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domenica 18 aprile 2021

Pagato in contanti? Sorpresa: di’ addio alle detrazioni fiscali. - Patrizia De Rubertis

 

Ops… Spese sanitarie, asili, polizze, etc: dal 2020 per avere lo sconto sulle tasse bisognava pagare con la carta. Solo che quasi nessuno lo sa.

Un’incognita da oltre un miliardo pende sulla testa (e sulle tasche) di milioni di contribuenti che rischiano di vedersi negare il rimborso di una quindicina di sconti fiscali nella dichiarazione dei redditi. Nei prossimi 730 o Redditi (l’ex Unico) non ci saranno milioni di spese che consentono la detrazione del 19% come, ad esempio, quelle sanitarie presso liberi professionisti, i dentisti, l’asilo nido, la palestra per i figli o i premi per le polizze infortuni, vita o per l’abbonamento ai mezzi pubblici. Il motivo? L’ultima legge di Bilancio ha introdotto l’obbligo, a partire dal 1° gennaio 2020, di utilizzare sistemi tracciabili (bancomat, carta di credito, carte prepagate, assegno, versamento bancario o postale) per i pagamenti di queste spese. Una di quelle cosiddette rivoluzioni fiscali rimaste però sottotraccia e di cui poi si sono perse le tracce.

Così lo scorso anno, spiegano dalla Consulta dei Caf che ha lanciato l’allarme, la maggior parte dei contribuenti avrebbe continuato a pagare queste spese in contanti, precludendosi ora la possibilità di scaricarle nella dichiarazione dei redditi. Unica eccezione riguarda le spese per l’acquisto di medicinali e dispositivi medici acquistati in farmacia e per le visite mediche presso strutture pubbliche o accreditate, che si possono continuare a pagare in contanti.

“Molte persone – spiega Giovanni Angileri, coordinatore della Consulta nazionale dei Caf – anche a causa dell’insufficiente pubblicità data a questo obbligo, ne hanno ignorato l’esistenza continuando a fare pagamenti cash per tutte le spese interessate. Si tratta soprattutto di contribuenti appartenenti alle fasce più deboli del Paese, che per ragioni anagrafiche e culturali sono meno abituate all’utilizzo della moneta elettronica”. Ma non solo. L’Italia, in attesa del potenziamento del piano Italia Cashless – su spinta del Cashback o della lotteria degli scontrini – resta di fatto un’economia basata sui contanti ed è tra le 35 peggiori economie al mondo per incidenza del contante sul Pil (11,8%). A dimostrazione che anche i contribuenti più giovani ora rischiano di veder sfumare la detrazione se non hanno pagato con carte, bonifici o assegni le spese che consentono la detrazione. Una situazione, insomma, potenzialmente esplosiva resa ancora più complicata dalla sua genesi politica. Allora meglio fare un passo indietro.

Quando a gennaio 2020 è diventato obbligatorio il pagamento tracciabile, il governo aveva lasciato intendere che la sua entrata in vigore sarebbe slittata al primo aprile. Tanto che era stato già presentato un emendamento da inserire nel Milleproroghe. Ma poi non se n’è fatto più nulla. E, complice lo scoppio della pandemia, della novità nessuno ha più parlato. Insomma, non c’è mai stato il tempo necessario per prendere confidenza con la novità che ora farà perdere il beneficio della detraibilità delle spese a milioni di contribuenti. Ma l’effetto più rilevante si avvertirà sul bonus per le spese sanitarie. Per capirne l’entità, basta osservare gli ultimi dati inseriti nella dichiarazione precompilata 2019 dall’Agenzia delle Entrate: sono 18,6 milioni gli italiani che hanno presentato richiesta di detrazione per farmaci, visite, esami e così via. E poi, ci sono anche gli abbonamenti al trasporto pubblico locale o per lo scuolabus, le spese di istruzione scolastica e universitaria compresi i canoni di locazione degli studenti fuori sede, le rette per l’asilo nido, le spese per le attività sportive dilettantistiche praticate dai ragazzi di età compresa tra 5 e 18 anni, le spese per l’agenzia immobiliare per l’acquisto di casa o quelle del veterinario.

