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sabato 18 dicembre 2021

Marano senza cuore né luce. Qui la camorra s’è fatta Stato. - Antonello Caporale

 

Più commissari che sindaci: tutto è finito. Nuvoletta e Bardellino clan dopo clan, anno dopo anno, la città è stata dissanguata: l’acqua che manca, i bus fermi, le luci spente, le strade bucate.

Prima è stata chiusa la mensa scolastica, poi ha iniziato a singhiozzare l’acqua potabile. Poi le strade si sono spente, ed è venuto il buio. Infine i bus: finito il gasolio, finite le corse. Marano è una specie di Napoli 2, ma senza le bellezze di Napoli, senza i talenti di Napoli, senza i colori, l’arte, la musica di Napoli.
È come se ne avesse colto, fior da fiore, solo i difetti, e avesse conquistato il cuore dei malandrini fino a divenirne un po’ la capitale.

Marano non è una città, ma un’escrescenza di Napoli. Qui le famiglie in cerca di un alloggio più economico e magari di una vita più quieta si sono dirette – inconsapevoli del trauma – dopo il 1980, l’anno che dà avvio all’età della transumanza seguita al terremoto che devastò la metropoli partenopea.

Appena oltre la collina dei Camaldoli, nella discesa che poi porta alla piana di Giugliano, Marano si è gonfiata fino a divenire una città di sessantamila abitanti. Sembrava un posto tranquillo e nessuno approfondiva i motivi. In effetti qui non si rubava, non si spacciava droga, c’era un ordine nel disordine perché il padrone, cioè la famiglia Nuvoletta, cioè il clan di elevatissimo spessore criminale e perciò l’unico ad essere associato, con benemerenza, nella cupola di Cosa nostra, esigeva silenzio negli affari e pulizia chirurgica nelle vendette e nei repulisti. Cento morti in un trentennio, ma uccisi senza schizzi di sangue sulle vetrine di corso Italia, la strada del centro del centro, intorno a cui tutto ruota, senza bossoli sull’asfalto, senza scooteroni esagerati guidati dalle truppe d’assalto: “Nessuna baraonda per le strade, nessuna stesa. Morivano fra loro, diciamo”, racconta Andrea Caso, deputato 5Stelle che qui è eletto. Un centinaio di ammazzati. E che sarà mai?

Dopo i Nuvoletta sono giunti i Polverino e dopo i Polverino gli Orlando. Clan dopo clan, anno dopo anno, la città è stata piano piano dissanguata ed è infine perita sotto i colpi della criminalità costituita a Stato, riverita e persino rappresentata nel Consiglio comunale. E così non solo i servizi essenziali sono finiti, l’acqua che manca, i bus fermi, le luci quasi spente, le strade bucate, le scuole senza mensa. Non solo tutto questo. Marano infatti appare oggi un unico volume urbano senza cuore né luce, un enorme cubo di cemento, una non città. Pare semplicemente un gonfiore dello stomaco di Napoli.

“Avemmo la fortuna di poter ottenere un collegamento con Napoli su ferro, il microtram, che avrebbe tolto dalle lamiere di auto incolonnate da mattina a sera un sacco di gente. I poteri forti, quelli oscuri e obliqui si opposero”, ricorda Domenico Rosiello, narratore locale delle cronache dei malandrini eterni. “Guarda là, vedi quei palazzi? Furono costruiti nei luoghi in cui doveva sorgere la strada ferrata, edificati in modo che non ci fosse più il corridoio utile, e tutto è finito”, spiega Caso. Addio tram, addio bus. O incolonnati o niente.

Tutto è finito perché la criminalità si è fatta Stato deliberando le sue scelte urbanistiche e qui ha infatti anche corso alle elezioni. Criminalità associata, o solo amica, o parente o cliente. Criminalità, diciamo così, di centrodestra e centrosinistra. Criminalità turbo amministrativa, civica e laica. Marano ha subìto negli anni quattro scioglimenti del Consiglio comunale, l’ultimo a luglio scorso in ragione del fondato sospetto che l’amministrazione guidata da Rodolfo Visconti, eletto anche grazie ai voti del Pd, fosse infiltrata dalla camorra, si fosse piegata alla camorra. E Visconti era stato chiamato al municipio dopo un commissariamento prefettizio che aveva divelto l’amministrazione precedente, questa volta a trazione centrodestra (vice sindaco un’esponente di Fratelli d’Italia).

