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sabato 11 maggio 2024

Idol Rock - Inghilterra

 

L'espansione di Brimham Moor nel North Yorkshire, Inghilterra, ospita una serie di curiose formazioni rocciose formate da decine di migliaia di anni di erosione, ma la più impressionante di tutte è Idol Rock, un monolite di 200 tonnellate che oscilla su una piccola base piramidale.
Sembra che l'Idol Rock alta 4,5 metri stia per crollare, ma non succede mai. Pesando circa 200 tonnellate, questa gigantesca formazione rocciosa sta compiendo il suo sorprendente atto di equilibrio da quando abbiamo fatto uso della ragione, sfidando le leggi della fisica e lasciando i visitatori di Brimham Moor a grattarsi la testa in soggezione. Conosciuta anche come The Druids Idol o The Druid's Writing Desk, questa attrazione unica si trova su un minuscolo pezzo di roccia a soli un piede di circonferenza. Le sue foto circolano su internet da anni, e molti sostengono che sia solo il risultato della manipolazione di Photoshop, ma il Brimham Idol è molto reale, un esempio del talento artistico di Madre Natura.
Tutta la Brimham Moor è considerata una delle ambientazioni più strane del Regno Unito. Durante l'era vittoriana, decine di rocce dalla forma curiosa fecero credere a tutti che fosse un luogo creato dai druidi, e fu solo nel XX secolo che la gente si rese conto che era solo il risultato di 18.000 anni di costante erosione.

lunedì 1 aprile 2024

L'occhio di Smaug.

 

Lo sai che nelle profondità dell'Inghilterra c'è un occhio di drago?

Quello che può sembrare l'occhio di Smaug, in una scena del romanzo di J.R.R. Tolkien, in realtà non è altro che il prodotto dell'esfoliazione di una porzione di roccia presente nella miniera di Hall of Giants nel Lancashire, Regno Unito.

L'esfoliazione è un tipo di degradazione fisica che forma fogli di roccia. In particolare, l'esfoliazione sferoidale forma fogli concentrici di roccia.
Sono soggette a questo tipo di degrado rocce dure e fratturate, come ad esempio i graniti e i basalti.

📸 Underground Explorers C9C 

https://www.facebook.com/photo/?fbid=1152992172721945&set=a.709086750445825

domenica 11 febbraio 2024

“Capsula del tempo” preistorica trovata in Inghilterra. - Lucia Petrone

 

Una “capsula del tempo” preistorica contenente boschi preservati e resti di insetti è stata trovata nelle torbiere nella tenuta Holnicote a Exmoor, in Inghilterra.

La scoperta è stata fatta in un’area conosciuta come Alderman’s Barrow Allotment, che era in fase di restauro come parte di un progetto per migliorare la salute delle torbiere in degrado attraverso Exmoor e il sud-ovest. Il progetto ha trovato una “capsula del tempo” di boschi e resti di insetti del Neolitico e dell’età del bronzo, fornendo una visione unica su come si è formata la torba e su quali tipi di piante e insetti vivevano nell’ambiente durante i tempi antichi. L’esame dei campioni prelevati dalla torba ha rivelato oltre 100 frammenti di coleotteri Hydraena riparia, oltre a esemplari di scarabei stercorari, scarabei stalinidi, acari del muschio e scarabei acquatici. Sono stati recuperati anche i resti di un pavimento boschivo preistorico, costituiti da frammenti di tronchi, rami e rametti datati circa 4.500-3.500 anni fa. Questi frammenti hanno rivelato la presenza di molteplici specie arboree, tra cui: ontano e salice, con evidenza di betulla che cresce nelle vicinanze (indicata dai semi).

