Visualizzazione post con etichetta Enel. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Enel. Mostra tutti i post

venerdì 16 settembre 2022

IL PREZZO DI UN ERRORE POLITICO. - Giuseppe Augieri

















L’energia elettrica non si può immagazzinare. E’ quindi necessario produrre, istante per istante, la quantità di energia richiesta dall‘insieme dei consumatori (famiglie e aziende).

In ogni istante: questo è un concetto fondamentale. Le centrali in funzione producono la quantità di energia necessaria. Esattamente quella. Di più non si saprebbe dove metterla. Se tutte vanno al massimo della loro capacità e un qualsiasi utente accendesse una ulteriore luce – paradossalmente anche di una sola stanza – dovrebbe entrare in funzione un’altra centrale, fino ad allora in riserva, per coprire questo fabbisogno. Ho fatto, ovviamente, un’iperbole per dire al meglio possibile di questa caratteristica dell’elettricità. E’ un vincolo: ma non è colpa né mia né della politica se è così. Sono le leggi della fisica e la tecnologia.
Fin quando il "monopolista" (sempre pronunciato con tono dispregiativo) Enel ha operato sul mercato, il processo di generazione di energia elettrica, il dispacciamento/trasporto (la ripartizione secondo le esigenze dei vari territori e clienti finali), e la distribuzione erano tutte nelle sue mani. Tre fasi per la produzione di un servizio pubblico, indispensabile per la vita, affidate ad un Ente di proprietà dello Stato.….
Dopo il processo di liberalizzazione del Mercato, avviato alla fine degli anni '90 con il Decreto Bersani, alle tre suddette fasi si sono affiancate altre due relative alla vendita all'ingrosso e alla vendita al dettaglio. La legge ha favorito l'ingresso nel mercato libero di nuovi operatori. Il risultato è che tutte le fasi sono “in libero mercato” ad eccezione del dispacciamento/trasporto.
Dunque quando si pensa alla produzione di energia si pensa ancora all’Enel: e non è così.
Nel 2020 hanno prodotto energia elettrica: "Enel" (15,8%), "Eni" (8,0%), "Edison" (7,0%) "A2A" (6,0%), “EPH” (acronimo della compagnia ceca Energetický a průmyslový holding) (5,3%), “Iren” (3,6%), “Engie” (2,6%), “SORGENIA” (2,4%) ed inoltre ERG, Alperia, Axpo Group, SARAS e qualche altro minore. Altra precisazione: con queste produzioni non si soddisfa però il fabbisogno. La produzione interna è pari a circa l’88% del totale richiesto. Un altro 12% viene importato da Francia, Austria, Svizzera….Di più, tecnicamente, non è possibile in tempi brevi.
I produttori di energia vengono pagati per l'energia che producono, e immettono nella rete, in due modi diversi: tramite contratti bilaterali, stipulati tra produttore e fornitore, o tramite la borsa elettrica. L'organizzazione della borsa elettrica, attivata nel 2004, è simile a un'asta, nella quale produttori e operatori presentano offerte di vendita e acquisto. Per questo motivo il prezzo dell'energia al cliente finale riflette e segue l'andamento del prezzo di riferimento della borsa: e quest’ultimo dipende fortemente dal prezzo richiesto da quel produttore che ha il vantaggio di essere al confine tra servizio regolare e black out anche parziale. Senza di lui infatti le quantità di energia richieste non potrebbero essere soddisfatte: qualcosa andrebbe spento. Questo produttore ha un vantaggio immenso.
Fin qui, di politico, c’è solo la decisione di aver privatizzato – e come averlo fatto - un servizio pubblico. Una decisione che io ho sempre definito folle: tutto il resto è conseguenza inevitabile. Anche un forte profitto di tutti coloro che vendono energia al prezzo di mercato potendola produrre a prezzo più basso. Nella situazione attuale, chi fa produzione green – con costi non soggetti alle speculazioni in atto – e vende al prezzo definito dalla speculazione, ha un extraprofitto considerevole.
Se la produzione fosse stata nelle mani di un unico Ente, questo avrebbe potuto vendere l’energia tenendo presente che i costi di approvvigionamento delle fonti primarie oggi nel mirino potevano essere mediati con i costi provenienti da energia prodotta con altre fonti, magari quelle green. Non solo: si sarebbe potuto sgravare la tariffa all’utente finale, accollando una parte del costo alle casse dello Stato. I fondi per i “ristori” di cui oggi si parla, si sarebbero utilizzati molto meglio di qualsiasi altra metodologia. La conoscenza del tipo di clientela, la sua propensione al consumo, la possibilità concreta, per loro, di ridurre o meno i consumi stessi, avrebbero potuto assegnare il beneficio del “ristoro” con la maggiore “giustizia” sociale. Come? Le soluzioni sono tantissime.
Se questo Ente fosse rimasto pubblico, la cosa sarebbe stata di una semplicità assoluta. Non è così oggi. Ed a chi oppone che questo mia considerazione è un vagheggiamento, ricordo i tanti anni nei quali, operando sulle tariffe, l’Enel ha fatto da deflatore in una situazione difficilissima per le casse dello Stato. Tamponando persino le "autoriduzioni" della bolletta. Fino ad arrivare al rischio di non pagare le tredicesime ai dipendenti.
Già: ma allora la politica economica esisteva.

