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venerdì 22 dicembre 2023

Cosa c’è davvero nel vino che beviamo? L’inchiesta di Report, l’uva del Sud e il marketing della paura.

 

(Alessandro Trocino – corriere.it) – Avete visto «Report» e vi è passata la voglia di bere vino? C’è da preoccuparsi? Come spesso accade, guardando le inchieste di «Report», la notizia della morte del de cuius (il vino, nello specifico), è fortemente esagerata. Ogni volta che si guarda una puntata, viene in mente Carlo Lucarelli che ci guarda torvo: paura eh? Già, perché la logica delle inchieste è quella di trovare il marcio da qualche parte e se non si trova proprio, basta qualcosina di surmaturo o di lievemente deteriorato: è sufficiente per allarmare lo spettatore del putridume che sta per travolgere le nostre vite o nel quale siamo immersi senza saperlo. Spesso non è neanche questione di inesattezze o errori (ci sono anche quelli), ma di allarmismo puro, di marketing della paura (un po’ come la politica, insomma).

In vino veritas.

Proviamo dunque a fare un po’ la tara all’ultima puntata di Report, a deacidificare la narrazione e a filtrare il discorso. Ed eccoci alla questione vino, oggetto dell’ultima puntata, a cura di Emanuele Bellano. Mettiamo subito da parte le reazioni esagitate del ministro Francesco Lollobrigida: «Abbiamo il nemico in casa». Come gli è stato fatto notare, se la casa di cui sopra è la Rai, non è casa sua. E se, invece, come sosteneva in tv il sempre performante Alessandro Giuli, parlava dell’Italia, peggio ancora. Non ci sono nemici, qui, se non i sofisticatori e i truffatori. Ed eccoci al punto. E alla domanda fondamentale: cosa c’è dentro il bicchiere che beviamo? Cosa c’è nel nostro vino e com’è fatto? Spiace non poter rispondere. Alla faccia di tutti i disciplinari della terra, di tutti i controllori, di tutte le docdocg e sigle possibili e immaginabili, non possiamo sapere il contenuto del nostro bicchiere. È una disdetta, un peccato, anzi un oltraggio alla democrazia oltre che alla nostra salute. Ci son problemi peggiori, certo, ma non sapere cosa beviamo, sarete d’accordo, è una cosa molto spiacevole. Che contraddice anche la saggezza antica: in vino veritas. Ma quale veritas?

Vino sintetico.

Dice Report tre cose, in sintesi. Che i vini vengono costruiti. Un vino è poco acido? Poco tannico? Poco alcolico? Poco trasparente? Ci sono rimedi legali, additivi e enzimi di ogni tipo. Il «piccolo chimico», come recitava il titolo del servizio, fabbrica il vino che vogliamo, con il colore, la trasparenza, il gusto e il profumo che desideriamo (anzi, che la polizia della moda e del gusto ci impongono periodicamente). È una cosa piuttosto nota, anche se un ripasso non fa male. È successo negli anni ’70. La scienza ci ha messo a disposizione ogni bendidio per costruire il nostro vino Frankenstein: all’inizio abbiamo salutato con entusiasmo positivista il progresso scientifico, poi abbiamo cominciato a interrogarci corrucciati sui limiti dell’interventismo tecnologico. La questione è tanto nota che su questo tema è nato un intero movimento, quello dei vini naturali, o artigianali, o veri, o come li volete chiamare. Vini non solo senza sostanze chimiche aggiunte, ma che limitano anche il più possibile l’intervento dell’uomo. È qui che è nata la grande dicotomia tra i vini convenzionali, quelli industriali, su vasta scala, e i vini naturali, solitamente di piccoli produttori. Differenze di approccio, anche se talvolta si scade nella macchietta, con derive new age e no vax di alcuni produttori troppo innamorati della natura e poco della scienza. Ma al netto delle derive estremiste, il movimento dei vini naturali è una reazione giusta e necessaria a vini botox, elaborati, stressati, siliconati, svuotati di ogni vita, omologati, standardizzati. Ma torniamo a Report.

Gli additivi.

La seconda cosa che si dice nel servizio è che vengono usate anche sostanze illegali per abbellire i vini o per resuscitare uve morte. E questo non è bello, anche se la faccenda è nota. Illegale usarle, ma non venderle e così i negozi di enologia fanno affaroni, senza che nessuno abbia da ridire. A questa seconda traccia, si unisce un ultimo filone, quello delle truffe. Report riferisce, e questa è forse la parte dell’inchiesta più interessante, che ogni giorno la penisola è attraversata da decine di Tir che portano uva da Sud a Nord. Un fenomeno che c’è sempre stato, sia pure in forme diverse. Una volta succedeva perché le uve del Piemonte e del Veneto, terre allora fredde, non raggiungevano il sufficiente grado zuccherino per arrivare al minimo di alcol necessario per chiamarsi vino o per entrare nei disciplinari: e così da Puglia e Sicilia arrivavano a dar manforte tir e tir di Primitivo e Nero d’Avola, che irrobustivano gli stitici vini nordici (in Francia son più pratici, con la chaptalisation aggiungono zucchero nel vino, che da noi è vietato). Ma ormai c’è il cambiamento climatico e quindi i vini del Piemonte raramente stanno sotto i 13-14 gradi, senza bisogno di aiutini esterni.

Nord chiama Sud.

Ma ci sono altri due motivi per importare uva dal sud: la peronospora, malattia che quest’anno ha fatto strage, e il prezzo dell’uva. E così arriva uva non solo da terre ricche di acini sani, ma arriva anche uva da tavola, che non sarebbe idonea a farci il vino, ma che costa meno. E così succede che milioni di bottiglie di prosecco, che dovrebbe essere fatto con la glera nei confini nordici, già smisurati e allargati per decreto da Luca Zaia, viene fatto con pinot grigio della Puglia. Non benissimo. A questo si aggiungono criminali guerre commerciali combattute a suon di dipendenti infedeli degli apparati di controllo dello Stato, che finiscono poi, misteriosamente ma non troppo, per essere assunti dalle aziende stesse. A questo punto, le associazioni di produttori che dicono? E il governo come reagisce? Come al solito. Invece di indignarsi contro ladri, approfittatori, commercianti senza scrupoli, gente che rovina il Made in Italy e devasta la qualità, se la prende con Report, che denuncia il fenomeno. Film già visto, inguardabile sin dalla prima visione.

La chiave è l’etichetta.

