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domenica 10 gennaio 2021

Consip, nuovi accertamenti sui contatti P. Chigi-Romeo. - Marco Lillo e Valeria Pacelli

 

Intanto l’imprenditore campano smentisce se stesso e Tiziano Renzi: ci vedemmo in un bar, ma non si parlò di gare.

Riparte nei tempi supplementari l’inchiesta Consip. Dopo l’avviso chiusura indagini contro Alfredo Romeo, Tiziano Renzi, Carlo Russo e Italo Bocchino per la presunta turbativa d’asta e il presunto traffico di influenze sulla gara FM4 da 2,7 miliardi, i pm Paolo Ielo e Mario Palazzi hanno acquisito l’informativa depositata nel procedimento napoletano su Romeo per altri fatti. L’informativa riguardava i messaggi trovati nel telefonino di Carlo Russo. Dopo averla letta i magistrati romani hanno deciso di dare nuove deleghe di indagine ai Carabinieri. Poiché l’inchiesta era stata già chiusa però nelle indagini integrative non possono essere ri-interrogati gli indagati per chiedere conto dei nuovi elementi. Per esempio i pm non potranno chiedere conto a Domenico Casalino dell’incontro con Tiziano Renzi e Carlo Russo avvenuto il 22 aprile 2015 alle 15 in un bar dell’Eur a Roma raccontato da Casalino al Fatto nell’articolo “L’incontro ignorato dai pm fra Tiziano Renzi e l’ex Ad” del 30 ottobre 2020. Non potranno nemmeno chiedere di nuovo a Tiziano Renzi dell’incontro con Alfredo Romeo raccontato, sempre al Fatto e non ai pm, da Romeo.

Cosa potranno fare allora i magistrati romani? Potrebbero convocare Eleonora Chierichetti, completamente estranea alle indagini. Perché i pm potrebbero sentire a sommarie informazioni la ex collaboratrice storica di Matteo Renzi nell’inchiesta in cui è indagato il padre dell’ex premier? Nell’informativa i carabinieri napoletani ricostruiscono cosa sia avvenuto ad aprile 2015. Il 10 aprile di quell’anno pochi minuti dopo le 9 del mattino, Tiziano Renzi “comunicava a Russo il numero del cellulare di Eleonora Chierichetti”. Già collaboratrice di Matteo Renzi ai tempi in cui era presidente della Provincia e poi sindaco a Firenze, la Chierichetti in quel momento è nella segreteria di Palazzo Chigi, impegnata alle dipendenze del sottosegretario Luca Lotti. Due ore dopo aver ricevuto il contatto da Tiziano Renzi, Russo scrive: “Eleonora buongiorno, scusa se ti disturbo. Posso chiamarti? Grazie, Carlo Russo”. Dall’informativa non emerge il motivo di questo contatto. Tre giorni dopo, però, il 13 aprile 2015, alle 14.52, Paola Grittani, collaboratrice fidata di Alfredo Romeo, invia a Russo il numero della Romeo Gestioni. “Dr. Ecco il numero della segreteria dell’avvocato. Si preoccuperanno di passare la telefonata n. 081******* saluti”. Appena due minuti dopo Russo invia quel numero al cellulare della Chierichetti: “081******* avv Romeo”.

Che cosa è successo dopo? Ci sono stati contatti tra Palazzo Chigi e ‘l’avv Romeo’? Quando Il Fatto si occupò della vicenda, l’ex ministro Lotti spiegò di non aver mai incontrato Romeo e di non averlo mai contattato telefonicamente. Romeo su questa circostanza ha precisato di non aver parlato con Matteo Renzi e ha spiegato così la ragione di quello scambio di messaggi: “Avrei avuto piacere che a concludere (un convegno a Roma poi tenutosi nel novembre 2015, Ndr) fosse il presidente del Consiglio (…) mi aveva chiamato in aprile anche una signora della Segreteria di Palazzo Chigi. Mi aveva dato assicurazioni ma non se ne fece niente”.

Il 18 dicembre scorso la Procura di Roma ha chiesto il processo per Tiziano Renzi, il suo amico Carlo Russo e l’imprenditore Romeo con altri perché, nell’impostazione dei pm, Russo si faceva promettere denaro per sé e per Tiziano Renzi (che ha sempre negato di conoscere le interlocuzioni tra Russo e Romeo) in cambio della propria mediazione sull’ex ad di Consip, Luigi Marroni (estraneo alle indagini) affinché favorisse le società dell’imprenditore campano nella gara Fm4.