È in questo scenario che la Consulta ha chiesto al ministro dell’Economia Daniele Franco una deroga, per il solo 2020, all’obbligo dei pagamenti tracciabili come condizione per avere diritto alla detrazione del 19%. La richiesta è stata formalizzata due settimane fa con l’invio di una lettera che è ancora senza risposta. Il ministero starebbe pensando di inserire la deroga in un emendamento al decreto Sostegni che si trova in discussione al Senato o nel dl Sostegni bis che arriverà a maggio. Ma se anche il Tesoro decidesse di assecondare la richiesta dei Caf, senza un’adeguata campagna informativa il prossimo anno si creerà lo stesso caos fiscale.

IlFattoQuotidiano

mercoledì 23 aprile 2014

Il venditore di medicine, Travaglio in scena: “Film sul marcio del mondo del farmaco”. - Irene Buscemi



Il 29 aprile arriverà nelle sale cinematografiche ‘Il venditore di medicine‘, il film diretto da Antonio Morabito, interpretato da Claudio Santamaria, Isabella Ferrari, Evita Giri e con la partecipazione straordinaria di Marco Travaglio. “Tutto è iniziato come un gioco tra amici, ma alla fine hanno deciso di tenere le scene girate anche se li ho pregati di tagliarle”, scherza il vicedirettore de Il Fatto Quotidiano che aggiunge: “Se il mio contributo può suscitare una maggiore curiosità su una pellicola importante ben venga”. Quello che emerge dal racconto è un mondo deviato: pazienti visti come cavie e medici di base spregiudicati che prescrivono farmaci inutili. “Sembra un horror, ma purtroppo i fatti di cronaca superano la fantasia”, afferma Travaglio. “E’ qualcosa che riguarda ognuno di noi – racconta il regista – Non è un’inchiesta, ma una narrazione basata su fatti reali”. A partire dallo spunto iniziale: la malattia del padre e la ricerca di un farmaco che possa guarirlo.

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/04/22/venditore-di-medicine-travaglio-in-scena-film-che-denuncia-marcio-del-mondo-del/275725/

mercoledì 24 marzo 2010

Omissioni e Abusi di Nostra Madre Chiesa

24 marzo 2010
Un viaggio attraverso gli scandali che stanno investendo il Vaticano e che, dall’Irlanda agli Stati Uniti, non risparmiano certo l’Italia.

IL CORAGGIO DI PARLARE

Mi chiamo
Marco Marchese. Sono stato abusato per quattro anni, da quando ne avevo dodici. Ero in seminario, pensavo di avere la vocazione”. Cominciò così, diretto, chiaro. Secco come uno schiaffo. “All’epoca abitavo a Favara, vicino ad Agrigento. Sono nato in Germania, poi quando avevo otto anni ci siamo trasferiti in Sicilia. Volevo diventare prete, almeno lo credevo. Sicché entrai in seminario: fu lì che accadde. All’epoca don Bruno era un assistente, un diacono. Divenne prete l’anno successivo. Mi legai fortemente a lui: sembrava una persona affettuosa, e io mi trovavo fuori di casa ed ero piccolo. Mi circondava di attenzioni. Il seminario, sa, è un po’ come un collegio: si mangia lì, si dorme lì. Andavamo a trovare la famiglia una volta alla settimana, spesso ogni due. Inserirsi è difficile, e trovarsi accanto una persona che si mostra amichevole, affettuosa, fa sentire meno soli”. Parlando, cincischiava con il tovagliolo di carta, un tormento gli mangiava le dita, guardava il piattino, la tazzina, il tavolo. Poi mi posò addosso il suo sguardo malinconico. “Accadde una domenica pomeriggio. Era dicembre, e fuori pioveva. In genere, nei pomeriggi di domenica, si giocava a calcetto nel cortile del seminario. Invece quella volta don Bruno venne da me e mi invitò nella sua camera a riposare. Accadeva spesso che noi ragazzi entrassimo nelle camere degli assistenti. Magari per fare due chiacchiere. Invece quel pomeriggio lui mi spogliò, mi baciò, e poi... poi abusò di me”. Per un attimo la voce vacillò, sembrò sul punto di rompersi, ma riprese. Con lentezza, in un rievocare che dava ancora dolore. “Dopo lui andò in bagno. Quando tornò mi chiese solo: ‘Ti sei sporcato?’. Mi diceva di non preoccuparmi, che non c’era nulla di male. La nostra era solo un’amicizia, un’amicizia particolare, ecco. Così mi diceva. E io gli credevo. Non avevo mai avuto esperienze sessuali, e gli credevo. Mi diceva che era normale, che era giusto. Mi diceva anche che non dovevo dirlo a nessuno, perché avrei suscitato invidie, gelosie. E io non lo dissi a nessuno. Neanche quando l’abuso si ripeté. E poi si ripeté ancora, e ancora. Soprattutto quando pioveva. Veniva a chiamarmi e io andavo da lui”. Sul suo volto fiorì un sorriso amaro, una smorfia alla propria ingenuità di un tempo. “Del resto, io mi ero convinto che la nostra fosse un’amicizia ‘divina’, come diceva lui. Era un uomo di Dio: con lui pregavo, mi fidavo. Ciecamente”. “E poi? Che cos’è accaduto?” “Dopo un anno, lui divenne prete e lasciò il seminario. Però i nostri rapporti divennero ancora più stretti, perché divenne il mio padrino di cresima. Così, nei fine settimana che avevo a disposizione e durante le vacanze, andavo a trovarlo nella sua parrocchia. E accadeva anche lì. In sacrestia. A casa sua. Nel pomeriggio. Anche la sera, se restavo a dormire. Per quattro anni”. [...]

