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domenica 14 luglio 2024

Trovato fossile del mammifero più antico di sempre. - Lucia Petrone

 

Il mammifero più antico fino ad ora mai individuato è stato scoperto grazie all’analisi dei suoi denti.

Il mammifero più antico del mondo è stato identificato da un team di scienziati brasiliani e britannici, utilizzando reperti dentali fossili. Il Brasilodon quadrangularis era una piccola creatura simile a un toporagno, lunga circa 20 centimetri che visse sulla terra 225 milioni di anni fa contemporaneamente ad alcuni dei dinosauri più antichi e fa luce sull’evoluzione dei mammiferi moderni.

La scoperta è stata fatta da ricercatori del Museo di Storia Naturale di Londra, del King’s College di Londra e dell’Università Federale del Rio Grande do Sul a Porto Alegre. Gli scienziati si sono basati su indizi forniti da fossili di tessuti duri come ossa e denti.

Questo perché le ghiandole mammarie dei mammiferi non si sono conservate e non sono state rinvenute in nessun fossile fino ad ora. Il Morganucodon aveva un piccolo corpo molto simile a un gerbillo ed un muso lungo simile a quello dei toporagni. I risultati delle analisi dentali hanno portato gli esperti a datare il Brasilodon quadrangularis a 225 milioni di anni fa cioè 25 milioni di anni dopo la terza più grande estinzione di massa che avvenne durante il Permiano-Triassico.

https://www.scienzenotizie.it/2024/07/14/un-animale-vissuto-225-milioni-di-anni-fa-e-il-piu-antico-mammifero-mai-identificato-5760133

lunedì 25 marzo 2024

Fossile di drago marino di 180 milioni di anni scoperto in un bacino idrico del Regno Unito. - Hasan Jasim

 

Un fossile di drago marino di 180 milioni di anni è stato scoperto in un bacino idrico nel Regno Unito.

In una scoperta straordinaria, un fossile di un drago marino di 180 milioni di anni è stato trovato in un bacino idrico nel Regno Unito. Il fossile, che si ritiene sia i resti di una nuova specie di drago marino, è stato scoperto da un cacciatore di fossili dilettante nell'estate del 2021.

Il drago marino, chiamato Ittiosauro, è un tipo di rettile marino vissuto durante l'era mesozoica. Queste creature erano conosciute per i loro corpi lunghi e snelli e si credeva fossero potenti nuotatori che si nutrivano di pesci e calamari.

Il fossile è stato scoperto da Paul de la Salle, un cacciatore di fossili dilettante che stava cercando fossili in un bacino vicino alla città di Rutland, nella regione delle East Midlands in Inghilterra. Dopo aver scoperto il fossile, de la Salle contattò esperti locali, i quali confermarono che si trattava effettivamente dei resti di un ittiosauro.

Si dice che il fossile sia straordinariamente ben conservato, con gran parte dello scheletro intatto. Gli esperti ritengono che la creatura fosse lunga circa 4 metri e che da viva pesasse circa 150 chilogrammi.

La scoperta di questa nuova specie di drago marino è significativa perché fornisce nuovi spunti sull’evoluzione di queste affascinanti creature. In particolare, fa luce sulla diversità degli ittiosauri durante il periodo Giurassico, periodo in cui si ritiene che questa particolare specie abbia vissuto.

Il fossile è stato donato al museo locale di Rutland, dove sarà studiato ed esposto al pubblico. Si spera che questa straordinaria scoperta ispiri più persone a interessarsi ai fossili e al mondo naturale.

In conclusione, la scoperta di questo fossile di drago marino di 180 milioni di anni è un evento significativo per la paleontologia e lo studio delle creature preistoriche. È un promemoria dell’incredibile diversità della vita che è esistita sul nostro pianeta e dell’importante ruolo che i cacciatori di fossili dilettanti possono svolgere nel fare nuove scoperte.

https://hasanjasim.online/a-180-million-year-oldsea-dragon-fossil-has-been-discovered-in-a-reservoir-in-the-united-kingdom/?fbclid=IwAR0ozKlLi2xCeeIYSA5rdY4RkkGbnSQBUuJcQapwcAKqqnT3-8Cpe98YqxM

venerdì 15 marzo 2024

Millepiedi giganti "grandi come automobili" una volta vagavano nel nord dell'Inghilterra, rivela un ritrovamento fossile. - Hasan Jasim

 


