Visualizzazione post con etichetta Bergamo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Bergamo. Mostra tutti i post

giovedì 2 marzo 2023

Inchiesta sul Covid in Bergamasca, indagati Conte e Speranza. - Francesca Brunati e Igor Greganti

 

A tre anni di distanza dallo scoppio della pandemia di Covid che, tra febbraio e aprile 2020, ha straziato la Bergamasca con oltre 6 mila morti in più rispetto alla media dell'anno precedente, è stata chiusa l'inchiesta per epidemia colposa con 19 indagati tra cui l'ex premier Giuseppe Conte, l'ex ministro della Salute Roberto Speranza, il Governatore della Lombardia Attilio Fontana e l'ex assessore della sanità lombardo Giulio Gallera.

Il procuratore aggiunto di Bergamo Cristina Rota con i pm Silvia Marchina e Paolo Mandurino, sotto la super visione del Procuratore Antonio Chiappani, hanno tirato le somme di una indagine con cui si è cercato di far luce e individuare le responsabilità di quella tragedia che ha lasciato una profonda ferita, e di cui è ancora vivo il ricordo delle lunghe file di camion dell'esercito con sopra le bare delle vittime da trasportare fuori regione per essere cremate.

 "E' vergognoso che una persona che è stata sentita a inizio indagine come persona a conoscenza dei fatti scopra dai giornali di essere stato trasformato in indagato.

E' una vergogna sulla quale non so se qualche magistrato di questo Paese ritiene di indagare. Sicuramente non succederà niente", afferma a Radio Anch'io il governatore Attilio Fontana. "Anche in altri processi in cui sono stato assolto - aggiunge - ho saputo dai giornali cose che non sapevo".

"Anticipo subito la mia massima disponibilità e collaborazione con la magistratura - ha commentato l'ex presidente del Consiglio e ora a capo del M5, Conte -. Sono tranquillo di fronte al paese e ai cittadini italiani per aver operato con il massimo impegno e con pieno senso di responsabilità durante uno dei momenti più duri vissuti dalla nostra Repubblica".

Tra i destinatari dei 17 avvisi di conclusione delle indagini, che saranno notificati giovedì, e nei quali sono contestati a vario titolo i reati di epidemia colposa aggravata, omicidio colposo plurimo, rifiuto di atti di ufficio e anche falso ci sono anche il presidente dell'Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro, il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli, il coordinatore dell'allora Comitato Scientifico Agostino Miozzo, l'ex capo della protezione civile Angelo Borrelli e tra i tecnici del ministero della salute l'ex dirigente Francesco Maraglino. Riguardo invece a Conte e Speranza gli atti dovranno essere trasmessi al Tribunale dei Ministri.

L'inchiesta, che già contava alcuni indagati come i vertici dell'Ats di Bergamo e dirigenti dell'assessorato regionale alla sanità, come scrive in una nota il Procuratore Chiappani, "sono state articolate, complesse e consistite nell'analisi di una rilevante mole di documenti" informatici o cartacei "nonché di migliaia di mail e di chat telefoniche in uso ai soggetti interessati dall'attività investigativa, oltre che nell'audizione di centinaia di persone informate sui fatti". Un'attività che ha consentito di ricostruire i fatti a partire dal 5 gennaio 2020, quando l'Oms aveva lanciato l'allarme globale a tutti i paesi e che si è avvalsa di una maxi consulenza firmata da Andrea Crisanti, microbiologo dell'Università di Padova e ora senatore del Pd. Gli accertamenti hanno riguardato tre livelli, uno strettamente locale, uno regionale e il terzo nazionale con le audizioni a Roma di Conte, Speranza i veri tecnici e anche l'ex ministro dell'Interno Luciana Lamorgese.