Resta da dire che i tre filoni seguiti da Report dovrebbero stare ben distinti. E che sovrapporli, confonderli, finisce per togliere forza all’inchiesta. Certo, aumenta la repulsione («Dio mio cosa ci danno da bere, veleno?»), e quindi fa parlare della trasmissione e aumenta gli ascolti. Ma non fa opera di bene. Meglio sarebbe distinguere i piani. E spiegare che c’è un gigantesco rimosso nel mondo del vino e si chiama etichetta. Se tu produttore vuoi il mosto concentrato rettificato (che aumenta il grado alcolico), benissimo. Ma io voglio saperlo. Deve esserci scritto in retroetichetta o in qrcode. Se vuoi usare colla di pesce, bentonite, filtrazioni sterili, gomma arabica, caseina, trucioli di legno, ferrocianuro, dimmelo. Se nel tuo Barolo hai aggiunto il lievito Brl97, che enfatizza gli aromi di ciliegia, liquirizia e frutti di bosco, benissimo. Ma siccome pago 50 o 100 o di più, mi piacerebbe essere informato, se non è troppo disturbo. La questione, alla fin fine, è proprio quella: l’etichetta.

Divieto di trasparenza.

Per una convergenza di interessi, i grandi produttori, in combutta con la politica, hanno sempre impedito la libertà di etichetta. Non solo non c’è l’obbligo di scrivere gli ingredienti, ma c’è il divieto. Così, mantenendo nell’ignoranza il consumatore, possiamo continuare a metterci quello che vogliamo nel vino. Tempo fa girava un cartello che mostrava come in una sola bottiglia ci possono essere fino a un centinaio di additivi, enzimi, conservanti e sostanze di ogni tipo. Niente di male, se son legali (ma neanche benissimo). A patto che noi si sappia. È questa la vera questione che «Report» ha trattato solo lateralmente e che ministri, rappresentanti di categoria e grandi produttori si guardano bene dal sollevare. Fin quando il vino non sarà nudo, noi continueremo a bere un liquido ignoto. Vale però un’ultima considerazione.

Leggere gli indizi.

Visto che non ce lo vogliono dire, come si usava scrivere qualche anno fa, visto che ce lo nascondono, dovremmo cominciare a farci furbi. A informarci (eh, costa fatica, è vero). A capire che un vino bianco troppo trasparente e un rosso troppo luccicante nascondono spesso procedure invasive. Che un bianco torbido non filtrato non è difettato, anzi, vale il contrario. Che i lieviti a fondo bottiglia danno materia e forza al vino. E che, come con gli amici, anche i produttori vanno conosciuti per potersi davvero fidare e capire come lo fanno il vino. E più sono grandi i produttori, più comprano uva sconosciuta da viticoltori che non si sa come la trattano, più abbassano i prezzi, e più aumenta il rischio che quel liquido non sia esattamente un nettare divino ma un liquido ipertrattato che conserva solo un lontano ricordo dell’uva da cui dovrebbe provenire.

https://infosannio.com/2023/12/22/cosa-ce-davvero-nel-vino-che-beviamo-linchiesta-di-report-luva-del-sud-e-il-marketing-della-paura/

martedì 18 aprile 2023

Rinnovabili nel mondo e in Italia, a che punto siamo? Il report. - Gianmarco Gori

 

L'eolico e il solare hanno toccato un nuovo record nel 2022, arrivando a coprire il 12% del fabbisogno energetico globale. E avanzano.


Il sogno di avere un mondo "pulito" ed ecosostenibile si sta gradualmente avverando. A confermare questo trend più che positivo è Ember, leader globale nell'analisi dei dati energetici, che ha redato il report Global Electricity Review 2023, inerente la situazione attuale delle energie rinnovabili in tutto il Pianeta, Italia inclusa.

Secondo la società di consulenza, alla fine del 2022 l'eolico e il solare hanno raggiunto quota 12% del fabbisogno energetico mondiale, un record mai verificatosi prima, sinonimo di un'espansione sempre più importante di queste risorse. Ma a che punto è lo sviluppo delle rinnovabili nel mondo e in Italia? Proviamo a fare chiarezza.

Come si è raggiunto il record.

Iniziamo questa breve analisi parlando di un dato molto importante: la quantità di emissioni di carbonio nell'atmosfera prodotte dalla produzione globale di energia elettrica. Un valore che nel 2022 è sceso al minimo storico di 436 gCO2/kWh. In poche parole, l'elettricità che abbiamo usato l'anno scorso è stata la più pulita di sempre.

Chiaramente, questo risultato più che positivo è stato possibile soprattutto grazie a quel 12% di cui abbiamo accennato nell'introduzione, quindi grazie alla crescita esponenziale delle due rinnovabili principali: l'eolico e il solare. Ma non solo, perché per raggiungere un traguardo così importante è stato fondamentale anche l'apporto delle "altre" energie alternative, inclusa quella nucleare e quella idroelettrica.

Nonostante una diminuzione generale di entrambe - nel caso della seconda data da gravi periodi di siccità in tutto il globo - il "nuovo" e sostenibile mix energetico rinnovabile ha permesso di raggiungere la ragguardevole quota del 39% di fabbisogno di elettricità mondiale.

A tutto sole e vento.

Scendendo nel dettaglio, le due rinnovabili che hanno vissuto nel 2022 la crescita più grande sono state le vere protagoniste di questo approfondimento: cioè l'energia eolica (+17%) e solare (+24), con quest'ultima che è divenuta ufficialmente, secondo la stessa Ember, la fonte energetica in più rapida crescita degli ultimi 18 anni.

Parlando di numeri più concreti, alcune Nazioni hanno guidato l'intero Pienata, grazie a politiche interne piuttosto avanzate. Parlando di solare, una delle prime in assoluto è stata la Cina, che ha steso circa 1/5 di tutto il nuovo fotovoltaico globale (55 GW di capacità su 268 GW). Come riportato dalla società di consulenza, questo è stato possibile grazie all'innovativo piano Whole-County Rooftop Solar, un progetto di durata triennale a schema piramidale.

Se non ne avete mai sentito parlate, funziona in poche parole così: un provider di energia elettrica nazionale amministra una determinata regione. Per stendere i pannelli sui tetti degli edifici in maniera capillare si avvale della collaborazione di altre piccole realtà a livello locale, che a loro volta si occupano di identificare gli edifici più adeguati.

Proprio come da noi in Italia, in alcuni casi i pannelli diventano di proprietà del proprietario dello stabile, che così può scegliere di rivendere l'energia in eccesso al provider stesso, che, a sua volta, si occupa di rimetterla in rete. In altri casi, come succede da noi - spesso - per le aziende con grandi impianti produttivi, i pannelli restano di proprietà del provider energetico, che si occupa di inviare allo stabile sottostante solo il quantitativo energetico utile, con tariffe scontate.