https://www.facebook.com/giuseppe.augieri

sabato 25 dicembre 2021

Enel.


Enel... voglio ricordarlo com'era quando era un ente statale; ora che è una società per azioni, distrutta e venduta dalla becera politica che batte cassa, per dare più soldini agli azionisti, toglie a chi l'ha resa grande con il lavoro.

E per peggiorare la sua situazione in termini di visibilità e serietà aziendale, addebita l'importo delle bollette 2 giorni prima della scadenza...

Si sa, gli azionisti premono per avere i soldini che servono per andare a Cortina... e l'Enel, ormai asservita agli oscillamenti di Borsa e ai dictat della politica imbastardita, obbedisce...
Amen.

cetta

mercoledì 20 gennaio 2021

Antitrust: multa da 12,5 milioni per Eni, Enel e Sen.

 

Per fatture dopo mancata lettura dei contatori.

L'Autorità Antitrust ha irrogato una sanzione di 12,5 milioni di euro ad Enel Energia, Servizio Elettrico Nazionale (SEN) ed Eni gas e luce, dopo aver "accertato l'ingiustificato rigetto delle istanze di prescrizione biennale presentate dagli utenti, a causa della tardiva fatturazione dei consumi di luce e gas, in assenza di elementi idonei a dimostrare che il ritardo fosse dovuto alla responsabilità dei consumatori". Le società addebitavano agli utenti la responsabilità della mancata lettura dei contatori a fronte dei tentativi di lettura dichiarati dal distributore; ma i tentativi non erano documentati o addirittura smentiti.

"Con riferimento al procedimento AGCM in materia di prescrizione biennale delle fatture emesse per i consumi di energia elettrica e gas, le società del Gruppo Enel precisano di aver sempre agito nel pieno rispetto della normativa primaria e regolatoria di riferimento, riconoscendo il diritto dei consumatori ad ottenere la prescrizione delle fatture".

E' la risposta di Enel alla multa irrogata dall'Antitrust.

Le Società "si riservano sin d'ora ogni azione a propria tutela, confidando di poter dimostrare la piena legittimità e correttezza del proprio operato nelle successive fasi di giudizio".

https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2021/01/20/antitrust-multa-da-125-milioni-per-eni-enel-e-sen_0137e88e-1b42-4247-9d90-87e15863c3dd.html

domenica 3 maggio 2020

Olanda, da Fca a Ferrero e Mediaset ecco i gruppi italiani con sede ad Amsterdam. E la Ue vieta di escluderli dagli aiuti pubblici. - Mauro Del Corno

Olanda, da Fca a Ferrero e Mediaset ecco i gruppi italiani con sede ad Amsterdam. E la Ue vieta di escluderli dagli aiuti pubblici