“Marano è questa qua, schiava del crimine, esposta alle bande, insolentita dalla violenza. Marano è una città con una democrazia indigente, ingracilita dalle percosse che ha subito. La gente si è acclimatata alla legge dei fuorilegge soprattutto per paura che pure è un sentimento umano, comprensibile. E ha lasciato sopraffarsi. Io non mi sono arresa e domani proviamo a scendere in piazza, a far vedere che esiste un profilo civile, una integrità nascosta ma non assente. C’è tanta gente perbene”. È Stefania Fanelli, cassiera all’Ikea a 24 ore settimanali (“guadagno ottocento euro al mese, al di sotto del minimo vitale, ma resisto”) a capeggiare il principio di rivolta civile, a provare, e oggi si vedrà se la piazza sarà riempita, che c’è voglia di conquistare speranza, di chiedere che il diritto non divenga un sempiterno rovescio.

Marano in effetti è il centro di gravità permanente della perdizione. Anche se non sembra, perché è brutta il giusto, cioè né più né meno di tante altre città cresciute nel disordine, e la violenza si sente ma non si vede, è l’obelisco intorno al quale ciascuno ha esibito i suoi trofei. Sciolta l’amministrazione di Marano? Ma sciolta (nel 2018) anche quella di Calvizzano, che gli sta di fronte, e quella di Giugliano (anno 2013) che gli sta di fianco, e quella di Villaricca (1993 e 2021), all’altro lato e quella di Sant’Antimo (nel 1991 e ancora l’anno scorso) e poi quella di Quarto (1991 e 2013).

Più commissari che sindaci, nella grande piazza del crimine che è questo esubero di Napoli, uno sfogo della città verso la piana che qui ha trovato sabbia buona e calcestruzzo, il business elettivo della dimensione industriale criminale. “Con i Nuvoletta a Marano non si poteva distribuire droga, non si spacciava. Il capo clan voleva che la sua città fosse vergine da questo punto di vista”, ricorda il deputato grillino.

Lo spaccio è stato assente per qualche anno, però purtroppo anche le fogne, che a differenza della cocaina e dell’eroina, non si sono mai più viste. Dice Domenico: “Un buon sessanta per cento del territorio sversa nei pozzi, e non è difficile immaginare in quali condizioni sia il sottosuolo tra discariche abusive e autorizzate, fogne bianche e fogne nere”.

Marano di sopra e di sotto. Solenne, triste e dimenticata testimonianza del crimine al governo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/18/marano-senza-cuore-ne-luce-qui-la-camorra-se-fatta-stato/6430426/

martedì 9 giugno 2020

Operazione contro la camorra, arrestati tre fratelli del senatore Cesaro.

Un'operazione dei carabinieri in un'immagine d'archivio ©
Un'operazione dei carabinieri in un'immagine d'archivio.

Colpiti i clan "Puca", "Verde" e "Ranucci", sequestrati beni per 80 milioni di euro.

I carabinieri del Ros stanno hanno eseguito una misura cautelare, emessa dal gip del Tribunale di Napoli su richiesta della locale Procura distrettuale, a carico di 59 indagati accusati di numerosi reati, tra i quali associazione mafiosa, concorso esterno, corruzione elettorale, estorsione e turbata libertà degli incanti.
L'operazione colpisce i clan "Puca", "Verde" e "Ranucci" operanti a Sant'antimo (Napoli) e comuni limitrofi, svelando - secondo gli investigatori - una fitta rete di 'cointeressenze' sia in ambito politico sia imprenditoriale.
Il gip di Napoli Maria Luisa Miranda, che ha firmato le misure cautelari, si è riservato di prendere una decisione in relazione alla posizione del senatore Luigi Cesaro, "all'esito - si legge nell'ordinanza - dell'eventuale autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni, ritenute rilevanti, secondo la procedura che verrà attivata da questo ufficio".
Nell'ambito dell'operazione dei Ros sono stati arrestati anche i tre fratelli del senatore di Forza Italia Luigi Cesaro. Nei confronti di Antimo Cesaro il gip di Napoli ha emesso un provvedimento cautelare in carcere. Ai domiciliari invece gli altri due fratelli, Aniello e Raffaele. L'accusa contestata è di concorso esterno in associazione mafiosa. Tra i destinatari delle misure cautelari figurano anche diversi elementi di spicco della criminalità organizzata.
Contestualmente è in fase di notifica anche un sequestro di beni per un valore di oltre 80 milioni di euro.

martedì 26 aprile 2016

Camorra: favori ai clan, 9 arresti. Indagato il presidente del Pd campano Graziano.

Camorra, favori ai clan, 9 arresti © ANSA

In manette ex sindaco Santa Maria Capua Vetere. Coinvolti funzionari comunali, imprenditori, professionisti e faccendieri.

