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mercoledì 3 aprile 2019

L’Europa dell’austerity è il paradiso dei miliardari. - Rosanna Spadini



Jean Claude Juncker nel suo incontro odierno con il Presidente Conte ci ha mazzolato ben bene: “Preoccupato per l’economia italiana. Servono altri sforzi”. Servirebbe dunque altro sangue della classe media diversamente asfaltata. Vuoto di memoria però, impossibile crescere mentre si è sottoposti a vincoli di deficit e mentre tutta l’Eurozona si sta rivelando come un’area di depressione economica permanente, provocata dalle stesse condizioni imposte dai trattati e dalla scarsità di moneta circolante.
Anche l’altra sera, chez Fabio Fazio, aveva tirato in ballo i problemi di debito pubblico italiano, trascurando da sbadato che il suo piccolo Lilliput è lo Stato più indebitato al mondo, nel sottobosco del debito privato in particolare.  Dichiarazione apparentemente sobria: “Penso che l’Italia sappia quali sono i suoi problemi. La crescita italiana è in ritardo rispetto all’Europa, e da vent’anni a questa parte, bisognerà dunque che l’Italia torni a scoprire gli strumenti che le permetteranno di rilanciare la propria crescita, ma dire che l’Italia costituisce un rischio mi sembra un’esagerazione, anche se i livelli del debito pubblico sono pericolosamente alti. Il 130% è uno dei livelli di debito pubblico più alti al mondo e bisognerà correggerlo, ridurlo“.
Però, nel mondo androide dell’Unione europea avvengono cose strepitose, neppure ipotizzabili dai lontani bastioni di Orione, tanto che nei bilanci delle casse statali mancano all’appello ogni anno più di mille miliardi di euro, tra elusione ed evasione fiscale. Infatti mentre i comuni mortali pagano fino all’ultimo centesimo di tasse, le multinazionali smistano decine di miliardi verso altri paradisi, grazie a contratti finanziari inaugurati in Lussemburgo, i famigerati ‘tax ruling’, strumenti finanziari che consentono alle corporations di concordare preventivamente il trattamento fiscale per un periodo predeterminato.
Così gli accordi preventivi provvedono ad evitare possibili contenziosi con gli Stati su alcune pratiche societarie tipicamente elusive, come quella che manipola i prezzi infra-gruppo (transfer mispricing), o ricorre a trasferimenti di utili da uno Stato all’altro sotto forma di dividendi, interessi, royalties e altri ingredienti del reddito d’impresa.
Il Pil pro capite del Granducato di Lilliput-Lussemburgo è di 105.918 mila dollari, il più alto al mondo, quasi il triplo di quello italiano. Un Paese molto ricco, nonostante sia pressoché privo di un comparto industriale di spessore, la cui unica fortuna è rappresentata dalle tasse, naturalmente quelle degli altri, e in particolare quelle delle numerose multinazionali che vi detengono la sede legale.  Il cui motto identitario è ‘Vogliamo rimanere ciò che siamo’… ettelocredo!! E la cui sorte è stata forgiata dal vecchio borgomastro Jean-Claude Juncker, oggi presidente della Commissione europea, e in visita settimanale in Italia.
Ebbene nel 2014, immediatamente dopo l’elezione al suo mandato europeo, il nostro lillipuziano era già sotto attacco mediatico, per un’inchiesta giornalistica di 28 mila pagine di documenti raccolti da un network americano, The International Consortium of Investigative Journalists (Icij), e pubblicato in contemporanea da 26 testate, che inauguravano lo scandalo definito ‘LuxLeaks‘.
L’inchiesta denunciava la sporca abitudine del Granducato di aver favorito multinazionali, quali Pepsi, Ikea, FedEx, Accenture, e anche 31 società italiane o con attività in Italia, attraverso una miriade di accordi fiscali.
A quel punto quaranta media di tutto il mondo poterono accedere ad un archivio smisurato di migliaia di documenti, sottratti da due impiegati, della sede lussemburghese di PriceWaterhouseCoopers (Pwc), un colosso di consulenza e revisione societaria, provocando in seguito interventi parlamentari, denunce e indagini giudiziarie.
Il sistema dei ‘tax ruling‘ si è sviluppato proprio in Lussemburgo, dando avvio ad intese riservatissime che garantiscono a 340 multinazionali di pagare meno del 1% di tasse, da Amazon ad Abbott, da Deutsche Bank a Pepsi Cola.
Il nodo del sistema prevede «accordi fiscali anticipati», una pratica legale che permette di conoscere in anticipo le imposte da pagare e ottenere garanzie giuridiche, così il sistema può influenzare la ripartizione dei profitti e consentire di minimizzare il gettito.
Il meccanismo finora ha funzionato benissimo secondo un tacito accordo, per cui le aziende spostavano nel Granducato flussi finanziari per centinaia di miliardi di dollari e in cambio ottenevano la possibilità di un trattamento tributario d’eccezione. Naturalmente, a farne le spese sono stati i Paesi d’origine delle società, costretti a rinunciare al gettito fiscale dirottato opportunamente verso altri lidi, ma anche gli altri Stati membri dell’Unione, che in questo modo entravano in una spirale viziosa di concorrenza sleale. Il danno complessivo è notevole: dai conti dell’Unione spariscono annualmente 1.400 miliardi di euro.