Alla fine in tribunale non ci erano arrivati. La trasmissione [
Mi manda Raitre del 15 dicembre 2006, ndr] aveva sollevato un grosso scalpore, l’avvocato della Curia aveva saputo attirare perfino le antipatie dei cattolici più accesi. Il vescovo aveva dovuto fare marcia indietro e ritirare la richiesta di danni. Anzi, fece di tutto per evitare il processo civile. Don Bruno firmò un accordo con il quale riconosceva ogni responsabilità e si impegnava a corrispondere a Marco un risarcimento per i danni morali. “Si trattava di cinquantamila euro”. Le mani adesso riposavano tranquille sul tavolo, accanto alla tazzina. “Li ho impiegati per sovvenzionare la mia associazione. Si chiama Mobilitazione Sociale. Ci occupiamo soprattutto di ascoltare e aiutare i bambini vittime di abusi”. Per la prima volta sorrise davvero. Un sorriso aperto, giovane, fiducioso. Durò solo un attimo.“C’è talmente tanto da fare, e se ne sa così poco. Il mio non è un caso isolato. Anzi. Le associazioni contro la pedofilia ricevono migliaia di telefonate, di e-mail, di segnalazioni. Non ci sono solo io. La maggior parte delle vittime non ha il coraggio di denunciare. Subisce e tace. Nonostante i dolori dentro, nonostante gli incubi, i malesseri, il desiderio di morire”. Il sole era scomparso dietro le case, il cielo scuriva, e in via dell’Orologio si accendevano i lampioni. Nell’aria tiepida della sera, la gente sciamava verso i locali, i bar, i ristoranti. Per i vicoli rimbalzavano richiami, chiacchiere, risate. Le donne avevano vestiti leggeri che ondeggiavano intorno alle gambe, tacchi che si impigliavano tra le “balate”, sorrisi come lampi di bianco. Gli uomini profumavano di dopobarba e lanciavano occhiate alle ragazze. Sembrava una serata qualunque. Il viaggio nel silenzio era appena incominciato.

DON GELMINI: “SCHERZI DA PRETE”