Nel paese dei tulipani anche Eni, Enel, Luxottica, Illy, Telecom Italia, Prysmian e la Cementir. Il Paese formalmente non ha aliquote bassissime ma sono ridotti o inesistenti i prelievi su dividendi, guadagni da cessioni di partecipazioni, royalties. Francia, Danimarca e Polonia hanno deciso di escludere da contributi statali le società con sedi in paradisi fiscali. Per Bruxelles questa distinzione è contraria ai principi della libera circolazione dei capitali.
I gruppi italiani che hanno sede o filiali nei Paesi Bassi sono tanti. Fca e Ferrari hanno qui la loro sede legale, la Exor della famiglia Agnelli quella fiscale. Sede legale ad Amsterdam anche per Mediaset, ma ad aver creato holding qui sono pure alcune delle più importanti partecipate italiane: EniEnel e Saipem. In viaggio verso il paese dei tulipani anche Campari che sta per trasferire qui la sua sede. E poi Luxottica, qui dal 1999, FerreroIllyTelecom Italia, Prysmian e la Cementir di Caltagirone. La banche tendono invece a preferire i regimi fiscali di Irlanda e Lussemburgo. Uno dei grimaldelli impiegati negli ultimi anni per recuperare una piccola parte dei proventi fiscali sottratti in questo modo agli altri Paesi è stato contestare gli aiuti pubblici, proibiti da Bruxelles quando ledono la concorrenza. Ma la Commissione proprio in questi giorni ha sancito che – in nome della libera circolazione dei capitali – i piani di salvataggio pubblico adottati a causa dell’emergenza Covid non possono escludere chi ha la sede in un altro Stato.
Zone grigie e paradisi non dichiarati – Non è corretto fare processi alle intenzioni. Avere una sede in Olanda non significa automaticamente adottare comportamenti fiscalmente discutibili. Può trattarsi di trasparente e legittima ottimizzazione fiscale e scelte di corporate governance. Ma le zone grigie sono molte e trincerarsi dietro lo scudo arancione è facile. L’Olanda, ad esempio, non fa parte della lista dei paradisi fiscali stilata dall’Unione europea. Esclusione dettata da ragioni politiche. In materia di fisco l’Ue richiede l’unanimità dei voti (quindi compresi quelli di Olanda e Lussemburgo) per apportare modifiche. Le grandi aziende europee che approfittano dei vantaggi del fisco arancione fanno pressione sui loro governi per fare in modo che nulla cambi. Anche l’Ocse dispone di dati che sarebbero preziosi per aumentare la trasparenza sulle pratiche fiscali del paese, però non li rende pubblici a causa di veti di paesi membri. Così si va per deduzioni e per vie indirette.
Addio a 72 miliardi di profitti che finiscono in Olanda – L’Olanda è un buco nero che, ogni anno, risucchia dai paesi membri fino a 72 miliardi di euro di profitti aziendali. Una montagna di denaro che ricompare, molto rimpicciolita, ad Amsterdam. Quasi 10 miliardi di euro finiscono al fisco olandese, il resto rimane nelle casse delle multinazionali. Le stime sono dell’economista Gabriel Zucman, tra i più esperti e attenti osservatori del fenomeno a livello globale. Dalla sola Italia spariscono ogni anno profitti per quasi 30 miliardi di euro e di questi più di 3 miliardi finiscono in Olanda che in questo modo sottrae quasi un miliardo di euro all’anno al fisco italiano. Per contro quasi il 40% del gettito da tassazione sui profitti di impresa del paese dei tulipani deriva da questo scippo.
Ma perché l’Olanda è un forziere particolarmente difficile da scardinare? Formalmente le sue aliquote fiscali non sono particolarmente diverse da quelle di molti altri paesi europei. I prelievi sono però estremamente ridotti o inesistenti se si parla di dividendi, guadagni da cessioni di partecipazioniinteressi incassati da prestiti infra gruppo, royalties e quant’altro. Così le multinazionali stabiliscono qui le loro holding (società che hanno in pancia le partecipazioni chiave di un’impresa) e costruiscono strutture di gruppo artificiose per far affluire denaro sotto queste forme. Non solo.
