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domenica 6 febbraio 2022

Rayan non ce l'ha fatta, morto il bimbo caduto nel pozzo. - Olga Piscitelli

 

Dopo 100 ore di soccorsi disperati è stato estratto senza vita.


Oltre cento ore a 32 metri sotto terra, inghiottito da un pozzo strettissimo, in alcuni punti di soli 20 centimetri di diametro.

Ha lottato per rimanere vivo, ma non ce l'ha fatta.

Il piccolo Rayan, 5 anni, che per quattro giorni ha tenuto con il fiato sospeso il Marocco ed il mondo intero, mentre una mega operazione di soccorso cercava di salvarlo, è morto.

La notizia è rimbalzata, come una doccia fredda, dopo una decina di minuti da quelle immagini, convulse, rilanciate dalle  dirette delle tv che per giorni hanno seguito i soccorsi. Quelle immagini che raccontavano che il bambino era stato recuperato, estratto da quel maledetto pozzo, che avevano fatto tirare un sospiro di sollievo. Lasciando intendere che potesse essere in salvo. Ma la nota della stessa casa Reale del Marocco ha gettato nello sconforto: 'E' deceduto per le ferite riportate nella caduta'.

Poche parole che riportano alla mente le drammatiche ore di giugno 1981 e la tragedia di Alfredino Rampi a Vermicino. E che hanno gettato nello sconforto tutti coloro che per ore, giorni e notti, hanno seguito i lavori dei soccorritori, impegnati in un'operazione di salvataggio titanica, scattata già martedì scorso quando il bambino, che stava giocando in un campo, è precipitato in quel buco nero, in quel pozzo di proprietà della famiglia.

Un'immensa operazione di salvataggio, tra le mille difficoltà, gli intoppi, i rischi di smottamento, le speranze ma anche le delusioni. Lunghissime giornate in cui i soccorritori non si sono mai dati per persi. A cominciare da Ali El Jajaoui, arrivato da Erfoud, ormai divenuto l'eroe del deserto: quell'uomo, di professione specialista di pozzi, che appena appresa la notizia del bimbo è subito partito dal sud del Paese per raggiungere il villaggio di Rayan. E ha scavato per ore e ore senza fermarsi, a mani nude dopo che un imponente lavoro di 5 escavatori aveva aperto una voragine che ha permesso si arrivare alla profondità in cui si trovava il bambino. E permesso di realizzare una via di fuga attraverso la posa di tubi che, posizionati orizzontalmente, hanno creato quel passaggio che doveva rappresentare la salvezza. E che invece si è trasformato in un mesto ultimo percorso di Rayan dalla sua trappola.

Il bambino aveva provato a resistere in tutti questi giorni: per lui era stato calato nel pozzo un tubo per fornirgli l'ossigeno, l'acqua e un po' di cibo. Le telecamere che lo avevano raggiunto, rinviavano immagini di lui ferito alla testa  he si muoveva e chiamava 'mamma'. Fotogrammi che avevano commosso il mondo e che lasciavano sperare. Come quell'ultimo contatto, solo sabato mattina, con il papà. "Gli ho parlato, sentivo che respirava a fatica", aveva raccontato l'uomo che insieme alla moglie, ha aspettato per ore, per giorni, quel finale che nessuno voleva fosse una tragedia.

Poco prima che Rayan fosse estratto dal pozzo, lui e la moglie erano stati fatti salire sull'ambulanza - dove c'era anche una psicologa - che, all'ingresso del tunnel, attendeva che il bimbo fosse recuperato. E stasera è toccato al Re il triste compito di inviare loro le condoglianze.

Nel primo pomeriggio di sabato tutto era pronto, o così almeno sembrava, quando i soccorritori entravano nel tunnel. Uno alla volta, sistemando corde e giubbotti di protezione e persino una piccola barella. La folla di spettatori pregava. Al grido di Allah Akbar i fedeli si sono raccolti attorno al pozzo dove si era posizionata anche l'equipe medica di pronto intervento, l'ambulanza e un anestetista. Poi però i tempi si sono dilatati, i soccorsi si sono trovati di fronte ad un'altra, l'ennesima, roccia. Poi le distanze si sono accorciate, ma alle 17.30 c'erano ancora 80 centimetri di masso da sgretolare. Un lavoro di cesello quasi, al ritmo di 20 centimetri l'ora. Un'operazione difficilissima che ha mobilitato le forze marocchine, gli speleologi, i volontari sostenuti dalla comunità locale che per giorni ha preparato il cibo e offerto riparo.