Perquisizioni nelle abitazioni del presidente del Pd della Campania e consigliere regionale, Stefano Graziano
L'ipotesi che ha indotto gli inquirenti a effettuare le perquisizioni è che l'esponente politico abbia chiesto e ottenuto appoggi elettorali in riferimento alle ultime consultazioni per l'elezione del Consiglio regionale della Campania. Secondo tale ipotesi, Graziano si sarebbe posto ''come punto di riferimento politico ed amministrativo'' del clan Zagaria del quale è accusato di far parte Alessandro Zagaria, omonimo del boss, arrestato oggi. Lo spunto investigativo è stato offerto da una intercettazione di colloqui tra Alessandro Zagaria e Biagio Di Muro, l'ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere, anch'egli arrestato oggi. Colloqui nel corso dei quali si faceva riferimento all'appoggio elettorale che occorreva garantire a Graziano. Quest'ultimo si sarebbe attivato - ma tale circostanza non è ritenuta illecita dagli inquirenti della Dda - per favorire il finanziamento dei lavori di consolidamento di Palazzo Teti, al centro dell'inchiesta.
L'ipotesi di reato per Graziano è il concorso esterno in associazione camorristica.
L'inchiesta ha portato oggi all'esecuzione di nove ordinanze di custodia cautelare nei confronti di funzionari comunali, imprenditori, professionisti e "faccendieri". Sono accusati, a diverso titolo di associazione per delinquere di stampo camorristico, corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio e altre irregolarità nelle gare di appalto pubblico messe in atto anche per agevolare il clan dei casalesi.
Tra gli arrestati c'è anche l'ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), Biagio Di Muro. L'indagine riguarda l'appalto per i lavori di consolidamento di Palazzo Teti, immobile ubicato in via Roberto D'Angiò confiscato al padre dello stesso primo cittadino, Nicola Di Muro. La gara, che negli anni ha subito vari rallentamenti, secondo l'ipotesi accusatoria della Dda di Napoli, sarebbe stata vinta da un raggruppamento di imprese ritenuto vicino al clan guidato da Michele Zagaria. Già nel luglio 2015 l'ex sindaco, in carica fino a pochi mesi fa, fu oggetto di una perquisizione.

giovedì 10 dicembre 2015

Blitz contro i Casalesi, 28 arresti. Irreperibile il sindaco di Trentola Ducenta.



Sequestrato un centro commerciale del valore di 60 milioni.


Sono 28 le ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip di Napoli contro il clan capeggiato dal boss dei Casalesi, Michele Zagaria, e a carico anche di amministratori pubblici e imprenditori, tra questi l'attuale sindaco di Trentola Ducenta (Caserta) Michele Griffo che è tuttora irreperibile così come altri tre indagati.
I reati contestati a vario titolo sono l'associazione a delinquere di stampo camorristico, il concorso esterno in associazione mafiosa, l'intestazione fittizia di beni, il riciclaggio, l'estorsione, la falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, l'abuso d'ufficio, la truffa e la turbata libertà degli incanti. Gli investigatori della Squadra Mobile di Caserta e del Ros dei Carabinieri hanno anche sequestrato un imponente centro commerciale nel comune di Trentola Ducenta, il "Jambo", del valore di sessanta milioni di euro, direttamente riconducibile a Zagaria.
Tra gli indagati c'è anche l'ex sindaco di Trentola Ducenta, Nicola Pagano, raggiunto dalla misura del divieto di dimora in Campania. Tra i destinatari dell'ordinanza cautelare figura poi l'ex assessore di Trentola Ducenta Luigi Cassandra, già sotto processo con Michele Zagaria per intestazione fittizia di beni. Sono intanto ancora irreperibili i 4 indagati raggiunti dal provvedimento restrittivo emesso dal Gip di Napoli, tra cui l'attuale sindaco di Trentola Michele Griffo. Da fonti investigative si apprende poi che c'è il forte sospetto che sul blitz possa esserci stata una fuga di notizie.
Le indagini, coordinate dalla DDA di Napoli, hanno disvelato un complesso sistema criminale finalizzato al riciclaggio dei proventi dei delitti consumati dagli indagati.

sabato 19 settembre 2015

Campania, si dimette presidente Antimafia indagata per voto di scambio mafioso.

Campania, si dimette presidente Antimafia indagata per voto di scambio mafioso

Monica Paolino di Forza Italia si dice "estranea alle vicende" che le vengono contestate dai magistrati di Salerno. Nel mirino della Dda anche il marito, il sindaco di Scafati Pasquale Aliberti (nella foto). A chiedere un passo indietro era stato anche il governatore De Luca.