Nel mirino degli inquirenti e degli investigatori della Guardia di Finanza sono finiti non solo i morti nelle Rsa della Val Seriana e il caso dell'ospedale di Alzano chiuso e riaperto nel giro di poche ore, ma soprattutto la mancata istituzione di una zona rossa uguale a quella disposta nel Lodigiano e i mancati aggiornamento del piano pandemico, fermo al 2006, e l'applicazione di quello esistente anche se datato e che comunque, stando agli elementi raccolti, avrebbe potuto contenere la trasmissione del Covid. Riguardo alle omissioni, come ha sottolineato Crisanti nella sua consulenza in base a un modello matematico, se fosse stata istituita la zona rossa in Val Seriana, al 27 febbraio i morti sarebbero stati 4.148 in meno e al 3 marzo 2.659 in meno.

Mentre Speranza in una nota ha affermato di aver "sempre pensato che chiunque abbia avuto responsabilità nella gestione della pandemia debba essere pronto a renderne conto", aggiungendo di essere "molto sereno e sicuro di aver sempre agito con disciplina ed onore nell'esclusivo interesse del Paese", i parenti delle vittime hanno commentato: "Da oggi si riscrive la storia della strage bergamasca e lombarda, la storia delle nostre famiglie, delle responsabilità che hanno portato alle nostre perdite. La storia di un'Italia che ha dimenticato quanto accaduto nella primavera 2020, non a causa del Covid19, ma per delle precise decisioni o mancate decisioni".

"Non avevamo il minimo segnale di partecipare al 'banchetto' degli indagati. Fontana era stato sentito come persona informata sui fatti e da allora silenzio assoluto", commenta l'avvocato Jacopo Pensa, legale del governatore Fontana, alla chiusura dell'inchiesta della Procura di Bergamo sulla gestione della pandemia di Covid. "Apprendiamo prima dai media e senza alcuna notifica formale di essere tra gli indagati". E ancora: "Prendiamo atto - spiega il difensore - che la Procura di Bergamo ha sottolineato che la conclusione delle indagini non è un atto di accusa. Vedremo, vedremo. Non è neanche un atto di difesa".

https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2023/03/01/inchiesta-sul-covid-in-bergamasca-indagati-conte-e-speranza-_a4b4144c-6bb8-4f48-a958-0836ec185bbe.html

sabato 2 maggio 2020

Bergamo, azienda edile con 270 dipendenti e 8 milioni di fatturato. Ma non pagava le tasse.

Bergamo, azienda edile con 270 dipendenti e 8 milioni di fatturato. Ma non pagava le tasse

Ordinanza di custodia cautelare per due imprenditori. Un terzo ai domiciliari. Sequestrati beni per 2,3 milioni di euro

Gestivano un'impresa edile con oltre 270 dipendenti e 8 milioni di fatturato, ma evadevano il fisco. Per questo il gip di Bergamo ha chiesto l'arresto di due persone, una già in carcere, l'altra ricercata, e gli arresti domiciliari per una terza. Il magistrato ha anche disposto il sequestro di beni e disponibilità finanziarie per oltre 2,3 milioni di euro.

Le indagini, condotte dai finanzieri della Tenenza di Sarnico (Bergamo) si sono concentrate "su una società, con sede dichiarata a Telgate (Bergamo), attiva nel settore edile, che ha operato con oltre 270 dipendenti in diversi cantieri tra la Lombardia, il Veneto, il Trentino Alto Adige, la Liguria e l'Emilia Romagna e che, nonostante un fatturato di oltre 8 milioni di euro, non ha presentato le dichiarazioni fiscali e sarebbe stata "tenuta in vita due anni per poi essere messa in liquidazione".


L'attività investigativa ha permesso, inoltre, di identificare i reali amministratori della società, un sessantaseienne di origini bresciane e un quarantanovenne albanese, entrambi residenti in provincia di Brescia, gravati da diversi precedenti anche per reati fiscali e già in passato arrestati. Dovrà invece scontare gli arresti domiciliari il liquidatore della società, un sessantunenne sempre bresciano. Anche i prestanome, succedutisi nel tempo nella formale amministrazione dell'azienda, sono stati indagati: si tratta di tre uomini, uno originario della provincia di Brescia, uno della provincia di Napoli ed uno di quella di Como, tutti con precedenti.