Consulente Oxfam: “Accordi fiscali riservati permettono di ridurre la tassazione” – “Destano preoccupazione gli accordi fiscali riservati che i Paesi Bassi, come anche altri Paesi Ue, hanno siglato e continuano a siglare con le imprese multinazionali che verosimilmente permettono di ridurre in modo consistente il livello effettivo di tassazione delle corporation”, spiega Misha Maslennikov, consulente di Oxfam Italia in tema di fisco. “L’Olanda”, continua Maslennikov, “ha inoltre in essere un ampio network di convenzioni fiscali con altri Paesi che hanno natura particolarmente restrittiva, permettendo un abbattimento significativo delle aliquote sulle ritenute alla fonte per diverse fattispecie di reddito d’impresa che fluiscono verso Amsterdam”.
L’incredibile produttività di lussemburghesi, svizzeri e olandesi – Non è un caso se nella classifica globale dell’associazione Tax Justice Network, che denuncia e combatte pratiche fiscali scorrette, i Paesi Bassi vengano solo dopo Isole VerginiBermuda e Isole Cayman quanto a opacità delle pratiche fiscali. Una delle tecniche utilizzate è quella di valutare la discrepanza tra le risorse che una società possiede in un determinato paese (dipendenti, uffici) e gli utili che qui realizza. Incrociando questi dati si scopre che ogni singolo, e a quanto pare fenomenale, dipendente lussemburghese genera profitti per oltre 8 milioni di euro. Uno svizzero 760mila, in Olanda 530mila. La media di tutti gli altri paesi europei è di 60mila euro per dipendente, con Italia e Germania allineate intorno ai 42mila e Francia a 33mila.
Il grimaldello degli aiuti pubblici… – Uno dei grimaldelli impiegati in questi anni per recuperare una piccola parte del maltolto è stato quello degli aiuti pubblici, proibiti da Bruxelles quando ledono la concorrenza. Accordi tra azienda ed erario che abbassino sotto certi limiti il livello del prelievo sono stati equiparati ad indebite agevolazioni. Un alcuni casi si è arrivati a condanna nonostante l’opposizione, scontata, dei gruppi coinvolti ma anche dei soliti LussemburgoIrlanda e Olanda che si battono in aula per rafforzare la loro immagine di cani da guardia degli utili di azienda.
…e lo stop della Commissione: “No all’esclusione in base a dove è la sede” – In questa fase drammatica per il futuro economico dell’Europa i governi avrebbero avuto un’arma in più. Se la Commissione Ue non si fosse messa di mezzo. FranciaDanimarca e Polonia hanno infatti deciso di escludere dall’erogazione di aiuti pubblici le società con sedi in paradisi fiscali. Bruxelles, che predica bene ma razzola molto male, ha però puntualizzato che questa distinzione è contraria ai principi della libera circolazione dei capitali a sci sono improntati i trattati europei. Davvero un peccato anche perché sarebbe giusto che i contribuenti che pagano gli aiuti sapessero a chi stanno dando i loro soldi, come sottolinea Maslennikov. “Sarebbe opportuno che anche il nostro Parlamento emendasse in fase di conversione il DL Liquidità inserendo l’obbligo per le società italiane che fanno parte di grandi gruppi multinazionali e richiedono garanzie statali su nuovi finanziamenti di rendere pubbliche le proprie rendicontazioni paese per paese”, ragiona l’esperto di Oxfam Italia. “Volete il nostro supporto? Ben venga, ma vi chiediamo di permettere a cittadini e parlamentari un maggior scrutinio sulla vostra strutturazione societaria globale e sul livello di contribuzione fiscale in ciascun Paese in cui operate” conclude.

