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domenica 10 gennaio 2021

Consip, nuovi accertamenti sui contatti P. Chigi-Romeo. - Marco Lillo e Valeria Pacelli

 

Intanto l’imprenditore campano smentisce se stesso e Tiziano Renzi: ci vedemmo in un bar, ma non si parlò di gare.

Riparte nei tempi supplementari l’inchiesta Consip. Dopo l’avviso chiusura indagini contro Alfredo Romeo, Tiziano Renzi, Carlo Russo e Italo Bocchino per la presunta turbativa d’asta e il presunto traffico di influenze sulla gara FM4 da 2,7 miliardi, i pm Paolo Ielo e Mario Palazzi hanno acquisito l’informativa depositata nel procedimento napoletano su Romeo per altri fatti. L’informativa riguardava i messaggi trovati nel telefonino di Carlo Russo. Dopo averla letta i magistrati romani hanno deciso di dare nuove deleghe di indagine ai Carabinieri. Poiché l’inchiesta era stata già chiusa però nelle indagini integrative non possono essere ri-interrogati gli indagati per chiedere conto dei nuovi elementi. Per esempio i pm non potranno chiedere conto a Domenico Casalino dell’incontro con Tiziano Renzi e Carlo Russo avvenuto il 22 aprile 2015 alle 15 in un bar dell’Eur a Roma raccontato da Casalino al Fatto nell’articolo “L’incontro ignorato dai pm fra Tiziano Renzi e l’ex Ad” del 30 ottobre 2020. Non potranno nemmeno chiedere di nuovo a Tiziano Renzi dell’incontro con Alfredo Romeo raccontato, sempre al Fatto e non ai pm, da Romeo.

Cosa potranno fare allora i magistrati romani? Potrebbero convocare Eleonora Chierichetti, completamente estranea alle indagini. Perché i pm potrebbero sentire a sommarie informazioni la ex collaboratrice storica di Matteo Renzi nell’inchiesta in cui è indagato il padre dell’ex premier? Nell’informativa i carabinieri napoletani ricostruiscono cosa sia avvenuto ad aprile 2015. Il 10 aprile di quell’anno pochi minuti dopo le 9 del mattino, Tiziano Renzi “comunicava a Russo il numero del cellulare di Eleonora Chierichetti”. Già collaboratrice di Matteo Renzi ai tempi in cui era presidente della Provincia e poi sindaco a Firenze, la Chierichetti in quel momento è nella segreteria di Palazzo Chigi, impegnata alle dipendenze del sottosegretario Luca Lotti. Due ore dopo aver ricevuto il contatto da Tiziano Renzi, Russo scrive: “Eleonora buongiorno, scusa se ti disturbo. Posso chiamarti? Grazie, Carlo Russo”. Dall’informativa non emerge il motivo di questo contatto. Tre giorni dopo, però, il 13 aprile 2015, alle 14.52, Paola Grittani, collaboratrice fidata di Alfredo Romeo, invia a Russo il numero della Romeo Gestioni. “Dr. Ecco il numero della segreteria dell’avvocato. Si preoccuperanno di passare la telefonata n. 081******* saluti”. Appena due minuti dopo Russo invia quel numero al cellulare della Chierichetti: “081******* avv Romeo”.

Che cosa è successo dopo? Ci sono stati contatti tra Palazzo Chigi e ‘l’avv Romeo’? Quando Il Fatto si occupò della vicenda, l’ex ministro Lotti spiegò di non aver mai incontrato Romeo e di non averlo mai contattato telefonicamente. Romeo su questa circostanza ha precisato di non aver parlato con Matteo Renzi e ha spiegato così la ragione di quello scambio di messaggi: “Avrei avuto piacere che a concludere (un convegno a Roma poi tenutosi nel novembre 2015, Ndr) fosse il presidente del Consiglio (…) mi aveva chiamato in aprile anche una signora della Segreteria di Palazzo Chigi. Mi aveva dato assicurazioni ma non se ne fece niente”.

Il 18 dicembre scorso la Procura di Roma ha chiesto il processo per Tiziano Renzi, il suo amico Carlo Russo e l’imprenditore Romeo con altri perché, nell’impostazione dei pm, Russo si faceva promettere denaro per sé e per Tiziano Renzi (che ha sempre negato di conoscere le interlocuzioni tra Russo e Romeo) in cambio della propria mediazione sull’ex ad di Consip, Luigi Marroni (estraneo alle indagini) affinché favorisse le società dell’imprenditore campano nella gara Fm4.

Tiziano Renzi ha negato nell’interrogatorio di marzo 2017 con i pm di Roma di avere incontrato Alfredo Romeo. Nel maggio del 2017 però nel libro “Di padre in figlio” (edito da PaperFirst) pubblicammo la trascrizione di una telefonata tra Matteo e Tiziano Renzi alla vigilia di quell’ interrogatorio. Tiziano, mentre era intercettato dai pm di Napoli, escludeva con poca convinzione al figlio che lo incalzava di aver fatto incontri al ristorante con Romeo ma diceva di “non ricordare i bar”. Matteo Renzi dopo la pubblicazione difese il padre e chiese persino le scuse pubbliche ai giornalisti che rilanciavano la notizia del possibile incontro con Romeo, senza fare verifiche, a suo dire. Il Fatto svelò però nell’estate 2017 un’altra conversazione intercettata sempre nel 2016 in cui Russo e Romeo parlavano di un incontro in un ‘barettino’. Ipotizzammo fosse proprio ‘il bar’ dimenticato da Tiziano nella telefonata con Matteo. Allora Romeo si fece intervistare da Repubblica il 18 agosto 2017 e negò l’incontro. Però gli investigatori guardarono meglio i tabulati telefonici in loro possesso individuando la sovrapposizione delle celle agganciate dai tre cellulari il 16 luglio 2015, a Firenze. La linea di Russo, Romeo e Tiziano però restò la stessa. Il primo marzo del 2019 a Repubblica che gli chiedeva “È proprio sicuro di non aver mai incontrato Renzi Senior?”, Romeo tronfio e sicuro rispondeva: “Mai. L’ho detto e l’ho ripetuto non è il caso di tornarci”.

Si arriva così al dicembre 2020. Il Fatto chiede a Romeo un’intervista e l’imprenditore ritrova la memoria: “L’incontro col papà di Renzi lo ho avuto nel luglio del 2015. Ci siamo visti per dieci minuti al banco di un bar, senza neanche sederci. Abbiamo parlato solo del convegno che stavo organizzando con l’Osservatorio Risorsa Patrimonio (…) avrei avuto piacere che a concludere fosse il presidente del Consiglio. (…) Nessuna relazione con Consip”.