Un’indagine più ampia sull’ubicazione della torbiera ha portato alla luce una porzione di un salice neolitico, insieme a esemplari di betulla e quercia. Sono state inoltre individuate tracce di diverse specie vegetali nelle vicinanze, come carici e giunchi. Ha spiegato il dottor Ed Treasure, archeologo ambientale senior presso Wessex Archaeology, specializzato in resti di piante e legno; “Queste scoperte forniscono un modo unico e tangibile di connettersi con il passato di Exmoor, illustrano la natura mutevole dei paesaggi e rivelano come è nato questo paesaggio impressionante. “Possiamo utilizzare queste informazioni per sviluppare una “base di riferimento” per gli studi sul ripristino delle torbiere che possono estendersi indietro di secoli, se non di millenni. Questa visione a lungo termine ci consente di guardare oltre molti dei cambiamenti significativi nelle pratiche di utilizzo del territorio nelle torbiere avvenuti negli ultimi secoli”, ha aggiunto il dott. Treasure.

https://www.scienzenotizie.it/2024/02/09/capsula-del-tempo-preistorica-trovata-in-inghilterra-3979828

venerdì 10 settembre 2021

Stangata in vista su famiglie e imprese. Quadruplicati i costi di gas e luce. - Jacopo Gilberto

 

Sulla Borsa elettrica il prezzo medio all’ingrosso della corrente elettrica è passato dai 38 euro dell’anno scorso a 145 attuali.

Testa incassata fra le spalle e mandibole strette, prepariamoci alla botta. Prezzo medio all’ingrosso della corrente elettrica l’anno scorso: 38,92 euro per mille chilowattora. Ecco i dati della borsa elettrica italiana del Gestore dei Mercati Energetici: il 9 settembre per le forniture delle ore 20 la corrente elettrica all’ingrosso costa 174,23 euro per mille chilowattora. È il prezzo fissato l’8 settembre per le consegne del 9 settembre ai grossisti di elettricità.
Prezzo medio per oggi 145,03 euro, prezzo minimo 130,28 euro per mille chilowattora per le consegne elettriche delle 14.
In media, quattro volte tanto, spinti dai costi internazionali del metano e dalle speculazioni sui mercati europei Ets delle emissioni di CO2.

Ottobre bollente.

Il 1° ottobre è vicinissimo, e quel giorno come ogni tre mesi l’autorità dell’energia Arera aggiornerà le bollette di luce e gas. Le decisioni salvabollette su cui sta lavorando il Governo (si vedano sul Sole24ore gli articoli di Celestina Dominelli e Carmine Fotina del 5 settembre) potrebbero solamente attenuare una botta rintronante, peggio di quell’aumento scattato il 1° luglio con +9,9% per l’elettricità e +15,3% per il gas. 

Non basta. Sull’aggiornamento Arera si orientano anche i valori del mercato libero delle famiglie. Chi un anno fa aveva stipulato contratti a prezzo fisso con listini un quarto di quelli attuali potrebbe avere un rinnovo da cavar la pelle. 

Non basta. Il 1° ottobre comincia l’anno termico, cioè i contratti industriali di fornitura energetica durano dal 1° ottobre al 30 settembre, e in questi giorni molte aziende cominciano a chiamare per il rinnovo i fornitori di energia elettrica, metano, gasolio e così via. Ma in questi giorni molte telefonate tra clienti e fornitori hanno toni luttuosi.

Il pane e le brioche.

Non basta. L’energia, si sa, è alla base di un’infinità di consumi e di beni, come l’ossigeno ospedaliero, l’uva Italia, l’attività dei server dei motori di ricerca, il detersivo per piatti, i viaggi in treno o le vernici per legno. L’Assopanificatori ha dato un avviso sui rincari del prezzo più rappresentativo del ribollire della storia, brioche comprese: il pane.

In Europa gas ed elettricità.

Il tema non è solamente italiano e il rincaro autunnale dei costi dell’energia riguarda tutta Europa e in generale tutto il mondo.

Il metano sul mercato olandese Ttf, riferimento per tutta Europa, mercoledì 8 settembre ha raggiunto il prezzo da primato di 55 euro per mille chilowattora (sì, anche il gas si può misurare in termini di energia sviluppata).