"Rayan è vivo, lo tireremo fuori oggi", aveva annunciato nel tardo pomeriggio il direttore delle operazioni di soccorso, l'ingegnere Mourad Al Jazouli. Ma non è andata così, i soccorritori sono riusciti a tirare Rayan fuori dal pozzo, ma per lui ormai non c'era più nulla da fare. (ANSA).


https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2022/02/05/marocco-una-roccia-blocca-i-soccorritori-a-2-metri-da-ryan_b125e291-b7c5-489a-bbdb-c7385cbc02d1.html

mercoledì 31 luglio 2019

Quella missione in Marocco di Salvini e Savoini e il mistero dei 150mila euro.

Quella missione in Marocco di Salvini e Savoini e il mistero dei 150mila euro
Foto tratta dal profilo Facebook dell'associazione Lombardia Russia.

Nel 2015 l'allora segretario della Lega viaggia nel paese nordafricano con Savoini. Che sei mesi dopo, secondo quanto riporta Il Fatto Quotidiano, avrebbe ricevuto denaro per aver segnalato aziende italiane cui concedere appalti in Marocco.

ROMA - Prima della Russia, c'è stato il Marocco. Gianluca Savoini, l'ex portavoce di Matteo Salvini e presidente dell'associazione Lombardia-Russia, potrebbe essere al centro di un altro caso di corruzione internazionale. A riportare la storia è Il Fatto Quotidiano: 150mila euro consegnati a Savoini da Mohamed Khabbachi, ex direttore generale dell'agenzia di stampa Mep e uomo del re Mohammed IV per le attività di lobbiyng in Europa. 

Siamo a Parigi, nella primavera del 2016. Savoini avrebbe ricevuto la somma di denaro da Khabacci nella sala dell'hotel Le Meridien Etoile, a poche centinai di metri dall'ambasciata del Marocco. Una sorta di premio per aver fornito alle autorità marocchine una lista di aziende italiane da segnalare per futuri appalti nel Paese nordafricano. Sia Savoini che Khabacci non confermano la vicenda. L'incontro di Parigi sarebbe stato il "seguito" di un viaggio di Savoini e Salvini in Marocco nel 2015, quando l'allora segretario della Lega incontra una delegazione di ministri marocchini per poi dirsi "entusiasta del Marocco, una terra in cui investire".

E la consegna di denaro a Savoini ha anche un risvolto cinematografico, con la somma di denaro avvolta in fogli di giornale che cade - e poi viene raccolta - in un bagno turco.  


https://www.repubblica.it/politica/2019/07/31/news/savoini_marocco_moscopoli_salvini_soldi-232420675/

sabato 19 agosto 2017

Attentato a Barcellona, perché dopo 13 anni la Spagna è tornata nel mirino. - Alberto Negri

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L’attentato sulle Ramblas di Barcellona , una delle più celebri arterie metropolitane del mondo, il cuore della vita e della movida catalana, è sconvolgente ma non imprevedibile. Soprattutto se, come la rivendicazione dell’Isis fa pensare, venisse accreditata la matrice jihadista.

A parte gli avvertimenti veri o presunti della Cia alle autorità spagnole sulle possibilità di un attentato a Barcellona, la Spagna è da lungo tempo nel mirino. In Spagna sono stati arrestati 636 jihadisti dopo gli attentati ferroviari alla stazione di Madrid del marzo 2004 in cui rimasero uccise circa duecento persone e più duemila ferite. Al Qaeda e lo Stato Islamico hanno una rete di propaganda diffusa e penetrante con cui hanno reclutato diversi jihadisti per andare a combattere in Siria e in Iraq. Un recente studio dell’Instituto Elcano ha rilevato che dei 150 jihadisti arrestati in Spagna negli ultimi quattro anni 124 (l’81,6%) erano collegati allo Stato islamico e 26 (il 18,4%) ad Al Qaeda.