A fronte del volume d'affari realizzato e non dichiarato negli anni 2017 e 2018, la società avrebbe dovuto versare all'Erario 2,3 milioni di euro tra Iva e imposte dirette ed ulteriori 1,6 milioni di euro a titolo di ritenute fiscali, contributi previdenziali ed assistenziali a favore dei propri dipendenti. Ma nulla è stato versato nella casse dello Stato, attraverso indebite compensazioni per crediti inesistenti, finte erogazioni del "bonus Renzi" ovvero inesistenti crediti d'imposta riconducibili all'incremento della base occupazionale.


https://milano.repubblica.it/cronaca/2020/04/30/news/bergamo_azienda_edile_con_270_dipendenti_e_8_milioni_di_fatturato_evadeva_il_fisco-255264531/?fbclid=IwAR1H65ytgbq68Ge3FQXTMmGUUGsp-y4if1r09m5NlaQaZwstAfSKz78gcps

mercoledì 8 aprile 2020

Coronavirus, Gallera ammette: “Mancata zona rossa nella Bergamasca? Effettivamente una legge che consente alla Regione di farla c’è”. - Alberto Marzocchi

Coronavirus, Gallera ammette: “Mancata zona rossa nella Bergamasca? Effettivamente una legge che consente alla Regione di farla c’è”

Nello scambio di accuse tra Regione Lombardia e governo su chi dovesse adottare misure più stringenti tra Nembro e Alzano Lombardo, arriva l'ammissione dell'assessore al Welfare della Lega. Che però rispedisce la palla dall'altra parte: "Avremmo potuto farla noi? Sì, può essere. Ci aspettavamo che intervenisse l'esecutivo".
La legge lo consentiva e – ancora – lo consente. “Ho approfondito ed effettivamente la legge c’è“. Dopo più di una settimana di scarica barile tra Regione Lombardia e governo su chi avesse la responsabilità di istituire la zona rossa un mese fa tra Nembro e Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo, l’assessore al Welfare, Giulio Gallera, ammette che la sua giunta aveva gli strumenti necessari per agire. Tuttavia, intervistato ad Agorà su Rai3, tiene a precisare: “Quando in Valle Seriana erano arrivate le camionette dell’esercito, il 5 marzo, eravamo convinti che” la zona rossa “sarebbe arrivata” e per questo “non avrebbe avuto senso, per noi, fare un’ordinanza”.
Ieri sera c’è stato uno scambio di vedute, a distanza, tra il presidente della Regione, Attilio Fontana, e il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. “Non avevamo modo di intervenire dal punto di vista giuridico dopo il Dpcm dell’8 marzo“, sono state le parole del governatore leghista. Che però si è lasciato andare a un “ammesso che ci sia una colpa, è di entrambi“. La spiegazione data dal capo del governo, invece, è che “ci stavamo orientando a misure più rigorose per la Lombardia, una cintura rossa che coinvolgesse l’intera area”.
In Bergamasca, tra il 6 e il 7 di marzo, tutti si aspettano l’isolamento toccato due settimane prima ai dieci comuni del Lodigiano e a Vo’ Euganeo. A Verdellino si riuniscono decine e decine di carabinieri, pronti a entrare in azione. La statale della Valle Seriana è percorsa dall’esercito, mentre la polizia locale di Nembro riceve le telefonate dall’Arma per le dovute informazioni su strada da sigillare, checkpoint e valichi. “Eravamo in collegamento telefonico con il professor Silvio Brusaferro“, continua Gallera, “che mi diceva che avevano fatto la richiesta formale per l’istituzione della zona rossa”. Il riferimento dell’assessore è alle due note tecniche inviate al governo dall’Istituto superiore di sanità, che fa parte del Comitato tecnico-scientifico, il 3 e il 5 di marzo. “Avremmo potuto farla noi? Può essere, sì, ma ci aspettavamo che intervenisse l’esecutivo”.
Da settimane Gallera va ripetendo che la decisione del governo non è mai arrivata (lo ha fatto, per esempio, il 19 marzo a Sono le Venti intervistato da Peter Gomez). E anche stamattina, in un’intervista a La Stampa, ha parlato di “cerino in mano”, aggiungendo che “se ci avessero detto subito che non la volevano fare, ci saremmo mossi diversamente“. Sulla questione si è espresso anche il sindaco di Nembro, Claudio Cancelli: “Credo che i cittadini siano sconcertati dal continuo rimpallo di responsabilità tra Regione e governo, che dovrebbero entrambi garantire la sicurezza della nostra salute. Secondo me, dovevano intervenire entrambi”. Nel decreto-legge n.6 del 23 febbraio il governo ha messo nero su bianco, all’articolo 1, le leggi che consentono alle “autorità locali competenti”, cioè sindaci e presidenti di Regione, di adottare le misure che ritengono più opportune, in materia di emergenza sanitaria e igiene pubblica, per fronteggiare la diffusione del Covid-19. Insomma, gli strumenti normativi c’erano. Ora lo ammette anche la Regione. Come sono andate le cose, al di là di ciò, è sotto gli occhi di tutti.