I prezzi medi delle borse elettriche europee sono infiammati, il listino elettrico Epex rileva per giovedì 9 settembre quotazioni medie di 131,76 euro per mille chilowattora in Francia, 130,23 euro in Germania, 132 in Austria e così via.

Londra, un euro al chilowattora.

Ma in Inghilterra la media per le forniture elettriche del 9 settembre è 279,94 sterline, pari a 325 euro, con prezzi pazzeschi per stasera: 783 sterline per le 18 (911 euro), 867 per le ore 19 (1.009 euro), 687,55 sterline per mille chilowattora le consegne della sera alle 20 (800 euro).

Ripeto per i lettori più distratti: all’ingrosso per le forniture del 9 settembre la corrente in Inghilterra è quotata 1 euro al chilowattora.

L’industria: servono interventi.

Osserva Aurelio Regina, delegato Energia della Confindustria: «Bisogna intervenire in sede Ue sulla speculazione finanziaria nel mercato della CO2 che, assieme all’escalation dei prezzi del gas, è una delle cause principali dei rincari energetici».

Massimo Bello (Wekiwi), presidente dell’associatione dei grossisti e trader dell’energia Aiget, avverte che «tra le voci di rincaro la forte impennata del costo della CO2 non è un fenomeno transitorio e rischia di diventare strutturale. Difficile dire come contenere i prezzi; ed è un problema europeo, non italiano. Bisogna intervenite nella concentrazione e poca concorrenza delle materie prime? Nella struttura della formazione del costo della CO2? Nel creare nuova capacità? Nel favorire contratti pluriennali? Ci ha colpito — nota Bello — la scarsa attenzione data al fenomeno, e noi intermediari ci troviamo con l’esposizione al rischio dei pagamenti».

«Le aziende non si sono ancora rese conto», commenta Diego Pellegrino (Eroga Energia), presidente dell’associazione Arte che raccoglie circa 120 trader e rivenditori di elettricità e gas soprattutto di dimensioni medie o piccole. «Sarà una spallata per i settori energìvori, ad altissima intensità d’energia. Noi imprese energetiche in questi mesi abbiamo comprato a prezzo salatissimo e rivenduto al prezzo fisso stracciato e ora siamo assediati da fideiussioni pazzesche».

Gianni Bessi, analista politico dell’energia: «Bene l’azione del Governo sulle leve regolatorie delle tariffe. Non basta; serve una crescita strutturale per un Paese che non cresce dal 2008. Ecco perché gli attacchi al ministro Roberto Cingolani per una transizione ecologica che verte sul pragmatismo è mossa da un calcolo egoistico di partito o di una cultura asfittica alla crescita».

ILSole24Ore

mercoledì 29 aprile 2020

La salute è un bene comune globale. - Vittorio Pelligra

(Getty Images)

Siamo passati molto velocemente, negli ultimi decenni, da una situazione nella quale lo stato di salute del singolo era una faccenda puramente privata, o al massimo familiare, alla consapevolezza che, invece, la salute individuale è una faccenda sociale.

Questi mesi di pandemia sono, per tanti versi, mesi di rivelazione. L'unicità e la tragicità dell'esperienza che, insieme, stiamo vivendo, produce come un affinamento dei sensi che ci aiuta a cogliere aspetti fondamentali della nostra vita che, nella normalità dei tempi, passavano, nel migliore dei casi, inosservati.

Uno di questi aspetti riguarda certamente la presa di coscienza del fatto che la salute, quella di ciascuno di noi, non possa essere pensata come un bene privato, come una faccenda individuale, ma abbia, piuttosto, tutte le caratteristiche di un bene comune, di un bene comune globale. Gli economisti tendono a classificare i beni sulla base dell'intensità con cui posseggono due caratteristiche: l'”escludibilità” e la “rivalità”. I beni altamente escludibili sono quelli dal cui godimento è relativamente semplice ed agevole escludere gli altri. Se mi compro una pizza, posso facilmente e legittimamente impedire a qualcun altro di mangiarsela; al contrario, se illumino la strada di fronte a casa mia, non posso facilmente impedire al mio vicino di godere della stessa illuminazione.

