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lunedì 15 novembre 2021

Nobili e il falso dossier per colpire “Report”. Con dati bancari veri. - Alessandro Mantovani


ALITALIA-PIAGGIO - C’erano copie di un estratto conto nei documenti contro la trasmissione, rifiutati da vari giornalisti e poi di fatto trasfusi nei video, nelle interviste e in un’interrogazione parlamentare del renzianissimo deputato romano sulla trasmissione di Sigfrido Ranucci.

Non chiamatelo “dossier Nobili” se no si offende. “Ma quale dossier? Non ho visto nessun dossier, nessun estratto conto”, giura Luciano Nobili. Ma insomma, c’erano copie di un estratto conto nel dossier contro Report, rifiutato da vari giornalisti e poi di fatto trasfuso nei video, nelle interviste e in un’interrogazione parlamentare del renzianissimo deputato romano sulla trasmissione di Sigfrido Ranucci. Erano i movimenti bancari di un ex manager di Piaggio Aerospace, sospettato di aver informato Report sulla presa di controllo di quell’azienda strategica, in epoca renziana, da parte degli Emirati Arabi Uniti. Non erano in un fascicolo giudiziario, come quelli di Matteo Renzi e di migliaia di indagati. Non era facile procurarseli legalmente. Magari provenivano da uomini d’apparato, investigatori privati, hacker. “Quel dossier me lo fece vedere un collega”, racconta Franco Bechis, direttore del Tempo. “Dissi al collega che noi non potevamo esibire come prova un documento come la distinta bancaria che, perfino, con rogatoria giudiziaria si sarebbe faticato ad avere”, ha scritto sul suo blog. Lo cestinò. Ora aggiunge: “Potevano accusarci di ricettazione”. Anche Augusto Minzolini, oggi direttore del Giornale, non utilizzò quelle carte.

Nella prima parte del dossier c’erano le supposte mail tra Ranucci e Rocco Casalino, allora con Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, per concordare l’uscita del servizio su Alitalia e Piaggio, a fine novembre 2020, durante la crisi di governo. In quei mesi Report si occupava anche del Vaticano e di Cecilia Marogna, che coinvolgeva pezzi dei Servizi. Il 2 febbraio, dopo le dimissioni di Conte, Valerio Valentini sul Foglio e Bechis e Minzolini sui loro giornali accennano al carteggio, senza nominare Ranucci (“un conduttore Rai”) e almeno Bechis, ipotizzando che sia un falso, per dare conto dei veleni attorno ai negoziati sul nuovo governo. Casalino e Ranucci smentiscono le mail, nessuno le mostra. Mario Draghi giura il 14 febbraio.

La seconda parte del dossier arriva ad aprile, dopo che Report ha mandato in onda l’ex leghista “gelliano” Gianmario Ferramonti che parla di Maria Elena Boschi, la quale però nega i contatti. A Bechis la porta sempre il collega: c’era, scrive il direttore del Tempo, “una distinta di liquidazione Rai per 45 mila euro a una società (…) e un estratto conto di banca lussemburghese di una persona fisica che (…) secondo il collega sarebbe stata intervistata da Report con volto oscurato e voce distorta”. La tesi era che la Rai avesse pagato, con oggetto “Alitalia/Piaggio”, la Tarantula Luxembourg, società di produzione, che poi avrebbe girato i soldi a Francesco Maria Tuccillo, l’ex manager contrario agli Emirati in Aerospace.

Per Bechis è una “polpetta avvelenata”. Neppure Minzolini pubblica. La notizia esce solo il 3 maggio, all’indomani del servizio di Report sull’incontro all’autogrill tra Renzi e il dirigente dei Servizi Marco Mancini, poi pensionato. La tira fuori Nobili: “Voglio sapere se la Rai abbia o meno pagato una fattura alla società lussemburghese Tarantula e, se sì, perché ha pagato questa fattura, in virtù di quale servizio? La società Tarantula ha collaborato alla realizzazione del servizio su Renzi su Alitalia, su Piaggio Aerospace?”. E presenta un’interrogazione parlamentare.

“Con Tuccillo abbiamo parlato, ma non ci ha detto nulla e non l’abbiamo mai mandato in onda coperto”, dice Ranucci. “La fattura non esiste”, fa sapere Report. “I renziani hanno ricevuto e portato in Parlamento un dossier falso”, scrive Marco Travaglio nel libro I segreti del Conticidio (Paper First) uscito a fine maggio. Nobili replica a Report: “Anche noi abbiamo i nostri informatori”. L’interrogazione è rivolta al ministero dell’Economia, azionista Rai, ma viene bloccata alla Camera; il renziano Michele Anzaldi cortesemente rifiuta di portarla in Vigilanza Rai: “Sono eletto a Roma, è stato un atto di coraggio”, rivendica, alludendo al peso politico di Nobili. Viene ammessa solo il 27 ottobre. Ripulita. Non ci sono più i 45 mila euro e non c’è più il riferimento ai “rapporti economici fra la società lussemburghese e il dottor Francesco Maria Tuccillo”, di cui si poteva sapere solo in base all’estratto conto del dossier. Resta però Tuccillo, di cui Nobili non dovrebbe nemmeno conoscere il nome. “Lo sapevamo in tre in redazione”, dicono a Report. E chissà poi se il Mef potrà rispondere sui rapporti tra Report e una presunta fonte, coperti dal segreto professionale.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/15/nobili-e-il-falso-dossier-per-colpire-report-con-dati-bancari-veri/6392221/

giovedì 24 dicembre 2020

La vera storia dell’intervista del Fatto ad Alfredo Romeo: le sue risposte, perché non le avevamo pubblicate e perché le pubblichiamo. - Marco Lillo

 

Ecco la ricostruzione integrale dei fatti (che non è quella che riporta il direttore del "Riformista").