Il Gip Gaspare Sturzo la vede diversamente e nota che pochi giorni dopo quell’incontro Tiziano Renzi contatta l’amministratore delegato di Consip appena nominato, Luigi Marroni, e gli chiede un incontro a Firenze. Nelle risposte scritte di Romeo alle nostre domande a dicembre (che non abbiamo pubblicato perché Romeo pretendeva fossero messe in pagina integralmente comprese, oltre alle mezze ammissioni sull’incontro fiorentino, anche alcune balle da noi restituite al mittente) c’erano altri elementi interessanti come le chat sopra riportate per organizzare la telefonata Romeo-Palazzo Chigi. Per esempio c’era la rivelazione di un fatto: Carlo Russo arrivò al cospetto di Romeo nel 2015 grazie all’allora Ad di Consip. “Casalino – ci ha scritto Romeo – mi chiese attraverso Italo Bocchino di incontrare Russo”. Dunque ricapitolando: Russo incontra Casalino, Ad di Consip da solo a febbraio 2015. Sempre Casalino – a detta di Romeo – manda Russo da Romeo tramite Bocchino. Poi Casalino, da Ad in carica di Consip, incontra Russo con Tiziano Renzi al bar dell’Eur. Infine, dopo la sostituzione di Casalino con Marroni al vertice di Consip ecco che Tiziano Renzi e Russo incontrano Romeo il 16 luglio 2015 a Firenze. Il 20 luglio 2015 poi Tiziano contatta l’Ad in carica di Consip, Luigi Marroni, nominato dal governo Renzi, per incontrarlo a Firenze e poi aggiorna sul possibile futuro incontro Russo.

Però – secondo la deposizione di Luigi Marroni, ritenuta attendibile dai pm romani – quando finalmente Russo incontra, su input di Tiziano, Marroni non gli raccomanda Romeo ma un’altra società. Quale? Mistero. Marroni non ricorda. Questa è la matassa che dovrà essere sbrogliata nell’udienza preliminare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/10/consip-nuovi-accertamenti-sui-contatti-p-chigi-romeo/6060813/

giovedì 24 dicembre 2020

La vera storia dell’intervista del Fatto ad Alfredo Romeo: le sue risposte, perché non le avevamo pubblicate e perché le pubblichiamo. - Marco Lillo

 

Ecco la ricostruzione integrale dei fatti (che non è quella che riporta il direttore del "Riformista").

Questo è il testo dell’intervista risultante dalle domande scritte da me e dalle risposte inviate al Fatto da Alfredo Romeo ieri alle 13 e 45 mediante la consulente di pubbliche relazioni Monica Macchioni, che ha seguito con professionalità per suo conto l’intervista con il Fatto, dal primo incontro che si è tenuto nella sede della società di Romeo il 9 dicembre alle 15 per stabilire le “regole di ingaggio” dell’intervista.

Romeo in quella sede ha chiesto domande scritte per risposte scritte. Questo è quel che è successo dopo.

Il Fatto Quotidiano ha inviato una lunga serie di domande scritte per un totale di 10mila battute circa il 13 dicembre e ha ricevuto il 18 dicembre una prima versione lunghissima di risposte da parte di Romeo che ha portato in tutto a 23mila e 500 battute. Il Fatto ha fatto presente a Monica Macchioni i due problemi del testo: troppo lungo (non solo per “colpa” di Romeo) ma soprattutto contenente espressioni potenzialmente diffamatorie per vari soggetti, dal gip Gaspare Sturzo ai pm di Roma all’ex ad di Consip Luigi Marroni. Il Fatto ha inviato a Romeo, tramite la dottoressa Macchioni, domenica scorsa, una versione tagliata a 10mila battute.

Questa nostra versione, manteneva le critiche ai magistrati e a Marroni ma non conteneva più le espressioni che insinuavano a nostro parere fatti e condotte non rispondenti al vero e/o potenzialmente diffamatorie.

La versione editata da me è stata rigettata da Romeo che ha inviato una controproposta della stessa lunghezza: 10mila battute.

Ieri, dopo essermi consultato con l’avvocato Caterina Malavenda, ho deciso di mia iniziativa e d’accordo con il direttore Marco Travaglio di non pubblicarla scrivendo a Romeo le ragioni in un messaggio su whatsapp che riportiamo integralmente di seguito.

Abbiamo deciso di pubblicare sull’edizione online oggi l’intervista inviata ieri da Romeo al Fatto Quotidiano solo per far comprendere ai nostri lettori che Il Fatto non ha compiuto un gesto di censura verso Alfredo Romeo ma solo un corretto esercizio del controllo giornalistico sui contenuti di un’intervista.

Qui sotto quindi leggerete la versione dell’intervista inviata per corrispondenza da Alfredo Romeo e seguita dal messaggio whatsapp inviato da me allo stesso Romeo per spiegare le ragioni della mancata pubblicazione.

Infine pubblichiamo più sotto ancora altre perplessità (tra le tante che abbiamo solo evocato senza dettagli nel messaggio whatsapp scritto a Romeo) sul testo inviatoci e del quale l’editore del Riformista pretendeva la pubblicazione sul nostro quotidiano.

IlFattoquotidiano.it in altri termini pubblica le risposte di Romeo alle nostre domande (che non ha pubblicato sull’edizione cartacea) non certo perché abbiamo cambiato idea. Né tantomeno per farle proprie. Tutt’altro. Siamo sempre più convinti della scelta di non aver pubblicato sul Fatto in edicola oggi questo testo.

Pubblichiamo qui le risposte, che per espressa richiesta dell’interessato non potevano essere modificate prima della pubblicazione, solo per permettere ai lettori di farsi un giudizio sul Fatto e su Alfredo Romeo.

Le risposte suddette quindi ricadono sotto l’esclusiva responsabilità di Romeo e non del nostro giornale che le pubblica perché le ritiene di manifesto interesse per due ragioni: per dovere di cronaca e per “diritto di difesa” della nostra reputazione.

Pubblichiamo le affermazioni di Romeo e del direttore Piero Sansonetti, retribuito per il suo lavoro da una sua società, perché da un lato Romeo è un personaggio pubblico già presidente di Ifma, l’associazione delle imprese della categoria facility management, nonché attualmente editore di un quotidiano nazionale che vanta illustri collaboratori come un ex presidente della Corte Costituzionale e un ex ministro. Insomma Romeo non è solo imputato in vari processi ma è un personaggio importante, in cordiali rapporti nella veste di editore con l’ex premier e segretario di Italia Viva Matteo Renzi.

