I dejà vu e l’ondata di quote rosa, benché in ruoli rigorosamente non esecutivi, erano attesi. Ma chi si aspettava che Matteo Renzi si sarebbe limitato a rottamare i vecchi manager di Stato sostituendoli con nuove leve di sua fiducia, sarà rimasto spiazzato. Le liste dei candidati del governo dei sindaci per la guida delle più importanti aziende pubbliche italiane, infatti, sono solo il primo passo che apre al premier nuovi e più ampi orizzonti. Come il ricambio anticipato anche dei vertici di aziende che non avrebbero dovuto essere toccate da questa prima tornata, dando il via a un effetto domino che nel giro di poche settimane potrebbe cambiare buona parte dello scenario delle poltrone pubbliche, sfiorando anche la Rai.
Tutto parte da Mauro Moretti, il manager 61enne di recente balzato agli onori delle cronache per aver a priori rifiutato l’idea di un taglio di stipendio. A lui, dopo sette anni alle guida Ferrovie dove ha trascorso tutta la sua vita professionale, andrà l’incarico di amministratore delegato di Finmeccanica. Così l’ex sindacalista della Cgil si ritroverà a gestire la prima azienda della difesa del Paese, liberando una casella strategica ai vertici delle Fs che erano stati rinnovati appena lo scorso agosto dall’allora premier Enrico Letta. In più il manager delle Ferrovie rimette in gioco il suo stipendio come desiderava: se è infatti prevedibile che guadagnerà meno del suo predecessore in Finmeccanica (2,2 milioni di euro tra fisso e variabile), non sarà di sicuro inferiore a quello attuale nelle Ferrovie (circa 850mila euro l’anno). “Di Renzi mi fido”, aveva del resto dichiarato Moretti lo scorso 21 marzo dopo il botta e risposta con il premier che da Bruxelles annunciava il tetto agli stipendi dei manager pubblici. E in effetti è stata una fiducia ben riposta, visto che il manager sarà così abbondantemente ricompensato della guida del ministero dello Sviluppo economico che era sfumata in zona Cesarini anche per le polemiche suscitate per il suo ruolo di imputato al processo per la strage di Viareggio iniziato lo scorso autunno.
D’altro canto però Moretti, che sarà affiancato dal presidente Gianni De Gennaro (unica conferma delle vecchie nomine) e circondato da consiglieri come l’ex viceministro degli Esteri del governo Letta, Marta Dassù, il presidente del Consiglio nazionale forense Guido Alpa e l’avvocato Alessandro De Nicola, è un uomo ben noto alla sinistra che nel 2006, sotto il governo di Romano Prodi, gli aveva affidato l’incarico di risanare le Ferrovie. Così come lo è Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia, anche lui rinnnovato da Letta ad agosto. L’ex enfant prodige dell’Iri bacchettato dalla Corte dei conti un anno fa per il rosso dilagante nei conti del gruppo pubblico, è infatti in predicato per la successione di Moretti. Scelta che include un’altra reazione a catena che sarà confermata “nelle prossime ore, nei prossimi giorni. Non è un problema”, come ha detto il sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Graziano Delrio. Tempi stretti anche per il caso Rai che si apre con la candidatura alla presidenza delle Poste dell’ex imprenditrice delle costruzioni, Luisa Todini che è anche consigliere di amministrazione della tv di Stato. “So solo che non c’è incompatibilità, ma l’opportunità verrà valutata in tempi rapidi – ha del resto commentato lei stessa a caldo all‘Ansa – La mia esperienza mia ha insegnato che non si possono fare bene insieme troppe cose”.
Per l’ex europarlamentare di Forza Italia la nomina pubblica è una piccola consolazione: l’imprenditrice è stata di recente è stata scaricata dall’amico Pietro Salini, che aveva salvato l’azienda della famiglia Todini nel 2009 inglobandola nel suo gruppo (oggi Salini-Impregilo) grazie al “grande supporto del sistema bancario, con particolare riferimento ai gruppi Intesa Sanpaolo e Bnl-Bnp Paribas, insieme a Unicredit e Mps”. Un anno dopo, nel 2010, l’allora premier Silvio Berlusconi l’avrebbe voluta per sostituire Claudio Scajola a capo del ministero dello Sviluppo economico oggi occupato da un’altra pupilla dell’ex Cavaliere, Federica Guidi. Per la Todini, poi, l’incarico ai vertici delle Poste è un impegno in più che si aggiunge al lavoro del Comitato Leonardo, associazione che si propone di promuovere l’immagine dell’Italia come sistema Paese. Una sorta di rete di imprenditori che evidentemente non dispiace al premier Renzi.