Ieri la perquisizione in casa. Oggi le dimissioni. Il consigliere regionale di Forza Italia Monica Paolino lascia la presidenza della commissione Anticamorra della Regione Campania dopo l’accusa di voto di scambio politico-mafioso mossa dai magistrati della Dda di Salerno. Nell’indagine sono coinvolti anche il marito, il sindaco di Scafati Pasquale Aliberti, il cognato e alcuni collaboratori.
“Nella consapevolezza di essere assolutamente estranea alle vicende per le quali sono indagata, per il senso alto che ho delle istituzioni, annuncio le mie dimissioni dal presidente della Commissione Anticamorra del Consiglio Regionale della Campania”. Queste le parole con cui Paolino ha lasciato l’incarico in commissione Anticamorra. In una nota il consigliere forzista dice di non conoscere “neppure la specificità dei fatti” e le sue dimissioni sono anche dettate “affinché il lavoro avviato possa proseguire nella massima serenità”. “Ringrazio il partito, i suoi dirigenti e i tantissimi cittadini – sottolinea – che, conoscendomi, mi hanno manifestato la loro solidarietà ed il loro grande affetto. Resto serena e fiduciosa nell’operato della magistratura”.
Paolino, consigliera regionale al secondo mandato, è stata eletta al vertice della commissione agli inizi di agosto. La senatrice del Pd Rosaria Capacchione, giornalista del Mattino che vive sotto scorta per le minacce del clan dei Casalesi, commentò così la scelta: “Nomina quantomeno surreale. Un po’ come mettere un piromane a capo dei Vigili del fuoco. Adesso attendiamo solo quella di Dracula a presidente dell’Avis”.
A chiedere un passo indietro a Paolino è stato anche il governatore Pd Vincenzo De Luca: “In relazione alla vicenda giudiziaria di Monica Paolino si rileva che son trascorse 24 ore. È doveroso attendersi e sollecitare le immediate dimissioni da presidente della Commissione Consiliare Anticamorra e Beni Confiscati a tutela della persona interessata ed a tutela della dignità dell’Istituzione”.

venerdì 17 ottobre 2014

Marco Pantani, “complotto per alterare ematocrito”. L’ombra della camorra. - Andrea Tundo

Marco Pantani, “complotto per alterare ematocrito”. L’ombra della camorra


L'ipotesi, riportata dai quotidiani, è della Procura di Forlì che indaga per associazione per delinquere finalizzata a truffa e frode sportiva. Le scommesse clandestine sul vittoria finale erano talmente tante da poter di fatto far perdere chi le gestiva. La chiave starebbe in ciò che Renato Vallanzasca, figura storica della malavita milanese, scrisse alla mamma del campione. In carcere fu avvicinato da un personaggio che gli disse che il ciclista avrebbe perso il Giro d'Italia 1999, quello della discussa esclusione a Madonna di Campiglio.

L’ematocrito alto, l’esclusione dal giro, le scommesse clandestine gestite dalla camorra e quelle frasi di Renato Vallanzasca. E’ un’ombra gigantesca quella che si addensa attorno all’esclusione dal Giro d’Italia ’99 di Marco Pantani. Sulla quale adesso indaga, a quindici anni di distanza, la Procura di Forlì: associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva e alla truffa, questo il reato sul quale lavorano il procuratore capo Sergio Sottani e il sostituto procuratore Luca Spirito, secondo quanto riportato dai quotidiani e confermato dagli inquirenti. Un’ipotesi inquietante. Perché quel controllo dell’ematocrito sbagliato effettuato a Madonna di Campiglio nel 1999 sarebbe stato alterato per sbattere il Pirata fuori dal Giro.
E’ il 5 giugno quando Pantani viene trovato positivo al test sull’ematrocrito. Troppo alto il valore: 1.9 punti in più del consentito. E’ uno stop preventivo per garantire la salute del corridore, in teoria. Ma che cambia completamente la storia di uno degli sportivi italiani più amati. Da giorni si rincorrevano le voci di una possibile esclusione dalla corsa rosa del campione di Cesenatico, in quel momento leader indiscusso, e riguardo al modo nel quale quel campione è stato prelevato si è già detto molto. Perché sia la sera prima che nel pomeriggio, quando Pantani si ferma a Imola per rifare le analisi in un laboratorio accreditato, i valori sono nella norma. Mentre nel prelievo della mattina, quello ufficiale, è appena sopra il limite di 50 e il numero delle piastrine risulta bassissimo. Un valore non giustificabile con quello dell’ematocrito.
Detto in altri termini: il test potrebbe essere stato alterato e il sangue deplasmato. Perché? Da chi? Su questo sta cercando di far luce il pool che indaga sulla vicenda. E la pista porta lontano, alle scommesse clandestine che in quel periodo sarebbero state gestite dalla camorra. Troppe le puntate su Pantani vincente, un giro miliardario che rischiava di far saltare il banco. Per questo il Pirata potrebbe essere stato tagliato fuori. Un’ipotesi avanzata anche dal bandito della Comasina, Renato Vallanzasca, che nella sua autobiografia racconta di un incontro con un camorrista all’interno del carcere di Opera, durante la sua detenzione. Nei giorni precedenti all’esclusione, quell’uomo avrebbe detto al “bel Renè” che “il pelatino non sarebbe arrivato a Milano” e quindi di puntare forte, “qualche milione”, su altri corridori.
Gli inquirenti lo ascolteranno presto, mentre hanno già interrogato decine di testimoni che avrebbero riferito di quanto fosse facile alterare un test del sangue Uci. Una tesi sostenuta in passato anche dal medico della Mercatone Uno, dai compagni di squadra, dal manager e dalla famiglia del Pirata. E dallo stesso Pantani che disse: “Mi hanno fregato”. L’aspetto più inquietante è che un filo rosso potrebbe correre tra quella giornata e la morte del campione nel residente Le Rose di Rimini. Un altro aspetto sul quale appena due mesi fa, la Procura di Rimini, ha aperto un’inchiesta.
Certamente l’esclusione dal Giro nel ’99 ha segnato la vita di Pantani, iniziato a scivolare daMadonna di Campiglio verso il tunnel della depressione e della coca. Fino a quel 19 febbraio 2004, all’inchiesta archiviata frettolosamente e a una morte in circostanze sospette, tra cocaina ingerita, scena del crimine alterata e persone che sarebbero entrate nella sua stanza senza passare dalla receptionE l’orario della morte rimesso in discussione dall’orario segnato dal suoRolex. Molto è ancora da chiarire. Un finale tutto da scrivere, iniziato forse quattro anni e mezzo prima.
C'è ancora chi crede che lo sport, quello in cui girano tanti soldi, sia "pulito" e non sia inquinato dalle scommesse clandestine??
Assurdo!

