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venerdì 14 maggio 2021

Copasir chiede a Draghi ispezione sulla vicenda Renzi-Mancini.

 

La decisione del Comitato risale alla seduta di martedì scorso dopo l'audizione del direttore del Dis Gennaro Vecchione.

L'Ufficio di presidenza del Copasir ha deciso di chiedere al presidente del Consiglio Mario Draghi l'attivazione di un'inchiesta interna sul caso dell'incontro tra il segretario di Iv Matteo Renzi ed il capocentro del Dis Marco Mancini in un autogrill documentato dalla trasmissione Report. 

La decisione del Comitato risale alla seduta di martedì scorso, dopo l'audizione del direttore del Dis Gennaro Vecchione (di cui ieri Draghi ha deliberato la sostituzione con Elisabetta Belloni), dedicata proprio al caso Renzi-Mancini.

Nella prossima seduta il Copasir, fa sapere il presidente Raffaele Volpi, avvierà così la procedura prevista dall'articolo 34 della legge sull'intelligence, che prevede che l'organismo parlamentare, "qualora, sulla base degli elementi acquisiti nell'esercizio delle proprie funzioni, deliberi di procedere all'accertamento della correttezza delle condotte poste in essere da appartenenti o da ex appartenenti agli organismi di informazione e sicurezza, può richiedere al presidente del Consiglio dei Ministri di disporre lo svolgimento di inchieste interne".

E' l'Ufficio ispettivo del Dis che può svolgere, "autorizzato dal presidente del Consiglio dei ministri, inchieste interne su specifici episodi e comportamenti verificatisi nell'ambito dei servizi di informazione per la sicurezza". Le relazioni conclusive delle inchieste interne, prevede sempre la legge, sono trasmesse integralmente al Copasir. 

ANSA

martedì 12 aprile 2016

Regeni a Londra lavorò per un’azienda d’intelligence. - Alessandra Rizzo




È stata fondata da un ex funzionario Usa implicato nel Watergate.

La storia di Giulio Regeni porta stranamente alla porta di un vecchio scandalo, quello di Nixon. Mentre viveva in Gran Bretagna, lo studente friulano aveva lavorato per un anno presso un’azienda d’intelligence fondata da un ex funzionario americano implicato nello scandalo Watergate. Oggi, i suoi ex colleghi e amici presso la compagnia, la Oxford Analytica, sono tra i promotori di una petizione che chiede al governo britannico di fare pressione sulle autorità egiziane che indagano sulla vicenda. «Giulio era un collega fantastico, socievole, divertente. Ci manca molto», ricorda Ram Mashru, altro giovane talento che con Giulio divideva la stanza presso la Oxford Analytica. «Era estremamente cauto nel condurre il suo lavoro – aggiunge - Certo, c’è sempre la possibilità che abbia attirato l’attenzione di qualche gruppo pericoloso, ma da quanto sappiamo Giulio non si comportava in maniera avventata o negligente».  

Oxford Analytica è un ulteriore tassello nella storia di Giulio, un altro pezzo dei dieci anni trascorsi dal ricercatore di Cambridge nel Regno Unito, e potrebbe, forse, fornire qualche dettaglio per spiegare la sua morte. Il gruppo analizza tendenze politiche ed economiche su scala globale per enti privati, agenzie e ben cinquanta governi, una specie di privatizzazione di altissimo livello della raccolta di intelligence. Ha uffici, oltre che a Oxford, a New York, Washington e Parigi, e vanta una rete di 1,400 collaboratori. Promette “actionable intelligence”, informazioni su cui si possa agire, senza ideologie o inclinazioni politiche. 