Non capita tutti i giorni che una nuova scoperta faccia luce su un mondo che esisteva milioni di anni fa. Ma questo è esattamente quello che è successo quando su una spiaggia nel nord dell’Inghilterra è stato trovato il fossile più grande mai realizzato di un millepiedi gigante. Questo millepiedi era grande quanto un'auto e vagava per la terra durante il periodo Carbonifero, ovvero oltre 100 milioni di anni prima dell'era dei dinosauri.
Il fossile, che rappresenta i resti di una creatura chiamata Arthropleura, risale a circa 326 milioni di anni fa. La scoperta ha rivelato che Arthropleura era il più grande animale invertebrato conosciuto di tutti i tempi, più grande degli antichi scorpioni marini che detenevano il precedente record.

Il fossile è stato scoperto nel gennaio 2018 in un grande blocco di arenaria caduto da una scogliera sulla spiaggia di Howick Bay nel Northumberland. "È stata una scoperta completamente casuale", ha affermato il dottor Neil Davies del Dipartimento di Scienze della Terra di Cambridge, l'autore principale dell'articolo. “Il modo in cui il masso era caduto, si era spaccato ed aveva esposto perfettamente il fossile, come ha affermato uno dei nostri ex dottorandi. gli studenti l'hanno notato mentre passavano."

Il fossile è solo il terzo fossile mai trovato ed è anche il più antico e il più grande. Il segmento è lungo circa 75 centimetri, mentre si stima che la creatura originale fosse lunga circa 2,7 metri e pesasse circa 50 chilogrammi. I risultati sono riportati nel Journal of the Geological Society.

L'esemplare, costituito da più segmenti articolati di esoscheletro, è sostanzialmente simile nella forma ai millepiedi moderni. A differenza del clima fresco e umido associato oggi alla regione, il Northumberland aveva un clima più tropicale nel periodo Carbonifero, quando la Gran Bretagna si trovava vicino all'Equatore. Gli invertebrati e i primi anfibi vivevano della vegetazione sparsa attorno a una serie di ruscelli e fiumi. L'esemplare identificato dai ricercatori è stato ritrovato in un canale fluviale fossilizzato. Si trattava probabilmente di un segmento fuso dell'esoscheletro dell'Arthropleura che si riempì di sabbia, preservandolo per centinaia di milioni di anni.

Il fossile è stato estratto nel maggio 2018 con il permesso di Natural England e dei proprietari terrieri, la Howick Estate. "È stata una scoperta incredibilmente emozionante, ma il fossile è così grande che ci sono voluti quattro di noi per trasportarlo sulla parete rocciosa", ha detto Davies.

Il fossile fu riportato a Cambridge per poter essere esaminato in dettaglio. È stato confrontato con tutti i dati precedenti e ha rivelato nuove informazioni sull'habitat e sull'evoluzione dell'animale. Si può vedere che l'animale esisteva solo in luoghi che un tempo si trovavano all'Equatore, come la Gran Bretagna durante il Carbonifero. Precedenti ricostruzioni avevano suggerito che l'animale vivesse in paludi di carbone, ma questo esemplare mostrava che Arthropleura preferiva gli habitat boschivi aperti vicino alla costa.

Sebbene questo sia il più grande scheletro fossile di Arthropleura mai trovato, c’è ancora molto da imparare su queste creature. "Trovare questi fossili di millepiedi giganti è raro perché una volta morti, i loro corpi tendono a disarticolare, quindi è probabile che il fossile sia un carapace muta che l'animale perde mentre cresce," ha detto Davies. "Non abbiamo ancora trovato una testa fossilizzata, quindi è difficile sapere tutto di loro."

I ricercatori ritengono che per raggiungere dimensioni così grandi, Arthropleura debba aver seguito una dieta ricca di nutrienti. "Anche se non possiamo sapere con certezza cosa mangiassero, all'epoca c'erano molte noci e semi nutrienti disponibili nella lettiera delle foglie, e potrebbero anche essere stati predatori che si nutrivano di altri invertebrati e persino di piccoli vertebrati come gli anfibi, ", ha detto Davies.

https://hasanjasim.online/giant-millipedes-as-big-as-cars-once-roamed-northern-england-fossil-find-reveals/

lunedì 12 ottobre 2020

Il grande imbroglio del gas: il fossile venduto come “verde”. - Maria Maggiore

 

Il più ambizioso è il progetto di Oygarden, in Norvegia: fino a 5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno saranno infilate in un pozzo profondo 2.500 metri, vicino a Bergen e lì rinchiusi, nel profondo del mare, si spera per sempre. Lo Stato norvegese ha promesso 1,6 miliardi alle società Equinor, Shell, Total e a un’industria di cemento, che costruiranno il mega sito di stoccaggio del carbonio (Ccs).