giovedì 22 febbraio 2018

Morosità in bolletta, ecco cosa bisogna sapere.

 © ANSA

La consultazione dell'Autorità 52/2018.

Canale Energia - “Quello che qui si vuole integrare, sempre nelle bollette, sono i debiti generati dai furbetti del quartierino. E questo è inaccettabile”. È quanto si legge in una nota dell’associazione consumatori Codici che commenta la notizia riguardante la consultazione 52/2018 che tocca la parte della bolletta limitata agli oneri generali di sistema previsti per legge. Il  provvedimento è una consultazione pubblica ed è ancora in corso (possono partecipare tutti, anche i singoli cittadini, scadrà il 26 febbraio) e si pone l’obiettivo di spalmare sugli utenti finali le morosità relative agli oneri di sistema lasciate dagli operatori insolventi nei confronti dei distributori di rete.

Si socializzano i debiti ma si privatizzano i profitti.

In questo Paese si socializzano i debiti ma si privatizzano i profitti”, sottolinea l’Associazione, che aggiunge come nel caso di chi vince gare pubbliche o rifornisce grandi energivori (o spesso non disalimentabili), che o per la cattiva fede o incapacità, giocano con i soldi, tanto si sa che i debiti verranno spalmati sui consumatori. Stessa cosa vale per i “furbetti del gas” o del dispacciamento, ai quali oggi si aggiungono i “furbetti delle morosità”.

Già in bolletta le morosità degli insolventi, domestici e non.

Il grande assist che ci ha dato questa notizia – spiega Codici in nota – seppur male interpretata, è quello di averci dato la possibilità di chiarire o dire a tutti gli italiani che le morosità degli insolventi domestici e non sono già socializzate in bolletta e questo avviene da anni, sia per il gas che per l’energia e di recente anche per l’acqua”.

Oneri di sistema, il 19% della bolletta.

Gli oneri di sistema rappresentano il 19% della bolletta e consistono nelle seguenti voci: messa in sicurezza del nucleare, incentivi alle fonti rinnovabili, promozione dell’efficienza energetica, agevolazioni per la rete ferroviaria, sostegno alla ricerca, agevolazioni agli energivori e oneri per il bonus elettrico.
Si  tratta, secondo l’associazione, di “un meccanismo parziale quindi, finalizzato a garantire il gettito degli oneri di sistema da assicurare per legge, che l’Autorità ha strutturato in tal modo per adempiere ad una serie di sentenze della giustizia amministrativa che hanno annullato le precedenti disposizioni dell’Autorità in tema”.
“La regolazione precedente – si legge ancora nella nota – imponeva ai venditori la prestazione di garanzie finanziarie in favore delle imprese distributrici anche a copertura degli oneri generali di sistema. Le pronunce della giustizia amministrativa sostengono che la legge pone in capo esclusivamente ai clienti finali e non alle imprese di vendita, nè ai percettori degli incentivi, gli oneri generali di sistema, con la conseguenza che l’Autorità non avrebbe il potere di imporre il citato sistema di garanzie alle imprese di vendita negando che il rischio di mancato incasso degli oneri generali di sistema da parte sia dei clienti finali sia dei venditori”.

Individuare i morosi del sistema elettrico.

Secondo l’associazione se si vuole realmente sapere chi sono i morosi, ovvero quelli che non pagano le bollette che già da anni sono socializzate, dobbiamo fare riferimento al documento ufficiale di ARERA (Autorità). “Secondo il ‘Monitoraggio retail’ indagine annuale pubblicato a novembre 2017, che l’Autorità ha l’obbligo di svolgere, nel 2016 le morosità del sistema elettrico incidevano per ben 6 mld di euro (di morosità totali) su un ammontare di 61 mld di fatturazione complessiva”.
Tra i morosi, prosegue l’Associazione, solo 1,4 mld sono addebitabili ai consumatori domestici, i restanti 4,6 mld si riferiscono a utenti di altri usi e media tensione, principalmente PA, Partite Iva e soggetti diversi dal consumatore domestico.

domenica 19 marzo 2017

Nomine partecipate, slittano i tempi. Resta forte il marchio renziano: Matteo Del Fante a Poste (e non solo) - Alessandro De Angelis

