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sabato 16 dicembre 2017

Maria Elena Boschi e gli interessamenti per Banca Etruria, nel 2014 summit in casa per difenderla dai diktat Bankitalia. - Giorgio Meletti

Scontro sul credito – Fornasari, Consoli, Boschi, Trinca

Nel marzo del 2014 - Appena arrivata al governo, l’allora ministro ha ricevuto i vertici di Veneto Banca e dell’istituto di papà per arginare la Vigilanza.

Un sabato di marzo del 2014 Flavio Trinca, presidente di Veneto Banca, e Vincenzo Consoli, amministratore delegato, sono saliti in macchina e hanno percorso di gran carriera i 330 chilometri che separano Montebelluna in provincia di Treviso (sede della banca) da Laterina in provincia di Arezzo. Lì hanno suonato il campanello della villa di Pier Luigi Boschi, consigliere di amministrazione di Banca Etruria, che li attendeva con il presidente Giuseppe Fornasari. I rapporti sono oliati. È proprio Fornasari ad aver voluto nel 2011 Boschi nel cda della banca, in rappresentanza del mondo agricolo aretino. Ed è ancora Fornasari a conoscere bene Trinca: entrambi sono stati deputati, entrambi hanno alle spalle la militanza nella Dc, sebbene in due diverse correnti, l’aretino era fanfaniano (come Boschi), il trevigiano stava con Carlo Donat-Cattin in Forze Nuove.
La rimpatriata scudocrociata non spiega i 660 chilometri in macchina tra andata e ritorno. Il fatto è che Boschi ha organizzato un vertice con la figlia Maria Elena, che da pochi giorni è entrata nel nuovo governo Renzi come ministro delle Riforme, coronando la scalata al potere condotta accanto al suo leader. 
I tre visitatori vanno speranzosi, guardano alla giovane ministra come alla protettrice dei banchieri disperati. Lei ascolta, loro le spiegano le amarezze che li accomunano. 
Da alcuni mesi sia Etruria sia Veneto Banca sono nel mirino della Vigilanza di Bankitalia. Nel corso del 2013 severe ispezioni si sono concluse con letteracce molto simili del governatore Ignazio Visco. Identico il concetto: le vostre banche sono scassate assai, dovete al più presto trovarvi un “partner di elevato standing”, cioè una banca più grande e più sana che vi assorba e vi salvi. Identico il sottotesto, esplicitato a quattr’occhi dal severo capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo: consegnatevi alla Popolare di Vicenza di Gianni Zonin. Gli uomini di Etruria se lo sentono dire il 5 dicembre, Consoli il 19 dicembre.
Le due banche recalcitrano, per due ragioni. La prima è che sono due Popolari, cioè due cooperative, che assommano circa 150 mila soci che decidono una testa un voto. Chi glielo va a dire che devono consegnarsi senza condizioni al rivale Zonin, il quale ha fatto subito sapere a Fornasari e Trinca che per aretini e trevigiani non ci sarà posto nel cda nella nuova bancona che nascerà dalle due fusioni?
La seconda ragione è più velenosa: i banchieri disperati ritengono che la banca di Zonin sia messa peggio delle loro, e che Barbagallo, forse ingannando lo stesso Visco, stia assediando Arezzo e Montebelluna non per salvare le loro banche ma per darle in pasto alla Popolare di Vicenza, istituto amatissimo da Palazzo Koch e aiutarla a tirarsi fuori dai guai serissimi in cui si è cacciata, nella distrazione della Vigilanza.
La neo ministra ascolta e annuisce. La missione di cui il padre – organizzando l’incontro – la invita di fatto a farsi carico è di mettere a disposizione di Etruria e Veneto Banca “lo spirto guerrier” del nuovo governo per rintuzzare l’aggressività di Palazzo Koch. In realtà non succede niente.