Dal settembre 2013 al settembre 2014, Giulio ha lavorato alla produzione del “Daily Brief”, una decina di articoli pubblicati ogni giorno sugli eventi principali e mandata a una lista di clienti d’elite. E’ uno dei prodotti di punta del gruppo, modellato sui briefing che Kissinger preparava per Nixon. Già, perché la storia del fondatore di Oxford Analytica, David Young, passa anche per uno dei capitoli più sinistri della storia USA. Young era, nella Casa Bianca di Nixon, tra i dirigenti dei cosiddetti “idraulici”, il gruppo che doveva “tappare” le fughe di notizie e di cui facevano parte anche G. Gordon Liddy e Howard Hunt, entrambi finiti dietro le sbarre per il Watergate. Dopo lo scandalo, Young lasciò l’America per completare un dottorato di ricerca in relazioni internazionali ad Oxford (leggenda vuole che la sua tesi fosse tenuta sotto chiave perché conteneva informazioni riservate), e nel 1975 fondò la Oxford Analytica. Nel cui board figurano anche John Negroponte, ex direttore della United States Intelligence Community e Sir Colin McColl, ex capo dell’MI6, il servizio segreto inglese. Mashru spiega che i rapporti speciali del gruppo, che tipicamente comportano da uno a sei mesi di lavoro, restano confidenziali. Certamente l’azienda sta tenendo un basso profilo. Ha mandato un messaggio in forma privata alla famiglia di Giulio, e per il resto è «no comment».  

Da Cambridge si fa vivo il professore Glen Rangwala, con cui Regeni avrebbe dovuto collaborare per un corso non appena rientrato dall’Egitto. Rangwala smentisce l’ipotesi che dall’Università qualcuno possa aver passato i report del ragazzo agli 007: «Per nessun motivo al mondo gli accademici di Cambridge diffondono le ricerche degli studenti ai servizi segreti».  

I suoi ex colleghi e amici stanno tentando un’azione pubblica, con la petizione che chiede al governo britannico di assicurare una “credibile” indagine sulla morte di Giulio La petizione ha raccolto finora circa 4,500 firme, ma ce ne vogliono dieci mila per forzare una risposta del governo. Il quale, per ora tace. “L’indagine è nelle mani delle autorità egiziane”, dicono. 

lunedì 19 gennaio 2015

Greta e Vanessa, ex dei servizi segreti: “Ostaggi? L’Italia ha sempre pagato”. - Enrico Fierro

Greta e Vanessa, ex dei servizi segreti: “Ostaggi? L’Italia ha sempre pagato”

Lo 007 in pensione ricorda i sequestri dei quattro contractor in Iraq, di Daniele Mastrogiacomo, di Enzo Baldoni e di Giuliana Sgrena: "Impossibile riportare a casa i rapiti se non si danno tanti soldi a miliziani e informatori. La guerra è un business".