Un po’ più a sud, in Germania, sulla foce dell’Elba, ci sarà un terminal di gas liquido. Porterà gas liquefatto e raffreddato dagli Stati Uniti o dal Qatar. Un sogno per il responsabile del distretto: “La Germania si renderà neutrale dal punto di vista climatico, il gas naturale è più pulito del petrolio”. Meno contenti sono gli abitanti del posto che vedranno presto costruire un carro armato alto come un grattacielo per accogliere le petroliere del gas liquido.

Poi ci sono i tubi del North-Stream 2 tra la Russia e la Germania; i gasdotti in costruzione in Romania per portare gas fossile dal Mar Nero e ridurre la dipendenza dalla Russia; il nuovo mega progetto East-Med, 1.870 km di tubi da Israele verso la Grecia e l’Europa, per i quali è quasi scoppiata una guerra quest’estate tra Grecia e Turchia. E naturalmente il Tap, ormai quasi finito, 3.500 km di tubi per portare 10 miliardi di metri cubi di gas dall’Azerbaijan in Europa (dalla Russia ne importiamo nell’Ue 200 miliardi all’anno).

Secondo i dati del Global Energy Monitor e dell’associazione industriale “Gas Infrastructure Europe”, che Investigate-Europe ha potuto elaborare, stiamo per spendere 104 miliardi di euro in nuovi progetti di gas fossile, per costruire 12.842 km di nuovi tubi, un aumento del 54% di impianti di gas liquido e del 22% di centrali a gas fossile classiche, con una spesa di 29 miliardi di euro. Ma perché tutto questo spreco di denaro pubblico per un’energia fossile, che libera nell’atmosfera il metano, 86 volte più nocivo del CO2? E poi, perché costruire nuovi impianti se, come ci dice Eurostat, l’Europa consuma solo la metà del gas che potrebbe già importare e addirittura il 20% del gas liquido a disposizione? Persino la Commissione europea, dal 2018 scrive che il consumo di gas naturale diminuirà del 21% entro il 2030 e addirittura del 85% nel 2050.

Che senso ha investire in nuovi impianti che hanno una durata di vita di almeno 20-25 anni, quando gli scienziati del clima ci dicono che dobbiamo smettere di estrarre energie fossili per evitare di riscaldare il pianeta di oltre 1,5 gradi? Mentre i nostri governi continuano a parlare di emergenza climatica, il gas viene presentato come l’energia del futuro che ci porterà verso un’economia a zero emissioni. La Commissione nel suo Green Deal ha scritto “abbiamo bisogno del gas” e il “gas può essere decarbonizzato”.

Lo scorso 12 febbraio l’Europarlamento ha approvato la nuova lista di Progetti di interesse comune (Pci) in mezzo alle polemiche. Tra i 149 progetti prioritari scelti per ricevere finanziamenti europei, ce n’erano ben 32 di gas naturale. Uno scandalo per le Ong del clima. Inevitabile per la Commissione europea che per due anni aveva negoziato quel pacchetto con gli Stati membri: se cadevano alcuni progetti, si ricominicava da zero. La commissaria all’Energia Kadri Simson promise allora agli eurodeputati che “la prossima lista non avrà progetti di gas naturale”.

Ora però il vice capo della Dg Energia, Klaus-Dieter Borchardt, ammette, in un’intervista a Investigate-Europe, che non sarà così: saranno forse costretti a inserire nuovi progetti di gas nella lista prevista per il 2021, perché “abbiamo degli impegni legali con le compagnie”. Borchardt spiega come la “Commissione europea sia nelle mani degli operatori del gas che decidono quali progetti finanziare”.

Quando nel 2009 si volle creare un mercato unico dell’energia per renderlo col tempo indipendente dalla Russia, i governi si affidarono alle grandi società dei gasdotti – l’italiana Snam, la spagnola Enagas, la francese Grtgas, la tedesca Thyssengas, l’olandese Gasunie – che posseggono tutti i dati sensibili sulla salute dei “tubi” e sulla sicurezza della fornitura. Venne creata EntsoG, una lobby presente a Bruxelles in un elegante palazzo del quartiere europeo, regolarmente iscritta nel registro delle lobby, il cui compito è, secondo il regolamento TEN-E, fornire scenari sulla domanda di gas in Europa e, in base a questi, proporre una lista di nuove infrastrutture.