La seconda dimensione è quella della “rivalità”. I beni rivali sono, tipicamente, quelli che si consumano con l'uso. La pizza, una volta mangiata, non può nuovamente essere mangiata né da me, né da nessun altro. Al contrario, il fatto che il mio vicino goda dell'illuminazione notturna, non impedisce a me di fare lo stesso. L'illuminazione non è rivale.

L'elevata escludibilità e la rivalità sono le caratteristiche definitorie dei beni privati. Al polo opposto stanno quei beni che sono, invece, non-escludibili e non-rivali. Questi sono i cosiddetti beni pubblici. Un parco cittadino, per esempio; in tempi normali non si può legittimamente impedire a qualcuno di fare una passeggiata in quel parco o di goderne della vista rilassante e, allo stesso tempo, il fatto che qualcuno usufruisca di quel bene, non impedisce ad altri di fare lo stesso.

Il bene pubblico non si consuma, non è rivale. Sono beni simili, in tempi normali, la scuola, l'amministrazione della giustizia, la sanità, la libera stampa, la qualità del dibattito pubblico, solo per fare qualche esempio. A metà tra i beni pubblici e quelli privati, troviamo i beni comuni, quei beni, cioè, che sono, non-escludibili, ma rivali. Beni dal cui godimento non è possibile escludere nessuno, ma che, allo stesso tempo, con l'uso, si consumano. Questi beni sono particolarmente importanti, non solo perché la qualità della nostra vita dipende in maniera crescente dai beni comuni – un esempio per tutti, la qualità ambientale - ma anche perché questi sono particolarmente fragili.

Nel 1968 Garrett Hardin pubblicò su “Science” un articolo significativamente intitolato “The Tragedy of the Commons” (La tragedia dei beni comuni) nel quale metteva in luce un paradosso che emerge nella gestione di questi beni. Hardin utilizza l'esempio di un terreno comune dove un gruppo di allevatori possono portare il bestiame al pascolo. Ogni allevatore avrà interesse a far pascolare, ogni giorno, il maggior numero di capi di bestiame in modo da ricavarne il massimo beneficio per sé, tenendo conto del fatto che i costi associati a questo comportamento (il consumo del pascolo) verranno, per così dire, socializzati, cioè divisi tra tutti gli altri allevatori. Abbiamo, quindi, da un punto di vista individuale, alti benefici e bassi costi, il che indurrà ogni allevatore a sfruttare al massimo il pascolo. Questa scelta, benché ottimale da un punto di vista individuale, quando messa in atto da tutti gli altri allevatori (il bene è non-escludibile), determinerà un sovrasfruttamento del bene fino alla sua stessa distruzione. «L'essenza della tragedia – scrive Hardin nel giustificare il titolo del suo articolo – non è l'infelicità. Essa risiede, piuttosto, nella solennità dell'impietoso funzionamento delle cose (…) nell'inevitabilità del destino e nella futilità di ogni tentativo di sfuggirvi».

La radice del paradosso che emerge dalla logica dei beni comuni ha a che fare con il conflitto tra la razionalità autointeressata e l'irrazionalità dei suoi esiti: è proprio il perseguimento razionale dell'interesse individuale a produrre il risultato peggiore dal punto di vista sia collettivo che individuale. Il “self-interest” è “self-defeating”; l'auto-interesse, in quest'ambito, distrugge se stesso.

La prima implicazione di questo discorso riguarda il fatto che i beni comuni sono per loro natura fragili e che, quindi, vanno attivamente protetti e tutelati. Se non proteggiamo attivamente l'ambiente questo, naturalmente, verrà sovra-sfruttato e distrutto. Le risposte tradizionali a questo problema hanno, storicamente, puntato verso due direzioni opposte ma complementari: la privatizzazione e la statalizzazione. Le difficoltà nel preservare i beni comuni possono essere eliminate nel momento in cui la proprietà comune diventa proprietà privata o, all'opposto, pubblica. Nel primo caso interesse privato e interesse sociale si allineano, semplicemente perché la dimensione sociale viene eliminata; nel secondo caso, invece, l'interesse privato viene tutelato attraverso una limitazione della libertà individuale ad opera di un potere superiore, lo Stato appunto.