Questo è il testo dell’intervista risultante dalle domande scritte da me e dalle risposte inviate al Fatto da Alfredo Romeo ieri alle 13 e 45 mediante la consulente di pubbliche relazioni Monica Macchioni, che ha seguito con professionalità per suo conto l’intervista con il Fatto, dal primo incontro che si è tenuto nella sede della società di Romeo il 9 dicembre alle 15 per stabilire le “regole di ingaggio” dell’intervista.

Romeo in quella sede ha chiesto domande scritte per risposte scritte. Questo è quel che è successo dopo.

Il Fatto Quotidiano ha inviato una lunga serie di domande scritte per un totale di 10mila battute circa il 13 dicembre e ha ricevuto il 18 dicembre una prima versione lunghissima di risposte da parte di Romeo che ha portato in tutto a 23mila e 500 battute. Il Fatto ha fatto presente a Monica Macchioni i due problemi del testo: troppo lungo (non solo per “colpa” di Romeo) ma soprattutto contenente espressioni potenzialmente diffamatorie per vari soggetti, dal gip Gaspare Sturzo ai pm di Roma all’ex ad di Consip Luigi Marroni. Il Fatto ha inviato a Romeo, tramite la dottoressa Macchioni, domenica scorsa, una versione tagliata a 10mila battute.

Questa nostra versione, manteneva le critiche ai magistrati e a Marroni ma non conteneva più le espressioni che insinuavano a nostro parere fatti e condotte non rispondenti al vero e/o potenzialmente diffamatorie.

La versione editata da me è stata rigettata da Romeo che ha inviato una controproposta della stessa lunghezza: 10mila battute.

Ieri, dopo essermi consultato con l’avvocato Caterina Malavenda, ho deciso di mia iniziativa e d’accordo con il direttore Marco Travaglio di non pubblicarla scrivendo a Romeo le ragioni in un messaggio su whatsapp che riportiamo integralmente di seguito.

Abbiamo deciso di pubblicare sull’edizione online oggi l’intervista inviata ieri da Romeo al Fatto Quotidiano solo per far comprendere ai nostri lettori che Il Fatto non ha compiuto un gesto di censura verso Alfredo Romeo ma solo un corretto esercizio del controllo giornalistico sui contenuti di un’intervista.

Qui sotto quindi leggerete la versione dell’intervista inviata per corrispondenza da Alfredo Romeo e seguita dal messaggio whatsapp inviato da me allo stesso Romeo per spiegare le ragioni della mancata pubblicazione.

Infine pubblichiamo più sotto ancora altre perplessità (tra le tante che abbiamo solo evocato senza dettagli nel messaggio whatsapp scritto a Romeo) sul testo inviatoci e del quale l’editore del Riformista pretendeva la pubblicazione sul nostro quotidiano.

IlFattoquotidiano.it in altri termini pubblica le risposte di Romeo alle nostre domande (che non ha pubblicato sull’edizione cartacea) non certo perché abbiamo cambiato idea. Né tantomeno per farle proprie. Tutt’altro. Siamo sempre più convinti della scelta di non aver pubblicato sul Fatto in edicola oggi questo testo.

Pubblichiamo qui le risposte, che per espressa richiesta dell’interessato non potevano essere modificate prima della pubblicazione, solo per permettere ai lettori di farsi un giudizio sul Fatto e su Alfredo Romeo.

Le risposte suddette quindi ricadono sotto l’esclusiva responsabilità di Romeo e non del nostro giornale che le pubblica perché le ritiene di manifesto interesse per due ragioni: per dovere di cronaca e per “diritto di difesa” della nostra reputazione.

Pubblichiamo le affermazioni di Romeo e del direttore Piero Sansonetti, retribuito per il suo lavoro da una sua società, perché da un lato Romeo è un personaggio pubblico già presidente di Ifma, l’associazione delle imprese della categoria facility management, nonché attualmente editore di un quotidiano nazionale che vanta illustri collaboratori come un ex presidente della Corte Costituzionale e un ex ministro. Insomma Romeo non è solo imputato in vari processi ma è un personaggio importante, in cordiali rapporti nella veste di editore con l’ex premier e segretario di Italia Viva Matteo Renzi.

Inoltre pubblichiamo le risposte di Romeo perché questa strana intervista per corrispondenza è l’oggetto di un’accusa grave al nostro giornale, avanzata pubblicamente dal direttore del quotidiano edito da Romeo. Il direttore de Il Riformista Piero Sansonetti ha ricostruito in modo fuorviante quanto accaduto intorno all’intervista e ha annunciato sul sito del giornale con un video di 7 minuti la pubblicazione domani di un articolo che ricostruirà la vicenda. Quindi pubblichiamo on line qui sotto l’intervista che avevamo deciso di non pubblicare sulla carta solo per far capire ai lettori di cosa stiamo parlando. Romeo, per esempio, nelle risposte da lui scritte e inviate che sotto pubblichiamo parla delle motivazioni del suo accusatore Marco Gasparri, dell’accanimento vessatorio del giudice per le indagini preliminari Sturzo, cui attribuisce di essersi vantato con Palamara di aver condotto il caso Consip in un certo modo, di congiure dei pm di Roma e di Napoli e della volontà dei pm di non interrogarlo (in questo caso Romeo non ricorda che nell’ultima udienza del suo processo proprio all’inizio di questo mese il pm Mario Palazzi gli ha ricordato la sua disponibilità a interrogarlo).