Così da dieci anni va avanti a Bruxelles un conflitto d’interessi sancito per legge. Global Witness ha pubblicato in giugno un rapporto su EntsoG, calcolando che i suoi membri hanno ricevuto dal 2013 al 2019, il 75% dei fondi per gas naturale, circa 4 miliardi di euro. Spesso per progetti inutili. Lo ha ammesso lo stesso Borchardt: “East-Med per esempio è sovradimensionato. Posso capire che ci sia molto gas nel Mediterraneo, ma avrebbe più senso utilizzare gli impianti regionali di gas liquido, piuttosto che portare il gas naturale in un lungo gasdotto da Israele verso la Grecia”.

Anche Midcat, voluto da Francia e Spagna, si è rivelato un progetto inutile: doveva trasportare gas fossile dall’Africa in Francia, è rimasto nelle liste PCI per 6 anni, ricevendo 1,3 miliardi di fondi Ue, prima di venir ritirato l’anno scorso. I regolatori dei due Paesi hanno scritto: “MidCat non contribuisce in alcun modo alla sicurezza dell’approvvigionamento in Francia, i gasdotti esistenti tra Francia e Spagna non sono sovraccarichi”. Oggi restano 80 chilometri di tubi a un’ora di auto da Barcellona, abbandonati nella natura.

Frida Kieninger, di Food & Water Europe, partecipa da anni come osservatrice alle riunioni per i progetti prioritari del gas. La sua analisi è inquietante: “Il processo per arrivare a nuovi progetti è opaco, i governi e le parti interessate s’incontrano in ‘gruppi regionali’ coi promotori dei progetti, spesso seduti accanto ai rappresentanti del ministero. In alcuni incontri sembrava che un paese fosse rappresentato solo da una società del gas. Non ci sono verbali, non ci sono liste di partecipanti. Ed EntsoG si siede sempre sul podio accanto alla Commissione, rispondendo alla maggior parte delle domande e accompagnando tutte le fasi del processo”.

Ma non è tutto. EntsoG, forte del suo monopolio sui dati, negli ultimi dieci anni ha sempre previsto una domanda di gas molto superiore alla realtà del mercato. Così è anche per l’ultimo scenario, fino al 2050. Gli operatori del gas prevedono una diminuzione della domanda massimo del 41% nei prossimi trent’anni (contro l’85% della Commissione). E soprattutto promettono che quasi tutto il gas fossile diventerà verde, le emissioni nocive verranno catturate sotto terra, con il CCS, per produrre idrogeno, ma non forniscono dettagli su dove sarà “pulito” il gas (in Russia, in Azerbaijan?), quali sono i costi per queste operazioni e quanta la perdita di metano nell’atmosfera. Ci ha detto il dg di EntsoG, Jan Ingwersen: “I gasodotti ci saranno, e non è un costo marginale. Quindi, meglio usarli. Per il periodo di transizione, nei nostri scenari, troverete molti progetti di transizione con l’idrogeno”.

L’idrogeno è il nuovo obiettivo della lobby del gas a Bruxelles e la Commissione sta cadendo nella trappola. Consigliata dalla lobby industriale Hydrogen Europe, a cui l’esecutivo Ue ha chiesto di scrivere un draft della strategia per l’idrogeno, a luglio è stata inaugurata la “Clean Hydrogen Alliance”, una piattaforma di industrie che dovrà suggerire alla Ue quali infrastrutture costruire nei prossimi anni. La segreteria la assicura Hydrogen Europe e tra i membri ci sono solo industrie dell’oil&gas, nessuna Ong (eccetto la norvegese Bellona, favorevole al Ccs) e nessuna compagnia di energia rinnovabile, quando l’idrogeno verde dovrebbe venire solo dal surplus delle rinnovabili. L’idrogeno è il nuovo eldorado della lobby del gas: l’obiettivo è attingere ai soldi del Recovery Fund.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/12/il-grande-imbroglio-del-gas-il-fossile-venduto-come-verde/5962646/

venerdì 9 giugno 2017

Scoperto un nuovo importante fossile umano.

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Una nuova scoperta di fossili di Homo sapiens in Marocco e risalenti a 300 mila anni fa, molto prima di quanto si ritiene avesse avuto origine la nostra specie, mette in discussione alcuni assunti della nostra origine. E sposta (forse) la culla dell’umanità.