Non bisogna mai dimenticare che cosa significa la penisola iberica nell’immaginario del mondo musulmano su cui puntano le organizzazioni terroristiche di matrice islamica: questo è Al Andalus, il nome che gli arabi hanno dato a quei territori della Spagna, del Portogallo e della Francia occupati dai conquistatori musulmani (conosciuti anche come Mori) dal 711 al 1492. Molti musulmani credono che i territori islamici perduti durante la riconquista cristiana della Spagna appartengano ancora al regno dell’Islam e i più radicali sostengono che la legge islamica dia loro il diritto di ristabilirvi la dominazione musulmana.
Un concetto che emerge in maniera molto chiara nei materiali di propaganda dell’Isis. «Riconquisteremo Al Andalus, col volere di Allah. O carissimo al-Andalus! Pensavi che ti avessimo dimenticato ma quale musulmano potrebbe dimenticare Cordoba e Toledo», si afferma in un video dello Stato islamico. In un opuscolo diffuso dallo Stato islamico si legge che dalla creazione dell’Inquisizione spagnola nel 1478, la Spagna «ha fatto di tutto per distruggere il Corano». Si dice poi che la Spagna ha torturato i musulmani e li ha bruciati vivi. Pertanto, secondo i jihadisti, «la Spagna è uno Stato criminale che usurpa la nostra terra». Il testo esorta esplicitamente i militanti al terrorismo e a «perlustrare rotte aeree e ferroviarie per compiere attentati».

Che un attentato fosse nell’aria lo confermano anche i recenti arresti in Spagna di jihadisti di origine marocchina, una cellula dell’Isis che agiva tra Palma di Maiorca, Madrid, la Gran Bretagna e la Germania. Uno degli arrestati si era recato in varie occasioni a Palma di Maiorca per avviare la struttura terroristica che avrebbe dovuto seminare il terrore nell’isola delle Baleari. Tre dei membri della cellula inoltre sono protagonisti come attori di un video di propaganda, pubblicato su un canale con oltre 12mila sottoscrittori, che mostra il processo di radicalizzazione di un giovane musulmano in Spagna che decide di andare a combattere in Siria. Ma questo non è stato certo l’unico caso. In primavera proprio a Barcellona erano stati arrestati alcuni jihadisti marocchini che erano presenti il 22 marzo 2016 a Bruxelles, nel giorno del duplice attentato dell’Isis all’aeroporto Zaventem e alla metro.


La Spagna tra l’altro è considerata dai gruppi jihadisti uno degli alleati degli americani nella lotta al terrorismo: presenti in Medio Oriente con le truppe in Iraq e in Libano, gli spagnoli hanno il loro fronte più vulnerabile nel Maghreb per la vicinanza geografica al Marocco e le enclave di Ceuta e Melilla, proprio nel territorio del regno alauita. Le statistiche sono abbastanza esplicite: oltre il 45% di tutti i jihadisti arrestati in Spagna è nato in Marocco, il 39% in Spagna e solo il 15% in altri Paesi. Consapevole della centralità della lotta al terrorismo il governo spagnolo nel 2014 ha persino avviato un’applicazione per smartphone, AlertCops, per coinvolgere i cittadini nella segnalazione alla polizia di sospetti jihadisti. Ma restano tutte le difficoltà da parte dei servizi di sicurezza di prevenire un attacco terroristico da parte di piccole cellule o di “lupi solitari”, come hanno dimostrato gli eventi di Parigi, Londra, Manchester, Nizza, Colonia, Berlino, Stoccolma. E ora la ferita del terrore insanguina Barcellona, su quella Rambla, lunga più di un chilometro, che collega Plaça de Catalunya al vecchio porto. Rambla, un nome che deriva proprio dall’arabo e che in queste ore segna un tragico destino.

venerdì 9 giugno 2017

Scoperto un nuovo importante fossile umano.

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Una nuova scoperta di fossili di Homo sapiens in Marocco e risalenti a 300 mila anni fa, molto prima di quanto si ritiene avesse avuto origine la nostra specie, mette in discussione alcuni assunti della nostra origine. E sposta (forse) la culla dell’umanità.

