’Addario&C”: sopravvisse. Nel 2011 “figuriamoci se la fa franca pure su Ruby”: la fece franca; “figuriamoci se, caduto il suo terzo governo, resta”: restò. Nel 2013 “figuriamoci se torna al governo”: ci tornò con Letta jr.; “figuriamoci se non lascia dopo la condanna definitiva, l’espulsione dal Senato e i servizi sociali all’ospizio”: non lasciò, anzi tornò padre costituente nel Patto del Nazareno con l’Innominabile.

Nel 2018-’20 era politicamente morto, non avendo armi per ricattare il M5S nei governi Conte-1 e 2. E pure di salute non se la passava bene, stando ai continui ricoveri e ai certificati medici esibiti per rinviare i processi, acquattato in Provenza con la scusa del virus. “Figuriamoci se torna”: a febbraio tornò, riabilitato dal Rignanese e accolto a gomiti aperti da Draghi. “Figuriamoci se il centrodestra lo candida al Colle”: ieri l’ha candidato. Diceva Luttazzi quando ancora poteva lavorare in tv: “Nella mia ingenuità, mi chiedevo come avrebbero fatto a far passare le leggi su falso in bilancio, rogatorie, conflitto di interessi, legittimo sospetto a favore di B. senza che la gente se ne accorgesse. Ora ho capito come fanno: lo fanno! Molto semplicemente. Chi glielo impedisce?”. La sua forza è da sempre la debolezza, anzi la nullità altrui: mentre tutti dicono “figuriamoci se lo fa”, lui lo fa. Perciò è sempre due o tre passi avanti. Ora, mentre tutti fingono di non volere il Quirinale, lui fa campagna elettorale (e acquisti) per agguantarlo. È difficile che ci riesca. A meno che qualche genio non cominci a dire: “Figuriamoci se diventa presidente della Repubblica”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/15/quelli-che-figuriamoci/6456792/

Berlusconi

 

Un Presidente della Repubblica con la pistola in bella vista sulla scrivania?

A me non piace per niente!