giovedì 12 settembre 2013

Pompei, blitz della Dia: rischio infiltrazioni camorra nei lavori di restauro.

Pompei


Nell'accesso ispettivo, condotto in sinergia ad altre forze dell'ordine, gli ispettori antimafia hanno controllato due società e venti persone. L'accesso è stato eseguito per verificare eventuali tentativi di infiltrazione e di condizionamento della camorra nei cantieri del progetto che ha ottenuto un finanziamento di 105 milioni dall'Unione Europea.

La Direzione Investigativa Antimafia di Napoli – insieme a Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza – ha fatto un “accesso ispettivo” a Pompei contro eventuali tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nei lavori degli scavi. Nel blitz sono state controllate due società operanti e venti persone. I cantieri riguardano le opere di restauro del patrimonio archeologico che rientra nel Grande Progetto Pompei che ha ottenuto un finanziamento di 105 milioni di euro dall’Unione Europea.
In particolare, sotto la lente degli ispettori sono finiti i lavori a tre domus pompeiane, la Casa delle Pareti Rosse, quella di Sirico e quella del Marinaio. L’accesso è stato eseguito sulla base di un decreto emesso dal prefetto di Napoli, Musolino, contro eventuali tentativi di infiltrazione e di condizionamento della camorra nei cantieri e nelle procedure per il restauro degli scavi. Al “blitz” hanno partecipato, oltre al personale del Centro Operativo della Dia di Napoli, Carabinieri, Guardia di Finanza e della Polizia di Stato, componenti del Gruppo Interforze costituito presso la Prefettura di Napoli.

venerdì 17 maggio 2013

Amministrative 2013, Nettuno: escludono il ‘suo’ candidato, lui si vendica in piazza. - Andrea Palladino




Gli investigatori stanno cercando di fare chiarezza sulla trovata di un imprenditore indagato per 'ndrangheta e poi archiviato: a bordo di un camion munito di altoparlante, ha raccontato una serie di affari sospetti e fatto i nomi di esponenti politici accanto, molti dei quali inseriti nelle liste elettorali del centrodestra.