Nel contesto della società globalizzata nella quale oggi viviamo, le soluzioni tradizionali mostrano i loro limiti perché si sta trasformando la natura stessa dei beni comuni, i più importanti dei quali hanno assunto una dimensione globale.

Nel contesto della società globalizzata nella quale oggi viviamo, queste soluzioni tradizionali, mostrano, però, i loro limiti, in particolare, perché si sta trasformando la natura stessa dei beni comuni, i più importanti dei quali hanno assunto una dimensione globale. I global commons, i beni comuni globali, sono quei beni comuni il cui effetto si dispiega oltre i limiti dei confini nazionali. Proviamo a pensare all'acqua del fiume Nilo. Dalla sua disponibilità e qualità dipende la vita di milioni di persone in tutti gli otto stati che il fiume attraversa. Ognuno di questi paesi ha un incentivo, nello spirito tragico evidenziato da Hardin, a sovra-sfruttare quella risorsa per ottenere maggiori benefici a danno degli altri e nessuna di queste spinte appropriative potrà mai essere limitata e regolamentata dall'intervento di una singola legislazione nazionale. Dal Nilo all'atmosfera, alle grandi foreste, agli oceani, nessuno di questi global commons potrà, quindi, essere tutelato adeguatamente usando gli strumenti del mercato o quelli delle autorità nazionali.

Siamo passati molto velocemente, negli ultimi decenni, da una situazione nella quale lo stato di salute del singolo era una faccenda puramente privata, o al massimo familiare, alla consapevolezza che, invece, la salute individuale è una faccenda sociale. Se mio figlio è immunodepresso e va a scuola con un compagno non vaccinato, vuol dire che i genitori si stanno comportando come gli allevatori egoisti di Hardin, stanno cercando di ottenere i massimi benefici individuali facendo ricadere i costi su tutti gli altri, senza rendersi conto, però, che tra “gli altri” ci sono anche loro. Da qui la necessità di un intervento legislativo a tutela della salute pubblica.

Oggi l'epidemia ci fa compiere un ulteriore passo, mostrandoci come la salute abbia, in realtà, tutte le caratteristiche di un bene comune e di un bene comune globale.

Oggi l'epidemia ci fa compiere un ulteriore passo, mostrandoci come la salute abbia, in realtà, tutte le caratteristiche di un bene comune e di un bene comune globale. Una questione tutt'altro che privata, dunque. Non basta cioè tutelare la salute dei cittadini all'interno dei confini nazionali, perché, con il livello di permeabilità delle nostre frontiere ai sacrosanti movimenti di persone, o siamo tutti al sicuro o nessuno è al sicuro. Lo diceva Papa Francesco qualche giorno fa: “Nessuno si salva da solo”. Lo ha scritto Garrett Hardin qualche decennio prima a proposito della sua etica della scialuppa di salvataggio (lifeboat ethics). E allora va benissimo se le misure di distanziamento sociale in Italia hanno appiattito la curva dei contagi al punto da non superare la soglia critica della disponibilità dei letti in terapia intensiva.