Si tratta di un approccio che si sta diffondendo sempre più anche in Europa e che permette, a tutti gli effetti, di svincolare il cliente finale dal dover sborsare cifre piuttosto elevate per l'acquisto e il montaggio del materiale.

Il rovescio della medaglia.

A una situazione favorevole, spesso, ne corrisponde una contraria, un "rovescio della medaglia". Nella scienza economica solitamente è data dall'incertezza di mercato, scaturita da qualche fattore esterno.

La situazione globale che stiamo attraversando da ormai 3 anni, con il Covid prima e con la guerra poi, ha reso le decisioni - di qualsiasi tipo - più difficili da prendere. Nell'ambito energetico l'esempio più lampante può essere visto nella scelta di chiudere o meno le centrali elettriche a carbone, un modo ormai "antiquato" di produrre energia elettrica.

Il 2022 infatti nonostante l'ascesa delle rinnovabili è stato l'anno in cui la percentuale più bassa di queste ha cessato l'attività, per scelta politica di molte Nazioni che hanno preferito tenerle attive per backup.

Qualcosa scaturito principalmente dalla situazione in Ucraina, che ha reso il gas - come ben sappiamo - più costoso e quindi meno "sicuro". Una situazione che ha reso il 2022 il primo anno, in 18 anni, con il più basso numero di nuove centrali a gas.

Attenzione però, c'è una cosa da tenere bene in considerazione. Nonostante la difficile situazione, l'anno scorso si è registrato un contenuto -0,2% in termini produttivi di energia elettrica da centrali a gas. Cosa significa nel concreto? Secondo Ember che, seppur con risultati ottimi, il 2022 potrebbe essere stato un anno di picco massimo per la produzione rinnovabile globale, che quindi potrebbe diminuire e stabilizzarsi prossimamente.

La situazione europea.

Nonostante la pausa effettuata negli anni passati da numerosi Paesi, la stesa delle rinnovabili sul territorio del Vecchio Continente procede senza sosta. L'Europa l'anno scorso si è affermata come la parte del Globo che procede più velocemente da questo punto di vista, con diverse Nazioni che hanno superato negli ultimi mesi alcuni vincoli progettuali posti da vecchie leggi.

Come avevamo anticipato in un articolo dedicato, le previsioni di Ember parlano chiaro: l’Europa produrrà il 45% del proprio fabbisogno energetico da fonti rinnovabili entro il 2030, un dato addirittura superiore all’obiettivo stabilito dal piano Fit for 55 nel 2021, cioè il 40%.


continua su: https://insideevs.it/news/661923/rinnovabili-solare-eolico-energia-globale/

lunedì 15 novembre 2021

Nobili e il falso dossier per colpire “Report”. Con dati bancari veri. - Alessandro Mantovani


ALITALIA-PIAGGIO - C’erano copie di un estratto conto nei documenti contro la trasmissione, rifiutati da vari giornalisti e poi di fatto trasfusi nei video, nelle interviste e in un’interrogazione parlamentare del renzianissimo deputato romano sulla trasmissione di Sigfrido Ranucci.

Non chiamatelo “dossier Nobili” se no si offende. “Ma quale dossier? Non ho visto nessun dossier, nessun estratto conto”, giura Luciano Nobili. Ma insomma, c’erano copie di un estratto conto nel dossier contro Report, rifiutato da vari giornalisti e poi di fatto trasfuso nei video, nelle interviste e in un’interrogazione parlamentare del renzianissimo deputato romano sulla trasmissione di Sigfrido Ranucci. Erano i movimenti bancari di un ex manager di Piaggio Aerospace, sospettato di aver informato Report sulla presa di controllo di quell’azienda strategica, in epoca renziana, da parte degli Emirati Arabi Uniti. Non erano in un fascicolo giudiziario, come quelli di Matteo Renzi e di migliaia di indagati. Non era facile procurarseli legalmente. Magari provenivano da uomini d’apparato, investigatori privati, hacker. “Quel dossier me lo fece vedere un collega”, racconta Franco Bechis, direttore del Tempo. “Dissi al collega che noi non potevamo esibire come prova un documento come la distinta bancaria che, perfino, con rogatoria giudiziaria si sarebbe faticato ad avere”, ha scritto sul suo blog. Lo cestinò. Ora aggiunge: “Potevano accusarci di ricettazione”. Anche Augusto Minzolini, oggi direttore del Giornale, non utilizzò quelle carte.

Nella prima parte del dossier c’erano le supposte mail tra Ranucci e Rocco Casalino, allora con Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, per concordare l’uscita del servizio su Alitalia e Piaggio, a fine novembre 2020, durante la crisi di governo. In quei mesi Report si occupava anche del Vaticano e di Cecilia Marogna, che coinvolgeva pezzi dei Servizi. Il 2 febbraio, dopo le dimissioni di Conte, Valerio Valentini sul Foglio e Bechis e Minzolini sui loro giornali accennano al carteggio, senza nominare Ranucci (“un conduttore Rai”) e almeno Bechis, ipotizzando che sia un falso, per dare conto dei veleni attorno ai negoziati sul nuovo governo. Casalino e Ranucci smentiscono le mail, nessuno le mostra. Mario Draghi giura il 14 febbraio.

La seconda parte del dossier arriva ad aprile, dopo che Report ha mandato in onda l’ex leghista “gelliano” Gianmario Ferramonti che parla di Maria Elena Boschi, la quale però nega i contatti. A Bechis la porta sempre il collega: c’era, scrive il direttore del Tempo, “una distinta di liquidazione Rai per 45 mila euro a una società (…) e un estratto conto di banca lussemburghese di una persona fisica che (…) secondo il collega sarebbe stata intervistata da Report con volto oscurato e voce distorta”. La tesi era che la Rai avesse pagato, con oggetto “Alitalia/Piaggio”, la Tarantula Luxembourg, società di produzione, che poi avrebbe girato i soldi a Francesco Maria Tuccillo, l’ex manager contrario agli Emirati in Aerospace.