L’elusione di fatto vale miliardi di euro di base imponibile, nascosta dalle grandi multinazionali al fisco di Paesi come Germania, Francia e Italia. Dunque per compensare l’ammanco versano più tasse i lavoratori dipendenti o autonomi, i pensionati e anche – attraverso l’Iva sui beni di consumo – tutti i consumatori, compresi quelli i cui redditi dovrebbero essere esenti da tassazione, visto che sono così bassi da restare al di sotto delle soglie tassabili.
Ma oltre al Lussemburgo anche Olanda e Irlanda, che hanno poco più del 6% della popolazione dell’Eurozona, rappresentano nel complesso quasi metà dell’elusione fiscale internazionale delle grandi aziende. Così i tre più grandi paradisi fiscali non sono annidati in qualche isola dei Caraibi o del centro America, al contrario, prosperano indisturbati proprio nel cuore dell’Europa.
In pratica questi tre Paesi operano direttamente a danno degli altri, gli stessi con i quali condividono le loro severe regole di vigilanza sui bilanci pubblici, politiche di austerity, fiscal compact, etc etc.
L’Irlanda per esempio è il Paese dove Apple gode di sconti confezionati su misura, per cui le due consociate irlandesi di Apple funzionano da società offshore perché pagano solo l’1% di tasse, nel 2014 addirittura lo 0,05%.
Finché nel 2016 Dublino ottenne dalla Apple il pagamento di 14,3 miliardi di euro in tasse arretrate e interessi, a due anni dalla decisione con la quale Bruxelles aveva stabilito che il regime fiscale garantito all’azienda Usa violava le leggi dell’Unione europea.
L’occasione per parlare del problema è arrivata a Davos nel 2018, in un incontro sui paradisi fiscali, quando sono stati presentati i risultati di uno studio pubblicato da tre economisti: Thomas Tørsløv e Ludvig Wier dell’Università di Copenaghen, insieme a Gabriel Zucman dell’Università di California a Berkeley.
I tre segugi finanziari hanno calcolato l’impatto dell’elusione da parte di grandi gruppi come Apple, Facebook, Amazon, Google-Alphabet o Nike…  evidenziando che In ciascuno di questi gruppi, la somma dei profitti realizzati dalle società controllate, bizzarramente risulta pari a una frazione minima dei profitti consolidati globali. Il caso più estremo è Facebook, i cui profitti del 2015 sono stati di circa 11 miliardi di euro ma la somma dei ricavi tassabili di tutte le sussidiarie resta a zero.
Secondo i tre economisti, le distorsioni fiscali stanno diventando sempre più insostenibili, perché circa i due terzi dei profitti esteri delle multinazionali americane in genere (e il 45% di quelle di tutto il mondo) slittano verso i paradisi fiscali.
Ad esempio il Double Irish with Dutch sandwich, il doppio irlandese con panino olandese, lungi dall’essere una specialità gastronomica irlandese, costituisce un raffinato schema di pianificazione fiscale, che verte sull’impiego di due consociate con sede in Irlanda (di cui una registrata in un paradiso fiscale) e una terza “società veicolo” con sede in Olanda, al fine di abbattere il reddito imponibile.
Proprio la tecnica utilizzata da Google, che in pratica, avrebbe trasferito i ricavi da una controllata irlandese a una società olandese senza dipendenti, e poi a una casella postale alle Bermuda di proprietà di un’altra società registrata in Irlanda.
Ma il nostro lillipuziano la sa parecchio lunga, ricompensato per i suoi servigi con la presidenza dell’Eurogruppo nel 2004, trascurò con benevolenza i ‘trucchi di bilancio’ della Grecia, salvo poi acconsentire alle insistenti richieste di austerità che venivano dal Nord Europa per il Sud spendaccione.
«Se si guardano i numeri, probabilmente ha fatto più danni alle finanze pubbliche europee Juncker che qualunque evasore fiscale. Eppure era tutto noto: basta leggere la brochure promozionale del Luxembourg Stock Exchange, la Borsa del Granducato, per vedere che questo ricchissimo staterello non ha pudore nel presentarsi come uno snodo fondamentale per le imprese che devono eludere il fisco» dice Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano.
L’Europa dell’austerity e degli apologeti pseudo democracy permette la pratica dell’arbitraggio fiscale o ‘beggar thy neighbour’ (frega il tuo vicino), e la prosperità delle nazioni eticamente ‘nobili’, rispetto ai Piigs eternamente indebitati, si fonda quasi esclusivamente su queste porcate fiscali.
In conclusione mentre i poveri cittadini europei sono tartassati da tasse sempre più insostenibili, le grandi corporations mondiali vengono favorite con pratiche e agevolazioni finanziarie sempre più creative e geniali, tanto che potrebbero superare ogni genere di avanguardia artistica. E per la gioia di un’Europa faro della democrazia, che inneggia all’unione tra i popoli, in uno dei tre grandi paradisi fiscali membri dell’UE, Apple nel 2014 pagava lo 0,005 di tasse sui nostri iphone da 1000 euro l’uno. Dissonanza cognitiva?