E’ un rap tutto particolare quello che a Nettuno ha creato un terremoto politico. Scandisce nomi, sospetti, accuse precise di corruzione. E’ stato diffuso per qualche ora a fine aprile per le strade del centro da un camion telonato, di quelli usati per portare la verdura ai mercati, guidato da tale Ferdinando Mancini. Occhiali a specchio, piccolo orecchino, capelli rasati e faccia imperturbabile. Scandisce con chiarezza le parole: allacci abusivi di acqua, gestione dei rifiuti, mega appalti per il porto, abusivismi edilizi, amicizie sospette. Con nome e cognome di esponenti politici accanto, molti dei quali inseriti nelle liste elettorali del centrodestra. Il video è sparito da Youtube pochi giorni dopo la diffusione, mentre le forze dell’ordine stanno cercando di capire che consistenza hanno le accuse cadute sull’unico comune del Lazio dichiarato sciolto per contiguità con le organizzazioni mafiose – era il 2007 – e che oggi si avvia a rinnovare il consiglio comunale, dopo cinque anni di amministrazione del Pd. 
Ad inquietare è il nome dell’improvvisato rapper. Fernando Mancini è un imprenditore con un passato non proprio specchiato. Citato ampiamente nella relazione che la commissione d’accesso consegnò al Prefetto di Roma Achille Serra e che portò allo scioglimento, è stato più volte indagato per reati finanziari. Su di lui si era concentrata anche l’attenzione della Dda di Roma nell’ambito dell’inchiesta Appia, che portò all’arresto di molti esponenti del clan di ‘ndrangheta Gallace-Novella. Ne uscì pulito, con una archiviazione, ma di certo – secondo gli atti delle indagini – la sua carriera di imprenditore ha avuto, almeno nel passato, molti punti d’ombra.
Negli ultimi mesi Mancini ha puntato direttamente alla politica, sostenendo il Pdl locale. Facendolo alla grande, scalando i vertici del partito in vista delle elezioni comunali. In città tante fonti, anche interne al Pdl, raccontano che lo scorso anno riuscì a mettere le mani su almeno cinquecento tessere, controllandole direttamente, pronto a condizionare le scelte in vista del rinnovo del consiglio comunale. Arrivati al momento della stesura delle liste il nome a lui gradito era, però, sparito. Troppo ingombrante la sua storia, si sussurrava negli ambienti del Pdl. La sua risposta è stata eclatante, lavando tutti i panni sporchi nella pubblica piazza, con l’improvvisato rap, che ha come leit-motiv la constatazione che dall’epoca dello scioglimento poco è cambiato nella politica di Nettuno.
“Penso che neanche a Rosarno si siano mai viste cose del genere”, commentano alcuni investigatori, preoccupati per il clima che si è creato a pochi giorni dall’apertura dei seggi elettorali in una zona – quella del litorale romano, compreso tra Anzio e Nettuno – dove la presenza delle organizzazioni criminali è ormai radicata. Qui, come hanno raccontato diversi collaboratori di giustizia della ‘ndrangheta, da decenni è attiva una ‘ndrina, con decine e decine di affiliati. Tra poco il tribunale di Velletri si ritirerà in camera di consiglio per decidere sulla richiesta di centinaia di anni di condanna per molti esponenti della famiglia Gallace, il cui capo Vincenzo Gallace è stato già condannato dalla corte d’assise di Milano per l’omicidio di Carmine Novella. Forte anche la presenza della camorra, che convive senza grandi problemi con gli esponenti della mafia calabrese. Il 25 luglio del 2012 Modesto Pellino, luogotenente del clan Moccia, venne ucciso in un agguato in pieno centro storico. Il comune gli aveva concesso anni prima la residenza, mentre era da tempo nella lista dei principali ricercati.
A preoccupare ora è il silenzio calato sulla vicenda, almeno quello della politica. La campagna elettorale è proseguita come se nulla fosse accaduto. Il sindaco uscente Alessio Chiavetta, Pd, si è detto sicuro che a Nettuno, in fondo, tutto va bene: “Nessuno si permetta più di infangare il nome della nostra città, non c’è nessun allarmismo”, ha dichiarato a fine aprile, pochi giorni dopo il rap di Mancini. Di diverso avviso le associazioni del litorale: “Chiediamo con forza che la Dda di Roma apra subito un’inchiesta su quanto sta avvenendo”, spiega Edoardo Levantini, presidente del coordinamento antimafia di Anzio e Nettuno.

martedì 26 marzo 2013

Camorra, il figlio del boss ucciso diventato senatore Pdl (a sorpresa). - Vincenzo Iurillo


Camorra, il figlio del boss ucciso diventato senatore Pdl (a sorpresa)


Pietro Langella in una relazione per lo scioglimento del Comune di Boscoreale era considerato "esponente dell'omonimo clan". Suo padre Giovanni nel 1991 fu trucidato per ordine della "cupola" agli ordini di Carmine Alfieri, capo della Nuova Famiglia.