Tutte cose che Il Fatto non condivide ma che soprattutto non trovano riscontro nella realtà e talvolta sono smentite dalla lettura degli atti giudiziari. Come anche il preteso ruolo di Luigi Marroni di “garante” di presunte manovre in Consip come i pretesi rapporti tra lo stesso Marroni e Team Service o come la casa comprata da Gasparri o i rapporti di Tiziano Renzi con Omnia Servitia e tanti altri fatti che avrebbero richiesto un articolo per elencare le imprecisioni e le mezze falsità dette su vari soggetti da Romeo.

Per non dire delle licenze difensive di Romeo che fornisce risposte fuorvianti al Fatto quando afferma che in un’intercettazione si sentirebbero Luigi Marroni e il presidente della commissione di gara Fm4 in Consip affermare che Romeo non può vincere la gara, senza ricordare che l’intercettazione è successiva allo scandalo Consip per quella gara e non precedente. O quando definisce “congiure dei pm” le loro scelte investigative. O come quando afferma, senza uno straccio di prova, che i pm di Roma abbiano mutato il capo di imputazione contro di lui per “salvare Renzi” o “per colpire Renzi” e non per applicare correttamente le regole del codice e della competenza territoriale. O ancora quando Romeo sostiene che la calligrafia del biglietto con su scritto “30.000 per T.” non è sua ma non ricorda le perizie calligrafiche prodotte dai magistrati che lo accusano del contrario. Oppure, ancora, quando Romeo afferma che le gare in Consip erano chiuse quando parlava con Carlo Russo il 14 settembre del 2016 mentre invece le aggiudicazioni erano solo provvisorie e potevano ancora essere ribaltate dalla commissione di gara. O, infine, come quando afferma che il suo accusatore Gasparri compra case e aumenta il tenore di vita, citando con vaghezza affermazioni tutte da verificare dei suoi difensori come fossero sentenze o come quando afferma che è Il Fatto ad avere dato conto delle intercettazioni delle telefonate precedenti alla perquisizione di Gasparri da parte del Noe, senza spiegare che quelle telefonate Il Fatto non le ha mai pubblicate e non le ha mai viste ma ha solo rendicontato come le predette conversazioni intercettate sull’utenza di Gasparri sono state ricostruite in udienza dalla difesa di Romeo, che invece le conversazioni le ha copiate e ascoltate. Insomma, solo dopo aver precisato fino a sfinire il lettore che non solo non condividiamo le risposte di Romeo ma le consideriamo fuorvianti e smentite talvolta dagli atti, le pubblichiamo qui sotto.

Ecco il testo inviato al Fatto da Alfredo Romeo e del quale (a parte le domande) si assume solo lui la responsabilità.

***

L’intervista con risposte inviate da Alfredo Romeo
Abbiamo incontrato Alfredo Romeo nella sede della sua società, a due passi dal Parlamento, dove veniva nel 2016 Carlo Russo, l’amico del padre del premier di allora. Proprio qui secondo i pm, mentre parlava con Russo, Romeo avrebbe scritto il foglietto con l’offerta ’30mila euro per T.”, alias Tiziano Renzi. Romeo nega di averlo scritto. Tiziano dice che non ne sapeva nulla ma venerdì è arrivata per tutti e tre la richiesta di rinvio a giudizio per traffico di influenze e turbativa per le gare Consip da 2,7 miliardi e Grandi Stazioni da 50 milioni circa. A quattro anni esatti dall’avvio del caso Consip abbiamo chiesto un’intervista a Romeo che ha accettato a una condizione: domande e risposte scritte. Eccole.

I pm hanno chiesto il suo rinvio a giudizio con Russo e Tiziano Renzi per il caso Consip. Il Fatto ha scritto molte volte di un incontro tra voi tre a Firenze. Tiziano lo nega. Ci racconta come è andata davvero quel giorno in questo ‘barettino’, come lo chiama lei nelle intercettazioni? Parlaste di Consip?
Lei insiste con questo foglietto con la scritta “30.000 a T”. Allora: primo, la calligrafia non è mia; secondo, questo foglietto è stato trovato nella spazzatura a 200 metri dal mio ufficio; terzo, nel foglietto non si parla di soldi e non sono indicati nomi; quarto: il foglietto viene scritto, secondo gli investigatori, il 14 settembre 2016, quando le gare si erano già chiuse. Dunque l’ipotesi sarebbe questa: che io – avendo tutti i titoli per vincere le gare, visto che chiunque in Italia può confermarle che nel settore sono il numero uno – decido di dare 30 mila euro al mese a Tiziano Renzi per delle gare che sono già chiuse. Può darsi anche che io sia un po’ cretino, dottor Lillo, ma non così cretino, le sembra? C’è poi la testimonianza dell’amministratore delegato di Consip, Luigi Marroni. Sia in sede di interrogatorio dal Pm sia nelle intercettazioni: nessuno gli raccomandò Romeo, anzi, qualcuno, – il Presidente della Commissione -, gli disse che se avesse vinto Romeo sarebbe stato il finimondo. L’incontro col papà di Renzi lo ho avuto nel luglio del 2015. Ci siamo visti per dieci minuti al banco di un bar, senza neanche sederci. Abbiamo parlato solo del convegno che stavo organizzando con l’Osservatorio Risorsa Patrimonio, l’IFMA Italia ed il Sole24Ore sulla “Gestione delle città”. Al convegno interveniva anche Raffaele Cantone ed avrei avuto piacere che a concludere fosse il presidente del Consiglio. C’è un appunto di un mio collaboratore, che portai con me, sulla struttura del convegno, scritto il giorno prima dell’incontro. Tutto qui. Nessun mistero. Nessuna relazione con Consip. Del resto sono intercettato giorno e notte da dieci anni e da nessuna delle varie informative minuziosissime, che lei conosce bene, risulta che io abbia parlato di Consip con Tiziano Renzi. Per lo stesso convegno mi aveva chiamato in aprile anche una signora della Segreteria di Palazzo Chigi. Mi aveva dato assicurazioni ma non se ne fece niente.