sabato 12 agosto 2017

I fattacci del Gargano e della provincia di Bergamo.


http://www.corriere.it/cronache/17_agosto_11/agguato-foggia-niente-funerali-pubblici-il-boss-cognato-7bf69732-7e70-11e7-9e20-fd5bf758afd2.shtml?refresh_ce-cp

Che dire dei fattacci verificatisi nel Gargano e presso Bergamo?
A quanto pare, gli unici a poter fare tutto ciò che vogliono senza che nessuno li disturbi, sono i delinquenti. In Italia vige la legge degli "intoccabili". Si ammazzano tra di loro, fanno affari sporchi, incutono il terrore.
E tutto questo in piena libertà.
Alcuni le chiamano cosche mafiose, altri clan organizzati, ma sempre di delinquenti fuori legge si tratta.


La mafia ha figliato, ha creato i nuovi mostri.
Anche la politica ha figliato, ha creato i nuovi corrotti.


Chi comanda? 

Naturalmente i mostri coadiuvati dai corrotti.

Sparatoria in stile messicano (video) Coinvolto anche un comasco
http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/2005/04/22/Cronaca/DROGA-BOLOGNA-SANGUINOSA-FAIDA-TRA-BANDE-DI-PUSHER-BLOCCATA-DA-POLIZIA-4_141156.php

mercoledì 25 giugno 2014

Yara Gambirasio, il furgone di Bossetti filmato vicino a casa della vittima. - Davide Milosa