Tiziano Renzi ha negato nell’interrogatorio di marzo 2017 con i pm di Roma di avere incontrato Alfredo Romeo. Nel maggio del 2017 però nel libro “Di padre in figlio” (edito da PaperFirst) pubblicammo la trascrizione di una telefonata tra Matteo e Tiziano Renzi alla vigilia di quell’ interrogatorio. Tiziano, mentre era intercettato dai pm di Napoli, escludeva con poca convinzione al figlio che lo incalzava di aver fatto incontri al ristorante con Romeo ma diceva di “non ricordare i bar”. Matteo Renzi dopo la pubblicazione difese il padre e chiese persino le scuse pubbliche ai giornalisti che rilanciavano la notizia del possibile incontro con Romeo, senza fare verifiche, a suo dire. Il Fatto svelò però nell’estate 2017 un’altra conversazione intercettata sempre nel 2016 in cui Russo e Romeo parlavano di un incontro in un ‘barettino’. Ipotizzammo fosse proprio ‘il bar’ dimenticato da Tiziano nella telefonata con Matteo. Allora Romeo si fece intervistare da Repubblica il 18 agosto 2017 e negò l’incontro. Però gli investigatori guardarono meglio i tabulati telefonici in loro possesso individuando la sovrapposizione delle celle agganciate dai tre cellulari il 16 luglio 2015, a Firenze. La linea di Russo, Romeo e Tiziano però restò la stessa. Il primo marzo del 2019 a Repubblica che gli chiedeva “È proprio sicuro di non aver mai incontrato Renzi Senior?”, Romeo tronfio e sicuro rispondeva: “Mai. L’ho detto e l’ho ripetuto non è il caso di tornarci”.

Si arriva così al dicembre 2020. Il Fatto chiede a Romeo un’intervista e l’imprenditore ritrova la memoria: “L’incontro col papà di Renzi lo ho avuto nel luglio del 2015. Ci siamo visti per dieci minuti al banco di un bar, senza neanche sederci. Abbiamo parlato solo del convegno che stavo organizzando con l’Osservatorio Risorsa Patrimonio (…) avrei avuto piacere che a concludere fosse il presidente del Consiglio. (…) Nessuna relazione con Consip”.

Il Gip Gaspare Sturzo la vede diversamente e nota che pochi giorni dopo quell’incontro Tiziano Renzi contatta l’amministratore delegato di Consip appena nominato, Luigi Marroni, e gli chiede un incontro a Firenze. Nelle risposte scritte di Romeo alle nostre domande a dicembre (che non abbiamo pubblicato perché Romeo pretendeva fossero messe in pagina integralmente comprese, oltre alle mezze ammissioni sull’incontro fiorentino, anche alcune balle da noi restituite al mittente) c’erano altri elementi interessanti come le chat sopra riportate per organizzare la telefonata Romeo-Palazzo Chigi. Per esempio c’era la rivelazione di un fatto: Carlo Russo arrivò al cospetto di Romeo nel 2015 grazie all’allora Ad di Consip. “Casalino – ci ha scritto Romeo – mi chiese attraverso Italo Bocchino di incontrare Russo”. Dunque ricapitolando: Russo incontra Casalino, Ad di Consip da solo a febbraio 2015. Sempre Casalino – a detta di Romeo – manda Russo da Romeo tramite Bocchino. Poi Casalino, da Ad in carica di Consip, incontra Russo con Tiziano Renzi al bar dell’Eur. Infine, dopo la sostituzione di Casalino con Marroni al vertice di Consip ecco che Tiziano Renzi e Russo incontrano Romeo il 16 luglio 2015 a Firenze. Il 20 luglio 2015 poi Tiziano contatta l’Ad in carica di Consip, Luigi Marroni, nominato dal governo Renzi, per incontrarlo a Firenze e poi aggiorna sul possibile futuro incontro Russo.

Però – secondo la deposizione di Luigi Marroni, ritenuta attendibile dai pm romani – quando finalmente Russo incontra, su input di Tiziano, Marroni non gli raccomanda Romeo ma un’altra società. Quale? Mistero. Marroni non ricorda. Questa è la matassa che dovrà essere sbrogliata nell’udienza preliminare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/10/consip-nuovi-accertamenti-sui-contatti-p-chigi-romeo/6060813/

giovedì 2 marzo 2017

La tela di Bocchino "Così gli appalti vanno alle coop per ritorni politici". - Massimo Malpica



L'ex Fli tra gli indagati: spiegava a Romeo i vantaggi del sistema Consip. Il ruolo del dirigente Gasparri. Ombre su De Luca e Caldoro.