E allora perché non ha mai raccontato l’incontro a nessuno?
Nessuno me lo ha mai chiesto. Su Renzi sono stati interrogati tutti tranne Romeo. Lei oggi me lo chiede. Io le rispondo. In tutti questi anni sono stato interrogato una sola volta, appena arrestato, dal Gip Gaspare Sturzo. Mi intimorì. Non mi fidai e mi avvalsi della facoltà di non rispondere. Feci bene. Sturzo si è accanito vessatoriamente contro di me in ogni occasione possibile, anche contro la richiesta di archiviazione della Procura. Non so se qualcuno gli aveva chiesto di accanirsi. Dalle “chat Palamara” che sono state pubblicate sembra che poi Sturzo si sia vantato di aver condotto il caso Consip in quel modo, e sembra addirittura che abbia chiesto un premio al Csm. Mah.

Lei ha incontrato recentemente Matteo Renzi qui. Sotto c’è la sede del Riformista e lei è accusato di avere proposto proprio qui a Russo 30 mila euro al mese per T.. Come spiega la disinvoltura del figlio Matteo che pranza qui con lei. Garantismo? Un segnale di vicinanza?
Sui 30 mila a T. le ho già risposto. Con Matteo Renzi ho parlato due sole volte, una quando era Presidente della Provincia di Firenze ed una quando venne a trovarmi un paio di mesi fa. Ho trovato naturale che fosse suo interesse incontrarmi con il direttore Piero Sansonetti nella mia qualità di editore de Il Riformista.

Lei è imputato per corruzione perché il funzionario Marco Gasparri ha confessato di avere ricevuto soldi da lei. La sua difesa in aula ha attaccato la spontaneità e l’attendibilità del Gasparri. Cosa non va per voi?
Qual è l’azienda più qualificata in Italia nel facility management? Chiunque le risponderà: la Romeo. La Romeo però non vince gare in Consip dal 2011. E l’imputato sono io. Perché? Perchè un certo Marco Gasparri, che era un funzionario Consip (che non aveva ruolo, funzioni e poteri per intervenire sulle gare), dice di avere avuto dei soldi da me. Quanti? 100 mila euro, dice nella sua prima deposizione-confessione. Poi scende. Forse solo 20 mila. Quando? boh. Dove? Boh. Dove sono finiti questi soldi? Boh. Gasparri concorda una piccola pena, viene licenziato e subito ottiene una collaborazione per lui ed il fratello dalla azienda che – grazie alla sua deposizione- subentra nella graduatoria della gara FM4 alla Romeo Gestioni per quasi 400 milioni di euro di valore. A quel punto il povero Gasparri incrementa decisamente il suo tenore di vita, compra case, frequenta costosi circoli, si trasferisce in villa con piscina in Portogallo, etc. sembra aver vinto al Totocalcio. Il suo giornale ha parlato di intercettazioni dalle quali risulta che il maggiore Scafarto avvertì Gasparri di una perquisizione in casa sua, dando il tempo a sua moglie di bonificare, e di altre intercettazioni dalle quali risulta che il suo avvocato, ancora da nominare, quando Scafarto perquisiva, sapeva tutto e seguiva dall’ufficio del Pm Woodcock, conoscendo già la data in cui Gasparri sarebbe stato sentito dal magistrato auto accusandosi e accusando me. Risulta poi che Gasparri sapeva di dover essere interrogato a Roma quando Roma ancora non indagava. Mi dica la verità: lei crederebbe mai a un testimone del genere? Tantopiù che in ore e ore di intercettazioni sui colloqui tra me e Gasparri, mai e poi mai si parla di soldi o di favori. Come possono condannarmi?. Qualche amico mi ha detto: “attento, ci sono molti giudici che, per amicizia o colleganza, si appiattiscono sulle posizioni della Procura”. Non credo proprio che sia il mio caso.

