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martedì 1 ottobre 2019

Def, la bozza della Nota: deficit/Pil al 2,2%, stop gli aumenti dell’Iva, mini taglio del cuneo. “Dalla lotta all’evasione attesi 7,2 miliardi”

Def, la bozza della Nota: deficit/Pil al 2,2%, stop gli aumenti dell’Iva, mini taglio del cuneo. “Dalla lotta all’evasione attesi 7,2 miliardi”

Il premier Conte: "Inizieremo a realizzare i 29 punti programmatici anche se non possiamo fare tutto il primo anno". Poi ribadisce: "Operazione di contrasto all'evasione come mai è stato fatto in passato. Incentiveremo la moneta elettronica ma senza penalizzare i commercianti". Per iniziare a ridurre le tasse sul lavoro ci sono l'anno prossimo solo 2,7 miliardi, a Bruxelles da chiedere oltre 14 di flessibilità. Il ministro Gualtieri: "Utilizzo significativo dei margini previsti, ma ho fiducia nel dialogo con la Commissione". Nel bilancio ci saranno "due nuovi fondi di investimento da 50 miliardi su un orizzonte pluriennale per riconversione energetica e incentivo all'uso di fonti rinnovabili".

Completa cancellazione dei 23 miliardi di clausole Iva e un primo avvio del taglio del cuneo fiscale. Sul fronte delle coperture, oltre 14 miliardi di flessibilità e 7,2 miliardi di proventi dalla lotta alla evasione. A meno di un mese dalla sua nascita, il governo Conte 2 ha approvato la nota di aggiornamento al Def, il documento che disegna la cornice di una manovra da circa 29 miliardi. Il deficit viene fissato al 2,2% del pil, come auspicato dal ministro Roberto Gualtieri che assicura il rispetto delle regole Ue e si dice “fiducioso che il dialogo costruttivo con la Commissione europea consentirà di confermare questo obiettivo”. Il debito però non è nei parametri di Bruxelles: cala di pochissimo, dal 135,7 al 135,1% del pil. La crescita è stimata nel 2020 allo 0,6%, anche se Gualtieri afferma che ora “c’è l’opportunità di un vero rilancio economico”, dopo la frenata dell’anno “gialloverde”. Per il governo resta però il nodo spinoso di indicare come in concreto si ricaveranno i 7 miliardi di lotta all’evasione. Per ora Conte conferma di avere in mente un’operazione di contrasto “come mai fatto in passato“. Per quanto riguarda l’Iva il titolare del Tesoro spiega che “nelle varie ipotesi esistono anche degli scenari di rimodulazione che complessivamente non aumentano l’Iva”. Che poi “questo debba essere svolto in un’altra fase o contestualmente” con la manovra sarà da vedere.