Pochi giorni dopo uno spettacolare blitz della Guardia di Finanza ordinato dal procuratore della Repubblica di Arezzo Roberto Rossi e originato da una denuncia di Barbagallo, fa secco Fornasari con accuse poi rivelatesi infondate al processo di primo grado. Lorenzo Rosi diventa presidente di Etruria e Boschi padre vicepresidente. 
Ma intanto Bankitalia continua a menare fendenti. La verità è che Matteo Renzi, non appena insediato a Palazzo Chigi, ha attaccato il governatore Visco chiedendogli di ridurre il suo stipendio da 495 mila euro annui a 248 mila, il tetto fissato per tutti i dirigenti pubblici. Visco lo manda al diavolo invocando l’indipendenza della Banca d’Italia. Lo strappo tra Palazzo Chigi e Palazzo Koch è velenoso, e non sarà mai ricucito.
Di fatto sarà Etruria la più maltrattata da Bankitalia nei mesi turbolenti delle crisi bancarie. Visco subisce il no a Zonin e va in pressing sugli aretini perché si trovino un compratore. Rosi, Boschi e gli altri battono tutte le strade possibili. Nell’estate 2014 Boschi si fa presentare il piduista Flavio Carboni dall’amico Valeriano Mureddu. Lavorano sull’ipotesi di far salvare Etruria dal fondo Qvs dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani, lo stesso al quale, secondo indiscrezioni de La Stampa, si sarebbe rivolto Renzi nei giorni scorsi per chiedergli di salvare Alitalia. Non cavano un ragno da un buco. Si rivolgono allora alla banca francese Lazard e poi a Mediobanca, le quali contattano almeno una trentina di banche in tutta Europa ma ottengono solo dei cortesi “no grazie”. 
Questo spiega perché a gennaio 2015 la ministra, in un ultimo disperato tentativo, si rivolge in modo pressante al numero uno di Unicredit Federico Ghizzoni chiedendogli di salvare la baracca aretina e paterna. Lui risponde educatamente ma prende tempo.
Il 7 febbraio Rosi va a Torino e parla con Ghizzoni in occasione del discorso di Visco al Forex. Non serve a niente. Due giorni dopo il governatore firma il commissariamento di Etruria
Un anno dopo la Boschi si vendicherà con una rancorosa intervista al Correre della Sera senza nominare Visco e Barbagallo ma salutandoli come “le stesse persone che un anno fa suggerivano a Banca Etruria un’operazione di aggregazione con la banca di Zonin”.
LA PRECISAZIONE 
Nel nostro articolo di ieri, a pagina 2 e 3 del Fatto Quotidiano, intitolato “Riunione a casa Boschi per difendere Etruria dai diktat di Bankitalia”, per errore abbiamo scritto che Flavio Carboni era un “piduista”. In realtà, in tutte le inchieste giudiziarie sulla Loggia Propaganda 2 di Licio Gelli, non è mai emerso che lo stesso Carboni risultasse negli elenchi del “maestro venerabile” sequestrati dalla magistratura nella villa di Gelli a Castiglion Fibocchi (Arezzo). Flavio Carboni, invece, fu coinvolto nell’inchiesta sulla fuga a Londra e sull’omicidio del presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi (nel giugno del 1982). Un’accusa dalla quale, però, è stato poi assolto a titolo definitivo, mentre fu condannato per concorso nel fallimento dell’Ambrosiano. 
Il nome di Carboni è legato alle vicende di Banca Etruria (Arezzo) perché a lui, nell’estate del 2014, si era rivolto Pier Luigi Boschi (padre del sottosegretario Maria Elena), allora vicepresidente dell’istituto toscano, per chiedergli consigli sulla nomina del direttore generale di Etruria. A mettere in contatto Boschi con Carboni era stato un massone, Valeriano Mureddu.