Comunque, almeno ammetterà di avere ecceduto nella ‘difesa’ offrendo cose che non doveva offrire a Russo e Gasparri?
Io non ho offerto niente a nessuno. Sono intercettato da 10 anni, le mie aziende sono state passate al setaccio più volte. Sono poche le aziende che sarebbero uscite linde da un assalto di questo genere. A Napoli sono imputato insieme ad altre 53 persone, per un vorticoso giro di tangenti che ammontano a quasi 800 euro. Non scherzo, dottor Lillo: 800 euro che diviso per 54 fa 14 euro e 81 centesimi a testa. A Roma sono imputato in vari processi, perché la magistratura ha preferito spezzettare il processo Consip in diversi rivoli. Per levare il processo a Napoli, salvare Renzi e tutelare Consip ero io lo strumento ed il capro espiatorio ideale. A tal fine i Pm romani hanno cambiato il mio capo di accusa da “corruzione per atto dovuto – art. 318 c.p.” (come avevano ipotizzato i pm di Napoli ) a “corruzione per atto improprio – 319 c.p.” acquisendone la competenza territoriale. Woodcock che voleva arrestare tutti è fuori dal gioco, Romeo è il parafulmine di tutto, si salva Tiziano Renzi, si salva la Consip e si insabbiano le manovre sulle grandi gare gestite dal renziano AD di Consip Marroni. Nessuno mi ha mai convocato per un interrogatorio. Se la Procura di Roma avesse indagato a fondo ne avrebbe scoperte delle belle ma non ha voluto farlo. Hanno deciso di accanirsi su di me per salvare Renzi. Lei non ci crede? Proprio così: sono vittima di due congiure contrapposte: la prima, napoletana, per colpire Renzi; la seconda, romana, per salvare Renzi. Io non ho corrotto nessuno. Ho fatto un’altra cosa: due esposti (nell’aprile e nel maggio 2016) alla Consip, all’Anac ed all’AGCM per denunciare, anche nell’interesse istituzionale dell’IFMA di cui ero Presidente, le pratiche anticoncorrenziali tollerate dalla stessa Consip. Non mi hanno ascoltato. Da anni i pm di due procure cercano indizi contro di me ma tutto porta dalla parte opposta. Io non c’entro con il cartello. Sto pagando la scelta di lavorare sempre da solo. Senza cordate. Senza protettori. Le indagini dimostrano la realtà: il Pd stava con le cooperative rosse, gli ex parlamentari Denis Verdini e Ignazio Abrignani stavano con Cofely, Russo e il papà di Renzi stavano con la Omnia Servitia, Gasparri e Marroni con la Team Service. L’Ad di Consip, il renziano Marroni, garantiva. I Pm però hanno intimorito e condizionato Consip, Tar, Consiglio di Stato e anche l’AGCM, che ha addirittura sanzionato la Romeo per fatti di cui era denunciataria e vittima pur avendo le prove della sua innocenza. Così hanno escluso Romeo da molte gare danneggiando in modo devastante la mia azienda.

Nel 2016 lei e il suo consulente Italo Bocchino dite che Carlo Russo vi fu inviato dall’ex amministratore della Consip Domenico Casalino. Lei sapeva che Casalino si vedeva con Russo e una volta – in un bar a Roma – con Russo e Tiziano Renzi?
Casalino mi chiese attraverso Bocchino di incontrare Russo sostenendo che era stato Luca Lotti a pregarlo di mandarlo da me. Fu lo stesso Casalino a farci sapere dopo che a suo giudizio Russo era un millantatore e che anche Lotti, successivamente, gli aveva detto di non stare ad ascoltarlo e … di stare attenti.

Lei ha incontrato con Russo a Roma il 4 marzo 2015 Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd. Poi Russo incontra Bonifazi a Firenze e nel settembre 2016 cerca di convincerlo a cedere a lei l’Unità in crisi.
Mi è sempre piaciuta l’idea di fare l’editore. L’ho anche dimostrato con il Riformista. Penso di saperlo fare. Avrei voluto anche l’Unità, perché ne sono un vecchio lettore e quando ero ragazzino la distribuivo davanti alle fabbriche. Non se ne fece niente, anche per il mio vizio di lavorare da solo.

***

L’intervista conteneva evidentemente alcune notizie interessanti. Romeo ammetteva per la prima volta l’incontro con Tiziano Renzi e Carlo Russo del luglio 2015 pur dandone una lettura minimalista favorevole alla sua difesa. Dopo avere ricevuto il testo di questa intervista così “editata” da Romeo gli ho scritto il seguente messaggio su whatsapp.

Avvocato Romeo ho letto la sua intervista come da lei ‘editata’. Purtroppo dopo una valutazione con i miei legali siamo arrivati alla conclusione che non possiamo pubblicarla.
Ci sono molti punti ‘rischiosi’ da un punto di vista legale e/o non rispondenti alla realtà.
Faccio solo degli esempi per farle capire il mio punto.
Nell’intervista lei sostiene che: il Gip Sturzo
-mi intimorì
-si è accanito vessatoriamente
-non so se qualcuno gli aveva chiesto di accanirsi
– dalle chat sembra si sia vantato con Palamara di aver condotto il processo Consip in quel modo e abbia chiesto un premio.
Lei è un laureato in legge e conosce il peso delle parole.
Dalle chat non risulta un simile comportamento del gip.
Intimorire è un verbo che allude a condotte scorrette di un giudice, come vessare e accanirsi. Bisognerebbe provarle con qualcosa di più che un’ordinanza di arresto post confessione (di Marco Gasparri che ha accusato Romeo e ha patteggiato la pena, ndr) e un’altra di rigetto di un’archiviazione.
Soprattutto non risulta che il gip Sturzo abbia chiesto in chat a Palamara premi per ‘come ha condotto il caso Consip’ ma solo che ha ricordato in chat a Palamara la rilevanza del caso Consip, da lui seguito a Roma, come di quello Provenzano o mafia-appalti a Palermo.
Le invio la chat se non la ricorda.

(STURZO: «Luca: io ho la settima valutazione altri non mi pare. Ho anche i titoli pubblicati e poi Dda Palermo con pentimento Siino e gestione del processo mafia e appalti. Poi ho coordinato le indagini per cattura Provenzano. Con la catturandi ho preso Benedetto Spera, al tempo nr. 2 dopo Provenzano. Ho fatto parte dell’alto commissario anti corruzione, ufficio legislativo presidenza del Consiglio e gabinetto del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Dei procedimenti Romani quale GIP E GUP non occorre parlarne perché dovrebbero essere noti al CSM PER LA RILEVANZA. Ti voglio solo dire che De Lucia che era con me a Palermo nei procedimenti citati(ma le carte le facevo io) è procuratore della repubblica di Messina. (Mio stesso concorso). Altro collega coassegnatario era Michele Prestipino. Tuo Gaspare».)