Per Bechis è una “polpetta avvelenata”. Neppure Minzolini pubblica. La notizia esce solo il 3 maggio, all’indomani del servizio di Report sull’incontro all’autogrill tra Renzi e il dirigente dei Servizi Marco Mancini, poi pensionato. La tira fuori Nobili: “Voglio sapere se la Rai abbia o meno pagato una fattura alla società lussemburghese Tarantula e, se sì, perché ha pagato questa fattura, in virtù di quale servizio? La società Tarantula ha collaborato alla realizzazione del servizio su Renzi su Alitalia, su Piaggio Aerospace?”. E presenta un’interrogazione parlamentare.

“Con Tuccillo abbiamo parlato, ma non ci ha detto nulla e non l’abbiamo mai mandato in onda coperto”, dice Ranucci. “La fattura non esiste”, fa sapere Report. “I renziani hanno ricevuto e portato in Parlamento un dossier falso”, scrive Marco Travaglio nel libro I segreti del Conticidio (Paper First) uscito a fine maggio. Nobili replica a Report: “Anche noi abbiamo i nostri informatori”. L’interrogazione è rivolta al ministero dell’Economia, azionista Rai, ma viene bloccata alla Camera; il renziano Michele Anzaldi cortesemente rifiuta di portarla in Vigilanza Rai: “Sono eletto a Roma, è stato un atto di coraggio”, rivendica, alludendo al peso politico di Nobili. Viene ammessa solo il 27 ottobre. Ripulita. Non ci sono più i 45 mila euro e non c’è più il riferimento ai “rapporti economici fra la società lussemburghese e il dottor Francesco Maria Tuccillo”, di cui si poteva sapere solo in base all’estratto conto del dossier. Resta però Tuccillo, di cui Nobili non dovrebbe nemmeno conoscere il nome. “Lo sapevamo in tre in redazione”, dicono a Report. E chissà poi se il Mef potrà rispondere sui rapporti tra Report e una presunta fonte, coperti dal segreto professionale.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/15/nobili-e-il-falso-dossier-per-colpire-report-con-dati-bancari-veri/6392221/

lunedì 10 maggio 2021

007, Report sbugiarda Renzi. E Iv dà la caccia alle fonti Rai. - Alessandro Mantovani

 

Dossier falso - Documenti che diffamano il programma di Rai Tre spediti ai giornali. Il contenuto in un’interrogazione del deputato Nobili.

Questa sera Report manda in onda, coperto, il padre di quella che i renziani chiamano “la professoressa bionica”, la testimone dell’ormai noto e discusso incontro del 23 dicembre 2020 all’autogrill tra il capo di Italia Viva e il dirigente dei Servizi segreti Marco Mancini, che aspirava a una promozione. L’anziano signore è costretto a spiegare che soffre “di una patologia che mi obbliga ad assumere dei farmaci abbastanza potenti per una leucemia mieloidecronica (…) Questi farmaci producono questi effetti (…) attacchi ripetuti per cui sono stato costretto a entrare e uscire dal bagno diverse volte…”. E questo per giustificare che la figlia, insegnante, si sia trattenuta nel parcheggio dell’autogrill di Fiano Romano durante i circa 40 minuti del colloquio tra Matteo Renzi e Mancini, abbia scattato alcune foto – che ha spedito subito al Fatto, purtroppo non le abbiamo viste – e girato un video di 28 secondi.

Ma soprattutto Report prova a ricostruire il dossier che gira da tre mesi e ora è finito in un’interrogazione del renziano Luciano Nobili contro la trasmissione di Sigfrido Ranucci, annunciata dallo stesso Renzi mentre spiegava di Mancini. Parla di una fattura da 45mila euro che la Rai avrebbe pagato a una società lussemburghese in relazione a un imprecisato aiuto che un ex manager di Finmeccanica, Francesco Maria Tuccillo, avrebbe dato a Report per il servizio di novembre 2020 su Alitalia e Piaggio Aerospace, che coinvolgeva Renzi. La fattura non si trova, Nobili non ce l’ha e a Report dice “non avete solo voi quelle informazioni, ce le abbiamo anche noi le informazioni”, accenna a “fonti giornalistiche stanche del fatto che la Rai ricorra a professionalità esterne”, a “dipendenti Rai”.

Il problema è che sa di Tuccillo, mai andato in onda. “Non è una nostra fonte” ma “l’abbiamo incontrato, una sola volta”, racconta Ranucci. “Che Nobili ne fosse a conoscenza – osserva – è un fatto gravissimo, per la libertà di stampa ma anche per il funzionamento democratico di un Paese”. Ranucci ricorda che Tuccillo “è stato tra i manager di Piaggio Aerospace che più si sono opposti al nuovo management filoarabo, sponsorizzato dal governo Renzi. Fu proprio Renzi che aprì le porte di un’azienda strategica per la sicurezza del Paese come Piaggio Aerspace, che produce tecnologia militare, agli Emirati Arabi. (…) Inolte Tuccillo aveva contribuito a catturare Roberto Vito Palazzolo, in arte Roberto Von Palace, il boss su cui aveva indagato Falcone e che da latitante in Sudafrica riciclava i soldi di Cosa nostra e avrebbe aiutato Finmeccanica a vendere gli elicotteri”. Anche Tuccillo nega. La società lussemburghese dice di non conoscerlo.

Le fonti dei giornalisti sono protette dalla legge sul segreto professionale, infatti ci allarmiamo se sono esposte a perquisizioni e intercettazioni e a maggior ragione se finiscono nel mirino di un partito che gioca alla controinformazione sui giornalisti sgraditi. Sarebbe inquietante se la magistratura cedesse alla richiesta di Renzi di perquisire l’insegnante perché sostiene di essere stato “intercettato”, quando al più è stato filmato per 28 secondi in luogo aperto al pubblico, senza captare una parola. Sarebbe un’intimidazione per chiunque accetti di parlare riservatamente con un giornalista.

Infatti Franco Bechis, direttore del Tempo e Augusto Minzolini, oggi editorialista del Giornale, non risulta abbiano denunciato chi, tre mesi fa, consegnò loro il dossier finito poi ai detective di Italia Viva. Entrambi spiegano a Report di averlo ritenuto falso, ma ne usarono una parte su Rocco Casalino: si parlava di mail tra l’ex portavoce di Giuseppe Conte e Ranucci, chiamato “un conduttore Rai”, a proposito di contenuti da mandare in onda. Entrambi hanno smentito, nessuno mostra le mail.

