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domenica 13 giugno 2021

Il Pulitzer onora la ragazza che ha filmato la morte di Floyd. - Alessandra Magliaro

 

Vincono inchieste NYT su covid e le foto dei disordini Usa. Giornalismo fondamentale per democrazia.


La morte di George Floyd, le rivolte degli afroamericani successive alle violenze della polizia, l'orgoglio black è stato il tema dominante del Pulitzer, i cui vincitori, nelle 22 categorie, sono stati annunciati. Insieme a un altro filone portante dei riconoscimenti: la pandemia, l'anno vissuto con il dramma del coronavirus.

Dalle fotografie della Associated Press dei disordini in America, all'immagine simbolo dell'abbraccio con le protezioni in plastica tra due anziani (AP anche quella), alla copertura da 'servizio pubblico' del New York Times per tutto quello che dalla salute alla crisi economica è stato il racconto di un anno 'dietro la curva dei dati'. Su tutto una premessa: l'anno vissuto pericolosamente dal mondo dell'informazione, una prima linea tutta orientata a schivare le false notizie, a dare il giusto peso alle tante notizie imprecise, uno slalom tra vero e falso che con temi come la salute mondiale e il razzismo ha avuto "mai come quest'anno" un valore decisivo, come è stato detto da Mindy Marques e Stephen Engelberg, presidenti dell'organizzazione che assegna i Pulitzer dalla Colombia University.
"Un anno senza precedenti anche per il mondo del giornalismo chiamato a raccontare la complessità dell'emergenza coronavirus, la resa dei conti razziale e le turbolenti contestate elezioni presidenziali". E ribadito "il ruolo cruciale dell'informazione per la democrazia. Non c'è stato un momento in cui più di questo c'è stato bisogno di documentare, raccontare, evidenziare con chiarezza e verità quanto stava accadendo". La vicenda Floyd ha fatto emergere come potente anche il valore dei cittadini-reporter per documentare fatti che altrimenti non avrebbero avuto luce. In questo senso va il riconoscimento prestigioso, una citazione speciale attribuita a Darnella Frazier, la 18enne che filmando con il cellulare l'ultimo respiro di Floyd sotto il ginocchio mortale del poliziotto di Minneapolis ha reso pubblica la brutalità di quella morte con tutto quello che è successo dopo. Nelle categorie giornalistiche premi sono andati tra gli altri alla copertura Floyd dello Star Tribune di Minneapolis, al Boston Globe per l'investigazione sulle mancate informazioni dei governi statali sui conducenti di camion pericolosi. Andrew Chung, Lawrence Hurley, Andrea Januta, Jaimi Dowdell and Jackie Botts di Reuters ex aequo con Ed Yong di The Atlantic hanno vinto per Explanatory Reporting; Staffs of The Marshall Project; AL.com, Birmingham; IndyStar, Indianapolis; and the Invisible Institute, Chicago per national reporting per una lunga inchiesta sulle unità K-9 e sui danni dei cani poliziotto, mentre per International Reporting a vincere sono stati Megha Rajagopalan, Alison Killing and Christo Buschek of BuzzFeed News, New York che hanno svelato al mondo una nuova infrastruttura costruita dal governo cinese per la detenzione di massa dei musulmani.
Per le categorie libri ha vinto per la fiction The Night Watchman di Louise Erdrich (Harper), un romanzo di lotte dei nativi americani nel 1950, per i drammi The Hot Wing King di Katori Hall una storia divertente sulla mascolinità black attraverso l'esperienza di vita di una coppia gay che si prepara ad una competizione culinaria; per la storia Franchise: The Golden Arches in Black America di Marcia Chatelain (Liveright/Norton), un ritratto di come la lotta per i diritti civili si sia intrecciata con il destino delle imprese nere del fast food, per le biografia ancora tema black dominante con The Dead Are Arising: The Life of Malcolm X, di the late Les Payne and Tamara Payne (Liveright/Norton). per la poesia Postcolonial Love Poem di Natalie Diaz (Graywolf Press), per la non fiction Wilmington's Lie: The Murderous Coup of 1898 and the Rise of White Supremacy, di David Zucchino (Atlantic Monthly Press), per la musica Stride di Tania León (Peermusic Classical).