Iva sterilizzata e incentivazione moneta elettronica.
“Voglio confermare che abbiamo sterilizzato l’aumento dell’Iva. Ma non ci accontentiamo di questo”, ha commentato in conferenza stampa Giuseppe Conte. “Io ho chiesto la fiducia su 29 punti programmatici, su un progetto politico molto articolato”, e il governo è al lavoro per iniziare a realizzarli “già da quest’anno, non possiamo rinviare. Già da quest’anno progettiamo, con questa manovra e i documenti collegati, la modernizzazione del paese, la digitalizzazione delle sue infrastrutture, la svolta green per proteggere da subito il nostro ambiente. Vogliamo anche già iniziare a ridurre il cuneo fiscale, come promesso ai lavoratori. E in prospettiva abbassare le tasse e le aliquote Iva, anche se siamo consapevoli che non possiamo fare tutto il primo anno”. Per quanto riguarda la lotta all’evasione, “siamo consapevoli di dover lavorare per inasprire le sanzioni ai grandi evasori ma anche realizzare un grande patto con i cittadini”, ha ribadito Conte. “Uno degli strumenti più efficaci per conseguire questo obiettivo è incentivare la moneta elettronica. Ma lo vogliamo fare senza penalizzare nessuno, senza meccanismi disincentivanti. Il nostro obiettivo, e stiamo lavorando a tante simulazioni per scegliere quella giusta, è raggiungere questa finalità senza penalizzare i commercianti e avvantaggiando i consumatori, valorizzando anche i circuiti per la moneta elettronica alternativi, quello postale ma non solo”. Conte ha spiegato poi che “dalle interlocuzioni che abbiamo avuto fin qui con le istituzioni europee c’è consapevolezza della necessità di consentire l’utilizzo dello spazio fiscale e quindi anche manovre un po’ più espansive rispetto al passato”.
Gualtieri: “Voltare pagina sull’evasione”.“L’enorme sacca di evasione fiscale è una sfida che dobbiamo affrontare, non risolveremo mai i problemi strutturali se non voltiamo pagina sull’evasione”, ha aggiunto il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, secondo cui lo spread dovrebbe tornare al di sotto dei livelli di Spagna e Portogallo “con un beneficio per la finanza pubblica che sarebbe assai considerevole” anche se già ora “il minor costo del debito pubblico” per il calo dello spread vale “6 miliardi”. Secondo il nuovo titolare del Tesoro il quadro macroeconomico delineato nella Nota “coniuga bene l’esigenza di assicurare un sostegno alla crescita, evitando una manovra restrittiva che avrebbe avuto un effetto negativo in una fase di rallentamento internazionale, e quella di assicurare la solidità della finanza pubblica e di garantire un percorso graduale” di riduzione “del debito e del costo del suo finanziamento”. “Vorremmo emettere dei green bond, emissioni di titoli di debito italiani esplicitamente destinati a sostenere gli investimenti nella sostenibilità ambientale“, ha anticipato Gualtieri. Inoltre nel bilancio “verranno introdotti due nuovi fondi di investimento, assegnati a Stato e Enti territoriali, per un ammontare complessivo di almeno 50 miliardi su un orizzonte pluriennale. Le risorse saranno assegnate per attivare progetti di rigenerazione urbana di riconversione energetica e di incentivo all’utilizzo di fonti rinnovabili”.
Solo 2,7 miliardi per il cuneo. Unico intervento espansivo insieme a stop clausole.In attesa di conoscere i contenuti della manovra vera e propria, oggetto delle discussioni e delle tensioni tra gli alleati di governo, la Nota di aggiornamento che ne costituisce la cornice macroeconomica conferma solo in parte le anticipazioni di queste settimane. Due le sorprese principali: sul fronte delle entrate, gli introiti attesi da lotta all’evasione e promozione dei pagamenti elettronici sono monstre, considerato che lo scorso anno l’intera “macchina” del recupero ne ha portati a casa 19. Conte però ha detto che la previsione non è eccessiva perché “proprio oggi un quotidiano ha pubblicato stime su transazioni elettroniche di 46 pro capite in Italia, contro la media europea di 135 a persona. Se si colmasse il gap, si stima il recupero di 12,5 miliardi“. Per quanto riguarda il cuneo fiscale, il primo arriverà solo un segnale. Quasi simbolico. Stando alle bozze, infatti, “l’impegno aggiuntivo nel 2020 è valutato in 0,15 punti percentuali di Pil che saliranno a 0,3 punti nel 2021″. Si tratta di circa 2,7 miliardi nel 2020 e di circa 5,4 miliardi nel 2021. “Le misure di riduzione della tassazione sul lavoro intendiamo avviarle e rafforzarle nel quadro triennale di azione del governo”, ha spiegato Gualtieri rispondendo a una domanda. Il taglio è peraltro l’unico intervento – oltre al disinnesco degli aumenti Iva – cui viene attribuito un valore espansivo. Ma di soli 0,1 punti percentuali, contro gli 0,3 punti di “spinta” prevista dalla “rimodulazione delle imposte indirette”. In tutto, la manovra avrà un effetto espansivo di soli 0,2 punti, che aggiunti agli 0,4 tendenziali portano la crescita prevista a +0,6%.
Deficit/pil al 2,2%. Ma nella trattativa con Bruxelles potrebbe salire.
L’andamento del deficit “migliora notevolmente in confronto alle proiezioni del DEF”, scendendo dal 2,4 al 2,2, anche se “rispetto alle proiezioni di inizio luglio, l’aggiornamento del Conto economico della PA di questo Documento incorpora una revisione al rialzo delle stime delle entrate tributarie più contenuta“. Pesa, in positivo, il “calo dell’incidenza della spesa per interessi sul PIL (dal 3,6 per cento di aprile al 3,4 per cento)”. Il punto di partenza è un deficit 2018 “lievemente più elevato di quanto precedentemente stimato, 2,2 per cento anziché 2,1 per cento del PIL”, per effetto della revisione Istat comunicata il 23 settembre.
Le coperture: 0,8 punti di flessibilità, il resto da lotta all’evasione e spending.
La manovra per il 2020 sarà di circa 29 miliardi. La flessibilità che verrà richiesta sul deficit è di circa 14,4 miliardi, lo 0,8% del Pil. Le risorse a cui attingere come coperture “sono pari a quasi 0,8 per cento del Pil (circa 14,4 miliardi)” così suddivisi: 7,2 miliardi (0,4% del Pil) dalla lotta all’evasione, compresa la “diffusione di strumenti di pagamento tracciabili”, 1,8 miliardi dalla spending review (0,1% del Pil), 1,7 miliardi (circa lo 0,1% del Pil). Il resto verrà dalla “riduzione delle spese fiscali e dei sussidi dannosi per l’ambiente e nuove imposte ambientali, che nel complesso aumenterebbero il gettito di circa lo 0,1 per cento del pil”, altri 1,7 miliardi.
23 ddl collegati alla manovra tra cui il Green new deal.
Saranno 23 i ddl collegati alla manovra. Nella bozza è elencata la lista dei provvedimenti: il primo è il Ddl Green New Deal e transizione ecologica del Paese. Ci sono poi un ddl recante riduzione del cuneo fiscale, uno “in materia di revisione della disciplina del ticket e delle esenzioni per le prestazioni specialistiche e di diagnostica ambulatoriale” e un “ddl recante interventi per favorire l’autonomia differenziata ai sensi dell’articolo 116 comma 3 della Costituzione attraverso l’eliminazione delle diseguaglianze economiche e sociali nonché l’implementazione delle forme di raccordo tra Amministrazioni centrali e regioni, anche al fine della riduzione del contenzioso costituzionale”.