La verità è che abbiamo sempre pagato. S.E.M.P.R.E. Te lo dico a caratteri cubitali, così lo capisci e la finiamo qui”. Il signore che ci parla è una vecchia volpe dei servizi con esperienze in quella che definisce “la fogna” mediorientale. L’uomo ha appeso la barba finta al chiodo. “Faccio il pensionato e mi diverto a leggere le stronzate che scrivete voi giornalisti. Tutto si paga in inferni come l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, posti dove la guerra è un business, una industria diffusa, qui paghi tutto, e quando non lo fai allora ti riporti il morto a casa. Lo ricordi Enzo Baldoni?”. Enzo Baldoni, pubblicitario e giornalista free-lance per la rivista Diario di Enrico Deaglio viene rapito nei pressi di Latifiya, città irachena del triangolo sunnita, il 20 agosto del 2004, il 26 viene ufficializzata la sua morte. “Ecco – ci racconta il nostro uomo – ci sono anche casi in cui non ti danno il tempo di pagare”. E allora, aggiungiamo noi attingendo ai ricordi, scatta l’operazione demolizione della vittima . Ricordiamo alcuni titoli su Baldoni pubblicati all’epoca da Libero, il quotidiano diretto da Vittorio Feltri che aveva tra le sue firme di punta sull’intelligence Renato Farina, successivamente scoperto in rapporti ottimi con i servizi con il nome di “agente Betulla”: “Vacanze intelligenti”, “Il pacifista col Kalashnikov”. Non solo, ma all’epoca ambienti della nostra intelligence fecero circolare la notizia dell’esistenza di un video dove si vedeva Baldoni lottare con i suoi rapitori, altro materiale utile ad accreditare la tesi di un uomo davvero imprudente.
La verità sulla morte del giornalista non è ancora venuta fuori, ma anche in quel caso, nonostante smentite e depistaggi, una trattativa ci fu, o quantomeno fu avviata. E allora ha ragione il nostro ex 007 che per trattare devi avere tempo, i danari non sono un problema. Tempo e buoni contatti sul territorio. Ma per i quattro contractors rapiti in Iraq in quel 2004, non ci furono trattative, né soldi spesi: Maurizio AglianoUmberto Cupertino,Salvatore Stefio, i tre sopravvissuti dopo l’uccisione di Fabrizio Quattrocchi, furono liberati dopo un blitz. “E come fai a individuare una stamberga di Ramadi, città a oltre cento chilometri da Baghdad, dove i tre erano rinchiusi insieme a un polacco (Jerzy Ros, ndr) se non paghi informatori, gole profonde, gente che sta un po’ di qua e un po’ di là?”. L’allora ministro degli Esteri, Franco Frattini, disse che non c’era stata trattativa: “È stata una azione di intelligence e militare senza spargimento di sangue”. “Beato te – è la replica – e che doveva dire? Darvi il numero del bonifico con l’Iban e tutto? Ma per favore, la linea è sempre la stessa, ieri come oggi, con Frattini o con Gentiloni.
Negare, negare sempre. Per i tre la trattativa fu lunga, soprattutto dopo l’esecuzione di Quattrocchi (“vi faccio vedere come muore un italiano”, ndr), e con varie concessioni. Il 14 aprile esce la notizia della morte di Quattrocchi, il giorno dopo c’è l’ultimatum dei rapitori e la minaccia di uccidere un ostaggio ogni 48 ore, il 20 aprile si apre un corridoio umanitario della Cri per Falluja, intanto tutti, ministri, governo e opposizione dichiaravano che con i terroristi non si tratta”. L’8 giugno la liberazione, rivendicata davanti alle tv di tutto il mondo dagli americani, contrari fermamente a ogni concessione ai rapitori. Il nostro sorride. “So bravi gli americani, ma il merito di quel blitz è tutto dei colleghi polacchi, gente che stava in Iraq dal Novanta, che conosceva tutti, buoni e cattivi, anche loro hanno trattato e pagato per arrivare in quel covo”.
Misteri, strani personaggi che si muovono sul terreno infido di una guerra dove non esistono confini, il ricorso a organizzazioni che hanno conquistato una loro autorevolezza sul campo. È il caso di Emergency di Gino Strada che viene attivata nel sequestro dei contractors e in quello del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, il ruolo di Maurizio Scelli, all’epoca commissario della Croce Rossa, successivamente deputato berlusconiano, nella liberazione delle “due Simona”, le volontarie di un “Un Ponte per…” rapite il 7 settembre del 2004 a Baghdad. Il 28 settembre, e dopo un’altalena di comunicati sulla loro morte, vengono liberate e consegnate nelle mani di Scelli. Ancora una volta la versione ufficiale fu “nessun riscatto pagato”, ma nel 2006, il britannico Times rivelò che l’Italia aveva pagato 11 milioni di dollari, 5 per la liberazione delle due operatrici di un “Un Ponte per…”, e 6 per riavere la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, rapita il 4 febbraio 2005 e liberata il 4 marzo. Nel tragitto verso l’aeroporto, un militare americano sparò ferendo la Sgrena e uccidendo il funzionario del SismiNicola Calipari.