NOMINE

Come se Matteo Renzi fosse ancora a palazzo Chigi: un giro di nomine “fiorentino”, nella regia e anche nei principali attori, è quello che si definisce in serata per Poste, Eni, Enel, Finmeccanica, Terna e le principali aziende di stato. E che sarà ufficializzato a ore, di certo entro la riapertura delle borse di lunedì mattina. Proprio come tre anni fa quando i posti strategici da assegnare, cemento di ogni governo, furono a giudizio di molti il principale movente della defenestrazione del governo Letta.
La priorità non cambia, sia pur nel mutato contesto con Renzi nei panni di ex premier e di ex segretario. E sancisce il nuovo di boa del renzismo: il ritorno in campo e una lunga marcia che va ben oltre le prossime elezioni politiche, perché gli uomini chiave nei posti chiave, avendo mandato di tre anni, le supereranno.
Il caso più eclatante è Poste Italiane, dove arriva l’ennesimo fiorentino, antica conoscenza di Renzi: Matteo Del Fante, formazione Jp Morgan, già direttore generale di Cassa Depositi e Prestiti e da tre anni a.d. di Terna, la società che gestisce la rete elettrica. Prenderà il posto di Francesco Caio, nonostante i risultati del manager che in questi tre anni ha triplicato gli utili. E nonostante la difesa del ministro Padoan. La sua “colpa” principale è stata quella di aver rotto con la Cisl – non con gli altri sindacati, che si sono schierati con lui – che nell’azienda è la sigla più forte. E che, sussurrano i maligni, è forte anche in vista delle primarie del Pd.
Il passaggio di Del Fante alle Poste libera la casella Terna. Una fonte di governo a tarda sera dice: “Il quadro delle nomine è pressoché chiuso, il problema è Terna dove c’è un braccio di ferro tra Renzi e il Tesoro”. Il nome dell’ex premier (e di Maria Elena Boschi) è Alberto Irace, oggi a capo di Acea. Altro “fiorentino”, come appartenenza politica, anche se cagliaritano nei natali: ha guidato dal 2009 al 2014 la Publiacqua, società toscana che ha avuto nel cda Maria Elena Boschi, Erasmo D’Angelis e che oggi è presieduta da Filippo Vannoni, uno degli accusatori di Lotti nell’affaire Consip. In alternativa Luigi Ferraris, capo dello Finanze di Poste, molto stimato da Padoan o Francesco Sperandini, altro tecnico a capo del Gse (gestore del servizio elettrico), anch’egli stimato dalla Boschi.
Prima della partenza di Padoan per il G20 di Baden Baden, è stato invece già comunicato ai diretti interessati l’avvicendamento a Finmeccanica, dove l’ex banchiere Alessandro Profumo, prenderà il posto di Mauro Moretti, dimissionato non per i suoi risultati, considerati positivi dal mercato e dal governo, ma per la condanna a sette anni in primo grado nel processo sulla strage di Viareggio. Un profilo, quello di Profumo, molto “finanziario” per formazione, alla guida del cuore pulsante delle strategie industriali che in molti ci invidiano. I rumors, in ambienti finanziari, parlando di un grande attivismo di Marco Carrai proprio sul dossier Finmeccanica, sia sul fronte amministratore delegato sia su quello della presidenza, ruolo ricoperto da Gianni De Gennaro. Proprio l’ossessione renziana per gli uomini di mercato è stata determinate per l’opzione Profumo, preferito alla soluzione interna che portava a Fabrizio Giulianini, attualmente alla guida dell’area elettronica della difesa di Leonardo-Finmeccanica.
Confermati i due amministratori delegati che Renzi aveva scelto nel 2014 per Eni e Enel, Claudio Descalzi e Francesco Starace. E saranno confermati anche tutti i fiorentini: Alberto Bianchi, tesoriere della Fondazione Open, dovrebbe rimanere in Enel, Fabrizio Landi nel cda di Finmeccanica, Elisabetta Fabbri in quello di Poste. Come tre anni fa, anche se con Renzi che (formalmente) non è più a palazzo Chigi. Con l’eccezione di qualche critico, come Francesco Boccia. Che, fiutata l’aria, a metà pomeriggio chiede formalmente a Renzi e Padoan che “nessun candidato alle primarie possa incidere nel processo delle nomine”. E si richiama alla “grammatica” istituzionale del governo Prodi che in un contesto analogo – era in scadenza nel 2008 – lasciò l’onere e l’onore delle nomine al governo che a breve avrebbero scelto di elettori. Già, la grammatica istituzionale.