mercoledì 10 ottobre 2018

Il pericoloso gioco dell’Unione europea. - Evans-Pritchard

Risultati immagini per Juncker

(Contrariamente alla stampa mainstream italiana, Ambrose Evans-Pritchard sul Telegraph vede sì i rischi della situazione attuale per l’Italia – il braccio di ferro sul Def tra governo e Ue, basato più su motivazioni politiche che questioni tecniche – ma non tace i punti di forza di cui gode il nostro Paese.)

Il “chicken game”, ovvero “gioco del pollo” (o del coniglio) è, nella teoria dei giochi, un contesto così esemplificabile: due auto si dirigono a tutta velocità l’una contro l’altra; entrambi gli automobilisti contano sul fatto che sarà l’altro a spaventarsi, cedere e sterzare per primo, diventando il “pollo” – ovvero il codardo – della situazione. Se ciascuno dei due tira dritto, però, lo scontro sarà inevitabile, così come il disastro per entrambi.
Ed è proprio questo il pericoloso gioco che Juncker sta consapevolmente conducendo nei confronti del Governo italiano, per mettere sotto stress il sistema bancario. E funziona.
Le autorità dell’UE, spiega il giornalista, contano sui mercati: all’aumentare dei tassi, sperano, la paura per la tenuta del sistema bancario spingerà l’opinione pubblica italiana verso più miti consigli.
Il gioco però è rischioso. Se si va troppo oltre, infatti, l’Ue rischia di scatenare essa stessa una crisi di credito che travolgerebbe il sistema bancario italiano e la caduta in una spirale di recessione che si autoalimenta, provocando esattamente ciò che vuole evitare.
I margini del gioco sono stretti, la tattica è rischiosa, perché l’economia italiana negli ultimi mesi ha rallentato. E sgombra il campo da tecnicismi e ipocrisie: non sono certo i punti percentuali di deficit previsti nel Def italiano che sono in questione. È invece una questione tutta politica. 
Nell’Ue c’è qualcuno che punta a mettere in ginocchio l’Italia. Quando Jean-Claude Juncker questa settimana si è scagliato contro i ribelli della Lega – M5S agitando lo spettro di una ‘nuova Grecia’, ha volutamente gettato benzina sul fuoco. 
Era una strategia calcolata. Ciò che i mercati dei bond temono in questo momento è un’escalation della battaglia tra l’alleanza Lega – 5 Stelle e Bruxelles, che – se mal gestita – comporta il rischio di un’uscita italiana dall’euro e la rottura dell’unione monetaria.
Il rischio di denominazione è diverso dal normale rischio di insolvenza. Che si può isolare e misurare confrontando l’andamento dei prezzi di diverse annate di credit default swap con contratti legali diversi. La componente è in forte rialzo. Bruxelles potrebbe avere ragione nel calcolare che Roma cederà e che gli eterni ‘poteri forti’ dell’establishment italiano piegheranno i ribelli o li compreranno. Ma avverte anche che per ora non è successo: e cita le recenti affermazioni di Di Maio sul fatto che chi spera in un’inversione di rotta si illude.
Evans-Pritchard – pur definendo illusorie le promesse di Di Maio sul fatto che la maggior crescita ripianerà il deficit – mette anche in fila una serie di punti di forza italiani, abitualmente taciuti dalla nostra stampa mainstream e quindi poco noti all’opinione pubblica: che l’Italia in rapporto al bilancio UE è un contribuente netto; il nostro avanzo nelle partite correnti, ovvero nella differenza tra esportazioni e importazioni, di 2,8 punti percentuali del PIL; le dimensioni del nostro settore manifatturiero, maggiori di quello della Francia o della Gran Bretagna. 
Inoltre sottolinea come con un avanzo di bilancio primario come il nostro – a differenza della Francia, che peraltro ha ripetutamente violato il Patto di stabilità – potremmo passare tecnicamente alla lira senza temere una crisi di sostenibilità del debito.