Peraltro Sturzo avrebbe buon gioco a querelarla e querelarmi sostenendo che lui, proprio nel caso Consip, contro un amico di Palamara come Luca Lotti ha chiesto di andare a giudizio contravvenendo alla richiesta di archiviazione dei pm per un capo di imputazione (rivelazione di segreto istruttorio, ndr).
Se Sturzo mi citasse in giudizio per le sue parole insomma sarei in difficoltà. Non me ne voglia ma ho già troppe citazioni, comprese le Sue. Lei ha tanti Avvocati che possono consigliarla su questi passaggi e queste affermazioni. Mi pare strano non le segnalino i rischi che mi sono stati segnalati.
Io mi sono consultato con il mio legale e non posso pubblicare questi passaggi sul mio giornale. Perché rischiosi e non rispondenti agli atti.
Altro esempio: lei sostiene che la procura di Roma ha ordito una congiura per salvare Tiziano Renzi e a tal fine ha cambiato il 318 in 319. Il capo di imputazione è un fatto. La richiesta di archiviazione per Tiziano e lei è un fatto. Però non esistono evidenze di un cambiamento di reati fatto dai PM di Roma non per applicare le regole del codice ma ‘per levare il processo a napoli’ e ‘per salvare Renzi’.
Poi ci sono altri punti come quello sul renziano Marroni che stava con Team Service o Tiziano Renzi che stava con Omnia Servitia.
I rapporti tra Team service e Gasparri sono stati ipotizzati dalle vostre indagini difensive. Quelli con Marroni?
I rapporti con Russo di Omnia servitia sono sostenuti dall’ex ad Casalino. Ma quelli di Omnia con Tiziano?
Per non dire di espressioni come ‘si insabbiano’ ecc …
La versione tagliata da me contiene il sunto delle sue parole a difesa della sua posizione senza mettermi nella condizione di inserire frasi non pubblicabili perché ‘fuorvianti’ e a rischio di legittima querela.
Già nella versione che io le avevo inviato c’erano posizioni molto critiche verso l’inchiesta che io non condivido (come accade nelle interviste si pubblica il pensiero del’intervistato, ok) però non c’erano espressioni che mi rendevano complice di possibili condotte diffamatorie.
Il problema della forma scritta da lei scelta inoltre è che non potrei nemmeno invocare la ‘estemporaneità’ delle parole da lei dette in un’intervista da me magari registrata e trascritta fedelmente.
Qui lei mi ha inviato un testo lungo che io ho editato per renderlo pubblicabile sia nella dimensione che nei toni. Lei è libero di non riconoscersi nella sintesi da me effettuata e di proporne un’altra che magari critichi i magistrati che la indagano e giudicano.
I tempi sono stretti ormai ma le ribadisco l’interesse a pubblicare un’intervista con lei riservandomi di valutarla con i miei legali. Il punto è che non si può usare il nostro giornale per accusare i giudici di moventi e di fatti scorretti senza una prova.
In ultima analisi io non posso pubblicare così la sua intervista. E non avrebbe senso pubblicarla per poi prenderne le distanze sottolinenando i vizi delle sue affermazioni riga per riga. Quindi sono costretto a chiederle di rivedere profondamente il suo testo eliminando le frasi potenzialmente diffamatorie e allusive o insinuanti a condotte che non trovano riscontro negli atti. Altrimenti l’intervista, con mio grande rammarico, non sarà pubblicata.

***

Successivamente la dottoressa Monica Macchioni mi ha fatto presente che Alfredo Romeo era pronto a “mettere per iscritto una manleva a Lillo e al Fatto facendosi carico di qualsiasi rischio economico” per le eventuali cause civili relative all’intervista. Io ho risposto che non era un problema di soldi. Il punto è che non possiamo pubblicare una cosa “se non trova riscontro negli atti, anche se la dice Romeo. Anche se paga lui le cause civili”.

***

Piero Sansonetti, direttore de Il Riformista, un quotidiano (ricordiamolo) editato da una società di Alfredo Romeo, ha colto l’occasione per ricostruire in modo falso e fuorviante quello che era accaduto. Ha anche pubblicato un video – ripreso poi con un articolo che ne rappresenta la trascrizione sul sito del quotidiano – nel quale sostiene alcune cose false.

Sansonetti racconta che “Marco Lillo chiede l’intervista a Romeo”. Vero. Che invia una serie di lunghe domande aperte molto lunghe. Vero. Poi aggiunge che Romeo risponde con una serie di risposte altrettanto lunghe per arrivare a 20mila battute. Vero. Per l’esattezza Romeo scrive un po’ di più e arriva a 23mila e 500 battute. Sansonetti poi sostiene che Il Fatto comunica a Romeo che non può pubblicare l’intervista perché Lillo dice a Romeo “non la posso pubblicare perché le domande non rispondono alla struttura delle accuse da parte dei pubblici ministeri”. Questo è completamente falsoIl Fatto, come è noto, ha spesso criticato i pubblici ministeri di Roma. Proprio per l’indagine Consip. Non è quello il punto. Invece Piero Sansonetti, per difendere il padrone del suo giornale vuol far credere che Il Fatto non abbia pubblicato l’intervista perché condivide tutto quel che fa l’accusa del processo Consip. “Questo fa pensare a che tipo di giornalismo si sta affermando in Italia”, conciona Sansonetti, aggiungendo: “Non è giornalismo. E’ attività dei pm che ha espressione cartacea in alcuni quotidiani”. E poi il direttore de Il Riformista vaneggia di “un intreccio di interessi che coinvolge tutti che sfiora la magistratura e che va nel profondo nelle carni di alcuni giornali”. Per il direttore del quotidiano della società di Romeo: “E’ una brutta storia (…) domani faremo un titolo su Marco Lillo che ha battuto ogni record ed è il primo giornalista che si censura da solo”.