Ora agli atti dell’inchiesta sull'uomo accusato dalla procura di Bergamo di essere l’assassino della tredicenne spunta una ripresa in cui si vede il furgone del 44enne muratore di Mapello nelle strade attorno a via Rampinelli, dove abita la famiglia della ginnasta. Ora non c'è solo la prova del Dna.
Non c’è più solo la prova del Dna. Ora agli atti dell’inchiesta su Massimo Giuseppe Bossettiaccusato dalla procura di Bergamo di essere l’assassino di Yara, spunta un filmato che riprende il furgone del 44enne muratore di Mapello nelle strade attorno a via Rampinelli, proprio dove abita la famiglia Gambirasio. Di più: il filmato porta la data del 26 novembre 2010, esattamente il giorno in cui la 13enne scompare dopo essere uscita dalla palestra di Brembate Sopra. La conferma dell’esistenza di questo documento arriva direttamente dai militari del Ros, i quali, dopo il fermo di Bossetti, hanno iniziato ad analizzare tutti i dati sensibili che ruotano attorno al 26 novembre. Tra i tanti sono stati rivisti, fotogramma per fotogramma, i filmati delle telecamere. Un lavoro fatto già nelle settimane successive alla scomparsa della 13enne.
Ma se all’epoca lo screening fu condotto al buio e senza il minimo elemento, oggi tutti questi dati vengono riletti con davanti l’identità di Ignoto 1, il cui Dna è stato individuato su slip e leggings del cadavere di Yara ritrovato il 26 febbraio 2011 in un campo di Chignolo d’Isola. Il lavoro a ritroso degli investigatori è a una svolta. Il dato oggettivo di questo filmato sembra poter confutare la versione data da Giuseppe Bossetti durante l’interrogatorio di garanzia davanti al giudice Ezia Maccora che, il 19 giugno scorso, ha emesso nei suoi confronti un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. In quel verbale il muratore di Mapello ha raccontato che, nel novembre 2010, lavorava in un cantiere di Palazzago e per tornare nella sua villetta di Mapello passava nella zona della palestra.
Non a caso il 26 novembre il suo cellulare aggancia la cella di Brembate alle 17,45. In quell’orario Bossetti fa una chiamata, dopodiché il telefono non produce traffico fino alle 7,35 del 27 novembre. A questo punto, l’indagato oltre a spiegare perché il suo Dna è finito sul corpo di Yara, dovrà motivare quel passaggio in via Rampinelli in orario compatibile con la scomparsa della 13enne. I dubbi si riducono. Le domande anche. Certo ancora bisogna capire se Yara salì volontariamente sul mezzo del suo assassinoEsclusa l’ipotesi di un sequestro davanti alla palestra che a quell’ora (erano le 18,40) è affollata di gente, lo scenario potrebbe spostarsi qualche centinaio di metri più in là, proprio nella zona di via Rampinelli. Sul punto va ricordata la rivelazione fatta da Enrico Tironi, il vicino di casa di Yara, a poche ore dalla scomparsa della ragazza. Il testimone raccontò che quella sera la vide in compagnia di due uomini. Per quelle parole Tironi fu incriminato per procurato allarme. Ma il racconto coincide, in parte, anche con quello fatto da una colf che si trovava in zona.
L’inchiesta è ora in una fase decisiva. In mano gli investigatori, oltre al Dna e al filmato, hanno un’altra certezza: Bossetti conosceva bene la zona di Chignolo d’Isola. Una conferma arrivata dalla ditta Bonacina dove il muratore andava a rifornirsi di materiale edile. I titolari, sentiti nei giorni scorsi dai carabinieri, confermano che Bossetti dal 2008 al 2013 si è servito da loro e andava sempre con il furgone Iveco Daily, lo stesso ripreso dalle telecamere della banca nella zona di via Rampinelli. La ditta Bonacina, poi, si trova a 500 metri dal bar pizzeria di via Donizetti dove l’indagato comprava la birra. A un chilometro in linea d’aria c’è il campo dove è stato individuato il corpo di Yara. Da ieri, intanto, alla difesa di Bossetti si è aggiunto un altro legale. E mentre la procura sta ragionando se chiedere o meno il giudizio immediato, il pm Letizia Ruggeri nei prossimi giorni sentirà Ester Arzuffi, la mamma di Ignoto 1, identificata il 13 giugno scorso e subito messa sotto intercettazione.
Leggi anche:

venerdì 2 novembre 2012

Sul campo da tennis anziché in corsia, medico dirigente denunciato a Bergamo.



Roma - (Adnkronos) - E' stato filmato dai finanzieri ad 'operare' sulla terra rossa, tra racchette e palle da tennis in orario di servizio. Ora dovrà rispondere di falso e truffa aggravata ai danni dello Stato.
Roma, 2 nov. (Adnkronos) - Ufficialmente risultava in servizio, ma i malati, invece di andare in ospedale, avrebbero potuto trovarlo sul campo da tennis. A scoprirlo è stata la Gdf di Bergamo. Il dirigente medico, allontanatosi dal reparto ed indossati i vestiti da gioco, è stato filmato dai finanzieri ad 'operare' sulla terra rossa, tra racchette e palle da tennis. Ora dovrà rispondere di falso e truffa aggravata ai danni dello Stato.
Il dirigente, informa il comando provinciale della Gdf, si assentava dal luogo di lavoro per decine di ore, attestando falsamente, a posteriori, la presenza sul luogo di lavoro utilizzando le indicazioni e le timbrature manuali, invece del badge elettronico, difficilmente alterabile. Tra le attività che svolgeva in quelle ore, anche quella del gioco del tennis in un centro sportivo di Bergamo.
Il dirigente dovrà rispondere dei reati di falso, truffa aggravata ai danni di un ente pubblico e false attestazioni e certificazioni. E' stata anche inviata una segnalazione per danno erariale alla Procura Regionale presso la sezione giurisdizionale per la Lombardia della Corte dei Conti. Verrà inoltre informata la struttura sanitaria che ha il dirigente alle proprie dipendenze.