Quanto al nostro debito pubblico, ricorda che è di 2.300 miliardi di euro, cui aggiunge un ulteriore debito di 500 miliardi di dollari alla Bce attraverso il sistema di pagamenti Target2 (che si tratti di un reale debito anche in questo caso è questione notoriamente controversa), ma sottolinea che può essere convertito unilateralmente in lire secondo le regole della Lex Monetae.
Al minimo cenno che l’Italia fosse in procinto di lasciare l’euro – e o convertire i debiti in lire o fare default – si scatenerebbe immediatamente il contagio in Portogallo, Spagna e Grecia. I creditori tedeschi rischierebbero un taglio del loro credito da un trilione di euro. Per evitarlo, la Germania e gli altri Paesi del Nord dovrebbero accettare quello che finora hanno ostinatamente rifiutato: il grande balzo in avanti verso l’unione fiscale, sostenuta da una banca centrale con pieni poteri di prestatore di ultima istanza. 
Ma Evans-Pritchard non sembra molto ottimista sul realizzarsi di questa ipotesi.
In caso di dissoluzione dell’Eurozona – messa a rischio anche dalla fine degli acquisti di obbligazioni da parte della BCE, a fine anno, che lascerà gli stati del Sud Europa esposti alle forze del mercato – Evans-Pritchard fa notare che si potrebbe parlare di “distruzione reciproca assicurata”, ma sottolinea che “l’Italia avrebbe almeno qualche effetto di compensazione: un vantaggio competitivo dovuto alla tanto necessaria svalutazione (il tasso di cambio reale è del 20% troppo alto) e una ripartenza dopo il taglio parziale del debito. È difficile invece vedere quale potrebbe essere il lato buono della medaglia per Germania, Olanda o Francia. Quindi chi ha davvero il coltello dalla parte del manico? L’Italia non assomiglia alla Grecia, dove il gruppo dirigente pro-Syriza voleva strenuamente rimanere nell’euro. La Lega e i 5 Stelle affondano le loro radici nell’euroscetticismo. Il loro piano di riserva per una valuta parallela – i “minibot” – è inserito nel contratto di governo dell’alleanza. Se gli spread delle obbligazioni salgono a livelli che soffocano il sistema bancario, il governo può in qualsiasi momento emettere carta sostitutiva come una liquidità alternativa a fini fiscali e contrattuali, sovvertendo l’unione monetaria dall’interno.
Evans-Pritchard cita diversi elementi a sostegno della posizione italiana sull’euro. Tra questi, la ormai celebre recente dichiarazione di Claudio Borghi a Radio Uno, quando disse per l’ennesima volta che tornare alla lira per l’Italia sarebbe meglio, anche se non è nel programma di governo e richiede il consenso dei cittadini. 
L’Ue sta cadendo in una trappola, ovvero sta spingendo la situazione talmente al limite che finirà col creare proprio il consenso necessario per l’uscita dall’euro. Nell’articolo sono citati inoltre i documenti sul “piano B” di Paolo Savona.
Le agenzie di rating sono pronte a muoversi. Potrebbero perdonare l’allentamento fiscale se i soldi fossero spesi per investimenti che aumentassero la velocità di crescita economica dell’Italia, ma non per invertire la riforma pensionistica e per un reddito di base universale. Il piano di abbandonare il consolidamento fiscale per i prossimi tre anni lascia il paese ancora più vulnerabile a un cambio di rotta del ciclo economico e dei tassi di interesse. L’aumento dei tassi erode il capitale delle banche italiane, che possiedono un quarto del debito pubblico negoziato e fanno affidamento sui mercati dei capitali all’ingrosso per il 21% del loro finanziamento. Siamo in un circolo vizioso. Titoli di debito pubblico e banche possono ancora abbattersi a vicenda in un effetto a spirale. Questo è il difetto fondamentale di un’unione monetaria senza un prestatore automatico d’emergenza. Difetto che l’Ue non ha mai sanato. Juncker potrebbe riuscire a terrorizzare l’Italia fino a indurla alla sottomissione nelle prossime settimane. Ma potrebbe invece appiccare l’incendio che brucerà la sua casa europea.