Due ricostruzioni dei fossili trovati a Jebel Irhoud (Marocco). La datazione è di circa 300.000 anni fa. In blu è la struttura interna del cervello, differente da quella degli uomini moderni, ma anche da quella dei nostri primi cugini, gli uomini di Neanderthal.|PHILIPP GUNZ, MPI EVA LEIPZIG
Un articolo pubblicato sulla nota rivista scientifica Nature ha modificato alcune delle concezioni della nostra evoluzione, in particolare il fatto che l’Africa orientale sia stata l’unica culla dell’umanità, il luogo in cui nostra specie è nata e si è diffusa in tutto il mondo. Anche se ovviamente non tutto è ancora chiaro e deciso. 

CINQUE "UOMINI". 

Un gruppo di lavoro guidato dal francese Jean-Jacques Hublin, che lavora al Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia (Germania), ha descritto (l'abstract, in inglese) alcuni resti fossili che rappresentano almeno cinque individui. Tra di essi sono importanti una scatola cranica, una mandibola e un’arcata sopraccigliare. Fin qui niente di nuovo, ritrovamenti come questi non sono rarissimi. 

E LONTANO, LONTANO NEL TEMPO. 

Le novità sono due: il luogo dove sono stati trovati e la datazione. Il primo è Jebel Irhoud, in Marocco, migliaia di chilometri lontano dalla cosiddetta “culla dell’umanità”, l’Africa orientale (Etiopia e Tanzania in particolare). 
La seconda, ottenuta con metodi di luminescenza, porta a una data di circa 300.000 anni fa, di centomila anni precedente quella dei primi chiari fossili di Homo sapiens, trovati nella Kibish Formation, in Etiopia meridionale. 
Questi ultimi sono stati considerati da molti la testimonianza dell’unica origine est africana della nostra specie. I fossili marocchini invece obbligano i paleoantropologi a riesaminare non solo i luoghi di nascita di Homo sapiens, ma anche e soprattutto i processi attraverso i quali siamo nati come specie.


TESTE ARROTONDATE. I fossili di Jebel Irhoud hanno qualche differenza con i successivi e con gli uomini attuali, perché per esempio il cranio non è alto e arrotondato come quello degli uomini moderni, ma un po’ più basso e allungato. Anche l’arcata sopraccigliare è più variabile di dimensioni, ma questo potrebbe essere dovuto a differenza tra i due sessi. Molto interessante, secondo i ricercatori, è la struttura interna della scatola cranica: lo sviluppo dell’intero cervello non è a carico del cervelletto, come negli uomini di Neanderthal, ma di altre parti. 
Gli autori si spingono a dire che proprio il cervello più globulare possa essere usato per distinguere gli uomini anatomicamente moderni da quelli più antichi. Ma tutto il processo è piuttosto lineare, affermano.
Il sito di Jebel Irhoud (Marocco). Forse, quando era occupata dagli uomini, era una caverna, ma la maggior parte dei sedimenti sono stati rimossi negli anni Sessanta. | SHANNON MCPHERRON, MPI EVA LEIPZIG
UNA LENTA EVOLUZIONE. 

Le conclusioni della ricerca sono molto interessanti anche dal punto di vista dell’evoluzione. Se questo fossile è un Homo sapiens, per così dire, arcaico il tragitto verso gli uomini moderni potrebbe essere stato più lineare del previsto. Siamo quasi certi, infatti, che la nostra specie si sia separata da un antenato comune con altre, come Homo neanderthalensis (l’uomo di Neanderthal), circa 500.000 anni fa. In questo modo si poteva pensa che i fossili, da allora al famoso esemplare etiopico di 200.000 anni fa, fossero una specie di preparazione alla nostra “venuta al mondo”. 
Questo ritrovamento invece si colloca proprio tra la separazione tra Neanderthal e sapiens e il fossile est africano. Significa che, a differenza di quanto si pensava, la nostra specie ha avuto un lungo (ed evolutivamente coerente) processo di modifica, con modifiche lente e altre più veloci. Non è cioè nata “improvvisamente” circa 200.000 anni fa per rimanere poi costante nel tempo fino ad oggi. 
Almeno anatomicamente, siamo come tante altre specie. È forse il salto della cultura, avvenuto 50.000 anni, fa circa che ci ha distinto, in parte, da altre specie animali.