Ma questa soglia, in Italia, è pari a 12.5 letti ogni 100.000 abitanti, in Inghilterra a 6.6, ma nelle Filippine è 2.2, e in Bangladesh 0.7 letti ogni 100.000 abitanti. L'accesso alle strutture sanitarie, così come alle terapie farmacologiche e, in un futuro che speriamo non troppo remoto, al vaccino, non è garantito a tutti nello stesso modo. Il virus non è affatto democratico, così come qualcuno ancora si ostina a scrivere. I costi della pandemia non sono distribuiti in maniera equa e gli impatti futuri saranno più forti per i più fragili e vulnerabili, siano essi individui o paesi. Ma qui sta il punto vero della questione. Quei paesi che avranno subito un impatto più ridotto, che avranno potuto garantire ai propri cittadini livelli di protezione maggiore, che potranno ripartire prima, continueranno, comunque, ad essere esposti al rischio di un contagio di ritorno e all'apparire di nuovi focolai in misura proporzionale alla protezione ottenuta, non tanto e non solo dai loro cittadini, ma dai cittadini dei paesi meno protetti. Come la forza complessiva di una catena è determinata dalla forza del suo anello più debole, così anche l'efficacia del sistema di protezione sanitario mondiale è definito dalla qualità della protezione garantita ai più deboli. L'utopia di vivere in un mondo globalizzato, ma chiusi dentro confini nazionali, si scontra con la realtà tragica dei fatti e non basteranno le mascherine a mascherare quei volti che da troppo tempo non vogliamo guardare. Così come l'”alluvione razzista” che devastò New Orleans a seguito dell'uragano Katrina, innescò, nel 2005, una catarsi sociale che portò allo sviluppo del movimento mondiale per la “global climate justice”, forse anche da questa pandemia potrà scaturire del bene come effetto collaterale del male.

Il virus non è affatto democratico, così come qualcuno ancora si ostina a scrivere. I costi della pandemia non sono distribuiti in maniera equa e gli impatti futuri saranno più forti per i più fragili e vulnerabili, siano essi individui o paesi.

Lo shock antropologico che stiamo sperimentando lascerà segni indelebili nelle nostre coscienze e nella nostra memoria che cambieranno radicalmente il modo in cui penseremo il futuro. Potrà forse essere un'occasione, un esempio di quel “catastrofismo empancipatorio”, per usare l'efficace espressione di Ulrich Beck, grazie alla quale, forse, ripensare le condizioni della nostra vita in comune, del nostro agire sociale, all'interno di un nuovo orizzonte di fraternità.

L'emergere di un nuovo orizzonte normativo e perfino istituzionale non è, certamente, un processo automatico, ma dev'essere sostenuto da un lavoro culturale e trasformativo nel quale il principio dimenticato della Rivoluzione Francese, potrà, forse, esercitare un'azione catalizzatrice. Ancora questa pandemia ci insegna che mentre una distribuzione dei beni, anche fortemente diseguale, è perfettamente compatibile con il nostro attuale sistema geopolitico ed economico, perché incentrata sulle unità politiche nazionali, la distribuzione dei mali, può essere colta solo con uno sguardo cosmopolita. E allora, con questo sguardo, il panorama che si contempla è davvero sconsolante. L'epidemia ci aiuta a ragionare oltre la prospettiva nazionale, perché è vero che ogni paese sta vivendo storie parzialmente differenti, ma tutte dentro la stessa vicenda globale, che ci accomuna e che ci fa cogliere, in maniera inedita, la dimensione della nostra interdipendenza. Il virus (ri)guarda tutti. In questa condizione di rischio e precarietà, allora diventa ancora più forte la convinzione espressa sempre da Ulrich Beck secondo cui viviamo una metamorfosi “che fino a ieri era impensabile e che oggi è diventata reale e possibile”.

domenica 3 febbraio 2019

Bedruthan Steps, Cornovaglia, Inghilterra.




I Bedruthan Steps sono un gruppo di scogli formatasi dalla continua erosione.[1]
Secondo la leggenda sarebbero stati lanciati da un gigante di nome Bedruthan[4].

https://it.wikipedia.org/wiki/Carnewas_and_Bedruthan_Steps

lunedì 7 settembre 2015

Stonehenge, scoperto un altro centro cerimoniale sotterraneo. Potrebbe essere ancora più antico.




Il sito è pochi metri sotto il complesso di Durrington Walls, vicino allo storico simbolo del celtismo. "Questo cambia tutta la nostra conoscenza archeologica dell'Europa preistorica".