Inoltre pubblichiamo le risposte di Romeo perché questa strana intervista per corrispondenza è l’oggetto di un’accusa grave al nostro giornale, avanzata pubblicamente dal direttore del quotidiano edito da Romeo. Il direttore de Il Riformista Piero Sansonetti ha ricostruito in modo fuorviante quanto accaduto intorno all’intervista e ha annunciato sul sito del giornale con un video di 7 minuti la pubblicazione domani di un articolo che ricostruirà la vicenda. Quindi pubblichiamo on line qui sotto l’intervista che avevamo deciso di non pubblicare sulla carta solo per far capire ai lettori di cosa stiamo parlando. Romeo, per esempio, nelle risposte da lui scritte e inviate che sotto pubblichiamo parla delle motivazioni del suo accusatore Marco Gasparri, dell’accanimento vessatorio del giudice per le indagini preliminari Sturzo, cui attribuisce di essersi vantato con Palamara di aver condotto il caso Consip in un certo modo, di congiure dei pm di Roma e di Napoli e della volontà dei pm di non interrogarlo (in questo caso Romeo non ricorda che nell’ultima udienza del suo processo proprio all’inizio di questo mese il pm Mario Palazzi gli ha ricordato la sua disponibilità a interrogarlo).

Tutte cose che Il Fatto non condivide ma che soprattutto non trovano riscontro nella realtà e talvolta sono smentite dalla lettura degli atti giudiziari. Come anche il preteso ruolo di Luigi Marroni di “garante” di presunte manovre in Consip come i pretesi rapporti tra lo stesso Marroni e Team Service o come la casa comprata da Gasparri o i rapporti di Tiziano Renzi con Omnia Servitia e tanti altri fatti che avrebbero richiesto un articolo per elencare le imprecisioni e le mezze falsità dette su vari soggetti da Romeo.

Per non dire delle licenze difensive di Romeo che fornisce risposte fuorvianti al Fatto quando afferma che in un’intercettazione si sentirebbero Luigi Marroni e il presidente della commissione di gara Fm4 in Consip affermare che Romeo non può vincere la gara, senza ricordare che l’intercettazione è successiva allo scandalo Consip per quella gara e non precedente. O quando definisce “congiure dei pm” le loro scelte investigative. O come quando afferma, senza uno straccio di prova, che i pm di Roma abbiano mutato il capo di imputazione contro di lui per “salvare Renzi” o “per colpire Renzi” e non per applicare correttamente le regole del codice e della competenza territoriale. O ancora quando Romeo sostiene che la calligrafia del biglietto con su scritto “30.000 per T.” non è sua ma non ricorda le perizie calligrafiche prodotte dai magistrati che lo accusano del contrario. Oppure, ancora, quando Romeo afferma che le gare in Consip erano chiuse quando parlava con Carlo Russo il 14 settembre del 2016 mentre invece le aggiudicazioni erano solo provvisorie e potevano ancora essere ribaltate dalla commissione di gara. O, infine, come quando afferma che il suo accusatore Gasparri compra case e aumenta il tenore di vita, citando con vaghezza affermazioni tutte da verificare dei suoi difensori come fossero sentenze o come quando afferma che è Il Fatto ad avere dato conto delle intercettazioni delle telefonate precedenti alla perquisizione di Gasparri da parte del Noe, senza spiegare che quelle telefonate Il Fatto non le ha mai pubblicate e non le ha mai viste ma ha solo rendicontato come le predette conversazioni intercettate sull’utenza di Gasparri sono state ricostruite in udienza dalla difesa di Romeo, che invece le conversazioni le ha copiate e ascoltate. Insomma, solo dopo aver precisato fino a sfinire il lettore che non solo non condividiamo le risposte di Romeo ma le consideriamo fuorvianti e smentite talvolta dagli atti, le pubblichiamo qui sotto.

Ecco il testo inviato al Fatto da Alfredo Romeo e del quale (a parte le domande) si assume solo lui la responsabilità.

***

L’intervista con risposte inviate da Alfredo Romeo
Abbiamo incontrato Alfredo Romeo nella sede della sua società, a due passi dal Parlamento, dove veniva nel 2016 Carlo Russo, l’amico del padre del premier di allora. Proprio qui secondo i pm, mentre parlava con Russo, Romeo avrebbe scritto il foglietto con l’offerta ’30mila euro per T.”, alias Tiziano Renzi. Romeo nega di averlo scritto. Tiziano dice che non ne sapeva nulla ma venerdì è arrivata per tutti e tre la richiesta di rinvio a giudizio per traffico di influenze e turbativa per le gare Consip da 2,7 miliardi e Grandi Stazioni da 50 milioni circa. A quattro anni esatti dall’avvio del caso Consip abbiamo chiesto un’intervista a Romeo che ha accettato a una condizione: domande e risposte scritte. Eccole.

I pm hanno chiesto il suo rinvio a giudizio con Russo e Tiziano Renzi per il caso Consip. Il Fatto ha scritto molte volte di un incontro tra voi tre a Firenze. Tiziano lo nega. Ci racconta come è andata davvero quel giorno in questo ‘barettino’, come lo chiama lei nelle intercettazioni? Parlaste di Consip?
Lei insiste con questo foglietto con la scritta “30.000 a T”. Allora: primo, la calligrafia non è mia; secondo, questo foglietto è stato trovato nella spazzatura a 200 metri dal mio ufficio; terzo, nel foglietto non si parla di soldi e non sono indicati nomi; quarto: il foglietto viene scritto, secondo gli investigatori, il 14 settembre 2016, quando le gare si erano già chiuse. Dunque l’ipotesi sarebbe questa: che io – avendo tutti i titoli per vincere le gare, visto che chiunque in Italia può confermarle che nel settore sono il numero uno – decido di dare 30 mila euro al mese a Tiziano Renzi per delle gare che sono già chiuse. Può darsi anche che io sia un po’ cretino, dottor Lillo, ma non così cretino, le sembra? C’è poi la testimonianza dell’amministratore delegato di Consip, Luigi Marroni. Sia in sede di interrogatorio dal Pm sia nelle intercettazioni: nessuno gli raccomandò Romeo, anzi, qualcuno, – il Presidente della Commissione -, gli disse che se avesse vinto Romeo sarebbe stato il finimondo. L’incontro col papà di Renzi lo ho avuto nel luglio del 2015. Ci siamo visti per dieci minuti al banco di un bar, senza neanche sederci. Abbiamo parlato solo del convegno che stavo organizzando con l’Osservatorio Risorsa Patrimonio, l’IFMA Italia ed il Sole24Ore sulla “Gestione delle città”. Al convegno interveniva anche Raffaele Cantone ed avrei avuto piacere che a concludere fosse il presidente del Consiglio. C’è un appunto di un mio collaboratore, che portai con me, sulla struttura del convegno, scritto il giorno prima dell’incontro. Tutto qui. Nessun mistero. Nessuna relazione con Consip. Del resto sono intercettato giorno e notte da dieci anni e da nessuna delle varie informative minuziosissime, che lei conosce bene, risulta che io abbia parlato di Consip con Tiziano Renzi. Per lo stesso convegno mi aveva chiamato in aprile anche una signora della Segreteria di Palazzo Chigi. Mi aveva dato assicurazioni ma non se ne fece niente.