Roma Tutto per gli appalti. Dall'ordinanza d'arresto di Alfredo Romeo per lo stralcio romano dell'indagine sulla Consip, emerge un quadro inquietante. Il presunto intreccio tra la fame di business dell'imprenditore partenopeo e la centrale acquisti della Pubblica amministrazione getta ombre oscure anche sulla Consip e sui suoi scopi.
Che il «facilitatore» Italo Bocchino (indagato per traffico di influenze e ieri perquisito) riassume, intercettato con il suo datore di lavoro Romeo, ritagliando uno spazio speciale per le coop.

GLI APPALTI CONSIP? SERVONO ALLE COOP

È il 19 gennaio, e Bocchino racconta all'imprenditore «di esperienze legate al suo recente passato di parlamentare, dal quale emerge chiaramente che gli appalti di Consip devono essere gestiti per favorire prevalentemente le cooperative, in quanto rappresentano sia un bacino di voti dal quale poter attingere (a differenza dei grandi gruppi come Romeo) ed è anche e soprattutto un modo lecito per finanziare la politica e/o il politico di turno». Bocchino sembra anche rivelare una richiesta di soldi da un politico che gli inquirenti hanno oscurato: «Perché un politico - racconta intercettato l'ex parlamentare - può venire da te a chiederti sessantamila euro che ti ha chiesto (omissis), ma i mille pulitori sul territorio, sono mille persone che danno 5mila euro ciascuno, sono mille persone che quando voti si chiamano i loro dipendenti (...) quindi secondo me c'è una scelta politica». Sembra di rileggersi gli atti di Mondo di Mezzo, l'inchiesta su Mafia Capitale che aveva scoperchiato il malaffare nella cooperazione. O anche, come scrive il gip, il sistema, vantaggioso solo per la politica «cattiva», di «copertura capillare dei pubblici appalti mediante finanziamento illecito della politica già emerso 25 anni fa» con Mani Pulite.

I CONTATTI TRA ROMEO E I VERTICI POLITICI

Più volte il grande accusatore di Romeo, il dirigente Consip Marco Gasparri, evoca nei suoi verbali i contatti altolocati di Romeo anche nella sfera politica. Proprio l'uomo Consip racconta che Romeo contava anche su altre fonti interne alla società, e aggiunge che a settembre dello scorso anno «mi disse che aveva fatto un intervento sui vertici della Consip attraverso il massimo livello politico. Non mi disse chi era il politico o i politici presso i quali era intervenuto, ma mi disse che si trattava del livello politico più alto». E per capire se l'intervento era servito, aggiunge Gasparri, Romeo «mi chiese se io avevo registrato un cambiamento di atteggiamento dell'Ad di Consip Marroni nei suoi confronti».

OMAGGI ALBERGHIERI PER AMICI E CONSULENTI

Il gip racconta in che modo Romeo utilizzava gli hotel suoi o dei suoi familiari per «fornire a illustri ospiti vacanze gratuite, probabilmente nel contesto corruttivo qui in corso di esame». Come esempio, subito dopo, il giudice accenna al «soggiorno molto costoso (3.233 euro) presso l'albergo Romeo» offerto a Carlo Russo, l'imprenditore di Scandicci, amico di Tiziano Renzi e che pure il ministro Luca Lotti sponsorizzò con Michele Emiliano affinché il Governatore pugliese accettasse di incontrarlo. Ma i nomi di Russo e della sua compagna non sono gli unici riportati sul «pizzino» riprodotto nell'ordinanza. Dove si legge anche, per due volte, il nome del «presidente De Luca», al quale sarebbe stato offerto il 24 ottobre 2015 qualcosa relativo a «il Comandante» (nome del ristorante dell'hotel Romeo di Napoli) e un non meglio precisato «voucher». Sempre lo stesso foglietto riporta poi i nomi di altri «omaggiati» dal ristorante dell'hotel, il «sig. Lettieri» e il «sig. Caldoro». Il gip non si sbilancia, non dice se Caldoro è l'ex governatore campano (tra l'altro indagato nell'inchiesta Consip), non accenna se Lettieri sia il candidato sindaco del centrodestra a Napoli o un omonimo, né dice nulla sull'eventuale identificazione del «presidente De Luca» con il presidente Dem della Regione Campania Vincenzo De Luca. Non si azzarda a ipotizzare se quella fattura recuperata dalla carta straccia si riferisca a movimenti di soldi, o a dire se «tali vantaggi siano stati resi dal Romeo al fine di ottenere atti contrari ai doveri di ufficio e traffici di influenze». Ma di certo ha offerto «vantaggi gratuiti a terzi soggetti» dai nomi certamente suggestivi.