Stonehenge, il sito neolitico usato dai druidi per i riti celtici vicino ad Amesbury nello Wiltshire, in Inghilterra, ha un “nuovo” rivale. A circa tre chilometri, in una località chiamata Durrington Walls, è stato scoperto un altro centro cerimoniale risalente all’età della pietra. I monoliti, risalenti a circa 4.600 anni fa, sono stati individuati con tecniche radar e non sono ancora stati dissotterrati.
La scoperta è stata annunciata al British Science Festival dell’Università di Bredford dal professor Vince Gaffney, capo della squadra di esperti che ha lavorato alla ricerca. Pochi metri sotto Durrington Walls si trovano oltre 90 megaliti la cui altezza doveva essere circa quattro metri e mezzo e che componevano una sorta di arena a forma di C. Il complesso di Durrington Walls, che misura più di 1,5 km di circonferenza ed è circondato da un fosso profondo circa 17,6 m, secondo alcuni archeologi era complementare a Stonehenge, secondo altri, trai due, non c’era nessun collegamento.
La nuova struttura è stata individuata dallo Stonehenge Hidden Landscapes Project, realizzato dall’Università di Birmingham e dal dipartimento di prospezione archeologica e archeologia virtuale dell’Istituto Ludwig Boltzmann. I monoliti sono stati scoperti dal team utilizzando tecniche non invasive come i radar trainati da quad.
Gli studi dell’area intorno a Stonehenge in passato avevano portato gli archeologi a credere che solo questo sito avesse delle strutture di pietra “studiate”. Ma la storia potrebbe dover essere riscritta: ora ci sono le prove di una precedente fase di Durrington Walls che include la nascita dei monoliti appena scoperti. Anche la loro conservazione è unica ed eccezionale nell’archeologia britannica.
“Questa scoperta ha implicazioni significative per la nostra conoscenza di Stonehenge e la sua conformazione territoriale – spiega Gaffney – le prove non solo dimostrano un’inaspettata fase dell’architettura monumentale dell’Europa preistorica, ma il sito potrebbe essere contemporaneo a Stonehenge, se non precedente. Siamo davanti ad uno dei più grandi monumenti di pietra d’Europa. E’ davvero notevole, non pensiamo ci sia nulla di simile in nessun’altra parte del mondo”.

venerdì 25 ottobre 2013

Bank of England: “Togliere i bonus ai manager delle banche viola i diritti umani”. - Marco Quarantelli

Bank of England

Questo si legge in un documento ufficiale dell'organismo in risposta a un report in cui la Commissione parlamentare sugli standard bancari chiedeva un nuovo sistema di controllo. Intanto Rabobank, tra i più grandi istituti olandesi, ha invece eliminato i premi ai dirigenti: "Non sono più compatibili con il ruolo economico che svolgiamo".