E allora perché non ha mai raccontato l’incontro a nessuno?
Nessuno me lo ha mai chiesto. Su Renzi sono stati interrogati tutti tranne Romeo. Lei oggi me lo chiede. Io le rispondo. In tutti questi anni sono stato interrogato una sola volta, appena arrestato, dal Gip Gaspare Sturzo. Mi intimorì. Non mi fidai e mi avvalsi della facoltà di non rispondere. Feci bene. Sturzo si è accanito vessatoriamente contro di me in ogni occasione possibile, anche contro la richiesta di archiviazione della Procura. Non so se qualcuno gli aveva chiesto di accanirsi. Dalle “chat Palamara” che sono state pubblicate sembra che poi Sturzo si sia vantato di aver condotto il caso Consip in quel modo, e sembra addirittura che abbia chiesto un premio al Csm. Mah.

Lei ha incontrato recentemente Matteo Renzi qui. Sotto c’è la sede del Riformista e lei è accusato di avere proposto proprio qui a Russo 30 mila euro al mese per T.. Come spiega la disinvoltura del figlio Matteo che pranza qui con lei. Garantismo? Un segnale di vicinanza?
Sui 30 mila a T. le ho già risposto. Con Matteo Renzi ho parlato due sole volte, una quando era Presidente della Provincia di Firenze ed una quando venne a trovarmi un paio di mesi fa. Ho trovato naturale che fosse suo interesse incontrarmi con il direttore Piero Sansonetti nella mia qualità di editore de Il Riformista.

Lei è imputato per corruzione perché il funzionario Marco Gasparri ha confessato di avere ricevuto soldi da lei. La sua difesa in aula ha attaccato la spontaneità e l’attendibilità del Gasparri. Cosa non va per voi?
Qual è l’azienda più qualificata in Italia nel facility management? Chiunque le risponderà: la Romeo. La Romeo però non vince gare in Consip dal 2011. E l’imputato sono io. Perché? Perchè un certo Marco Gasparri, che era un funzionario Consip (che non aveva ruolo, funzioni e poteri per intervenire sulle gare), dice di avere avuto dei soldi da me. Quanti? 100 mila euro, dice nella sua prima deposizione-confessione. Poi scende. Forse solo 20 mila. Quando? boh. Dove? Boh. Dove sono finiti questi soldi? Boh. Gasparri concorda una piccola pena, viene licenziato e subito ottiene una collaborazione per lui ed il fratello dalla azienda che – grazie alla sua deposizione- subentra nella graduatoria della gara FM4 alla Romeo Gestioni per quasi 400 milioni di euro di valore. A quel punto il povero Gasparri incrementa decisamente il suo tenore di vita, compra case, frequenta costosi circoli, si trasferisce in villa con piscina in Portogallo, etc. sembra aver vinto al Totocalcio. Il suo giornale ha parlato di intercettazioni dalle quali risulta che il maggiore Scafarto avvertì Gasparri di una perquisizione in casa sua, dando il tempo a sua moglie di bonificare, e di altre intercettazioni dalle quali risulta che il suo avvocato, ancora da nominare, quando Scafarto perquisiva, sapeva tutto e seguiva dall’ufficio del Pm Woodcock, conoscendo già la data in cui Gasparri sarebbe stato sentito dal magistrato auto accusandosi e accusando me. Risulta poi che Gasparri sapeva di dover essere interrogato a Roma quando Roma ancora non indagava. Mi dica la verità: lei crederebbe mai a un testimone del genere? Tantopiù che in ore e ore di intercettazioni sui colloqui tra me e Gasparri, mai e poi mai si parla di soldi o di favori. Come possono condannarmi?. Qualche amico mi ha detto: “attento, ci sono molti giudici che, per amicizia o colleganza, si appiattiscono sulle posizioni della Procura”. Non credo proprio che sia il mio caso.

Comunque, almeno ammetterà di avere ecceduto nella ‘difesa’ offrendo cose che non doveva offrire a Russo e Gasparri?
Io non ho offerto niente a nessuno. Sono intercettato da 10 anni, le mie aziende sono state passate al setaccio più volte. Sono poche le aziende che sarebbero uscite linde da un assalto di questo genere. A Napoli sono imputato insieme ad altre 53 persone, per un vorticoso giro di tangenti che ammontano a quasi 800 euro. Non scherzo, dottor Lillo: 800 euro che diviso per 54 fa 14 euro e 81 centesimi a testa. A Roma sono imputato in vari processi, perché la magistratura ha preferito spezzettare il processo Consip in diversi rivoli. Per levare il processo a Napoli, salvare Renzi e tutelare Consip ero io lo strumento ed il capro espiatorio ideale. A tal fine i Pm romani hanno cambiato il mio capo di accusa da “corruzione per atto dovuto – art. 318 c.p.” (come avevano ipotizzato i pm di Napoli ) a “corruzione per atto improprio – 319 c.p.” acquisendone la competenza territoriale. Woodcock che voleva arrestare tutti è fuori dal gioco, Romeo è il parafulmine di tutto, si salva Tiziano Renzi, si salva la Consip e si insabbiano le manovre sulle grandi gare gestite dal renziano AD di Consip Marroni. Nessuno mi ha mai convocato per un interrogatorio. Se la Procura di Roma avesse indagato a fondo ne avrebbe scoperte delle belle ma non ha voluto farlo. Hanno deciso di accanirsi su di me per salvare Renzi. Lei non ci crede? Proprio così: sono vittima di due congiure contrapposte: la prima, napoletana, per colpire Renzi; la seconda, romana, per salvare Renzi. Io non ho corrotto nessuno. Ho fatto un’altra cosa: due esposti (nell’aprile e nel maggio 2016) alla Consip, all’Anac ed all’AGCM per denunciare, anche nell’interesse istituzionale dell’IFMA di cui ero Presidente, le pratiche anticoncorrenziali tollerate dalla stessa Consip. Non mi hanno ascoltato. Da anni i pm di due procure cercano indizi contro di me ma tutto porta dalla parte opposta. Io non c’entro con il cartello. Sto pagando la scelta di lavorare sempre da solo. Senza cordate. Senza protettori. Le indagini dimostrano la realtà: il Pd stava con le cooperative rosse, gli ex parlamentari Denis Verdini e Ignazio Abrignani stavano con Cofely, Russo e il papà di Renzi stavano con la Omnia Servitia, Gasparri e Marroni con la Team Service. L’Ad di Consip, il renziano Marroni, garantiva. I Pm però hanno intimorito e condizionato Consip, Tar, Consiglio di Stato e anche l’AGCM, che ha addirittura sanzionato la Romeo per fatti di cui era denunciataria e vittima pur avendo le prove della sua innocenza. Così hanno escluso Romeo da molte gare danneggiando in modo devastante la mia azienda.