L’incontro tra Renzi e Mancini non è uno scandalo in sé ma è una notizia, se non altro per la location autostradale; la concomitanza con la crisi del governo Conte 2 che si consumava anche sul tema della delega ai Servizi tenuta per sé dall’ex presidente del Consiglio; la figura di un dirigente dell’intelligence passato indenne per vicende oscure (Abu Omar, lo spionaggio Telekom) anche grazie al segreto di Stato, con un’ampia rete di relazioni e in conflitto con altri settori degli apparati, che aspirava a una vicedirezione e non l’ha avuta. Infatti il Comitato parlamentare di controllo sui Servizi sentirà Gennaro Vecchione, capo del Dis e di Mancini. È ben più scandaloso che Renzi reagisca con un’interrogazione basata sul dossier falso che qualcuno ha fatto arrivare a tre giornali e a Italia Viva.

IlFQ

martedì 4 maggio 2021

Report indaga su Renzi, Italia Viva tira fuori un falso dossier. Era finito anche nelle mani di Bechis, di Minzolini e del Foglio. - Clemente Pistilli

 

Un tempismo perfetto. Ieri, nello stesso giorno in cui Report ha mandato in onda l’incontro a dicembre in autogrill, nel pieno della crisi di governo, tra Matteo Renzi e lo 007 Marco Mancini, il renziano Luciano Nobili ha presentato un’interrogazione al ministro dell’economia e finanze Daniele Franco su “una presunta fattura da 45mila euro ad una società lussemburghese” che la trasmissione di approfondimento diretta da Sigfrido Ranucci avrebbe pagato “per confezionare servizi contro Renzi”. Un’accusa che lo stesso Ranucci rispedisce subito al mittente.

Report indaga su Renzi, Italia Viva tira fuori un falso dossier.

“Si tratta di un falso dossier che gira da due mesi”, assicura il conduttore. L’esponente di Italia Viva, in una nota con cui ha annunciato l’interrogazione, ha sostenuto che vuole “vederci chiaro e capire se soldi pubblici sono stati utilizzati per pagare informatori allo scopo di costruire servizi confezionati per danneggiare l’immagine di Renzi”. “Ci chiediamo con preoccupazione – ha specificato – se la Rai compri informazioni con i soldi degli italiani per le sue trasmissioni di inchiesta”.

Nell’interrogazione chiesto dunque se siano intercorsi rapporti economici nel mese di novembre 2020 fra la società Tarantula Luxembourg Sarl e la Rai TV. Se la redazione di Report abbia mai avuto rapporti con il dottor Francesco Maria Tuccillo, ex collaboratore della Piaggio Aerospace. E se vi siano stati rapporti economici fra la società lussemburghese e Tuccillo. Un’interrogazione relativa a servizi sulle vicende societarie di Alitalia e Piaggio Aerospace, in cui vengono citati i rapporti di Renzi con gli Emirati Arabi. Viene inoltre adombrato lo scambio di mail tra l’ex portavoce di Palazzo Chigi, Rocco Casalino, e la Rai, aventi ad oggetto servizi che sarebbero stati confezionati con l’obiettivo di danneggiare l’immagine di Renzi, circostanza quest’ultima smentita dallo stesso Casalino.

La riposta di Ranucci.

Ranucci però non ci sta e assicura che quel carteggio relativo ai rapporti sulla società lussemburghese è un falso. “Si tratta di un dossier falso – afferma Ranucci – e falsa è anche l’informazione sulle mail tra me e Casalino. Si sostiene tra l’altro che quello scambio sia stato su carta intestata, che io non uso mai. Ci troviamo di fronte – prosegue – a un dossier avvelenato, confezionato da una manina proprio mentre stiamo realizzando un servizio che andrà in onda questa sera (ieri per chi legge ndr) sull’incontro tra Renzi e Mancini, l’agente che era stato coinvolto in un’attività di dossieraggio illecito nel caso Telecom nel 2006 e nel rapimento di Abu Omar. Quel dossier era finito anche nelle mani di Bechis, di Minzolini e del Foglio. Nessuno ha pubblicato il mio nome, essendosi resi conto del tipo di materiale. In 25 anni – conclude – Report non ha mai pagato una fonte e soprattutto non ha mai realizzato servizi contro”.

Su Italia Viva il conduttore è ancor più diretto: “L’amarezza più grande è prendere atto che queste note vengono proprio dalle stesse persone che in queste ore hanno evocato la libertà
di espressione nel caso Fedez. La libertà di espressione non si può evocare come fosse una maglietta, che te la sfili la sera e la rimetti in un cassetto e la rindossi quando ti fa comodo”. E Renzi? Prova a difendersi. “Messaggio agli inconsolabili – scrive – il Governo Conte non è caduto per intrighi, complotti o incontri segreti (all’autogrill…).

LaNotizia

martedì 5 gennaio 2021

Trattativa Stato-mafia: solo il buon giornalismo ne parla. - Marco Lillo

 

La trasmissione Report dedicata ieri alle stragi e alla trattativa Stato-mafia è una prova di grande giornalismo e “servizio pubblico”. L’inchiesta firmata da Paolo Mondani e Giorgio Mottola ha messo in fila elementi già esaminati dal Fatto, dai nostri documentari Sekret (su www.iloft.it) e nei libri La Repubblica delle stragi e Padrini fondatori, editi dalla nostra PaperFirst.

Il grande merito di Report è stato lavorare sodo su quella base di informazioni per tirar fuori un racconto inedito pieno di rivelazioni, che mette in sequenza la storia della politica italiana, della mafia, della massoneria e delle stragi.

Mondani e Mottola finalmente hanno riunito due film che finora scorrevano su schermi paralleli. C’erano le trasmissioni sulle stragi solitamente in occasione degli anniversari della morte degli eroi antimafia. E c’erano i documentari sull’evoluzione della politica italiana. Accostare le due storie era un tabù, finalmente rotto in prima serata sulla Rai. Tutti i giornalisti dovrebbero cercare risposte alle troppe domande poste dai misteri del periodo 1992-1994 e dai legami tra questi misteri e quelli del decennio precedente.

Finora invece i media mainstream hanno delegato questo compito ai magistrati di Palermo e Reggio Calabria e a pochi giornalisti ‘eretici’ come quelli del Fatto. Report, diretto da Sigfrido Ranucci, e la Rai3 diretta da Franco Di Mare, hanno avuto il merito di non ‘evitare’ gli snodi più sensibili politicamente.