Togliere i bonus ai manager delle banche salvate dal fallimento con soldi pubblici potrebbe essere una “violazione dei diritti umani”. Lo scrive la Banca d’Inghilterra in un documento ufficiale, rispondendo ad un report in cui la Commissione parlamentare sugli standard bancari chiedeva un nuovo sistema di controllo, maggiore responsabilizzazione e sanzioni certe per i dirigenti degli istituti di credito salvati sull’orlo del baratro. E mentre nel Regno Unito si fa sempre più dura la lotta dei livelli alti della politica e della finanza contro il tetto ai bonus imposto dall’Ue, nei Paesi Bassi una banca decide di abolirli: è Rabobank, tra i più grandi istituti olandesi. “I bonus non sono più compatibili con il ruolo economico che Rabobank svolge nella società olandese”, ha annunciato il presidente Wout Dekker. In Europa è il primo caso in 40 anni. 
7 ottobre 2013. Bank of England pubblica la sua “Risposta al Final report of the Parliamentary Commission on banking Standards” del 19 giugno, in cui il parlamento chiedeva varie riforme del sistema britannico, piagato dai salvataggi in extremis a suon di miliardi – 133 in tutto – di giganti come la Royal Bank of Scotland. Secondo la Commissione, il pagamento dei bonus dei dirigenti senior andrebbe sempre spalmato su più anni. Questo perché “i bonus in genere vengono pagati annualmente (…) mentre le conseguenze delle decisioni nocive possono essere identificate solo molto tempo dopo che sono state prese” (leggi pdf). Per questo la Commissione raccomanda “che una parte sostanziale della remunerazione venga differita fino ad un massimo di 10 anni”. “Questo differimento – si legge ancora – permette di recuperare parte del compenso nel caso in cui alla banca vengano comminate delle multe o nei casi di comportamenti sbagliati come quelli ravvisati nello scandalo Libor”. Di qui la proposta: “Le retribuzioni differite dei dirigenti (…) dovrebbero essere sospese in tutti i casi in cui una banca necessiti del sostegno diretto dei contribuenti”, ovvero in cui venga salvata dal crac mediante un’iniezione di soldi pubblici. Ma nella sua risposta la Bank of England frena bruscamente: le autorità dovrebbero trovare il modo di “affrontare il tema in osservanza delle disposizioni europee sui Diritti Umani”. 
Oltremanica la possibilità di bloccare i premi non ancora pagati esiste già, ma ai piani alti della finanza l’argomento “bonus” resta tabù e l’argomentazione dei diritti umani è tra le più utilizzate. Nel dicembre 2009, in piena bufera, il ministro delle finanze Alistair Darling propose nel Pre-Budget Report “una super tassa punitiva del 50% su tutti i bonus superiori alle 25 mila sterline”. La levata di scudi fu immediata: “Siamo stati contattati da altri banchieri – rivelò Bill Dodwell, head of taxation di Deloitte – ci appelleremo allo Human Rights Act”. La Commissione parlamentare sui diritti umani prese la cosa sul serio, al punto da avviare un’inchiesta. Al termine della quale concluse che l’articolo 1 della Convenzione Ue sui Diritti Umani garantisce il “pacifico godimento dei beni di possesso” – bonus inclusi – ma stabilisce anche che il diritto alla proprietà non deve impedire il pagamento delle tasse. Per questo “nessuna delle disposizione contenute nella legge contrasta con la Convenzione” (leggi pdf) 
La guerra continua e in campo ci sono anche i politici. A guidare la crociata è George Osborne. Il 25 settembre il ministro del Tesoro si è appellato alla Corte di Giustizia Europea contro il tetto imposto dall’Ue, in vigore dal 1° gennaio 2014, che limita i premi al 100% dello stipendio base e al 200% in caso di accordo con gli azionisti: “Il provvedimento sottoporrà ad ulteriori rischi l’intero settore, perché causerà l’aumento della parte fissa dello stipendio, che non può essere revocata in caso di cattiva amministrazione a differenza dei bonus, rendendo le banche ancora più vulnerabili”. 
Ma in Europa c’è chi non aspetta il 2014 e, su pressione dell’opinione pubblica, cambia marcia. Rabobank, uno dei più grandi istituti olandesi, è la prima banca europea in 40 anni ad aver abolito di propria iniziativa i bonus per i suoi manager: l’ultima a farlo era stata la svedese Svenska Handelsbanken nel 1970. Lo ha annunciato giovedì il presidente Wout Dekker: “Prendiamo atto dell’opinione dei nostri azionisti, dei nostri clienti e del modo in cui l’opinione pubblica considera gli stipendi dei manager”. Alle prese con una profonda ristrutturazione, chiusure di sedi e riduzioni del personale, l’istituto (coinvolto nello scandalo Libor ma tra i pochi non essere stati salvati durante la crisi) aveva già fissato un tetto del 30% ai premi. Che ora, conclude la nota di Dekker, “non sono più compatibili con il ruolo economico che Rabobank svolge nella società olandese”.