Nel 2016 lei e il suo consulente Italo Bocchino dite che Carlo Russo vi fu inviato dall’ex amministratore della Consip Domenico Casalino. Lei sapeva che Casalino si vedeva con Russo e una volta – in un bar a Roma – con Russo e Tiziano Renzi?
Casalino mi chiese attraverso Bocchino di incontrare Russo sostenendo che era stato Luca Lotti a pregarlo di mandarlo da me. Fu lo stesso Casalino a farci sapere dopo che a suo giudizio Russo era un millantatore e che anche Lotti, successivamente, gli aveva detto di non stare ad ascoltarlo e … di stare attenti.

Lei ha incontrato con Russo a Roma il 4 marzo 2015 Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd. Poi Russo incontra Bonifazi a Firenze e nel settembre 2016 cerca di convincerlo a cedere a lei l’Unità in crisi.
Mi è sempre piaciuta l’idea di fare l’editore. L’ho anche dimostrato con il Riformista. Penso di saperlo fare. Avrei voluto anche l’Unità, perché ne sono un vecchio lettore e quando ero ragazzino la distribuivo davanti alle fabbriche. Non se ne fece niente, anche per il mio vizio di lavorare da solo.

***

L’intervista conteneva evidentemente alcune notizie interessanti. Romeo ammetteva per la prima volta l’incontro con Tiziano Renzi e Carlo Russo del luglio 2015 pur dandone una lettura minimalista favorevole alla sua difesa. Dopo avere ricevuto il testo di questa intervista così “editata” da Romeo gli ho scritto il seguente messaggio su whatsapp.

Avvocato Romeo ho letto la sua intervista come da lei ‘editata’. Purtroppo dopo una valutazione con i miei legali siamo arrivati alla conclusione che non possiamo pubblicarla.
Ci sono molti punti ‘rischiosi’ da un punto di vista legale e/o non rispondenti alla realtà.
Faccio solo degli esempi per farle capire il mio punto.
Nell’intervista lei sostiene che: il Gip Sturzo
-mi intimorì
-si è accanito vessatoriamente
-non so se qualcuno gli aveva chiesto di accanirsi
– dalle chat sembra si sia vantato con Palamara di aver condotto il processo Consip in quel modo e abbia chiesto un premio.
Lei è un laureato in legge e conosce il peso delle parole.
Dalle chat non risulta un simile comportamento del gip.
Intimorire è un verbo che allude a condotte scorrette di un giudice, come vessare e accanirsi. Bisognerebbe provarle con qualcosa di più che un’ordinanza di arresto post confessione (di Marco Gasparri che ha accusato Romeo e ha patteggiato la pena, ndr) e un’altra di rigetto di un’archiviazione.
Soprattutto non risulta che il gip Sturzo abbia chiesto in chat a Palamara premi per ‘come ha condotto il caso Consip’ ma solo che ha ricordato in chat a Palamara la rilevanza del caso Consip, da lui seguito a Roma, come di quello Provenzano o mafia-appalti a Palermo.
Le invio la chat se non la ricorda.

(STURZO: «Luca: io ho la settima valutazione altri non mi pare. Ho anche i titoli pubblicati e poi Dda Palermo con pentimento Siino e gestione del processo mafia e appalti. Poi ho coordinato le indagini per cattura Provenzano. Con la catturandi ho preso Benedetto Spera, al tempo nr. 2 dopo Provenzano. Ho fatto parte dell’alto commissario anti corruzione, ufficio legislativo presidenza del Consiglio e gabinetto del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Dei procedimenti Romani quale GIP E GUP non occorre parlarne perché dovrebbero essere noti al CSM PER LA RILEVANZA. Ti voglio solo dire che De Lucia che era con me a Palermo nei procedimenti citati(ma le carte le facevo io) è procuratore della repubblica di Messina. (Mio stesso concorso). Altro collega coassegnatario era Michele Prestipino. Tuo Gaspare».)

Peraltro Sturzo avrebbe buon gioco a querelarla e querelarmi sostenendo che lui, proprio nel caso Consip, contro un amico di Palamara come Luca Lotti ha chiesto di andare a giudizio contravvenendo alla richiesta di archiviazione dei pm per un capo di imputazione (rivelazione di segreto istruttorio, ndr).
Se Sturzo mi citasse in giudizio per le sue parole insomma sarei in difficoltà. Non me ne voglia ma ho già troppe citazioni, comprese le Sue. Lei ha tanti Avvocati che possono consigliarla su questi passaggi e queste affermazioni. Mi pare strano non le segnalino i rischi che mi sono stati segnalati.
Io mi sono consultato con il mio legale e non posso pubblicare questi passaggi sul mio giornale. Perché rischiosi e non rispondenti agli atti.
Altro esempio: lei sostiene che la procura di Roma ha ordito una congiura per salvare Tiziano Renzi e a tal fine ha cambiato il 318 in 319. Il capo di imputazione è un fatto. La richiesta di archiviazione per Tiziano e lei è un fatto. Però non esistono evidenze di un cambiamento di reati fatto dai PM di Roma non per applicare le regole del codice ma ‘per levare il processo a napoli’ e ‘per salvare Renzi’.
Poi ci sono altri punti come quello sul renziano Marroni che stava con Team Service o Tiziano Renzi che stava con Omnia Servitia.
I rapporti tra Team service e Gasparri sono stati ipotizzati dalle vostre indagini difensive. Quelli con Marroni?
I rapporti con Russo di Omnia servitia sono sostenuti dall’ex ad Casalino. Ma quelli di Omnia con Tiziano?
Per non dire di espressioni come ‘si insabbiano’ ecc …
La versione tagliata da me contiene il sunto delle sue parole a difesa della sua posizione senza mettermi nella condizione di inserire frasi non pubblicabili perché ‘fuorvianti’ e a rischio di legittima querela.
Già nella versione che io le avevo inviato c’erano posizioni molto critiche verso l’inchiesta che io non condivido (come accade nelle interviste si pubblica il pensiero del’intervistato, ok) però non c’erano espressioni che mi rendevano complice di possibili condotte diffamatorie.
Il problema della forma scritta da lei scelta inoltre è che non potrei nemmeno invocare la ‘estemporaneità’ delle parole da lei dette in un’intervista da me magari registrata e trascritta fedelmente.
Qui lei mi ha inviato un testo lungo che io ho editato per renderlo pubblicabile sia nella dimensione che nei toni. Lei è libero di non riconoscersi nella sintesi da me effettuata e di proporne un’altra che magari critichi i magistrati che la indagano e giudicano.
I tempi sono stretti ormai ma le ribadisco l’interesse a pubblicare un’intervista con lei riservandomi di valutarla con i miei legali. Il punto è che non si può usare il nostro giornale per accusare i giudici di moventi e di fatti scorretti senza una prova.
In ultima analisi io non posso pubblicare così la sua intervista. E non avrebbe senso pubblicarla per poi prenderne le distanze sottolinenando i vizi delle sue affermazioni riga per riga. Quindi sono costretto a chiederle di rivedere profondamente il suo testo eliminando le frasi potenzialmente diffamatorie e allusive o insinuanti a condotte che non trovano riscontro negli atti. Altrimenti l’intervista, con mio grande rammarico, non sarà pubblicata.