mercoledì 30 agosto 2017

Merkel, sì a un Fondo monetario europeo. - Francesca Gerosa

Angela Merkel

La cancelliera tedesca è favorevole alla trasformazione dell'Esm in un Fondo monetario dei Paesi dell'area euro, a un ministro delle Finanze dell'eurozona e a un bilancio per l'euro, di piccola entità, per aiutare i Paesi che stanno facendo le riforme ma sono costretti ai limiti di spesa per rispettare il Patto di Stabilità.

Sì a un ministro delle Finanze dell'eurozona e alla proposta di trasformare l'Esm (il meccanismo europeo di stabilità) in una sorta di Fondo monetario dei Paesi dell'area euro. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, durante una conferenza stampa oggi a Berlino, ha aperto a queste due possibilità e ha aggiunto di essere favorevole alla creazione di un bilancio per l'euro, però di piccola entità, per aiutare i Paesi che stanno facendo le riforme ma sono costretti ai limiti di spesa per rispettare il Patto di Stabilità.

"Sono a favore di un bilancio per l'euro", ha detto, "ma non di centinaia di milioni, bensì di piccole quantità per cominciare. Per fare le riforme quando non ci sia il margine a causa del Patto di stabilità e crescita". Secondo la cancelliera tedesca il principale scopo dell'iniziativa sarebbe quello di aiutare nella fase delle riforme i Paesi che altrimenti sarebbero costretti a fare dei tagli che non aiuterebbero la competitività. Angela Merkel ha citato esplicitamente la Spagna.
Inoltre, la cancelliera tedesca si è detta d'accordo con la proposta del ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, che ha parlato di convertire il meccanismo europeo di stabilità in uno strumento simile al Fondo monetario. "Sarebbe una riforma importante", ha osservato in merito, "che dimostrerebbe al mondo che la Ue ha i meccanismi per superare situazioni inattese".