Per sollecitare lo scioglimento per infiltrazioni camorristiche del Comune di Boscoreale (Napoli), avvenuto nel gennaio 2006, la commissione d’accesso inviò al ministero dell’Interno una relazione così riassunta dal Tar che bocciò il ricorso per reintegrare l’amministrazione: “Nella composizione consiliare e giuntale vi sono dei soggetti ritenuti permeabili alle pressioni dei gruppi malavitosi; in particolare l’attenzione della commissione si incentra sul presidente del consiglio comunale, esponente dell’omonimo clan e figlio di un soggetto ucciso nel 1991 in un agguato di camorra e facente parte del consiglio comunale già disciolto nel 1998 per i medesimi motivi”.
Quel politico locale figlio di un boss assassinato è Pietro Langella, e da allora, nonostante questo incidente di percorso, di carriera ne ha fatta. Qualche settimana fa è stato eletto senatore. Nella lista Pdl della Campania. Nella lista dalla quale era stato escluso Nicola Cosentino a causa delle sue presunte collusioni camorristiche, oggetto di due processi in corso a Santa Maria Capua Vetere.
Sì, le due vicende non sono omologabili: Langella, al contrario di Cosentino, non è indagato e non è coinvolto nelle scabrose vicende che hanno segnato la storia della propria famiglia. Tanto da protestare veementemente per quella definizione “esponente dell’omonimo clan” messa nero su bianco sulla relazione prefettizia, che ha sempre respinto al mittente e che sperava di aver fatto dimenticare definitivamente. Ma la sua sorprendente elezione – in Campania era dato vincente il Pd da tutti i sondaggi e il Pdl lo aveva inserito al numero 16 – fa tornare di interesse pubblico un episodio del passato.
Il papà del neo senatore, Giovanni Langella, detto “il Paglietta”, era uno dei leader dell’omonimo clan operante nell’area vesuviana. Dopo essere sfuggito a un primo tentato omicidio, Giovanni “Paglietta” fu ucciso all’alba del 2 ottobre 1991 mentre prendeva il caffè in un bar. Tre persone armate di mitraglietta e fucili a pompa fecero irruzione nel locale e gli esplosero contro una trentina di proiettili, prima di finirlo con un colpo di grazia alla testa. Giovanni Langella era il fratello del boss Pasquale Langella, assassinato il 20 febbraio 1991 per ordine della “cupola” camorristica agli ordini di Carmine Alfieri, il capo della Nuova Famiglia rivale della Nco di Raffaele Cutolo. Il sodalizio criminale dei “Paglietta” è però sopravvissuto alla morte dei fratelli Langella, fino a condizionare – secondo le risultanze dei commissari prefettizi – due amministrazioni comunali di Boscoreale.
Tornando alla politica, l’elezione di Pietro Langella in Senato in quota Pdl è un gol in acrobazia segnato in zona Cesarini: pochissimi giorni prima della chiusura delle liste l’imprenditore vesuviano era ancora un assessore provinciale napoletano dell’Udc, partito abbandonato in extremis per protesta contro i criteri scelti per le candidature alle politiche, portandosi appresso una cinquantina di esponenti locali dello scudocrociato di Casini. Peraltro, Langella non è nuovo a improvvisi cambi di casacca: nel 2009 si ricandidò alla provincia di Napoli in quota Udc, partito all’epoca alleato del Pdl, da consigliere provinciale uscente del Pd (era il vice presidente del consiglio). Tutta la sua storia politica odora di trasformismo. Negli anni Novanta ha militato nel Ccd, nei primi anni 2000 ha aderito al Ppi e alla Margherita mentre il centrosinistra campano conquistava le più importanti amministrazioni locali. Ma quando fu chiaro l’imminente crollo del bassolinismo, fu tra i primi a trovare riparo dall’altra parte.
E non venitemi a dire che nei partiti, in principal modo nel Pdl, circola gente di specchiata onorabilità.

mercoledì 19 settembre 2012

A San Marino riciclaggio, corruzione e controllo del voto made in camorra. - Chiara Pracchi

Giuseppe Setola


La prima Commissione d'inchiesta antimafia della Repubblica del Titano ha messo nero su bianco gli stretti legami tra i clan della criminalità organizzata campana e alcuni personaggi di spicco dello Stato autonomo, per un vorticoso giro d'affari improntato a ripulire denaro sporco con le speculazioni edilizie.