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Successivamente la dottoressa Monica Macchioni mi ha fatto presente che Alfredo Romeo era pronto a “mettere per iscritto una manleva a Lillo e al Fatto facendosi carico di qualsiasi rischio economico” per le eventuali cause civili relative all’intervista. Io ho risposto che non era un problema di soldi. Il punto è che non possiamo pubblicare una cosa “se non trova riscontro negli atti, anche se la dice Romeo. Anche se paga lui le cause civili”.

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Piero Sansonetti, direttore de Il Riformista, un quotidiano (ricordiamolo) editato da una società di Alfredo Romeo, ha colto l’occasione per ricostruire in modo falso e fuorviante quello che era accaduto. Ha anche pubblicato un video – ripreso poi con un articolo che ne rappresenta la trascrizione sul sito del quotidiano – nel quale sostiene alcune cose false.

Sansonetti racconta che “Marco Lillo chiede l’intervista a Romeo”. Vero. Che invia una serie di lunghe domande aperte molto lunghe. Vero. Poi aggiunge che Romeo risponde con una serie di risposte altrettanto lunghe per arrivare a 20mila battute. Vero. Per l’esattezza Romeo scrive un po’ di più e arriva a 23mila e 500 battute. Sansonetti poi sostiene che Il Fatto comunica a Romeo che non può pubblicare l’intervista perché Lillo dice a Romeo “non la posso pubblicare perché le domande non rispondono alla struttura delle accuse da parte dei pubblici ministeri”. Questo è completamente falsoIl Fatto, come è noto, ha spesso criticato i pubblici ministeri di Roma. Proprio per l’indagine Consip. Non è quello il punto. Invece Piero Sansonetti, per difendere il padrone del suo giornale vuol far credere che Il Fatto non abbia pubblicato l’intervista perché condivide tutto quel che fa l’accusa del processo Consip. “Questo fa pensare a che tipo di giornalismo si sta affermando in Italia”, conciona Sansonetti, aggiungendo: “Non è giornalismo. E’ attività dei pm che ha espressione cartacea in alcuni quotidiani”. E poi il direttore de Il Riformista vaneggia di “un intreccio di interessi che coinvolge tutti che sfiora la magistratura e che va nel profondo nelle carni di alcuni giornali”. Per il direttore del quotidiano della società di Romeo: “E’ una brutta storia (…) domani faremo un titolo su Marco Lillo che ha battuto ogni record ed è il primo giornalista che si censura da solo”.

Abbiamo pubblicato tutto nella massima trasparenza: le risposte di Romeo alle nostre domande, le motivazioni del nostro diniego alla pubblicazione di quelle risposte, la cronaca dell’uso distorto che il direttore del quotidiano di proprietà di Romeo fa delle nostre motivazioni. I lettori (stremati da questa lettura lunghissima e noiosa) hanno ora abbastanza elementi per capire chi in questa vicenda sta dalla parte dell’informazione e chi no.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/23/la-vera-storia-dellintervista-del-fatto-ad-alfredo-romeo-le-sue-risposte-perche-non-le-avevamo-pubblicate-e-perche-le-pubblichiamo/6047004/

venerdì 23 ottobre 2020

“Romeo me lo portò l’amico di Renzi sr.: voleva finanziare il Pd”. - Marco Lillo e Valeria Pacelli

 

L’ex tesoriere dem Bonifazi ai pm.

Perché Alfredo Romeo incontrò con Carlo Russo (l’amico di Tiziano Renzi) il parlamentare renziano Francesco Bonifazi a Roma nel marzo del 2015? Secondo Bonifazi per offrire un contributo al Pd, rifiutato. Questa è la versione fornita ai pm romani dall’attuale tesoriere di Italia Viva e allora del Pd. L’esame di Bonifazi è stato voluto dal Gip Gaspare Sturzo. Nella sua ordinanza di rigetto della richiesta di archiviazione per Tiziano Renzi del febbraio 2020, Sturzo aveva chiesto ai pm Paolo Ielo e Mario Palazzi di approfondire un sms trovato nel cellulare di Russo, l’imprenditore di Scandicci, amico di Tiziano Renzi, indagato con lui e Alfredo Romeo per traffico di influenze illecite.

Russo scrive a Bonifazi il 4 marzo 2015: “Buongiorno Francesco, solo per evidenziarti i passaggi fondamentali dell’incontro di stamani: lui deve capire che io sono il suo unico interlocutore e che ho rapporti privilegiati, senza che venga fuori il nome di T. Grazie, è davvero importante per noi, a dopo. Carlo Russo”.

“T.”, secondo gli investigatori, è la sigla usata da Russo e dall’imprenditore Alfredo Romeo per indicare il padre dell’allora premier, Tiziano Renzi. Il 21 maggio 2020 Bonifazi si presenta ai pm come testimone a sommarie informazioni e spiega: “Il messaggio (di Russo, ndr) è sicuramente precedente di poco a un incontro che ebbi nella stessa giornata con lui e Alfredo Romeo, da lui portato e che non avevo mai conosciuto prima, nell’ottica – come rappresentata dal Russo – di un possibile finanziamento al partito.

Romeo – prosegue Bonifazi – in quell’occasione mi disse che era sempre stato vicino alla nostra area politica precisando che aveva però ancora una pendenza penale in Cassazione, che lui auspicava concludersi a breve e in modo positivo. Preso atto di ciò, convenne con me che non era opportuno procedere a tale liberalità – ovviamente nelle forme di legge – ma attendere semmai la conclusione processuale”. Nel corso della breve conversazione – prosegue Bonifazi – ebbe modo di fare un accenno generico alla sua attività imprenditoriale ma non si fece alcuna richiesta di informazioni o altro. Quella è stata l’unica volta che ho incontrato personalmente Romeo”.

Ma qualcosa non torna. La Cassazione aveva assolto Romeo il 9 luglio 2014. L’imprenditore aveva solo un’indagine minore a Napoli che si chiuderà a settembre 2015 con un proscioglimento del gup.