Due ricostruzioni dei fossili trovati a Jebel Irhoud (Marocco). La datazione è di circa 300.000 anni fa. In blu è la struttura interna del cervello, differente da quella degli uomini moderni, ma anche da quella dei nostri primi cugini, gli uomini di Neanderthal.|PHILIPP GUNZ, MPI EVA LEIPZIG
Un articolo pubblicato sulla nota rivista scientifica Nature ha modificato alcune delle concezioni della nostra evoluzione, in particolare il fatto che l’Africa orientale sia stata l’unica culla dell’umanità, il luogo in cui nostra specie è nata e si è diffusa in tutto il mondo. Anche se ovviamente non tutto è ancora chiaro e deciso. 

CINQUE "UOMINI". 

Un gruppo di lavoro guidato dal francese Jean-Jacques Hublin, che lavora al Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia (Germania), ha descritto (l'abstract, in inglese) alcuni resti fossili che rappresentano almeno cinque individui. Tra di essi sono importanti una scatola cranica, una mandibola e un’arcata sopraccigliare. Fin qui niente di nuovo, ritrovamenti come questi non sono rarissimi. 

E LONTANO, LONTANO NEL TEMPO. 

Le novità sono due: il luogo dove sono stati trovati e la datazione. Il primo è Jebel Irhoud, in Marocco, migliaia di chilometri lontano dalla cosiddetta “culla dell’umanità”, l’Africa orientale (Etiopia e Tanzania in particolare). 
La seconda, ottenuta con metodi di luminescenza, porta a una data di circa 300.000 anni fa, di centomila anni precedente quella dei primi chiari fossili di Homo sapiens, trovati nella Kibish Formation, in Etiopia meridionale. 
Questi ultimi sono stati considerati da molti la testimonianza dell’unica origine est africana della nostra specie. I fossili marocchini invece obbligano i paleoantropologi a riesaminare non solo i luoghi di nascita di Homo sapiens, ma anche e soprattutto i processi attraverso i quali siamo nati come specie.


TESTE ARROTONDATE. I fossili di Jebel Irhoud hanno qualche differenza con i successivi e con gli uomini attuali, perché per esempio il cranio non è alto e arrotondato come quello degli uomini moderni, ma un po’ più basso e allungato. Anche l’arcata sopraccigliare è più variabile di dimensioni, ma questo potrebbe essere dovuto a differenza tra i due sessi. Molto interessante, secondo i ricercatori, è la struttura interna della scatola cranica: lo sviluppo dell’intero cervello non è a carico del cervelletto, come negli uomini di Neanderthal, ma di altre parti. 
Gli autori si spingono a dire che proprio il cervello più globulare possa essere usato per distinguere gli uomini anatomicamente moderni da quelli più antichi. Ma tutto il processo è piuttosto lineare, affermano.
Il sito di Jebel Irhoud (Marocco). Forse, quando era occupata dagli uomini, era una caverna, ma la maggior parte dei sedimenti sono stati rimossi negli anni Sessanta. | SHANNON MCPHERRON, MPI EVA LEIPZIG
UNA LENTA EVOLUZIONE. 

Le conclusioni della ricerca sono molto interessanti anche dal punto di vista dell’evoluzione. Se questo fossile è un Homo sapiens, per così dire, arcaico il tragitto verso gli uomini moderni potrebbe essere stato più lineare del previsto. Siamo quasi certi, infatti, che la nostra specie si sia separata da un antenato comune con altre, come Homo neanderthalensis (l’uomo di Neanderthal), circa 500.000 anni fa. In questo modo si poteva pensa che i fossili, da allora al famoso esemplare etiopico di 200.000 anni fa, fossero una specie di preparazione alla nostra “venuta al mondo”. 
Questo ritrovamento invece si colloca proprio tra la separazione tra Neanderthal e sapiens e il fossile est africano. Significa che, a differenza di quanto si pensava, la nostra specie ha avuto un lungo (ed evolutivamente coerente) processo di modifica, con modifiche lente e altre più veloci. Non è cioè nata “improvvisamente” circa 200.000 anni fa per rimanere poi costante nel tempo fino ad oggi. 
Almeno anatomicamente, siamo come tante altre specie. È forse il salto della cultura, avvenuto 50.000 anni, fa circa che ci ha distinto, in parte, da altre specie animali.