Rapporti con la camorra ai più alti livelli politici, speculazioni edilizie, conflitti d’interesse, corruzione dilagante e persino controllo del voto. E’ questo lo scenario delineato dalla prima Commissione d’inchiesta antimafia della Repubblica di San Marino. Una Commissione che si era resa necessaria dopo che nel settembre del 2011, la Procura distrettuale di Napoli aveva rivelato i canali del riciclaggio che dal clan Stolder (ma non solo) portavano al centro della Repubblica.
Artefice delle operazioni di riciclaggio è Francesco Vallefuoco, un uomo che, secondo le intercettazioni riportate nell’ ordinanza Staffa, si vanta di stare “in pace con tutti” (inteso i clan campani) e di aver ospitato sul Titano Giuseppe Setola all’indomani della strage di Castel Volturno. Di sé dice che non gli “devono mai cercare di fare droga e mai cercare di fare prostituzione, il resto … – chiosa – faccio le cose che sono bravo a fare … cioè sto in mezzo alla strada”. Stare in mezzo alla strada significa gestire contatti, elaborare alleanze, assorbire imprese e – ovviamente – riscuotere crediti. Sia nei dintorni di Rimini, dove il suo piccolo esercito di picchiatori è composto da 45 elementi, che nel resto d’Italia.
Altro cardine intorno al quale ruotano tutte le operazioni, è l’avvocato sammarinese Livio Bacciocchi, dominus della finanziaria Fincapital, nonché uno dei principali costruttori della Repubblica (le sue imprese sono arrivate ad avere 52 cantieri aperti in contemporanea, con gli immobili ancora da vendere). Il metodo messo in piedi da Vallefuoco e Bacciocchi era relativamente semplice: si consegnavano assegni post datati e non intestati, che venivano portati allo sconto dalla banca, che in cambio elargiva contante o emetteva assegni circolari. Un sistema che sembra funzionare fino al 2008, quando una serie di equilibri incominciano a scricchiolare: il settore edilizio, su cui aveva puntato l’economia sammarinese, entra in crisi e con il varo dello scudo fiscale in Italia, gli istituti di credito chiedono ai clienti di rientrare.
In politica circola aria di avvicendamento e il sodalizio criminale decide di non farsi trovare impreparato, perché, come spiega Francesco Vallefuoco “a noi interessa che non s’inceppa il meccanismo”. Così, per assicurare continuità agli investimenti, Vallefuoco affianca a quello che viene ritenuto il suo primo interlocutore, il socialista Fiorenzo Stolfi, più volte Segretario di Stato, il più promettente democristiano Gabriele Gatti, anch’esso Segretario di Stato e eletto ininterrottamente al Consiglio Grande e Generale dal 1978.
“Dei rapporti tra Fincapital, Livio Bacciocchi, Francesco Vallefuoco, Fiorenzo Stolfi e Gabriele Gatti si trova riscontro in numerosi documenti e nelle parole di diversi testimoni – sostengono i Commissari – Gli elementi a disposizione sono precisi e concordanti nei dettagli e nei particolari, tali da tracciare un profilo di responsabilità politica a carico di Fiorenzo Stolfi e Gabriele Gatti”.
Non solo i due ex Segretari di Stato. I politici erano di casa alla Fincapital, dove potevano presentarsi anche senza appuntamento e dove un ascensore li portava direttamente dal garage all’ufficio di Bacciocchi. Frequentare la Fincapital non era reato, ammettono i Commissari che però biasimano la processione dei politici. Fra questi il consigliere democristiano Clelio Galassi e il Segretario di Stato alla Sanità Claudio Podeschi. Ma anche uomini che hanno ricoperto vari incarichi per le Segreterie di Stato come Moreno Benedettini, accusato di aver ritirato una tangente da 50 mila euro per Antonello Bacciocchi, Segretario di Stato al Lavoro.
La figura di Benedettini, che di Vallefuoco diventa promotore finanziario e procacciatore d’affari, merita di essere analizzata attraverso le intercettazioni che compaiono nell’indagine Staffa, per mettere in evidenza l’acquiescenza totale mostrata dai sammarinese di fronte al camorrista: dall’Audi A6 sulla quale stava viaggiando, Vallefuoco ordina a Benedettini di andare a comprare una nuova sim telefonica, con il documento di qualcun altro. Quindi di comunicare a lui il nuovo numero perché, tramite le sue conoscenze possa farlo cancellare dal terminale. “lo faccio cancellare dal terminale e tu fai quel cazzo che vuoi tu. Il numero è inesistente” assicura. I due si salutano al grido di “Ciao puttana”.
Le smentite a quanto pubblicato nella relazione della Commissione non hanno tardato ad arrivare. Gabriele Gatti ha già annunciato denuncia penale e civile sia per i testi ascoltati dalla Commissione che per i Commissari stessi. Critiche sono arrivate anche dalla stampa locale che ha giudicato insufficiente il metodo d’inchiesta, condotto prevalentemente attraverso la raccolta di testimonianza (non sempre concordi).
Al di là dell’accertamento delle singole responsabilità, la relazione risulta estremamente importante per il quadro di opacità che delinea: il “furore edificatorio” al quale è stato sacrificato buona parte del territorio della Repubblica – scrivono i Commissari – ha portato alla nascita di “strani” cantieri, facenti capo sempre agli stessi soggetti economici, con la creazione di monopoli, la partecipazione agli utili di soggetti politici che dovevano concedere le autorizzazioni e l’arrivo di manovalanza dal sud Italia per i subappalti.
Totale la corruzione in materia di sicurezza sul lavoro, dove sembra essere stata prassi la corresponsione di un mensile ai funzionari pubblici per evitare le ispezioni sui cantieri. Ed infine incredibile appare la pratica di controllare il voto alle elezioni generali: le persone vincolate da un patto di interesse erano tenute ad esprimere 5 preferenze all’interno di uno stesso schieramento e una sesta completamente estranea per riuscire facilmente individuabili.