Fonte Vocidallestero del 8/10/2018

domenica 24 aprile 2016

Corte Conti: con Legge Stabilità 'balzo' sconti fiscali, +24 miliardi.



Possibili 5 miliardi nelle casse dello Stato con ritocchi all'Iva.

Aumentano gli sconti fiscali: "è da quest'anno - spiega la Corte dei Conti nel documento depositato in Parlamento durante l'audizione sul Def - a seguito del varo dell'ultima legge di stabilità, che si registra un balzo nel numero (delle 'spese fiscali') con altre 43". Un 'balzo' che, calcola la magistratura contabile, vuol dire un aumento dei costi di 24 miliardi. In tal modo il nostro sistema tributario "si trova a convivere con quasi 800 eccezioni alle regole base rinunciando ad un gettito potenziale dell'ordine di 300 miliardi".

Spostare circa l'8% della base imponibile con Iva agevolata al 10% verso l'aliquota ordinaria al 22% porterebbe nelle casse dello Stato 5 miliardi. Scrive la Corte dei Conti in una simulazione sugli impatti di possibili interventi sull'Iva consegnata al Parlamento in occasione delle audizioni sul Def. Così si attuerebbe un innalzamento del "rendimento" dell'Iva che rappresenta "un obiettivo strutturale della politica fiscale", visto che l'Italia "si colloca tra gli ultimi Paesi europei per incidenza dell'Iva sul Pil, agendo sulla "redistribuzione tra le aliquote".

L'Italia si colloca tra gli ultimi Paesi europei per incidenza dell'Iva sul Pil, con un valore che non raggiunge il 6% e che è di circa 0,8 punti inferiore al valore della media Ue-27. Nel documento si ricorda anche che "la quota di base imponibile assoggettata ad aliquota ordinaria al 22% è pari a circa il 57% mentre quella assoggettata alle aliquote ridotte al 4 e 10% (circa il 43%) è di gran lunga superiore al 25% sperimentato in media in Europa". Lo stesso vale per le aliquote: l'Italia "si colloca all'undicesimo posto per livello di quella ordinaria, anche se al primo tra i maggiori paesi, mentre solo altri 4 Paesi (Francia, Lussemburgo, Malta e Regno Unito) hanno aliquote cosiddette 'super-ridotte', inferiori cioè al 5%".


Chi aveva detto che non avrebbero aumentato le tasse?
Sarà anche vero che l'incidenza dell'Iva sia inferiore rispetto alla media europea, e pare che non lo sia, ma è anche vero che abbiamo gli stipendi più bassi e le tasse più alte....
Oltretutto, come spera il governo di dare uno sprone all'economia se aumenta l'Iva e, quindi, i prezzi?