Le “rivelazioni” dell’ex pm Luca Palamara nel libro-intervista con Alessandro Sallusti, al netto delle balle, possono stupire tutti, fuorché i lettori del Fatto. Che dalle nostre cronache hanno potuto seguire passo passo, non fuori tempo massimo, la sistematica demolizione di tutti i pm non allineati al sistema per mano delle cosche correntizie e dei loro mandanti politico-istituzionali: Scarpinato, Ingroia, Di Matteo, De Magistris, Nuzzi, Apicella, Verasani, Forleo, Woodcock, Robledo, De Pasquale, Esposito e altri, fino alla defenestrazione di Davigo dal Csm. È la stessa logica delinquenziale che in questi giorni orienta la congiura per cacciare Conte e riconsegnare il Paese ai soliti ladri con la benedizione dei loro giornaloni. La magistratura di Mani Pulite e della Primavera di Palermo è diventata un’altra cosa: non più l’istituzione sana rappresentata dai Borrelli, i Caselli, i D’Ambrosio, i Maddalena, i Guariniello che oscuravano poche mele marce; ma un’entità indistinta dominata da burocrati, carrieristi, correntisti, menefreghisti, in cui si annidano pochi magistrati che si ostinano a compiere il proprio dovere a proprio rischio e pericolo. Le indagini non fatte o mal fatte superano di gran lunga quelle svolte a regola d’arte, molte sentenze sembrano terni al lotto e la giustizia – con le dovute eccezioni – si riduce a gratta e vinci. Le “riforme” e i “moniti” finalizzati a non disturbare i manovratori, sono riusciti là dove la guerra di B. aveva fallito: a “mettere in ginocchio i magistrati” (Davigo dixit) come negli anni 50, 60 e 70, quando la giustizia era forte coi deboli e debole coi forti.
Oggi è prevista la sentenza del processo a Chiara Appendino, una delle sindache più oneste e perbene mai viste. Risponde di omicidio e lesioni colpose per la tragedia di piazza San Carlo del 3 giugno 2017, quando – durante la proiezione sul maxischermo della finale di Champions Juventus-Real Madrid – due donne morirono e 1500 persone furono ferite nel fuggifuggi scatenato da una banda di rapinatori armati di spray al peperoncino, scambiati per terroristi bombaroli. La più classica delle disgrazie imprevedibili e inevitabili, come può testimoniare il sottoscritto, che accorse in piazza a recuperare sua figlia ferita. Molti dei feriti, fra cui lei, erano caduti nella calca su un tappeto di vetri rotti, cioè di bottiglie di birra che incredibilmente la polizia aveva consentito venissero vendute da abusivi nella zona transennata. Soltanto in seguito si scoprì la banda dello spray urticante che aveva scatenato il panico, i cui membri sono già stati condannati per omicidio preterintenzionale. Resta da capire che senso abbia ormai il processo alla sindaca.
E che avrebbe potuto fare la Appendino per evitare l’accaduto se non, col senno di poi, vietare la manifestazione? Cosa che ovviamente non le venne in mente di fare, non potendo prevedere l’imprevedibile. La stessa piazza era stata concessa ai tifosi l’anno prima per la finale Juve-Barcellona dall’allora sindaco Piero Fassino pochi mesi dopo le stragi Isis a Parigi, e con gli stessi protocolli di sicurezza. Eppure oggi l’Appendino rischia 1 anno e 8 mesi (tanti ne ha chiesti il pm), che andrebbero ad aggiungersi ai 6 mesi per falso rimediati a ottobre in un altro processo kafkiano: quello sul “caso Ream”. Breve riepilogo: nel 2012 la giunta Fassino contrae uno strano debito con la società Ream, che versa al Comune una caparra di 5 milioni per avere il diritto di prelazione su un’area destinata a centro congressi. Nel 2013 il progetto viene aggiudicato a un’altra società, anche perché incredibilmente Ream ha versato la caparra senza partecipare alla gara. E i 5 milioni vanno restituiti. Ma la giunta Fassino non paga. E, ai solleciti di Ream, risponde che ridarà i soldi solo quando il vincitore della gara avrà la concessione e il Tar avrà sentenziato sul ricorso di una ditta esclusa. Nel 2016 arriva la Appendino e, trovando le casse vuote, tratta con Ream per rinviare la restituzione dei 5 milioni, che intanto restano fuori bilancio, tantopiù che l’affare è sempre fermo al Tar. Ma i capigruppo di opposizione, il leghista Morano e il pd Lorusso (compagno di chi ha contratto e non saldato il debito), la denunciano.
L’Appendino viene indagata per due abusi e due falsi (sui bilanci 2016 e 2017), ma rivendica la scelta, stanti le trattative con Ream per rinviare il pagamento: tant’è che poi ottiene di effettuarlo nel 2018 e iscrive il debito nel bilancio di quell’anno, col via libera della Corte dei Conti. La Procura però, malgrado il centro congressi sia rimasto bloccato al Tar fino all’autunno 2020, sostiene che l’aggiudicazione si fosse perfezionata già quattro anni prima, dunque la caparra andasse iscritta a bilancio e restituita nel 2016. Alla fine il gup, con rito abbreviato, condanna la sindaca, sia pure solo per il falso del 2016: 6 mesi per aver favorito il suo Comune iscrivendo un debito atipico nel bilancio 2018 anziché 2016. Nelle motivazioni, a tratti esilaranti, si legge che il dolo che fa dell’errore un reato è dimostrato anche dagli esposti di Lorusso e Morano (nel frattempo condannato in appello a 2 anni e 4 mesi per induzione indebita): cioè degli oppositori della sindaca. L’altroieri, con comodo, la Procura ha indagato Fassino per turbativa d’asta sulla folle caparra del 2012. Tanto è tutto prescritto. A questo punto, spiace dirlo, ma è sempre più arduo distinguere la giustizia dalla burla.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/27/giustizia-gratta-e-vinci/6079517/