http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/Sul-campo-da-tennis-anziche-in-corsia-medico-dirigente-denunciato-a-Bergamo_313853385892.html

martedì 16 ottobre 2012

Tangenti, indagato dirigente Cdo. Nel mirino delibera voluta da Formigoni.


Corruzione, indagati dirigenti Cdo Nel mirino delibera di Formigoni 

Perquisizioni a carico del presidente bergamasco della Compagnia delle opere Rossano Breno e dell'ex vicepresidente Luigi Brambilla. Al centro la vicenda che ha già portato in carcere l'ex assessore regionale lombardo Nicoli Cristiani: una discarica di amianto, sbloccata da un provvedimento proposto dal presidente.

La Guardia di finanza ha perquisito gli uffici di due società e quelli personali di Rossano Breno e Luigi Brambilla, rispettivamente presidente ed ex vicepresidente della Compagnia delle Opere di Bergamo. I due sono indagati per il reato di corruzione nell’ambito dell’inchiesta sul caso di Franco Nicoli Cristiani, il vicepresidente del Consiglio lombardo scarcerato a febbraio dopo 86 giorni a San Vittore, arrestato con l’accusa di corruzione. E l’attenzione degli investigatori si concentra su una discussa delibera proposta dal presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni
Secondo gli inquirenti, Nicoli Cristiani avrebbe intascato una tangente da 100mila euro dalle mani del funzionario Arpa Giuseppe Rotondaro, tramite dell’imprenditore Pier Luca Locatelli, per accelerare l’iter di trasformazione di una discarica nel cremonese e precisamente nella zona di Cappella Cantone. Per realizzare la discarica di amianto sarebbe stato necessario un atto della Regione Lombardia. Atto che il 20 aprile del 2011 sarebbe poi arrivato: si tratta di una delibera di Giunta proposta dal governatore Roberto Formigoni, la numero 1594, che autorizzava la trasformazione della cava di Cappella Cantone in un sito di stoccaggio dell’amianto. Questo nonostante l’opposizione della Provincia di Cremona e i diversi orientamenti della normativa regionale in materia ambientale. La delibera inoltre, in base ai primi accertamenti, non risulta pubblicata sul bollettino ufficiale della Regione. 
Breno e Brambilla, scrivono i pm, si sarebbero mossi “affinché gli amministratori della Regione Lombardia, con cui erano in contatto, favorissero, con atti contrari ai doveri d’ufficio, gli interessi imprenditoriali di Pierluca Locatelli”. L’attività d’indagine sui due esponenti della Cdo, svolta su delega del procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dei sostituti procuratori Paolo Filippini e Antonio D’Alessio, è legata al rilascio dell’autorizzazione regionale per l’apertura della discarica per lo stoccaggio dell’amianto. Gli indagati avrebbero utilizzato gli uffici delle proprie società “per stringere gli accordi criminosi con un imprenditore locale e per formare documentazione idonea a giustificare i pagamenti corruttivi”. Il ruolo della Compagnia delle opere nell’affare era già emerso nelle carte dell’arresto di Nicoli Cristiani
I due avrebbero chiesto come contropartita anche la realizzazione di una scuola di Comunione e liberazione che si trova in provincia di Bergamo. I lavori sarebbero stati realizzati gratis da Locatelli, il quale in un verbale di interrogatorio davanti ai pm, parla della cerimonia inaugurale della scuola, avvenuta alla presenza di autorità civili e religiose.