Ma ha sicuramente pesato l’effetto sulle quote rosa, che hanno messo a dura prova il premier, il quale ha dovuto trovare la quadra tra le promesse e i ruoli operativi. E la scelta, che ha il merito innegabile di rimescolare le carte nella partita tra generi, è stata di mantenere gli impegni indicando per i consigli di Enel, Eni, Finmeccanica e Poste ben 11 donne. Tutte, però, con ruoli non operativi e, quindi, con stipendi nettamente inferiori rispetto ai colleghi maschi (“Per le indennità dei presidenti delle società” è fissato un tetto di 238mila euro annui, con una riduzione rispetto a “cifre in alcuni casi a molti zeri”, ha spiegato Renzi). Sarà il caso anche di Emma Marcegaglia, che si scalda per la presidenza dell’Eni, dove almeno potrà contare su consiglieri come l’economista Luigi Zingales, che Renzi ha indicato accanto all’ex presidente del Banco di Sicilia e vicepresidente di Alitalia in quanto patron del fondo Equinox, Salvatore Mancuso. Ma soprattutto su un operativo interno all’azienda, Claudio De Scalzi, già capo del settore esplorazione del Cane a sei zampe. Proprio lei che, dopo la discussa presidenza di Confindustria, anche nell’azienda di famiglia ha diverse gatte da pelare. Non ultimo il confronto con i sindacati sul tema della sicurezza del lavoro dopo che lo scorso 8 aprile, un dipendente, Lorenzo Petronici, ha perso la vita in un infortunio mortale. In seguito al quale i lavoratori del gruppo hanno ricordato come “dal 2000 ad oggi a Mantova, Casalmaggiore e Boltiere si sono verificati infortuni estremamente gravi e morti bianche all’interno delle fabbriche del Gruppo, segno che, verso la sicurezza, c’è una soglia di attenzione molto bassa, per non dire inefficace da parte dell’Azienda”. Senza contare i lifting fiscali per risparmiare le tasse rispettando la legge e la vecchia inchiesta per evasione che nel 2008 ha visto il fratello Antonio patteggiare 11 mesi di pena oltre alla restituzione di 6 milioni di euro allo Stato.
In attesa della conferma di Catia Bastioli per la presidenza del gestore della rete elettrica Terna che è di competenza della Cassa Depositi e Prestiti, l’elenco delle principali quote rosa si chiude poi con Maria Patrizia Grieco indicata dal governo per l’Enel. Di lei si può senz’altro dire che conosce bene i consigli di amministrazione. Anche quelli più insidiosi. Il suo nome figurava nella lista di Intesa San Paolo per il rinnovo del cda della Parmalat presentata a maggio 2011, poco prima del passaggio in mani francesi. Ed era due righe sotto a quello di Enrico Bondi. Ma la maggior parte della sua esperienza è in telecomunicazioni e informatica con un passaggio nel consiglio di amministrazione di Fiat Industrial fino all’integrazione del polo camion e macchine agricole in Cnh Industrial. Non sarà quindi facile passare da Olivetti (società del gruppo Telecom Italia con un fatturato da 265 milioni) a un colosso come l’Enel. Ma almeno sarà affiancata da un manager che conosce il gruppo come Francesco Starace, ingegnere nucleare già numero uno della controllata per le rinnovabili Enel Green Power, con trascorsi in gruppi energetici come General Electric, ABB e Alstom.
Altrettanto non può dire la collega Todini, che dovrà lavorare con Francesco Caio. Per l’ex Mister Agenda Digitale, che ha mollato l’incarico non appena è iniziato il totonomine governativo, Renzi ha infatti immaginato un futuro alla guida delle Poste – che in ballo hanno sia la quotazione in Borsa che il salvataggio dell’Alitalia siglato dal governo Letta -insieme ai consiglieri Roberto Rao deputato Udc fino al 2013 e al renziano Antonio Campo dall’Orto, già autore del rilancio di La7. Il manager, vicino all’ex ministro dello sviluppo economico Corrado Passera, forse anche per via di una breve esperienza nel consiglio della banca Nomura, non ha del resto brillato nel rapporto sullo stato della banda larga: nel dossier commsionato da Letta, Caio, con il supporto di altri due esperti internazionali e ben dodici saggi, si è limitato a diagnosticare un cronico ritardo e a consigliare l’uso di fondi europei per sviluppare le reti di nuova generazione. Magari con le più classiche spedizioni del servizio universale le cose andranno meglio.
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