Bonifazi lo incontra con Russo quando Romeo è alla ricerca di una piena riabilitazione morale dopo l’assoluzione, da parte del Pd. Nell’autunno del 2013, prima dell’assoluzione definitiva, Matteo Renzi aveva reso dichiarazioni poco ‘carine’ su di lui a Report sul contributo di 60 mila euro versato dalla Isvafim di Romeo alla Fondazione Big Bang.

Quando Bonifazi lo riceve nel suo ufficio di Palazzo San Macuto a Roma, Romeo è stato appena nominato presidente di Ifma, l’associazione delle grandi imprese che si occupano di facility management. Insomma non c’era più quel problema ‘reputazionale’ citato da Bonifazi come ostacolo al contributo. La versione di Bonifazi smonta ogni sospetto del Gip Gaspare Sturzo che notava: “Il messaggio di Russo a Bonifazi è del 4 marzo 2015, quindi ad appena una settimana dall’apertura delle buste della gara a più lotti della FM4 Consip”.

Il Gip scriveva (con ampio uso del maiuscolo) anche: “Il messaggio evidenzia come Russo voglia essere considerato e, quindi, qualificato quale UNICO INTERLOCUTORE dì qualcuno con cui debba avere RAPPORTI PRIVILEGIATI, soprattutto ‘SENZA CHE VENGA FUORI IL NOME DI T’. Sulla base della lettura connessa degli atti acquisiti e delle intercettazioni, oltre che delle SIT (dichiarazioni, ndr) del Marroni Luigi e del Gasparri Marco – concludeva Sturzo – non si fatica a collocare tale messaggio nella dinamica Renzi Tiziano <-> Russo Carlo <-> Romeo Alfredo”.

Sturzo indicava ai pm così la pista da seguire: “Ne consegue come allo stato, in tale ottica, debba ritenersi rafforzato il tema accusatorio sul coinvolgimento del Renzi Tiziano, ma a questo punto con la congiunta necessità di verificare il ruolo stesso del Bonifazi, altro deputato del Pd, notoriamente vicino all’epoca dei fatti al Renzi Matteo”.

Quando è sentito dai pm il 21 maggio 2020, Bonifazi però replica: “Quello fu il primo messaggio in assoluto che ricevetti da Russo”. Anche Bonifazi si rende conto che – a leggerlo – non sembra una prima volta e così aggiunge: “Il tono del messaggio è piuttosto stravagante perché una persona che di fatto conoscevo appena di vista si rivolgeva con toni perentori che peraltro mi hanno determinato da subito una diffidenza nei suoi confronti”.

E la T.? Sul punto Bonifazi è ultra-cauto: “(…) è plausibile che il riferimento a T. io l’abbia potuto associare già allora a Tiziano Renzi ma non ne sono affatto sicuro”. Comunque Tiziano non gli parlò di Russo né li vide mai insieme. Un anno e mezzo dopo Russo viene pedinato a settembre 2016 dal Noe mentre va alla sede del Pd e – secondo i Carabinieri – probabilmente in quell’occasione potrebbe aver lasciato un appunto con il curriculum di Romeo a Bonifazi perché l’imprenditore campano era interessato all’acquisto de L’Unità.

Ora Bonifazi chiarisce: “Dopo quel breve incontro (del 2015, ndr) non ho avuto altri colloqui con lui fino al settembre del 2016 quando mi venne a parlare del possibile interessamento di Romeo a rilevare L’Unità”. Poi lo incrocia qualche volta ‘casualmente’ alla stazione di Firenze e infine “nel settembre 2016 venne nel mio studio a Firenze per portarmi un breve curriculum dove si attestava anche l’esito positivo della vicenda processuale di Romeo con l’assoluzione definitiva in Cassazione dicendomi che Romeo era interessato all’acquisto de L’Unità. Lo trattai in modo sbrigativo dicendogli che avrei valutato senza dare alcun seguito (..) Russo non mi parlò di altro”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/21/romeo-me-lo-porto-lamico-di-renzi-sr-voleva-finanziare-il-pd/5973815/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-10-21