Foto ANSA

ANSA

martedì 23 luglio 2019

Benvenuti fra noi. - Marco Travaglio



Non passa giorno senza che qualche big del giornalismo e della politica dica ciò che noi scriviamo da sempre, ovviamente senza riconoscercelo né versarci almeno un piccolo copyright. 
Eugenio Scalfari, su Repubblica, riabilita Giuseppe Conte dalla black propaganda che lo ritraeva come la marionetta e lo zimbello suoi vicepremier, soprattutto di Salvini. Macchè “burattino”, Egli è il “burattinaio”. Anzi, di più: “Valutando il Conte di oggi non è affatto escluso pensare che ripeta in qualche modo le idee di Aldo Moro”. Ma non solo: “A me sembra che Conte sia oggi l’uomo del giorno e che possa creare un’Italia europea degna di poter essere positivamente valutata dai suoi alleati e soprattutto dai suo abitanti”. Quali alleati? I 5Stelle e il Pd, in un nuovo compromesso storico come quello moroteo fra Dc e Pci. E, per curiosità: chi si era azzardato a dare del “burattino” allo statista di Volturara Appula? Scalfari, naturalmente: “Conte è un gentile e ben rappresentato burattino, i cui fili sono mossi dai due burattinai che se lo sono inventato” (8.7.08). 
Fino all’altroieri Repubblica e i suoi derivati facevano a gara a ritrarlo come “uno studentello impreparato” (Sebastiano Messina, 7.6.08), “il Conte Zelig. Il presidente esecutore. Il premier fantasma. L’uomo invisibile. Pinocchio tra il Gatto Di Maio e la Volpe Salvini. Il primo presidente del Consiglio di cui non si conosce un’idea” (Espresso, 10.6.08), “il burattino che non riesce a diventare Pinocchio”, reo di “ricorrenti piccole-grandi truffe curriculari”, “figura ben più drammatica che ridicola”, “il pupazzo di Di Maio&Salvini, il vice dei due vice… una finzione giuridica dell’Italia a 5 stelle, l’Agilulfo di Calvino, che non era un cavaliere ma una lucida armatura vuota” (Francesco Merlo, 12.9), “Conte non esiste, parla pochissimo, non decide nulla” (Espresso, 16.9), è l’“azzeccagarbugli nazionale” (Mario Calabresi, 23.9), “tra Conte e Casalino il vero uomo forte non è il presidente ma il suo portavoce” (Messina, 23.9). Condanne senz’appello pronunciate in base al Pregiudizio Universale, prim’ancora di vederlo all’opera e farsene un’idea positiva o negativa alla luce di quel che fa o non fa. Siccome l’ha scelto il M5S, deve per forza essere una nullità, ma anche un poco di buono.
Ieri sul Corriere Paolo Mieli, uomo saggio e prudente, che mai s’era lanciato in scomuniche preventive, ha raccontato come Conte, zitto zitto, si sia ritagliato un ruolo da protagonista dopo le Europee a scapito di Salvini, così nervoso anche perché il premier ha reso inutile il suo trionfo elettorale di due mesi fa: “C’è un vincitore, il Conte, e uno sconfitto, il suo vice Salvini”.