La trasmissione di ieri segna un punto di non ritorno. Non si potrà più parlare delle stragi da un lato e delle indagini su Berlusconi e Dell’Utri senza spiegare perché i due fondatori di Forza Italia siano indagati per le stragi del 1993 a Firenze e Milano e per gli attentati di Roma, fatti dalla mafia. Il Fatto ha approfondito più volte i retroscena e le ragioni che hanno portato i pm a iscrivere nel registro degli indagati per le stragi del 1993 il politico che ha dominato la scena imprenditoriale e poi quella politica per decenni. Si tratta di ipotesi di accusa che fanno tremare i polsi e che vanno verificate tenendo sempre a mente la presunzione di innocenza, ma non si può ignorarle. Le grandi tv e i grandi quotidiani invece hanno sempre ignorato questi temi. Se nomi come Graviano, Bellini o Ilardo sono semisconosciuti al pubblico è merito di questa congiura del silenzio.

Sigfrido Ranucci, il conduttore e ‘capo’ di Report, ha avuto il coraggio di rompere questo tabù. Così ha una valenza simbolica la trasmissione di parte dell’intervista a Paolo Borsellino in cui il magistrato parla nel 1992 a due giornalisti francesi di Berlusconi e dei rapporti di Dell’Utri con il mafioso Vittorio Mangano. Proprio Ranucci scovò quell’intervista scomparsa e la trasmise 20 anni fa con grande difficoltà a tarda notte per pochi intimi solo su Rainews. Poi Marco Travaglio ne scrisse e ne parlò nella trasmissione Satyricon di Daniele Luttazzi, mentre Enzo Biagi osò citarla. Infine Michele Santoro la trasmise più ampiamente facendo infuriare in diretta Berlusconi.

Dopo la vittoria alle elezioni nel 2001 tutti sparirono dagli schermi: Biagi, Santoro e Luttazzi.

Ranucci proseguì la sua ricerca in un libro sull’uccisione di un confidente, Luigi Ilardo, che stava raccontando i retroscena della trattativa al colonnello del Ros Michele Riccio (Il Patto, Chiarelettere, con Nicola Biondo). Ieri nella puntata di Report, proprio Ranucci ha trasmesso quell’intervista sparita al giudice. E nello speciale c’era anche l’intervista di un ex detenuto che metteva in guardia proprio Ranucci nel 2016 perché il boss Madonia, a suo dire, voleva ucciderlo proprio per quel libro.

Chi scava nei rapporti tra mafia, apparati dello Stato e politica rischia molto. Non solo la vendetta della mafia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/05/trattativa-stato-mafia-solo-il-buon-giornalismo-ne-parla/6055666/

mercoledì 2 dicembre 2020

Ormai “Report” è un’ istituzione. Aldo Grasso

 

Giorni fa, da un conoscente ho ricevuto il seguente messaggio: «Lunedì tutti su Rai3, stanno tentando di far chiudere la trasmissione di Sigfrido Ranucci “Report” adducendo che la gente non lo guarda. Dimostriamo il contrario guardando tutti la sua trasmissione. Se puoi condividi il messaggio».

Siccome l’ appello proveniva da una persona che stimo, ho provato a rispondergli dicendo che la notizia mi pareva impossibile. Per almeno due ragioni. La prima è che il conduttore Sigfrido Ranucci è stato da poco nominato vicedirettore di Rai3 e l’ incarico ha un significato non di poco conto. Milena Gabanelli era una freelance, una giornalista esterna all’ azienda e a ogni rinnovo di contratto doveva garantirsi anche la tutela legale.

Conquista non facile e più volte messa in discussione dai vertici di Viale Mazzini: «Senza tutela legale – affermava la giornalista – un programma come “Report” non si può fare, sarebbe come andare sull’ Everest in costume da bagno». Ranucci può invece tranquillamente mettersi in costume da bagno, nessuno lo toccherà (non per caso è ospite fisso di «Che tempo che fa»).

La seconda ragione è che ormai «Report» (accento sulla o) è un’ istituzione. Può parlare, come ieri sera, di Alitalia, di Air Force Renzi, del piano pandemico italiano non aggiornato, dell’ Organizzazione mondiale della sanità, dell’ impreparazione della sanità italiana di fronte alla seconda ondata, può parlare di tutto.

Al massimo, si limiterà a frettolose scuse se nelle sue inchieste avrà coinvolto persone che non c’ entrano. Senza lo scudo di «Report» versione Ranucci, la Rai faticherebbe non poco a giustificare il canone verso una larga fetta di popolazione assetata di giustizia mediatica. Risposta dell’ illustre conoscente: «Se la chiusura è una bufala, avremo solamente seminato un po’ di indignazione che non guasta quasi mai e non perderemo “Report”».

https://infosannio.com/2020/12/01/ormai-report-e-un-istituzione/

martedì 21 aprile 2020

Dio Patria e Famiglia, Spa. Report 20 aprile 2020.



Con l’esplosione della pandemia il fronte sovranista che si professa ultracattolico è tornato all’attacco di Papa Francesco. Sui siti della destra religiosa americana non hanno dubbi: il coronavirus è la punizione divina per il tradimento di Bergoglio. È solo l’ultima delle accuse mosse al Pontefice, e arriva dopo i violenti attacchi lanciati contro le posizioni assunte su migranti, divorziati, difesa dell’ambiente e omosessuali. Quello degli anti-bergogliani è un network potente che comprende giornali, siti, associazioni, fondazioni e un fiume di soldi che dagli Stati Uniti negli ultimi anni è approdato in Europa e in Italia. Report svelerà in esclusiva quali sono i gruppi politici italiani sostenuti da Oltreoceano e chi sono i cosiddetti dissidenti da Bergoglio all’interno delle gerarchie vaticane e i leader politici che stanno offrendo sponda.

collaborazione di Norma Ferrara e Simona Peluso
immagini di Davide Fonda e Tommaso Javidi


https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/Dio-Patria-Famiglia-Spa-64da91b4-fe01-452a-a42e-dbe4aae4207b.html?fbclid=IwAR08xhczEIAApmkwOcjdOomrOf9dogVrvb0-82x7P0zSvt3Q-Na9tBGyQhM

lunedì 17 ottobre 2016

Report: “Bagno personale nell’ufficio alle Poste”. Alfano junior prova a bloccare il servizio. Gabanelli: “Andrà in onda”.

Report: “Bagno personale nell’ufficio alle Poste”. Alfano junior prova a bloccare il servizio. Gabanelli: “Andrà in onda”

Il servizio in onda stasera racconta del privilegio accordato dall’azienda al fratello del ministro dell’Interno. Diffida: “Frasi ottenute senza mia volontà. Rete pubblica deve informare”.