Abbiamo pubblicato tutto nella massima trasparenza: le risposte di Romeo alle nostre domande, le motivazioni del nostro diniego alla pubblicazione di quelle risposte, la cronaca dell’uso distorto che il direttore del quotidiano di proprietà di Romeo fa delle nostre motivazioni. I lettori (stremati da questa lettura lunghissima e noiosa) hanno ora abbastanza elementi per capire chi in questa vicenda sta dalla parte dell’informazione e chi no.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/23/la-vera-storia-dellintervista-del-fatto-ad-alfredo-romeo-le-sue-risposte-perche-non-le-avevamo-pubblicate-e-perche-le-pubblichiamo/6047004/

venerdì 13 dicembre 2019

Catanzaro, 29 consiglieri comunali su 32 sono indagati per truffa e falso: finti rimborsi e commissioni inesistenti per avere il gettone. - Lucio Musolino

Catanzaro, 29 consiglieri comunali su 32 sono indagati per truffa e falso: finti rimborsi e commissioni inesistenti per avere il gettone

Complessivamente sono 34 gli iscritti nel registro degli indagati. Sotto inchiesta è finito praticamente tutto il Consiglio comunale di Catanzaro diventato, stando agli accertamenti della sezione di polizia giudiziaria dei carabinieri, una sorta di “gettonificio”. La Procura della Repubblica, guidata da Nicola Gratteri, ha notificato gli avvisi di garanzia.
Commissioni farlocche per le quali i consiglieri percepivano i gettoni di presenza. Ma anche finte assunzioni in aziende private che poi venivano rimborsate dal Comune per il tempo che i consiglieri comunali, troppo “impegnati” in attività istituzionali, non potevano lavorare: per questo a Catanzaro 29 consiglieri comunali su 32 sono indagati per truffa e falso. Complessivamente sono 34 gli iscritti nel registro degli indagati che si sono visti recapitare dagli uomini del maggiore Gerardo Lardieri l’avviso di conclusione indagini.
Era tutto finto: dalla presenza dei consiglieri alle riunioni, ai verbali delle commissioni che spesso non venivano nemmeno compilati, ai posti di lavoro. Tutto inesistente tranne le migliaia di euro che il Comune di Catanzaro, guidato dal sindaco Sergio Abramo (non indagato), sborsava ai consiglieri per le riunioni delle cinque commissioni (su cinque istituite) che in realtà non si tenevano. Non c’è un solo partito coinvolto, ma lo sono praticamente tutti: da Forza Italia al Pd, passando per l’Udc e le varie liste civiche di maggioranza e opposizione.
Nel registro degli indagati, infatti, sono finiti i consiglieri comunali di Forza Italia (Roberta Gallo, Luigi Levato, Francesca Carlotta Celi e Giulia Procopi), di “Catanzaro da vivere” (Agazio Praticò, Antonio Angotti, Antonio Mirarchi e Antonio Ursino), di “Catanzaro con Sergio Abramo” (Rosario Mancuso, Demetrio Battaglia, Enrico Consolante, Filippo Mancuso, e Fabio Talarico), di “Officine del sud” (Giuseppe Pisano e Francesco Gironda) e di “Obiettivo Comune” (Andrea Amendola e Manuela Costanzo).
Per l’opposizione sono indagati, invece, i consiglieri del gruppo misto (Eugenio Riccio, Giovanni Merante e Antonio Triffiletti), di “Fare per Catanzaro” (Sergio Costanzo, Fabio Celi e Cristina Rotundo), del Pd (Lorenzo Costa e Libero Notarangelo), di “Catanzaro in Rete” (Rosario Lostumbo), di “Cambiavento” (Nicola Fiorita e Gianmichele Bosco) e dell’Udc (Tommaso Brutto).
Quest’ultimo è indagato anche per truffa assieme Elzibieta Musielak e Carmelo Coluccio, amministratori della “Verdeoro società cooperativa produttori ortofrutticoli”, un’impresa agricola di Simeri Crichi che aveva assunto come direttore amministrativo il consigliere Brutto. Secondo il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e il pm Pasquale Mandolfino, in realtà l’esponente dell’Unione di Centro “non svolgeva alcuna prestazione effettiva per l’impresa”, ma il Comune di Catanzaro dal febbraio 2015 al giugno 2018 ha erogato alla “Verdeoro” più di 103mila euro “a titolo di rimborso” per i periodi orari “che impegnavano Brutto in attività istituzionali nelle vesti di consigliere comunale”. In sostanza, il Comune pagava all’impresa agricola la parte dello stipendio del suo direttore amministrativo per le ore di lavoro che questo dedicava, invece, alla politica.
Un sistema utilizzato anche dal consigliere comunale Andrea Amendola che, per essere stato assunto (solo formalmente) nelle aziende edili e immobiliari del fratello Antonio Amendola (indagato), è costato al Comune quasi 65mila euro “a titolo di rimborso”. Poco più di 23mila euro, invece, è la cifra che l’Ente locale ha dovuto versare alla società “La Notifica”, amministrata da Sabrina Scarfone (indagata), per pagare lo stipendio al consigliere Enrico Consolante.
Una partita di giro che, secondo i carabinieri guidati dal maggiore Lardieri, veniva utilizzata anche dal consigliere di opposizione Sergio Costanzo, formalmente assunto dal negozio di animali di Salvatore La Rosa (indagato). Piuttosto che vendere acquari e cibo per cani, però, il consigliere comunale “non svolgeva alcuna prestazione effettiva per l’impresa” che, tuttavia, ha avuto quasi 79mila euro “a titolo di rimborso” per il “dipendente” impegnato in politica.
Dalle indagini, però, è emerso che i 20 consiglieri comunali non facevano nemmeno quello. Chi più e chi meno, infatti, secondo il pm, avrebbero “partecipato” a riunioni di commissioni in cui non c’erano o che non venivano svolte. Per dimostrare la truffa, il pm ha depositato nel fascicolo dell’inchiesta i filmati registrati grazie alle telecamere nascoste dai carabinieri all’interno del Palazzo comunale.
Tra i consiglieri indagati ci sono anche componenti delle forze dell’ordine prestate alla politica. Anche loro, assieme agli altri, – è scritto nel capo di imputazione – “con artifizi o raggiri, consistiti nelle false verbalizzazioni relative allo svolgimento delle sedute di commissione consiliare”, in due soli mesi (novembre e dicembre 2018) hanno incassato più di 21mila euro dei cosiddetti “gettoni di presenza”.
Con la notifica dell’avviso di conclusione indagini, i politici locali coinvolti nell’inchiesta hanno 20 giorni di tempo per chiedere di essere interrogati prima che il pm Mandolfino formuli, nei loro confronti, una richiesta di rinvio a giudizio.