mercoledì 17 agosto 2016

Nomine Eni, la folgorante carriera di Andrea Gemma l’ex tutor di Alfano. - Giuseppe Pipitone.


Valtur, i Commissari Straordinari fanno il punto della situazione


Lo studio tributario del commissario straordinario della Valtur vanta una trentina di professionisti e ha vinto la gara per aggiudicarsi i servizi legali di Expo 2015. La sua collezione di poltrone ha invece superato la dozzina di incarichi, tra presidenze di cda, posti da liquidatore e nomine come curatore fallimentare.

Una pletora di poltrone da consigliere d’amministrazione, incarichi da liquidatore e curatore fallimentare, tre cattedre in due atenei, e un avviatissimo studio legale nella capitale. Ad appena 40 anni, l’avvocato Andrea Gemma può annoverare una collezione di nomine da far invidia ai principali raccoglitori di incarichi del Paese. Adesso è arrivato anche un posto nel cda di Eni su indicazione del governo di Matteo Renzi, dopo che per quasi 24 ore il suo nome era stato indicato per una poltrona nella stanza dei bottoni dell’Enel. Poi però è arrivata la rettifica di via XX settembre, che comunicava lo scambio di poltrone tra Gemma e il siciliano Salvatore Mancuso.
Quasi una sorta di analessi per il giovane avvocato, che nonostante sia romano di nascita, ha legato indissolubilmente la sua carriera alla Sicilia. E ad alcuni siciliani. È infatti alla facoltà di Giurisprudenza di Palermo, che Gemma inizia a insegnare Istituzioni di diritto privato II nel 2006, quando ha appena 32 anni. Puntuale in aula ma sempre di fretta, simpatico con gli studenti ma inflessibile agli esami, un trolley da viaggio come presenza perpetua alle lezioni e un telefonino che non smette mai di squillare, a testimoniare come fin dall’inizio della sua carriera il giovanissimo professor Gemma si divida già tra molteplici impegni.
In breve tempo il suo curriculum somma incarichi su incarichi. La prima nomina di spessore arriva nel 2010, quando il ministero della Giustizia lo designa per la prima volta come soggetto attuatore giuridico del Piano Carceri, incarico che gli frutta 100mila euro e che Gemma conserverà fino al 2012. A volerlo fortissimamente in via Arenula è il guardasigilli in persona, Angelino Alfano, suo intimo amico fin dai tempi del dottorato di ricerca, quando Gemma gli fa da tutor, nonostante sia più giovane di ben tre anni. Ad unire il destino del brillante professore con quello del futuro leader del Nuovo Centro Destra è il professor Salvatore Mazzamuto, maestro di entrambi, già preside di Giurisprudenza a Palermo poi sottosegretario alla Giustizia durante il governo di Mario Monti.
È sulla scia di Mazzamuto che si sviluppa la carriera accademica di Gemma, oggi docente di Istituzioni di Diritto Privato sia a Palermo che all’università di Roma Tre, dove insegna anche Diritto Civile II. Fuori dall’università, invece, gli incarichi per il giovane professore non si contano più. Il suo studio tributario, Gemma & Partners, vanta una trentina di professionisti e ha vinto la gara per aggiudicarsi i servizi legali di Expo 2015. La collezione di poltrone ha invece superato la dozzina di incarichi, tra presidenze di cda, posti da liquidatore e nomine come curatore fallimentare. L’ultima arriva dal tribunale di Palermo che lo ha nominato curatore di Amia, l’azienda che gestiva la raccolta rifiuti fallita lo scorso anno, mentre il capoluogo siciliano era invaso dalla spazzatura. In Sicilia Gemma è anche commissario straordinario del gruppo Valtur dell’imprenditore Carmelo Patti, che nel 2012 la Dia di Trapani indica come prestanome di Matteo Messina Denaro, ordinandone il sequestro dei beni.