domenica 2 agosto 2020

Processi e altre indagini, cosa resta di Consip. - Marco Lillo

Processi e altre indagini, cosa resta di Consip

4 anni dopo - Agosto 2016: iniziano le intercettazioni dell’inchiesta sulla centrale acquisti. Ad oggi l’ex ministro è a processo, il padre dell’ex premier non ancora archiviato.
Il 3 agosto del 2016, esattamente quattro anni fa, le microspie dei Carabinieri del Nucleo Tutela Ambiente, Noe, intercettavano per la prima volta Carlo Russo che parlava di Tiziano Renzi con Alfredo Romeo negli uffici romani dell’imprenditore, vicino alla Camera. I pm napoletani Henry John Woodcock e Celeste Carrano si imbattono per puro caso in questo 33enne di Scandicci molto amico di Tiziano che si offre di aiutare Romeo nelle gare. Romeo si era aggiudicato provvisoriamente 3 lotti della gara più grande d’Europa: 2,7 miliardi in tutto per la pulizia e manutenzione dei palazzi pubblici italiani. Temeva di essere fatto fuori in graduatoria definitiva e di perdere così 609 milioni di euro. Inoltre era interessato a altre gare di Inps e Grandi Stazioni. Così inizia quattro anni fa il caso Consip. Gli incontri proseguono. Le microspie registrano le chiacchiere in libertà di Russo e Romeo.
Secondo le informative dei Carabinieri, Romeo un mese dopo offre a Russo nell’incontro del 14 settembre 2016 un informale “accordo quadro” che prevedeva dazioni (mai avvenute) di 30 mila euro al mese per “T.” (alias Tiziano Renzi) e 5 mila a bimestre per “CR” (Carlo Russo per i pm). Romeo in cambio voleva entrare in contatto con Luca Lotti e con l’Amministratore delegato di Consip, Luigi Marroni.
Tiziano Renzi si è sempre dichiarato all’oscuro di tutto. L’indagine è funestata subito dalle fughe di notizie a favore degli indagati. Il 21, 22 e 23 dicembre Il Fatto svela le indagini sulle fughe suddette in una serie di articoli: il ministro Luca Lotti e il generale dei Carabinieri Emanuele Saltalamacchia (ex comandante della Toscana) sono indagati perché avrebbero spifferato l’esistenza dell’indagine a Luigi Marroni e il comandante generale dei Carabinieri, Tullio del Sette, è indagato per un “allarme” dato a Luigi Ferrara, presidente della Consip. L’inchiesta poi nel 2017 passa per competenza alla Procura di Roma e cambia obiettivi e passo.
Quattro anni dopo cosa resta dell’inchiesta Consip? Al tagliando, la Procura di Roma non fa una bella figura. Vediamo la sorte dei protagonisti della vicenda.
Luca Lotti Accusato di aver rivelato l’inchiesta.
La Procura di Roma a dicembre 2018 ha chiesto il rinvio a giudizio sia per l’ex ministro Luca Lotti che per il generale Emanuele Saltalamacchia per favoreggiamento. Per entrambi invece i pm hanno chiesto l’archiviazione per la rivelazione di segreto. Lotti e Saltalamacchia avrebbero rivelato un segreto che non era proprio del loro ufficio, per i pm. Il Gip Gaspare Sturzo però ha rigettato questa impostazione e alla fine il Gup Niccolò Marino ha disposto – contro il parere dei pm – il rinvio a giudizio anche per rivelazione di segreto. Al processo, fissato il 13 ottobre, Lotti e il generale Saltalamacchia dovranno difendersi da entrambe le accuse. Dalle intercettazioni del maggio 2019 agli atti di un’altra inchiesta, quella di Perugia su Luca Palamara, emerge l’ostilità di Lotti verso i pm romani: il deputato Pd probabilmente si aspettava la richiesta di archiviazione per entrambi i reati.
Nell’indagine Consip, chi fa il suo nome è l’ex ad Luigi Marroni, teste che i magistrati ritengono affidabile. É il 20 dicembre del 2016 quando i carabinieri del Noe dice: “Ho appreso in quattro differenti occasioni da Vannoni, dal generale Saltalamacchia, dal presidente di Consip Luigi Ferrara e da Lotti di essere intercettato”. Ferrara, spiega Marroni, lo avrebbe saputo dall’ex comandante generale dell’Arma Tullio Del Sette. Tutti hanno respinto le accuse. Il processo è in corso.
Tiziano Renzi L’incontro a Firenze con Romeo e l’amico Carlo Russo.
L’allora procuratore capo Giuseppe Pignatone, l’aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi hanno chiesto l’archiviazione per il traffico di influenze illecite ipotizzato da loro stessi all’inizio. L’amico Carlo Russo, che spendeva il nome di Tiziano per trattare compensi, sarebbe per i pm un millantatore. Conclusione mantenuta anche quando i pm hanno individuato, grazie allo studio delle celle telefoniche agganciate dai rispettivi cellulari, un incontro a tre a Firenze il 16 luglio 2015 tra Alfredo Romeo, Carlo Russo e Tiziano Renzi. Incontro negato dai protagonisti. Il Gip Gaspare Sturzo ha accolto la richiesta di archiviazione per alcuni episodi minori di traffico di influenze ma non ha voluto archiviare i due episodi più importanti: la gara Consip e la gara Grandi Stazioni. Sturzo ha chiesto alla Procura di fare nuove indagini e i pm hanno sentito nei mesi scorsi come persone informate dei fatti l’ex tesoriere del Pd renziano Francesco Bonifazi (estraneo all’inchiesta) e hanno risentito l’amministratore di Consip, Marroni.
A settembre potrebbero seguire l’orientamento del Gip e chiedere il rinvio a giudizio di Tiziano Renzi. Oppure insistere con la richiesta di archiviazione.
Alfredo Romeo A giudizio nella capitale per corruzione.
Arrestato dai pm di Roma nel marzo 2017 e poi scarcerato dalla Cassazione. Ora è a processo sia a Napoli che a Roma con l’accusa di corruzione. A Roma perché avrebbe consegnato circa 100mila euro all’ex dirigente Consip Marco Gasparri (che ha già patteggiato), in cambio di favori. A Napoli il processo riguarda fatti di corruzione minore in Campania. Su entrambi i processi incombe la sentenza della Cassazione che va nel senso dell’inutilizzabilità delle intercettazioni captate dai pm di Napoli. Il Consiglio di Stato e la Cassazione intanto hanno confermato l’esclusione dalla gara Consip per la società di Romeo. L’imprenditore resta in ballo a Roma per l’ipotesi più delicata politicamente: quella di traffico di influenze illecite contestata a lui in concorso con Carlo Russo e Tiziano Renzi. Come gli altri è in attesa anche lui delle determinazioni dei pm di Roma dopo il rigetto della richiesta di archiviazione e la richiesta di nuove indagini.
John Woodcock Il pm al centro di accuse infondate.
Il pm di Napoli nell’estate del 2017 è stato indagato ingiustamente per rivelazione di segreto in concorso con la sua amica Federica Sciarelli e anche per falso in concorso con il capitano del Noe Gianpaolo Scafarto. Tutte le accuse erano infondate. Come poi la Procura di Roma ha dovuto ammettere chiedendo e ottenendo l’archiviazione, Woodcock non era la fonte del Fatto. La sua amica Federica Sciarelli non era il tramite della trasmissione delle notizie. Inoltre i giudici hanno stabilito che Scafarto ha fatto errori ma non c’era nessun falso voluto. Soprattutto Woodcock non c’entrava nulla perché aveva solo chiesto a Scafarto di fare un capitolo apposito dell’informativa sull’argomento servizi segreti.
Sciarelli è stata perquisita, nel luglio 2017, e i Carabinieri le hanno sequestrato e analizzato il cellulare perché accusata ingiustamente di essere il tramite delle notizie al Fatto. Tutto falso.
Woodcock è stato sottoposto anche a un procedimento disciplinare tanto lungo quanto ingiusto dal Csm. Il magistrato era accusato di avere parlato con la giornalista Liana Milella mancando di rispetto al suo capo: il procuratore reggente Nunzio Fragliasso. Dopo un primo verdetto di censura del Csm e l’annullamento con rinvio della Cassazione, Woodcock è stato definitivamente “assolto” da ogni addebito nel giugno 2020. Luca Palamara, amico di Luca Lotti, si era interessato attivamente del procedimento contro Woodcock, partito nella consiliatura precedente quando lui era membro del Csm.
Giampaolo Scafarto Il maggiore silurato.
Il capitano dei Carabinieri che ha svolto l’inchiesta scrivendo molte cose sbagliate nelle sue informative è stato accusato dalla Procura di Roma di numerosi reati: dalla rivelazione di segreto al falso fino al depistaggio. La Procura di Roma – come per Woodcock – manifesta nei confronti del Carabiniere una pervicacia degna di miglior causa. Al padre di Matteo Renzi, Tiziano, i pubblici ministeri romani non hanno mai fatto una perquisizione o un sequestro di cellulare, mentre Scafarto ha subito due sequestri di cellulare. La Procura di Roma ha chiesto e ottenuto dal Gip nel gennaio 2018 per lui la sospensione dal servizio. Il Tribunale del Riesame però nel marzo 2018 l’ha annullata. Infine il gup Clementina Forleo ha disposto il non luogo a procedere per Scafarto su falsi, rivelazioni di segreto e depistaggi. Il capitano, nel frattempo divenuto maggiore, per i giudici (Gip e come detto prima anche tribunale del Riesame) non ha fatto nulla di penalmente rilevante. La Procura ha fatto ricorso e il processo è fissato il primo ottobre davanti alla Corte di Appello.