venerdì 14 giugno 2019

Falsi malati, truffa da oltre un milione.

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Sequestro per oltre 1 milione di euro emesso dal Tribunale di Palermo nei confronti di 39 indagati per falso e truffa ai danni dell’Inps, tra cui due dipendenti dell'Istituto. Il provvedimento è stato eseguito dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo, coordinati dalla Procura della Repubblica del capoluogo siciliano.

Le indagini, delegate dal Dipartimento 'Pubblica Amministrazione' della Procura della Repubblica traggono origine da attività di analisi dei flussi di spesa di enti pubblici risultati anomali, confermate in talune attività di accertamento interne degli ispettori dell’Ente di Previdenza Nazionale. Le investigazioni successivamente svolte hanno consentito di portare alla luce una vera prassi illecita, quasi un fenomeno di 'costume', che vedeva coinvolte decine di persone residenti a Palermo e provincia le quali, utilizzando documentazione medica falsificata, hanno beneficiato di particolari indennità economiche spettanti a pazienti colpiti da gravi patologie del sangue (talassemia major, talassodrepanocitosi e drepanocitosi).

Grazie all’incrocio dei dati in possesso dell’assessorato della Salute della Regione Siciliana e degli ospedali palermitani, è stato possibile individuare i pazienti che non solo non risultavano iscritti nel 'Registro Siciliano delle Talassemie ed Emoglobinopatie' - presso cui vengono registrati coloro che, per la natura delle patologie sofferte, effettuano trasfusioni con cadenza periodica - ma godevano in realtà di ottima salute. "Il meccanismo della truffa era semplice e talvolta grossolano. Bastava infatti un certificato medico a nome di medici, che in realtà non l’avevano mai sottoscritto, e timbri falsi. La documentazione veniva poi presenta all’ufficio Inps territorialmente competente", dicono le Fiamme Gialle.
Ovviamente l’interesse non era quello di beneficiare delle trasfusioni, a cui sono costrette le persone purtroppo realmente malate, ma quello di ottenere l’indennità economica spettante per legge ai lavoratori affetti da talassemia major (morbo di Cooley) e drepanocitosi che, raggiunti i requisiti anagrafici e di contribuzione, hanno diritto a un’indennità annuale pari alla pensione minima erogata dall’Inps.

In una prima fase è stata acquisita, presso l’Istituto di previdenza, la documentazione di tutti i soggetti beneficiari nel territorio provinciale (103) dell’indennità in parola per complessivi euro 1.624.882. Le Fiamme Gialle hanno quindi accertato, nei confronti di 54 persone, indebite percezioni per 1,4 milione di euro mentre - in attività sinergica con la Finanza - l’Inps avviava le procedure di recupero di parte delle somme illecitamente ottenute. Nei confronti di alcuni di loro, la Procura della Repubblica di Palermo, condividendo pienamente le prospettazioni investigative, ha richiesto e ottenuto dal competente Gip presso il Tribunale palermitano, l’emissione del provvedimento di sequestro preventivo, avente ad oggetto disponibilità finanziaria, beni mobili e denaro fino a concorrenza dell’importo da ciascun indagato oggetto di truffa.

I due dipendenti Inps coinvolti sono stati poi deferiti all'autorità giudiziaria con l'aggravante della violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione, poiché assegnati all'ufficio che ha gestito le relative pratiche. In pratica, si erano autoassegnati - direttamente o per il tramite del coniuge, ma con le stesse modalità fraudolente - le stesse indennità previste.

https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2019/06/14/falsi-malati-truffa-oltre-milione_S7WucfhJCFPEtvsnJl1MrN.html