giovedì 4 febbraio 2016

LA PASSIONE DI RENZI PER I BANCHIERI.



GLI ESPERTI DI PALAZZO CHIGI HANNO LAVORATO DI FINO: NEL DECRETO LEGISLATIVO CHE HA INIZIATO L’ITER ALLA CAMERA ARRIVA IL CODICILLO CHE AZZERA LE MULTE PER I BANCHIERI CHE AGGIRANO LE NORME SU RISPARMI E INVESTIMENTI: DOVRANNO SOLO SCUSARSI IN PUBBLICO.

Nel primo provvedimento salva banchieri, che aveva come beneficiario d’eccezione Pier Luigi Boschi, erano state azzerate azioni e obbligazioni subordinate dei quattro istituti sull’orlo del crac: il via libera alla «rivalsa» è stato infatti vincolato all’ok di Bankitalia. Non proprio un cavillo né tantomeno un banale dettaglio procedurale… 

L’ultimo favore del governo alle banche - anzi: in questo caso direttamente ai banchieri - è nascosto tra le pieghe di un decreto legislativo che ieri ha iniziato l’iter parlamentare, alla Camera. Poche righe micidiali, che di fatto sterilizzano le multe per chi aggira le norme su risparmi e investimenti: gli esperti di palazzo Chigi hanno lavorato di fino. Si tratta di una sorta di doppio scudo per i manager degli istituti: ampi poteri discrezionali a Consob e Banca d’Italia nell’accertare le responsabilità dei banchieri; sanzioni pecuniarie sostituite da sostanziali (e ridicole) scuse in pubblico.

Come se non fosse bastato il primo provvedimento salva banchieri, che aveva come beneficiario d’eccezione Pier Luigi Boschi, padre del ministro Maria Elena Boschi ed ex vicepresidente di PopEtruria, una delle quattro banche «risolte » col decreto del 22 novembre scorso. Proprio in quel provvedimento - lo stesso che ha azzerato azioni e obbligazioni subordinate dei quattro istituti sull’orlo del crac - era contenuta una limitazione all’azione dei creditori sociali contro gli ex manager: il via libera alla «rivalsa» è stato infatti vincolato all’ok di Bankitalia. Non proprio un cavillo né tantomeno un banale dettaglio procedurale. Ma tant’è. 

pier luigi boschi  renzi boschi

A distanza di un paio di mesi, ecco un altro clamoroso blitz. Quasi a completare il cerchio e in qualche modo ad assicurare la massima protezione ai banchieri - o, nei casi peggiori, il danno minore - adesso arriva un colpo di spugna sulle multe.

Doppio, dicevamo. Il primo riguarda una serie di violazioni relative alle norme finanziarie e ai servizi di investimento: la norma del governo stabilisce che quando le violazioni sono «connotate da scorsa offensività o pericolosità e l’infrazione contestata sia cessata, Banca d’Italia o Consob, secondo le rispettive competenze, possono applicare, in alternativa alle sanzioni amministrative pecuniarie, una sanzione consistente nella dichiarazione pubblica avente a oggetto la violazione commessa e il soggetto responsabile».

Della serie: ti becco, ma la multa la straccio e se compri uno spazietto su un giornale, dichiarandoti responsabile, e chiedi in qualche modo scusa ai risparmiatori eventualmente traditi, la faccenda è chiusa. Il secondo scudo, come accennato, amplia il raggio d’azione di Consob e Bankitalia, cioè le due autorità competenti in campo finanziario. 

La relazione spiega di che il decreto aggiunge «la valutazione dell’elemento soggettivo del trasgressore» e assegna «all’autorità di vigilanza» il compito» di apprezzare il grado della colpa».Nel dettaglio, il governo vuole che siano le authority a decidere se un banchiere che ha calpestato le regole - a esempio quelle sulla trasparenza,magari truffando migliaia di consumatori - abbia agito solo con colpa o anche con dolo, ipotesi più grave.

Una scelta, quella dell’esecutivo, che attribuisce un enorme prerogativa ai due enti guidati rispettivamente da Giuseppe Vegas e Ignazio Visco. Fatto sta che il decreto delegato prosegue il suo percorso: Camera e Senato devono pronunciarsi per il prescritto parere entro 60 giorni, poi il testo tornerà a palazzo Chigi per il semaforo verde definitivo. Il parere delle commissioni parlamentari non è vincolante, ma non tutti sono disposti a far passare questa norma in silenzio.

ignazio visco  giuseppe vegas

Il doppio scudo, in particolare, è finito sotto la lente di Alternativa Libera -Possibile,pronta a dare battaglia. «Anziché pensare a risolvere i problemi dei banchieri - denunciano i deputati Marco Baldassarre e Andrea Maestri - il governo pensi a inasprire le sanzioni contro chi non rispetta la legge e acceleri i risarcimenti in favore dei risparmiatori danneggiati dai fallimenti bancari». Chi saranno i primi a beneficiare dello scudo? Senza dubbio i vecchi amministratori di Banca Marche, Chieti, Carife e PopEtruria faranno esaminare con attenzione, ai loro avvocati, le carte del governo. 

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/passione-renzi-banchieri-esperti-palazzo-chigi-hanno-117806.htm