Lo scorso 20 aprile Schaeuble aveva affermato che il Fondo monetario internazionale "si è stancato di occuparsi sempre dei problemi europei". Ragion per cui gli europei dovrebbero considerare di effettuare eventuali futuri salvataggi senza l'aiuto del Fmi. In pratica, secondo il ministro tedesco delle Finanze, l'Esm potrebbe assumere le funzioni del Fmi in futuro.
Infine, Angela Merkel ha specificato di non avere nulla in contrario alla creazione di un ministero delle Finanze dell'eurozona, anche se restano le distanze con la posizione espressa dal presidente francese, Emmanuel Macron. "Un ministro dell'Economia e delle Finanze dell'eurozona che promuova la competitività e abbia la capacità di appoggiare finanziariamente i Paesi che presentano piani concreti di riforme sarebbe auspicabile", ha concluso.


Hanno la sfacciataggine di far passare una mannaia per aiuto umanitario ...
Il loro unico problema è aumentare il numero di figure istituzionali per tenersi buoni gli epurati e avere la possibilità di tenere sotto ricatto intere popolazioni tramite i loro governanti.
Pecunia non olet.
PS. Subito dopo l'approvazione, preparatevi ad un adeguato aumento delle tasse....

sabato 6 maggio 2017

Stiglitz: “Germania unica beneficiaria dell’euro.” - Alberto Battaglia

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“L’euro funziona, professor Stiglitz?”. Una domanda a bruciapelo, quella inviata martedì scorso nel salotto di Giovanni Floris su La7, alla quale il noto premio Nobel per l’economia ha offerto una risposta altrettanto netta: “No”. Ovviamente, non è la prima volta che ciò viene affermato da un importante economista né è la prima volta che lo stesso Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia, sottolinea questo concetto. Allo stesso tempo l’intervista ha offerto una sintesi del pensiero del professore della Columbia University di New York,. che ha esplorato con sufficiente semplicità una serie di concetti spesso fraintesi o mistificati.
In particolare, cosa succede ai Paesi europei dopo la loro rinuncia irreversibile (secondo quanto ribadito a più riprese dalla Bce) al dominio del tasso d’interesse e del tasso di cambio? “Si è creata divergenza e stagnazione”, il contrario di quanto l’Europa unita avrebbe dovuto fare, sottolinea Stiglitz, “i più ricchi si sono arricchiti i poveri si sono impoveriti”. A questo punto il pubblico presente in studio accorda un forte applauso a scena aperta, mentre il professore precisa che lo “spartiacque” segnato dall’euro continua sempre più ad accentuare tali dinamiche. Alla richiesta, sempre molto schietta di Floris sul fatto che sia, ad esempio, la Germania ad essersi arricchita, al contrario dell’Italia, Stiglitz conferma quello che, a giudicare dalla sua espressione facciale, gli pare una lapalissiana ovvietà. La Germania è “il grande beneficiario singolo” dell’Eurozona.
Non sorprende che il Nobel, per queste sue posizioni critiche, sia stato spesso citato dai partiti euroscettici, fra cui Lega Nord e Front National. Eppure, Stiglitz tiene a segnare la sua netta distanza da questi movimenti: “Se [voi italiani] mi aveste chiesto prima se entrare nell’euro, vi avrei detto non fatelo. Ora che ci siete dentro dovete capire che ci sarà un costo per tutto questo, che si pagherà con il costo della vita”. Ma il problema non è quello di uscire dall’euro, secondo Stiglitz, ma è la riforma dell’Eurozona nel suo complesso e soprattutto se è possibile ottenere “un assenso della Germania sulle riforme necessarie”.
Stiglitz, che propugna una diversificazione dell’euro in più velocità, ritiene di non aver bisogno che un sano dibattito sul futuro dell’euro raccolga gli avalli di figure come quella di Marine Le Pen. Secondo il professore, il punto di fondo è che “ripensare il ruolo dell’euro” è l’unico modo per non entrare in conflitto con il fine per il quale è stato creato: aumentare la coesione dell’Unione Europea.
Quanto al caso Mps, Stiglitz ha fatto sapere in un intervento tenuto ieri all’Università di Siena che “la Bce ha tenuto una posizione troppo rigida“.

domenica 18 novembre 2012

Il Governo si promuove: “Senza queste politiche non ci sarebbe più l’Eurozona”.