E ancora: “Conte con grande agilità ha preso le redini di un M5S in stato confusionale dopo lo shock elettorale” e “offre ai grillini una prospettiva di tenuta della legislatura” con “la garanzia di restare a lungo in Parlamento e persino al governo”, avendo costruito ben “due maggioranze” (quella giallo-verde e quella di “salute pubblica” in caso di crisi) che alla lunga logoreranno Salvini, complici i casi Rubli e Siri, mentre Conte “potrà presentarsi al Paese e all’opinione pubblica internazionale come capo di un governo che per ben due volte ha evitato la procedura d’infrazione”. E, “dovessero esserci degli inciampi, verrebbero messi per intero sul conto del ministro dell’Interno”. Immaginate la faccia dei lettori del Corriere, abituati a leggere che “il professor Conte non ha alcuna esperienza di amministrazione. Niente, nada, nothing, nichts, rien… È come se la Marina militare affidasse la portaerei Cavour a un caporale degli alpini, magari bravissimo. Si può fare, ma è da incoscienti… In Europa vedono tutto, e capiscono abbastanza bene” (Beppe Severgnini, 27.5.08) e che “il vero presidente del Consiglio è Salvini”, mentre “a Conte non resta che lanciare un appello: se ci sei batti un colpo” (Luciano Fontana, 9.7.08). Senza contare l’ultimo sondaggio di Pagnoncelli, che dà a Conte un indice di gradimento record del 58%, 4 punti sopra Salvini.
Sempre ieri, sul Corriere, Dario Franceschini, azionista di maggioranza del Pd e politico di lungo corso, sostiene che “è un errore mettere Lega e grillini sullo stesso piano. Senza la ricerca di potenziali alleati difficilmente il Pd potrebbe arrivare col proporzionale al 51%”. Non solo: “La strategia renziana dei pop corn ha portato la Lega dopo un anno al 35%. Abbiamo buttato un terzo dell’elettorato, quello dei 5Stelle, in mano a Salvini”. E poi “Conte non è Salvini: quando nel campo avversario si vedono delle differenziazioni l’opposizione deve valorizzarle”. Come “il comportamento diverso di 5Stelle e Lega sull’elezione di Sassoli e di von der Leyen, le cose su Europa e autonomia di Conte, alcune prese di distanza di Fico o quello che sostiene Spadafora sui diritti civili”. Quanto basta non per un inciucio M5S-Pd (in questa legislatura, sarebbe il governo degli sconfitti contro il vincitore delle Europee), ma per “difendere insieme i valori umani e costituzionali che Salvini calpesta ogni giorno”. Parole ragionevoli, infatti subito bersagliate dai bombardamenti del Bomba. Peccato che un anno fa, quando il Pd poteva accettare il contratto con Di Maio, Renzi lo prese in ostaggio e tutti tacquero. Anche Franceschini e i giornaloni, salvo quelli che applaudivano Renzi.
Prima di montarci la testa e organizzare per questi ritardatari una festa di benvenuto fra noi, con l’inginocchiatoio per la penitenza, domandiamoci se avevamo visto giusto da soli per merito nostro o per demerito degli altri. La risposta, purtroppo, è che non siamo più intelligenti. Solo più fortunati. Gli altri vedono le stesse cose che vediamo noi, ma non possono scriverle. Almeno finché Salvini non va al 35% e la paura a 90. Si dirà: meglio tardi che mai. Il guaio è che forse è troppo tardi.

