Non sappiamo chi è il nuovo presidente Usa perché aspettiamo i postini. Non sappiamo quali sono le zone rosse, arancioni e gialle, perché aspettiamo il ministero, l’Iss, il Cts, gli sgovernatori, i sindaci e il divino Otelma. Ma una certezza l’abbiamo: Verdini martire. Condannato in Cassazione a 6 anni e 6 mesi per la bancarotta fraudolenta del Credito cooperativo fiorentino (32 “distrazioni”, cioè 32 furti ai risparmiatori per favorire gli amichetti suoi) e prescritto in extremis per truffa allo Stato sui i fondi pubblici all’editoria, era uno dei pochi berlusconiani rimasti a piede libero. Ma ha provveduto lui stesso a colmare l’inspiegabile ritardo, consegnandosi a Rebibbia prima che i carabinieri andassero a prenderlo. E l’ha fatto senza un lamento, perché non è un piagnucolone e perché, conoscendosi, sapeva benissimo che sarebbe finito lì (anche la scelta dei portafortuna, dal Caimano all’Innominabile al Cazzaro, non ha giovato). Ma a lacrimare al suo posto ci pensano i giornalisti increduli per lo scandalo di un pregiudicato in galera. Il suo amico Giuliano Ferrara, del cui Foglio Verdini fu editore coi soldi di B. e soprattutto nostri, strilla contro “la logica delle manette”, senza spiegare in quale Paese un condannato a 78 mesi resta a piede libero. Ma da lui c’era poco da attendersi: il suo bacio è un apostrofo rosa tra le parole “ti” e “arresto” (Craxi ad Hammamet, B. a Cesano Boscone, Dell’Utri, Previti e Verdini a Rebibbia).
Strepitoso invece Mattia Feltri, quello che aspetta sempre la Cassazione e poi, quando arriva la Cassazione, non gli va bene lo stesso. Premette: “Non so nulla del processo”, anche se “Ferrara lo definisce brutale e spicciativo” senza saper nulla del processo. Ma proprio perché non sa nulla del processo, e se ne vanta, Feltri jr. rimpiange gli abbracci di Denis che “spalancava le tanaglie e mi rinserrava dentro”. E “prova un dolore intenso”: non per le vittime del crac Ccf finite sul lastrico, ma per il bancarottiere-truffatore a cui “voglio molto bene” perché prima della Stampa lavorava al Foglio gestito da Verdini a spese dei contribuenti (prima di passare all’edizione toscana del Giornale e infine al gruppo Libero-Il Tempo del sen. Angelucci). Roba che può accadere solo in Italia: all’estero è conflitto d’interessi. Ma ora, proprio grazie al conflitto d’interessi, mezza stampa lo beatifica. Il Giornale arriva a scrivere che, al suo arrivo a Rebibbia, i giudici dovevano “respingerlo” per evitare che sconti la pena “a contatto col carcere e col virus” (notoriamente circoscritto alle patrie galere), come peraltro fanno 60mila detenuti che non sono mai stati senatori, banchieri ed editori. Diceva Trilussa: “La serva è ladra e la padrona è cleptomane”.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/05/denis-santo-subito/5992461/
Nessun commento:
Posta un commento