QUELLA FRUTTUOSA AGITAZIONE DI BOCCHINO

Bocchino ha un ruolo chiave «per favorire i progetti criminali del Romeo», scrive il gip. Che poi riporta stralci di un'intercettazione tra l'imprenditore e il suo ex parlamentare-facilitatore. I due discutono di bandi a loro dire fatti su misura per favorire alcuni e danneggiare altri, tra cui la società Manital che, ricorda Bocchino, «piglia zero, zero... è fuori da tutti i lotti». E l'ex deputato conclude ricordando che «se loro (intesi come gruppo Romeo) non si fossero mossi con mirate entrature» avrebbero potuto puntare solo agli appalti campani: «Se non ci agitavamo come ci siamo agitati nell'ultimo anno - chiosa Bocchino - l'operazione era... chiuditi in Campania».

IL VESTITO DI GASPARRI DOZZINALE PER ROMEO

Tra le tante chiacchiere intercettate c'è anche spazio per schermaglie verbali tra Romeo e il suo uomo in Consip Marco Gasparri, che a botte di 5mila euro a dazione avrebbe preso per la procura circa 100mila euro. Talvolta Romeo è sprezzante con il suo prezioso insider, come quando a settembre «schernisce il suo interlocutore per i suoi abiti: La vuole smettere di comprare sti vestitiell' e 40 euro, 35 euro al mercatino della stazione Garibaldi?».