giovedì 14 marzo 2019

I nostri giornali, armi di distrazione di massa. - Paolo Di Mizio



Mai quanto adesso i media riescono a portare i lettori dove vogliono.

La Stampa di Torino del 10 marzo ha pubblicato un servizio intitolato: “Tra i rom in attesa del reddito dei 5 Stelle. «Li abbiamo votati per avere un aiuto»”. Credete che sia un articolo casuale, scritto con l’intento di far luce su un aspetto del Reddito? No. Se La Stampa avesse voluto approfondire sul campo, avrebbe avuto un vasto ventaglio di opzioni significative: per esempio avrebbe potuto mandare un giornalista in una periferia povera di Milano oppure in un paese del Sud dove quasi tutti sono emigrati e chi è rimasto è disoccupato.

Invece La Stampa è andata in un campo di zingari, i quali, presume l’articolo, hanno votato per il M5S. Il messaggio subliminale è evidente, pieno anche di razzismo, e si decodifica così: vedete, il Reddito voluto dai 5 Stelle finisce nelle mani di gente che vive di furti, di borseggio. Dunque, la prossima volta pensateci bene prima di votare per il M5S, perché vi trovereste in compagnia di questa gente brutta sporca e cattiva alla quale finiranno i soldi delle vostre tasse.

È un perfetto esempio di giornalismo subdolo, inquinato. Al confronto, i titoli di Libero sui fannulloni che non chiedono il Reddito per non rischiare che venga loro offerto un lavoro, sono acqua fresca, roba folkloristica, semiseria, in fondo comica. Lo stile de La Stampa invece è un’arma letale: è un pugnale nella tasca di un doppiopetto, è una dose di arsenico in una siringa che dovrebbe contenere l’antidoto.

Il punto è che certa stampa – in genere definita “la grande stampa” – confeziona gli strumenti per il condizionamento mentale dell’opinione pubblica, non importa che si tratti di Reddito o tensioni in Medio Oriente, di crisi dell’euro o golpe bianco in Venezuela. L’opinione pubblica viene preventivamente preparata con la manipolazione della realtà e la diffusione di messaggi subliminali.

Identica cosa avviene per esempio quando lo stesso giornale torinese, diretto da quel Maurizio Molinari che ha studiato all’Università ebraica di Gerusalemme, pubblica i suoi ponderosi articoli di fondo per affermare che gli Stati Uniti hanno necessità di difendersi dall’Iran. Figuriamoci: la superpotenza nucleare, dotata di migliaia di testate atomiche, che si sente minacciata da un Paese infinitamente più povero, privo di arma nucleare, privo di missili intercontinentali e situato a 10 mila km di distanza, da dove non potrebbe in alcun modo colpire l’America.

La verità naturalmente è che La Stampa sostiene la posizione guerrafondaia di Israele. E si sa che Israele cerca di spingere gli Stati Uniti verso una guerra all’Iran utile solo ai fini dello Stato ebraico che vuole eliminare l’unica potenza ostile rimasta in Medio Oriente dopo la devastazione di Iraq, Libia e Siria.

Ecco, questo è il vento che porta guerre e ingiustizie nella Storia. Questo è il veleno instillato per ordine di poteri forti che non mostrano mai il viso ma si nascondono sotto una maschera fintamente rispettabile per raccontare una realtà che è solo un illusorio racconto di cartapesta ovvero, per dirla con Shakespeare, “un racconto raccontato da un idiota, pieno di suono e di furia, che non significa nulla.” 
(Macbeth, Atto V).

lunedì 19 dicembre 2016

LA FABBRICA DELLE NOTIZIE SULLA GUERRA IN SIRIA – LA TESTIMONIANZA DELLA GIORNALISTA CANADESE EVA BARTLETT. - SAINT SIMON