Un bagno chimico privato pagato 5600 euro da Poste italiane e le contestazioni sulla carriera nell’azienda. Il fratello di Angelino Alfano vuole bloccare il servizio di Report su Rai3, in onda questa sera, in cui il giornalista Giorgio Mottola racconta del suo privilegio ottenuto nella direzione “Sud 2”. Domenica 16 ottobre Alessandro Alfano, il parente del ministro dell’Interno ha inviato personalmente una diffida per chiedere che le sue dichiarazioni, “ottenute contro la mia volontà e da una persona che non si è qualificata come giornalista”, non siano trasmesse: “Vi ricordo”, ha aggiunto, “che compito del servizio pubblico nazionale è quello di informare, non creare tesi diffamatorie“. La conduttrice Milena Gabanelli ha replicato: “Le assicuro che andrà in onda e avrà modo di sentire che il collega si è presentato con nome e cognome e qualifica”.
Al centro del servizio tv c’è la sua contestata carriera come dirigente delle Poste, ma non solo. Nel pezzo, come spiega Repubblica che ha potuto vederlo in anteprima, si racconta di un bagno chimico che Alessandro Alfano si è fatto costruire ad hoc nel suo ufficio. Dopo aver valutato tubature e struttura, il dirigente responsabile ha dovuto accontentarsi di un bagno chimico e non in muratura. La richiesta è costata, sempre secondo Report, 5600 euro all’azienda durante i lavori dell’adeguamento della sede del 2016. L’intervista che Alfano si rifiuta venga mandata in onda è stata raccolta davanti al suo ufficio di dirigente responsabile. Il giornalista ha chiesto spiegazioni ad Alfano junior anche in merito alla sua assunzione nel 2013, attualmente al vaglio della Corte dei conti come raccontato dal Fatto Quotidiano. Nella relazione inviata dalla Procura di Roma si spiegano le tappe della sua carriera sulla base degli elementi emersi nell’inchiesta Labirinto che vede indagato l’uomo vicino ad Angelino Alfano Raffaele Pizza (arrestato il 6 luglio scorso). Proprio lui, in una intercettazione del 2015, diceva al collaboratore del ministro Davide Tedesco di aver permesso l’assunzione di Alfano junior grazie ai suoi rapporti con l’ex amministratore di Poste Massimo Sarni: “Lui come massimo (di stipendio, ndr) poteva avere 170mila euro e io gli ho fatto avere 160mila. Tant’è che Sarmi stesso gliel’ha detto ad Angelino: ‘Io ho tolto 10 mila euro d’accordo con Lino’ (Pizza, ndr), per poi evitare. Adesso va dicendo che l’ho fottuto perché non gli ho fatto dare i 170 mila”. Ma non è la sola macchia nella carriera di Alfano: nel 2009 ha ottenuto la laurea triennale in Economia e commercio, ma nel 2011 finisce indagato insieme a trenta studenti con l’accusa di aver pagato un’impiegata della segreteria per far inserire nel database esami mai sostenuti. La sua posizione verrà poi archiviata. Poi c’è la questione del concorso vinto per diventare segretario generale della Camera di Commercio di Trapani (mettendo nel curriculum una carica in Confindustria mai ricoperta), esito che era stato predetto da un esposto anonimo che lo costringerà alle dimissioni.
Anche di questo il giornalista di Report ha chiesto spiegazioni ad Alfano junior, che ora vuole sia bloccato il servizio. “Non si tratta di una mia intervista”, ha detto in una nota, “ma di dichiarazioni che sono state registrate da un soggetto che non si è in alcun modo qualificato come giornalista e riprese da una telecamera inizialmente occultata. Metodologia che sicuramente non risponde ai canoni professionali del giornalista e, ancor più grave in questo caso, del servizio pubblico”. Il fratello del ministro ha quindi chiesto “di non mandare in onda dette dichiarazioni poiché le stesse sono state ottenute contro la mia volontà e non sono accompagnate dal alcuna mia dichiarazione liberatoria. Qualora mi fosse stata richiesta un’intervista l’avrei senz’altro rifiutata in pieno ossequio alle direttive aziendali che regolano la comunicazione esterna dei dirigenti di Poste Italiane. Solo il rispetto di questi obblighi, quindi, mi impedisce di entrare nel merito, in questa sede, delle infamanti e non veritiere accuse che mi vengono mosse con il citato servizio televisivo”. Alfano junior ci tiene quindi a sottolineare che qualsiasi accusa riguardo la sua carriera in Poste italiane è infondata: “Sarebbe stato sufficiente al giornalista un semplice approfondimento per verificare la infondatezza delle accuse che mi vengono mosse sia con riferimento alla natura del mio titolo di studio, sia ai titoli da me posseduti all’atto dell’instaurarsi del rapporto di lavoro, sia con riferimento alle procedure relative alla selezione per Segretario Generale della Camera di Commercio di Trapani. Bastava forse ricordare che quasi tutti gli episodi citati sono già stati oggetto di approfondite verifiche giudiziarie che hanno certificato la correttezza del mio operato, la mia evidente condizione di parte lesa in un procedimento penale nel quale sono stato archiviato e cioè a seguito del quale non ho nemmeno subito un processo perché tutto si concluso ben prima del processo, con parole nette e chiare del giudice”. Ha chiuso dicendo che nel caso il servizio andasse in onda “sarà mio dovere tutelare la verità, il prestigio mio e dell’azienda privata per cui lavoro nelle opportune sedi giudiziarie”.

giovedì 1 novembre 2012

Di Pietro: “L’Italia dei Valori è morta con Report. Ora risorgiamo”. - Carlo Tecce


Di Pietro: “L’Italia dei Valori è morta con Report. Ora risorgiamo”


L'ex magistrato: "Mediaticamente siamo morti. Siamo isolati, speriamo nei nostri elettori". Sulle donazioni ricevute e gli affitti dei suoi appartamenti al partito ammette: "Ho commesso tanti errori, chiedo scusa e ricomincio. Ma su questi fatti sono un perseguitato". E nega ogni irregolarità.