giovedì 27 febbraio 2014

Peccatori e verginelle. - Marco Travaglio


Diciamo subito che espellere quattro senatori perché dissentono dalle scelte del loro movimento, dei loro leader e della maggioranza dei loro gruppi parlamentari, ma senza aver violato la cosiddetta “disciplina di partito” (o di non-partito), è una pratica assurda e antidemocratica, anche se è stata votata a maggioranza e ratificata dagli iscritti al blog
 di Grillo. 
E, se anche fosse vero che è prevista dal regolamento o dal non-statuto che dir si voglia, vorrebbe dire che è sbagliato e antidemocratico il regolamento, o il non-statuto che dir si voglia. 
Lo scrivemmo quando toccò alla senatrice Gambaro e lo ripetiamo a proposito dei senatori Battista, Bocchino, Campanella e Orellana. 
Se Grillo e Casaleggio hanno un po’ di sale in zucca, dovrebbero riunirsi con gli eletti e scrivere un altro non-statuto, più elastico e meno autolesionista, riaprendo le porte agli espulsi per “reato di opinione”. 
E, se gli eletti hanno un po’ di sale in zucca, dovrebbero chiamare i due leader a Roma e pretenderlo. 
È trascorso un anno da quando i 5Stelle entrarono in Parlamento con 163 rappresentanti, sicuramente troppi per la gracile struttura di un movimento così giovane e inesperto. 
Dodici mesi bastano e avanzano per far tesoro dell’esperienza maturata, così com’è avvenuto con la retromarcia sulla tv: all’inizio l’ordine di scuderia era di disertare i talk show perché qualcuno aveva deciso che “la tv è morta”, poi si comprese che era viva e vegeta e gli italiani cominciarono a conoscere, grazie alla tv, i Di Maio, Nuti, Di Battista, Sarti, Taverna, Fraccaro ecc.,e a toccare con mano quanto fosse ridicola la rappresentazione mediatica dei “grillini” come un branco di brubru incolti, xenofobi, decerebrati e telecomandati dalla Casaleggio Associati. 
Più volte, anzi, capitò di vederli metter sotto politici navigati. 
In 12 mesi di impegno parlamentare è nata e cresciuta una piccola classe dirigente – per ora soltanto di opposizione – che ha segnato molti punti al suo attivo, con scelte nobili e di grande effetto (la rinuncia ai soldi pubblici) e battaglie meritorie (le mozioni di sfiducia individuale contro Alfano, Cancellieri e De Girolamo, le campagne contro gli F-35 e il Porcellum, l’ostruzionismo sulla controriforma dell’art. 138 e sul decreto Bankitalia), anche contro il parere dei capi (l’abolizione del reato di clandestinità). 
Questa classe dirigente s’è guadagnata sul campo il diritto-dovere di una sempre maggior autonomia dai vertici, inevitabilmente lontani dalla quotidianità parlamentare: del resto era stato proprio Grillo a dirsi ansioso di tornare al suo vecchio mestiere e a incitare gli eletti a camminare con le proprie gambe. 
Tutto ciò premesso, il problema che i 5Stelle credono di risolvere brutalmente e autolesionisticamente a suon di espulsioni e calci in culo esiste non solo al loro interno, ma in tutti i partiti. 
Ora si sprecano paroloni, lezioni di democrazia da cattedre improbabili (tutti i partiti usano biecamente lo strumento delle espulsioni, anche se nessuno lo scrive), paralleli con il comunismo e il fascismo, citazioni dell’art. 67 della Costituzione (“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”). Ma qui la questione è molto più banale e attuale: fino a che punto un partito, o un movimento, o uno o più suoi eletti possono disattendere gli impegni presi con i propri elettori? È vero che ogni parlamentare rappresenta tutta la Nazione, ma non è detto che debba per forza rappresentarla con la maglietta di un partito in cui non si riconosce. 
Se avessero avuto un pizzico di dignità, i senatori Battista, Bocchino, Campanella e Orellana, anziché sparare ogni giorno dalle tv e dai giornali contro il Movimento e gli elettori che li hanno paracadutati in Senato, in nome di una linea politica rispettabilissima ma incompatibile con quella che si erano impegnati a seguire, si sarebbero dimessi e iscritti al gruppo misto. 
Oppure, se ne avessero avuti i numeri (come pare avranno tra breve a Palazzo Madama), formare un gruppo autonomo. 
Non ti piace (più) il tuo partito? 
Ti fanno schifo i tuoi compagni? 
Scopri con notevole ritardo che il tuo leader è la reincarnazione di Hitler? 
Vattene, senza aspettare che ti caccino. 
Altrimenti non sei un Solgenitsin, o un Sacharov: sei soltanto uno Scilipoti. 
E, già che ci siamo, sarebbe il caso di risolvere una volta per tutte il dilemma: perché un berlusconiano o un grillino che vuole allearsi col Pd è un figliuol prodigo redento alla democrazia e mosso da nobili slanci da accogliere con il vitello grasso, mentre se uno fa il percorso inverso è un bieco voltagabbana? Paradossalmente, i 5Stelle scontano un sistema di selezione delle candidature molto più “democratico” di quelli praticati dai partiti: i vertici Pdl, Pd, Udc, Lega, Scelta civica, Sel ecc. conoscevano tutti i candidati che han portato in Parlamento grazie al Porcellum: perché se li sono scelti e nominati uno per uno (ne sa qualcosa Renzi, che si ritrova i gruppi parlamentari targati Bersani). 
Grillo e Casaleggio i loro eletti li hanno conosciuti per la gran parte dopo il voto, non prima. Per questo, nei partiti, non muove mai foglia che i leader non vogliano, nemmeno quando compiono scelte contro natura come le larghe intese con B. e poi con Alfano (due volte), nate all’insaputa anzi nel tradimento degli elettori. 
Ci sono, è vero, le riserve indiane tipo i civatiani: ma, giunti al dunque, si allineano sempre: altrimenti verrebbero espulsi anche loro, democraticamente si capisce. 
Da oggi, grazie all’ennesimo autogol dei 5Stelle, assisteremo alla solita sceneggiata dei partiti più antidemocratici d’Europa che danno lezioni di democrazia. 
Ma sarà soltanto un espediente ipocrita e propagandistico per rinviare la discussione su un problema che riguarda tutti: davvero la democrazia è chiamare ogni tanto i cittadini alle urne, incassarne i voti su un certo programma e usarli per fare esattamente l’opposto?

Da Il Fatto Quotidiano del 26/02/2014.