Mario Monti


La nota di Palazzo Chigi: "Si sarebbe dovuto fare di più in favore delle classi più disagiate, ma si è cercato di mettere in sicurezza i conti pubblici". E ancora: "Non sono state fatte promesse: solo un consapevole senso della realtà può dare fiducia per l'avvenire". Ma a supporto del lavoro fatto, un'analisi economica evidenzia il "successo" di riforma pensioni, redditometro e direttiva sui pagamenti, tralasciando i nodi esodati, debiti della pa e accordo Italia-Svizzera.

Niente promesse né illusioni. Sono stati messi in sicurezza i conti, anche se si poteva fare di più per le classi più disagiate. Certo, l’Italia ha guadagnato molto in termini di credibilità internazionale. E con un’Italia meno debole ne ha guadagnato anche l’Europa: “Senza le nostre politiche non ci sarebbe più l’Eurozona“. A un anno dal suo insediamento il professor Monti promuove il presidente del Consiglio Monti. Palazzo Chigi con una lunga nota (“Un anno dopo: il governo, l’Italia, i cittadini – Appunti di viaggio”) fa il bilancio della propria attività, fondata su cinque parole che ridisegnano la nuova Italia: credibilità, coesione, responsabilità, legalità e visione. “In un anno l’Italia ha intrapreso profonde trasformazioni. Questo esecutivo è nato sull’onda dell’emergenza, trovandosi di fronte ad un bivio drammatico: lasciare affondare il Paese o sforzarsi di uscire dalla palude” si legge. 
Secondo Monti gli effetti positivi delle politiche del governo tecnico si sono riverberati non solo sulla tenuta dell’Italia, ma anche sul resto della comunità europea. “Forse oggi, senza le politiche di rigore messe in atto dall’esecutivo non ci sarebbe più l’Eurozona – si legge – O sarebbe notevolmente ristretta come dimensione geografica, senza quello che l’Italia, con uno sforzo collettivo di cui non si ricordano molti precedenti nella storia repubblicana, è riuscita a compiere”. Il riferimento è a quella “strana maggioranza” di PdlPdFli e Udc: “Certamente sarebbe stato necessario fare di più, e forse alcuni errori sono stati commessi, ma l’impianto delle riforme necessario ad uscire dalla fase di emergenza è stato condiviso dalla ‘strana maggioranza’ che ha appoggiato l’esecutivo”.
Qualche rammarico il governo ce l’ha: “Molto di più si sarebbe dovuto fare in favore delle classi più disagiate del Paese, soprattutto per sostenere le famiglie che con il loro welfare sono il vero tessuto produttivo grazie al quale l’Italia non ha subito un contraccolpo negativo come, ad esempio, è successo negli Stati Uniti” si legge nell’introduzione della lunga nota di Palazzo Chigi. Ma “il governo ha cercato di mettere in sicurezza i propri conti pubblici, come richiesto dall’Europa e dalla Banca Centrale Europea, al fine di preservare non solo i diritti acquisiti, ma anche quelli ancora da acquisire dalle generazioni future. Lo ha fatto con una riforma delle pensioni che viene indicata a livello internazionale come un modello da seguire e con quella del mercato del lavoro che ambisce a creare un contesto più inclusivo e dinamico, atto a superare le segmentazioni che tendono a escludere o marginalizzare i giovani”.
Ma Palazzo Chigi parla con toni chiari anche più avanti: “Il governo ha cercato di rappresentare la realtà ai cittadini spiegando senza contraffazioni e con un linguaggio di verità la situazione e i rimedi adottati. Non sono state fatte promesse, né alimentate illusioni. Al contrario sono stati richiesti sacrifici, anche pesanti. Ma questi sono stati recepiti proprio per il momento drammatico che l’Italia ha attraversato. Solo un consapevole e trasparente senso della realtà può dare speranza e fiducia per l’avvenire”. 