“Non mi hanno creduto nemmeno quando per loro facevo il corrispondente lì in Bosnia. La mia strada e quella di
don Pierino si sono incrociate molte volte. In un certo momento della mia vita sono finito a vivere in un borgo della Sabina, Castel di Tora, dove il ‘Don’ aveva messo su una comunità spirituale. C’era un numero ristretto di ragazzi, tutti piuttosto avvenenti, ma ben poco spirituali . Andavano di nascosto a comprar vino e alcolici in paese. Con un paio di loro feci amicizia, entrai in confidenza. Mi confermarono quello che già sapevo. Monsignor Giovanni d’Ercole, funzionario del Vaticano con il quale ero in rapporti per via del mio lavoro, lo sapeva. L’avevo informato anni fa su don Pierino: gli avevo detto tutto, che adescava i ragazzi, che molti anni prima aveva adescato anche me assieme a un amico, e che ora era accusato dai suoi ragazzi di molestie sessuali. Padre Federico Lombardi, all’epoca direttore dei servizi giornalistici di Radio Vaticana, lo sapeva. Durante un’accesa discussione glielo dissi in faccia chi erano e cosa erano stati certi preti per me, gli dissi di don Pierino e di come l’avevo conosciuto, non batté ciglio. Poco dopo gli mandai una lettera. Lo informai fino ai dettagli: manco mi rispose. Scrissi anche alla Procura di Terni, ho fatto un esposto senza firmarmi. Mia madre era ancora viva, avevo due figli piccoli. Lottavo nella totale solitudine, e poi avevo paura che mi accusassero di smania di protagonismo. Ma lo sapevano tutti. Uno di quelli che sapevano era il vescovo di Terni, monsignor Gualdrini. E poi lo dissi al segretario della Cei, che mi attaccò il telefono in faccia. Lo dissi amonsignor Salvatore Boccaccio al tempo vescovo di Poggio Mirteto e ora di Frosinone, telefonai a don Ciotti: era perplesso, mi disse di avere le mani legate”. “Ho un dubbio atroce, Bruno. Se lo sapevano tutti, com’è stato possibile che lasciassero centinaia di ragazzi inermi nelle mani di qualcuno che avrebbe potuto approfittarsi della loro debolezza, del loro bisogno di aiuto, del loro bisogno di protezione?”. Mi guardò con amarezza, si passò una mano irruvidita in mezzo ai capelli grigi, a pettinare i pensieri. “Lo sapevano perché io lo avevo detto, e non ero mica il solo. I ragazzi della comunità lo sapevano tutti. Chi non ci stava veniva allontanato, oppure se ne andava da solo. Nessuno si è mai preso la briga di vedere cosa succedeva in queste comunità”. [...]

Di quella giornata, un ospite mi raccontò: “Il più bel regalo di compleanno, ottant’anni ieri, don Pierino Gelmini l’ha avuto da
Silvio Berlusconi: dieci miliardi di vecchie lire. Il più bel regalo, senza compleanno, Berlusconi lo ha avuto da don Gelmini, sempre ieri, che ha ordinato di accoglierlo con un canto di ‘Alleluja’ a tutto volume. Ovunque entrasse il premier, prima nella sala mensa e poi nell’auditorium della Comunità Incontro, veniva preceduto dalle note gloriose riservate, in Chiesa, a onorare il Signore. Un incontro di due ego travolgenti quello di ieri ad Amelia, nella struttura per il recupero dei tossicodipendenti nata nel 1979. Don Gelmini che spiegava al premier: ‘Preferirei essere Papa che capo del governo’. Berlusconi che gli diceva, dopo avere visto i preti, destinati alla successione da don Pierino, inginocchiarsi e promettergli fedeltà: ‘Mi hai dato un’idea, quasi quasi chiamo i miei ministri azzurri e li faccio inginocchiare davanti a me...’.Una festa-show con GigiD’Alessio che cantava la sua nuova canzone Non c’è vita da buttarededicata ai ragazzi persi e che salutava Berlusconi con un "salve collega". Amedeo Minghi che dedicava un videoclip a don Pierino. Ad Amelia, per omaggiare questo fenomenale prete, esarca precisa lui, che a ottant’anni ha una vitalità e un’energia travolgenti, sono arrivati in tanti a iniziare dal capo del comitato dei festeggiamenti, il ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri. C’erano anche il ministroRocco Buttiglione, il ministro Lunardi, Gustavo Selva, una sfilata di sottosegretari. Della prima Repubblica c’era l’ex ministro De Lorenzo che sembrava avere una missione: parlare con Berlusconi. E quando c’è riuscito, l’ha baciato, anche. A rappresentare l’opposizione, la presidente della Regione Maria Rita Lorenzetti, che nel salutare il padrone di casa, seduto nell’auditorium in prima fila vicino a Berlusconi, gli ha riconosciuto il grande impegno nella lotta contro la droga, ma ha anche detto: ‘Non siamo d’accordo su molte cose’. Non c’era il fratello di don Pierino, padre Eligio stava male. Una giornata lunga, iniziata di mattina presto nello studio privato di don Pierino dove sono arrivati in tanti a salutarlo, molti genitori di ragazzi salvati dalla comunità. Un padre è entrato piangendo, con una busta da lettera in mano piena di soldi da offrire a colui che aveva ridato la vita a suo figlio. ‘Era rinato qui dentro, purtroppo poi fuori non ce l’ha fatta’. Don Pierino ha preso la busta e lo ha abbracciato. ‘Suo figlio era un cantautore’, ha spiegato poi. A mezzogiorno tutti a messa. Don Pierino è entrato tra due ali di sacerdoti, seguito dal cardinale Jorge Maria Mejia. Mischiato tra i concelebranti c’era anche Alessandro Meluzzi, ex deputato azzurro, psichiatra fino a qualche giorno fa impegnato a commentare in tv gli irrecuperabili de L’Isola dei famosi, e adesso qui, in comunità di recupero, in un angolo di Umbria, con il saio da frate e la croce indosso. Nelle pause del serrato programma, Rocco Buttiglione ha parlato della sua prossima terza prova da nonno, la figlia partorirà ad agosto, e ha rivelato di aver cambiato idea su quale sia la vera vocazione della donna: ‘Credevo che fosse essere mamma. A un certo punto ho anche pensato che potesse essere suocera. Adesso che vedo mia moglie con i nipoti ho capito che la vera vocazione è quella di essere nonna. Un ruolo che la ringiovanisce di vent’anni’. Come sempre, era difficile capire se scherzava o diceva sul serio”.