La giornalista canadese Eva Bartlett, rispondendo alle domande di un collega, parla delle fake news sulla guerra in Siria e sulla battaglia di Aleppo, spiegando come vengono fabbricate le notizie riprese dai media mainstream e perchè vi trovino così tanto spazio. I media occidentali sposano infatti un chiaro obiettivo politico, non condiviso dalla stragrande maggioranza del popolo siriano: il cambio di regime. 
Una testimonianza inquietante della fabbrica delle notizie, proprio nel momento in cui da più parti si lanciano iniziative di stampo maccartista contro le “fake news” – quelle che vanno contro la narrazione ufficiale del politicamente corretto – e si cerca di far passare i media mainstream come unici depositari di notizie attendibili.
Giornalista: Quando parla del popolo siriano e di quello che il popolo siriano vuole, come fa a quantificarlo? Ha a disposizione delle inchieste indipendenti per poterlo davvero documentare? In secondo luogo lei parla dei grandi media, dei media occidentali, delle loro menzogne e via dicendo. Potrebbe spiegare quale pensa che potrebbe essere il nostro programma, come media occidentali, e perché dovremmo mentire? Perché le organizzazioni internazionali che lavorano sul posto dovrebbero mentire? Perché non dovremmo credere a tutti questi fatti, assolutamente documentabili, che vediamo sul posto? Questi ospedali che vengono bombardati, questi civili di cui lei sta parlando, le atrocità che hanno sperimentato. Come giustifica il fatto di chiamarci tutti quanti bugiardi? Grazie.
Eva Bartlett: 
Voglio dire, ci sono sicuramente giornalisti onesti nel mondo estremamente compromesso dei media. Iniziamo con la sua seconda domanda. Lei dice, organizzazioni internazionali sul posto. Mi dica, quali organizzazioni internazionali sono sul campo ad Aleppo Est?
Ok, le rispondo io: nessuna.
Nessuna.
Queste organizzazioni si appoggiano all’Osservatorio Siriano per i Diritti umani [SOHR] che ha la sua sede a Coventry, nel Regno Unito, ed è formato da una sola persona. Si appoggiano a gruppi compromessi come i Caschi Bianchi che… bene, parliamo dei Caschi Bianchi. I Caschi Bianchi sono stati fondati nel 2013 da un ex-ufficiale militare inglese, sono stati fondati con un accordo da 100 milioni di dollari tra Stati Uniti, Regno Unito, Europa e altri stati. Sostengono di soccorrere i civili ad Aleppo Est e a Idlib… ma nessuno ad Aleppo Est ha mai sentito parlare di loro e dico “nessuno” avendo ben presente che adesso il 95% delle aree di Aleppo Est sono state liberate. I Caschi Bianchi sostengono di essere neutrali, eppure sono stati visti girare armati e in piedi sui corpi di soldati siriani morti e i loro filmati video mostrano perfino bambini “riciclati” per differenti testimonianze. Puoi trovare una bambina di nome Aya che appare in una testimonianza, per esempio, ad Agosto, e poi torna di nuovo fuori il mese successivo in due posti diversi.
Non sono credibili. Neanche il SOHR è credibile. Gli “attivisti anonimi” non sono credibili. Una volta o due, forse. Ma ogni volta? Non è credibile.
Quindi di fonti vostre sul posto, non ne avete.
Per quel che riguarda il vostro programma, non il suo, ma il programma di alcuni grandi media: è il programma di rovesciare il regime. Come può il New York Times… l’ho letto stamattina… o come può Democracy Now… l’ho letto l’altro ieri… sostenere ancora oggi che questa è una guerra civile in Siria? Come possono continuare a sostenere ancora oggi che questa è una guerra civile in Siria?
Come possono continuare a sostenere ancora oggi che le proteste erano disarmate e non violente fino, diciamo, al 2012? Questo non è assolutamente vero. Come possono sostenere che il governo siriano sta attaccando i civili ad Aleppo quando tutti quelli che escono da queste zone occupate dai terroristi dicono il contrario?
Come quantifico il sostegno del popolo siriano? Le elezioni.
Nel 2014 in Siria si sono tenute le elezioni. Quello che è emerso è che la gente sostiene in maniera schiacciante il presidente Assad. Ci sono persone che vogliono un cambio di governo, non stiamo facendo finta che non vogliano il cambiamento. Tutti vogliono un cambiamento. Ma se valutiamo il sostegno al governo, il punto è che non vedono il presidente Assad come un problema. Vedono il problema del terrorismo, vedono elementi problematici nel sistema che hanno, ma il presidente Assad non è visto come un problema. Lo sostengno in maniera preponderante. Quindi, io mi baso sulla loro scelta del loro leader e sui miei rapporti con le persone in Siria.