Antonio Di Pietro ha perso qualcosa: “Dov’è la mia agenda? Venga, le faccio vedere. Io mi siedo su quella poltrona singola”. Decisionista, sempre. Uomo partito, uomo comando, uomo immobili: “Le visure catastali, fresche fresche. Guardi, leggiamo insieme”. S’accomoda, riprende punto per punto la trasmissione Report, l’incedere sofferto: “L’italiano mi punisce. E poi il taglia e il cuci di un video. Ma io stimo Milena Gabanelli”. L’ex magistrato parla con le carte in mano. Le carte non lo scrivono, non lo dicono, ma l’uomo – che attira aggettivi negativi anche dal figlio politico, l’Idv – è rassegnato. “Voglio chiarire tutto”.
Un attimo di pazienza, che succede?
(Ripone gli occhiali, chiude la cartellina) Qui a maggio andiamo a casa: non entriamo in Parlamento. La storia già la conosco. L’Italia dei Valori è finita domenica sera, a Report. Mediaticamente siamo morti. Siamo vittime di un killeraggio, di un sistema politico e finanziario che non ha più bisogno di noi.
Chi spegne la luce?
Noi, non più io. Combattiamo, ma sarà dura: porte sbarrate a sinistra, porte sbarrate ovunque. Siamo isolati, speriamo che i nostri elettori ci aiutino.
E se va male?Faremo opposizione fuori dal Palazzo. E tiferemo per Beppe Grillo.
Una domanda tormenta gli italiani, quante proprietà possiede, 54 o 56?
Mi faccia ridere un po’. I miei figli scherzano: tu perché hai 8 fabbricati e io solo 7? In realtà, entrambi hanno una casa a Milano, comprati su progetto, per risparmiare, attraverso una cooperativa, e una quota di eredità materna a Bergamo. Tutto qua.
E sua moglie? I suoi 49 terreni e 7 fabbricati a Montenero di Bisaccia?
Lei è ricca di famiglia. Non ha beneficiato dei miei guadagni, anzi. Ha uno studio fortissimo, è indipendente, è una donna intelligente e rispettabile. Non è la moglie di Di Pietro. A Montenero ho appezzamenti per gli ulivi, il grano e baracche per il trattore e addirittura la stalla. Queste sarebbero le mie ricchezze?
Non è povero.
Mica mi lamento? Ma sono soldi sudati e ricevuti vincendo cause per diffamazione.
Per due volte, a Roma e Busto Arsizio, ha comprato due appartamenti e li ha dati in affitto al partito. Non è strano?
Non c’è nulla di irregolare. Certo, non lo rifarei. Ma io ho messo in piedi una macchina quando Internet non esisteva e non avevo i capitali necessari.
Nel ’95 la signora Borletti le lasciò quasi 1 miliardo di lire in donazione.
La data è importante: non facevo politica, mi difendevo in tribunale. Ho incassato i soldi in due rate, nel ’98 e nel ’99 e in parte li ho utilizzati per l’Idv che cominciava da zero lire. Ho commesso tanti errori, lo ammetto. Chiedo scusa, e ricomincio. Ma su questi fatti sono perseguitato, e non per caso.
Cosa pensa di scontare?Quello che rompe le scatole al governo di Mario Monti e critica il presidente Napolitano per il conflitto d’attribuzione con la Procura di Palermo viene automaticamente escluso. Io lo sapevo, ma non posso rinunciare ai principi dell’Idv.
Crolla tutto.
E noi cerchiamo di riparare il tetto. Non è stato facile, però avremo regole ancora più stringenti sui soldi che gestiscono i gruppi regionali e sui candidati per le prossime elezioni.
Farete le primarie?
Subito, in rete. Chiunque potrà presentare il proprio curriculum, che sia un iscritto al partito o un semplice simpatizzante, un comitato di garanti esaminerà la candidatura e un sistema elettronico, come quelli che usa Grillo, selezionerà i migliori. Così eviteremo i casi Sergio De Gregorio. Deve sapere che io, Grillo, lo ammiro e lo copio.
E i casi Vincenzo Maruccio, l’ex capogruppo nel Lazio, indagato per peculato?
L’ho conosciuto giovanissimo, laureato, educato, preparato. Ha fatto carriera. Era insospettabile. Come potevo immaginare queste accuse? Se ci fosse la preveggenza, non ci sarebbero i divorzi. L’Italia dei Valori, però, adesso è un divorzio continuo.
Ce l’ha con Bersani?
No, per carità. Anche lui è vittima di un sistema. Se ne accorgerà, quando gli faranno le scarpe.
Si spieghi, Di Pietro.
Quando dovrà formare il nuovo governo e Monti sarà pronto per il bis.
Teme di non farcela, stavolta?
Sì, ma chi s’arrende è già perduto. E io questi adagi popolari non li dimentico.
Twitter @Tecccarlo
da Il Fatto Quotidiano di giovedì 1 novembre 2012

lunedì 22 ottobre 2012

Norma “anti Gabanelli”, appello di Articolo 21: oltre 5mila firme in 24 ore.


Norma “anti Gabanelli”, appello di Articolo 21: oltre 5mila firme in 24 ore

L'associazione per la libertà di stampa: "Se dovesse passare toglierebbe ogni paracadute ai giornalisti, rischiando di colpire chi tenta di fare il mestiere del cronista e stroncando il giornalismo d'inchiesta. Il nostro è un no a nuovi bavagli contro chi, come Report, non esita a contrastare mafie, logge e intrecci.

Oltre 5mila firme in meno di 24 ore per dire no all’emendamento “ammazza Gabanelli“. Le ha raccolte finora l’associazione Articolo 21. L’emendamento, presentato dal senatore del Pdl Giacomo Caliendo (ex sottosegretario alla Giustizia) nel quadro della legge sulla responsabilità civile dei magistrati, porta il nome della conduttrice di Report perché, come spiegano il direttore e il portavoce di Articolo 21 Stefano Corradino e Giuseppe Giulietti “se dovesse passare renderebbe ‘nulle’ tutte le clausole contrattuali che prevedono che l’editore tuteli il giornalista accollandosi le conseguenze economiche delle sanzioni in seguito al lavoro giornalistico”. Un appello (“Nessuno tocchi la Gabanelli e l’articolo21 della Costituzione”) che è possibile sostenere firmando su www.articolo21.it.
Si tratta, aggiungono Corradino e Giulietti, di una “grande manifestazione di solidarietà in rete e profondo dissenso nei confronti di una norma sulla responsabilità civile che toglierebbe, in pratica, ogni paracadute ai giornalisti, dipendenti o collaboratori esterni, rischierebbe di colpire chiunque tenti di fare davvero il mestiere del cronista e di stroncare il giornalismo d’inchiesta azzerando addirittura i free lance, colpendo non solo nomi famosi ma anche chi indaga contro criminalità e corruzione”. “Il nostro – concludono – è un netto no a nuovi bavagli contro quelli che, come Report, non hanno mai esitato a contrastare mafie e logge di ogni sorta e i loro intrecci perversi. Ad Acquasparta il 9, 10 e 11 novembre metteremo a punto una specifica proposta su questo tema che presenteremo a tutte le forze politiche”.