Non sono d'accordo con la linea: 

Non ti piace (più) il tuo partito? 
Ti fanno schifo i tuoi compagni? 
Scopri con notevole ritardo che il tuo leader è la reincarnazione di Hitler? 
Vattene, senza aspettare che ti caccino. 

perchè, quando si viene eletti con un programma ed in un partito o movimento, si ha il dovere di seguire la linea indicata da quel partito o movimento, non si può cambiare opinione dopo il voto, questo è un vero e proprio tradimento!
Cetta.


domenica 9 giugno 2013

Consiglio d’Europa, da Dell’Utri a Ciarrapico i trombati restano a Strasburgo. - Sara Nicoli

Dell'Utri, Ciarrapico, Farina e gli altri I trombati restano in Consiglio d'Europa


I componenti della delegazione sarebbero dovuti cambiare dopo le elezioni, ma i partiti non hanno mandato agli uffici competenti i nomi dei propri candidati. E così l'Italia è rappresentata (anche) da condannati e inquisiti bocciati alle urne o neanche candidati.

Democrazia pluralista, rispetto dei diritti umani e preminenza del diritto. Sono le tre architravi su cui poggia il lavoro del Consiglio d’Europa, un organismo da non confondere con il Consiglio europeo, fondato nel 1949 col Trattato di Londra. Ne fanno parte i 47 principali Paesi sviluppati del mondo che ogni quattro anni inviano le loro delegazioni nella sede dell’organismo a Strasburgo proprio per parlare dei massimi sistemi della politica, della cultura e del progresso del mondo.
A tenere alto il vessillo dell’Italia in questo delicato compito ci sono ben 40 ‘personalità’ di indubbio prestigio: Giuseppe Ciarrapico (in quota Pdl), Vladimiro Crisafulli (Pd), Marcello Dell’Utri (Pdl), Renato Farina(Pdl), Gennaro Malgieri (ex Fli), Giuseppe Valentino (uomo di fiducia di Berlusconi), Italo Bocchino (ex Fli) e persino Giacomo Stucchi (Lega), neopresidente del Copasir. Nomi che spiccano all’interno di una lista di una quarantina di componenti (visibile sul sito di Camera e Senato) declinati anche in virtù del ruolo; c’è un presidente (Luigi Vitali del Pdl), due vicepresidenti e due segretari.
L’intera delegazione (18 componenti effettivi e 18 supplenti) è seguita costantemente da appositi uffici istituzionali con sede sia alla Camera che al Senato, dove sono presenti un segretario di delegazione, due documentaristi e due assistenti. Che hanno un costo che ricade sui bilanci delle Camere, al capitolo “spese per attività interparlamentari e internazionali”. Solo a Montecitorio questa voce pesa per 1 milione e 965mila euro, ma non tutta la cifra è ascrivibile alla nostra partecipazione al Consiglio d’Europa e alle sue necessità. Il costo, però, c’è.
Inoltre, tra i poteri dell’assemblea del Consiglio, c’è quello di eleggere i giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo e il Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa. Nomine delicate e pesanti sul fronte internazionale. Delegate, per conto dell’Italia, proprio a Dell’Utri, Farina, Crisafulli. Ecco, questi signori e gli altri componenti della delegazione italiana, alcuni com’è noto non più parlamentari e pluri inquisiti, dovevano essere sostituiti all’inizio della legislatura dai presidenti delle Camere, su ‘suggerimento’ dei nuovi partiti eletti a febbraio.
Il problema è che, a oltre tre mesi dalle elezioni, non si ha alcuna notizia circa il cambio della guardia. A Strasburgo continuano a rappresentarci loro su questioni legate anche a ogni forma di intolleranza e la valorizzazione dell’identità culturale europea. Si sorride, poi, pensando che le lingue ufficiali del parlamentino di Strasburgo sono solo l’inglese e il francese e la mente vola subito all’immagine di Giuseppe Ciarrapico e al suo leggendario eloquio. Come mai tanto ritardo sulla sostituzione della delegazione europea? La colpa, invero, non è dei presidenti delle Camere, ma dei partiti. Che non hanno provveduto ancora a mandare agli uffici competenti i nomi dei propri (nuovi) candidati. Il perché, in alcuni casi, è facilmente intuibile; a chi è uscito dal Parlamento, restare almeno componente del Consiglio d’Europa è uno strapuntino che si tenta di preservargli fino all’ultimo. Ecco perché in special modo il Pdl è stato più volte sollecitato a proporre i nuovi, ma l’appello è caduto nel vuoto.