Un anno prima l’azienda leader nel settore turistico era finita in amministrazione controllata: l’allora ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani nomina come commissari straordinari Daniele Discepolo, Stefano Coen e lo stesso Gemma, che un articolo pubblicato dal settimanale Espresso l’11 marzo 2013, indica come nipote di un ex amministratore della Valtur. “Fonti interne al gruppo Patti – si legge sempre nello stesso articolo – indicano che Gemma e Discepolo hanno presentato parcelle alla Valtur, il che li renderebbe ineleggibili come commissari”.
Il rapporto di Gemma con la Sicilia è però indissolubile durante gli anni, oltre che proficuo. A Palermo il giovane professore è anche presidente dell’Immobiliare Strasburgo, la ricchissima cassaforte del mattone confiscata dai magistrati al costruttore Vincenzo Piazza, indicato come prestanome di Vito Ciancimino. A piazzare Gemma ai vertici dell’Immobiliare Strasburgo è stato il prefetto Giuseppe Caruso, direttore dell’Agenzia per i beni confiscati, autore nei mesi scorsi di un violento j’accuse ai danni degli amministratori giudiziari di lungo corso. Il caso è finito davanti la Commissione Parlamentare Antimafia, che a Caruso ha contestato proprio la nomina di Gemma, indicato da alcuni rumors come collaboratore dello studio di Tiziana Miceli, moglie di Alfano.
“Non mi risulta che Gemma faccia parte dello studio della moglie di Alfano. Sta di fatto che ha risolto il problema Valtur, ha sbloccato decine di assegnazioni verso il comune di Palermo, è stato remunerato con totali 150mila euro per lui e altri due giovani avvocati, lo stesso importo che prima prendeva una sola persona”, ha risposto il prefetto davanti alla commissione presieduta da Rosy Bindi. In realtà, infatti, è la moglie di Alfano, l’avvocato Miceli, che in alcune occasioni ha difeso società il cui liquidatore era proprio Gemma. È il caso della Sigrec, società in liquidazione del gruppo Unicredit, affidata nel 2008 alle cure del giovane professore universitario dall’allora presidente di Isvap Giancarlo Giannini. Negli anni sono una mezza dozzina le liquidazioni che Giannini affida a Gemma. Poi l’ex presidente di Isvap finisce travolto dallo scandalo Ligresti. Per Gemma invece è il momento del grande salto nel cda di Eni: solo l’ultima poltrona di una ricchissima collezione.

sabato 28 maggio 2016

AMMINISTRATORE DELEGATO DI ENEL, DISCORSO CHOC: “BISOGNA CREARE PAURA NEI DIPENDENTI”. - rosabella nobile



“Starace ha affermato che, per cambiare un’organizzazione aziendale, è necessario che ‘un manipolo di cambiatori distrugga fisicamente i gangli’ che si oppongono al cambiamento. A tal fine bisogna ‘creare malessere e poi colpire le persone che si oppongono al cambiamento’ in modo da suscitare paura nell’intera organizzazione. Così ‘in pochi mesi’ l’organizzazione capirà, ‘perchè alla gente non piace soffrire'”.

*****************

Da arrestare seduta stante!
Questa brutta gente senza scrupoli, senza dignità, pronta a calpestare gli altri senza porsi problemi, è pericolosa, dannosa perché non pensa, fa suoi gli ordini impartiti dall'alto senza rendersi conto che chi glieli impartisce non lo fa pubblicamente, li trasmette agli imbecilli come lui che avranno, poi, l'incarico di applicarli e divulgarli assumendosene il carico e, pertanto, anche le conseguenze.
Sono mercenari, mezzi uomini, vuoti a perdere per chi li usa.

Cetta.