Infine un ultimo riferimento alla politica, sotto il profilo dell’etica. ”Il governo inoltre è voluto intervenire anche sul tema dei costi della politica, attraverso un decreto legge sulla trasparenza e sulla riduzione dei costi degli apparati politici regionali. Una misura fortemente invocata dagli stessi presidenti delle Regioni e soprattutto dai cittadini che, dopo gli scandali delle ultime settimane, non comprendono come a loro si richiedano sacrifici, spesso anche pesanti, mentre il mondo della politica sembra non essere toccato dal tema della responsabilità di fronte ad una delle più difficili crisi economiche degli ultimi anni. Per questo il governo ha spinto molto sulla necessità di un ritorno all’etica della politica, una pratica che andrebbe sempre coltivata, ricordando il fine ultimo per il quale un cittadino delega un suo rappresentante in un organo pubblico”.
Dopo un anno, insomma, l’Italia è “saldamente sulla via del cambiamento, di certo è un’Italia che adesso può guardare con più fiducia verso il suo futuro. Un futuro che sarà prospero se si continuerà sulla strada intrapresa, senza disperdere il lavoro che è stato compiuto fino ad oggi. Un lavoro che passa attraverso cinque parole che ridisegnano la nuova Italia: credibilità, coesione, responsabilità, legalità e visione”.
L’ANALISI ECONOMICA. Parole che nelle intenzioni di Palazzo Chigi sono rafforzate da un’analisi economica relegata in un capitolo a sé e redatta rigorosamente in inglese. All’interno della quale sono elencati schematicamente i provvedimenti dell’ultimo anno che secondo il governo costituiscono i maggiori goal segnati dai tecnici. A partire dalla riforma delle pensioni che, si legge nella slide dedicata alla sostenibilità delle finanze pubbliche, ha il merito di aver portato “importanti risparmi” stimati in 7,6 miliardi nel 2014 e destinati a salire a 22 miliardi nel 2020. Nessun accenno, però, al rovescio della medaglia, il nodo esodati e i relativi costi sociali ed economici. Forse perché le cifre in gioco a distanza di un anno non sono ancora chiare, anche se gli ultimi conteggi parlano di un costo pubblico di quasi 10 miliardi di euro per tutelare 130mila esodati, numero, quest’ultimo, che non esaurisce la platea.
Altri esempi non mancano. Tra gli altri obiettivi raggiunti in economia vantati dal governo, c’è infatti anche “la riduzione dei ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese”. Il riferimento è al recepimento di pochi giorni fa della direttiva Ue che sanziona pesantemente chi paga oltre i 30 giorni di ritardo. Peccato che i vari ministri del governo tecnico abbiano promesso per un anno un recepimento anticipato rispetto alla scadenza di marzo 2013, salvo poi agire sul filo di lana con il termine obbligatorio. Quanto ai pagamenti arretrati, ben poco è arrivato rispetto ai circa 100 miliardi di debiti accumulati dallo Stato nei confronti delle imprese che per lui hanno lavorato. Considerazioni analoghe si potrebbero fare, infine, per la vantata lotta all’evasione grazie all’arrivo del redditometro (anche qui un anno di ritardo e nessun aggiornamento sull’accordo Italia-Svizzera per tassare i capitali italiani depositati nei forzieri elvetici).


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ULTIM'ORA: CONTESTATO MONTI ALLA BOCCONI

Contestazione persino al Divino Monti, tanto hanno osato questo choosy degli studenti. I tafferugli sono scoppiati proprio di fronte all'università Bocconi, dove Monti presentava due suoi volumi, da
pprima contestazioni verbali e poi lancio di petardi e uova di vernice da parte di un centinaio di studenti. Le forze dell'ordine, in tenuta antisommossa, hanno caricato, a colpi di manganello, i manifestanti i quali hanno risposto con petardi e fumogeni. Ferito in modo lieve un agente della squadra mobile, aggredito un cameraman di La7 che stava filmando il corteo di protesta.
Tra i cartelli più significativi: Basta austerity, soldi subito; Monti a casa, Milano non ti vuole, Un anno di Monti, austerity, precarietà e manganellate. Auguri».
L'ateneo era blindato dalle forze dell'ordine proprio per le contestazioni. L'intera zona attorno all'ateneo è blindata e tutto il quartiere viene monitorato da elicotteri della polizia.
M.F.