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giovedì 21 marzo 2013

Famiglie sempre più indebitate. Una su 4 non riesce a pagare l’affitto.



Crescono quelle che non riescono a fronteggiare le spese per la salute, per la scuola e perfino gli alimentari.

Peggiorano le condizioni delle famiglie piemontesi: una su quattro ha difficoltà a pagare bollette e affitto, crescono quelle che non riescono a fronteggiare le spese per la salute, per la scuola e persino quelle alimentari. Per la prima volta il numero di chi s’indebita supera quello di chi risparmia, non era successo nemmeno nell’anno di più forte crisi, il 2008. I dati sono dell’Ires che ha pubblicato la rilevazione annuale del Clima d’opinione, effettuata nel mese di febbraio 2013. 

Scendono dal 4 all’1,5% le famiglie che registrano un miglioramento e aumentano di molto (dal 46 al 56,7%) quelle che peggiorano. L’uscita di molte famiglie dal “limbo” di chi si manteneva fra miglioramento e peggioramento della situazione economica è quindi avvenuta verso il basso. In compenso le prospettive future, pur rimanendo negative, lo sono leggermente meno che nell’anno precedente: per il 10,4% circa delle famiglie la situazione personale migliorerà nel 2013 (all’incirca come l’anno scorso), mentre quelli che vedono nero scendono dal 30 al 27,7%. Aumenta però dal 19 al 24% la percentuale di chi ha difficoltà a fare quadrare il bilancio familiare e sono un po’ di meno quelli che riescono a risparmiare (dal 23,4 al 22,8%). Crescono quindi quelli che si indebitano o erodono le riserve (dal 19,9 al 26,3%). 

Cresce ancora di più il numero di chi ha difficoltà nelle spese per la salute, che passa dall’11 al 24% e con le spese scolastiche (dal 7% a quasi l’11%). Persino per le spese alimentari si passa dal 6% al 13,9%, più che un raddoppio. In generale le famiglie con difficoltà per almeno un motivo (casa, salute, scuola, alimentari, debiti, servizi alla persona) passano dal 43,2% al 51,9%, valore superato solo nel 2008. Così le persone in difficoltà superano quelle senza alcuna difficoltà (anche questo si era verificato solo nel 2008). 

lunedì 19 novembre 2012

Voti e grandi opere: i clan si stanno comprando il paese.



«Nel nord Italia la mafia si presenta con il volto rassicurante di manager e colletti bianchi: in un momento di recessione come questo, l’aristocrazia mafiosa offre dei capitali, accontentandosi di quote di minoranza, per colonizzare progressivamente il territorio con una fitta rete di relazioni a lungo termine». Lo ha detto il procuratore generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, durante la missione speciale a Palermo della Commissione antimafia europea. «Non dimentichiamo che uno dei mandanti del giudice Rosario Livatino operava in Germania dove era conosciuto come un brillante imprenditore di import-export». La stessa Europa, avverte lo scrittore Massimo Carlotto, è diventata «la più grande “lavanderia di denaro” del mondo», grazie alla permeabilità del business e ai giganteschi affari garantiti dalle grandi opere.
«I media – accusa Carlotto – ci raccontano ancora la mafia di Totò Riina, di Bernardo Provenzano: ma quella era l’archeologia della mafia, ora i clan Roberto Scarpinato e Massimo Carlottosiciliani e calabresi si scontrano negli Usa e in Canada, lontano dai riflettori». Per Carlotto, ospite tempo da del “Valsusa FilmFest”, quello delle grandi opere come la linea Tav Torino-Lione è un terreno d’elezione per la nuova imprenditorialità mafiosa, come riconobbe l’allora ministro dell’interno Roberto Maroni. In televisione finiscono ancora notizie di arresti per traffico di droga, ma il narcotraffico – aggiunge Carlotto – non è in cima alle voci del nuovo business criminale: oltre al traffico di armi, secondo il giallista, il fatturato delle mafie è gonfiato soprattutto dal colossale business della sofisticazione alimentare, seguito dal traffico illegale dei rifiuti e dallo sfruttamento internazionale della prostituzione. Le grandi opere? «Sono affari sicuri, senza rischi, perfetti per riciclare il denaro di provenienza illecita».
Denaro che, in tempi di grande crisi, fa gola a tutti, a cominciare dalle banche: «Le mafie – aggiunge Carlotto – non sarebbero mai potute arrivare dove sono arrivate, senza determinanti appoggi nel mondo della politica, dell’imprenditoria e della finanza». Fa eco il procuratore Scarpinato: «Il veicolo di penetrazione delle mafie nei territori è la collusione attraverso la canalizzazione di voti di preferenza verso un candidato». Pietra dello scandalo, l’hinterland lombardo inquinato dalla ‘ndrangheta: a Milano e dintorni «non occorrono migliaia di voti, ne basta una manciata». Oppure, aggiunge il magistrato, l’infiltrazione «avviene con il coinvolgimento di pezzi di nomenklatura, con una triangolazione di interessi tra colletti bianchi, imprenditori e mafia». Un’articolazione «che mostra una strutturazione nuova del fenomeno». E attenzione: la mafia prospera anche perché «milioni di cittadini normali chiedono di acquistare illegalmente beni e servizi, secondo le leggi di mercato». In questo modo, il fenomeno assume «dimensioni macroeconomiche», non più contrastabili «coi soli strumenti del diritto penale».