IL CASO AMERICANO

A Boston cominciò così. In sordina, senza troppo rumore. L’avvocato che mise la prima pietra aveva un nome armeno, difficile da pronunciare: si chiamava
Mitchell Garabedian, e non era mai stato uno di quegli avvocati inseguiti dai giornalisti all’uscita dell’aula di dibattimento. Si era laureato all’Università statale, si era sempre occupato di piccoli casi. Insomma, uno sconosciuto. Uno fra i tanti avvocati di Boston. Gli piaceva il suo lavoro; certe mattine arrivava in ufficio prestissimo e andava avanti a lavorare fino a tarda sera. Era il 1994 quando un uomo era entrato nel suo studio, s’era seduto di fronte alla vecchia scrivania, e gli aveva parlato di padre Geoghan. Mitch non lo sapeva, ma quell’incontro avrebbe segnato la sua vita. “Ero un ragazzino normale” raccontò l’uomo all’avvocato, “andavo bene a scuola e mi piaceva lo sport. Facevo anche parte di una squadra. Non avevo neanche dodici anni, ma mi dicevano che ero un bravo atleta. I miei genitori erano orgogliosi di me. Poi arrivò lui. I miei si fidavano, lo consideravano quasi una persona di famiglia: lo invitavano a cena, a qualche partita di bridge, ai compleanni. Spesso, dopo cena, mi portava fuori a prendere un gelato, a fare un giro in macchina. Nessuno ha mai saputo che mi facesse quelle cose. Non lo dissi neppure a mia madre, a mio padre. Per loro, padre Geoghan era un buon amico, un amico di tutta la famiglia. Come potevo dirgli che mi faceva quelle cose? Stavo male. Riuscivo a fare solo questo: star male. Certi giorni non andavo nemmeno a scuola, agli allenamenti. Lasciai la squadra. E comincia i a bere. Ero solo un bambino, Dio mio, ero solo un bambino”.

GLI INTOCCABILI LEGIONARI DI CRISTO

Il potere della Legione di Cristo all’interno della Chiesa è tale che
Lennon, uno degli accusatori di Maciel, parlando dei rapporti tra quest’ultimo e il Vaticano, affermò: “Maciel è intoccabile. Ha lavorato con molti Papi, conosce i procedimenti interni, conosce vescovi, conosce cardinali, conosce quelli che hanno realmente il potere, e li conosce bene, molto bene”. Alejandro Espinosa, nel libro El prodigioso ilusionista, il seguito di El legionario, avanza sospetti e ipotesi inquietanti sulla vita del fondatore dei Legionari di Cristo. Già in El legionario, Espinosa aveva fatto riferimento alle “morti provvidenziali” di alcuni nemici di Maciel, ma è soprattutto nel suo secondo libro che le ipotesi si fanno dettagliate. Espinosa parte dagli anni giovanili del sacerdote, dai tempi in cui frequentava il seminario retto da suo zio, il vescovo Rafael Guizar y Valencia, e sostiene che si siano verificate circostanze quanto meno singolari, coincidenze preoccupanti. Sembra che lo stesso giorno della sua morte, il vescovo avesse avuto un’accalorata discussione con Marcial Maciel, e avesse decretato la sua espulsione per mancanza di attitudine allo studio, per mancanza di spirito di sacrificio e di vocazione al sacerdozio, oltre che per avere saputo dei suoi approcci sessuali nei confronti di seminaristi più giovani. Pare sia arrivato perfino a dire che se avesse proseguito il cammino verso l’ordinazione si sarebbe esposto alla dannazione eterna. Rafael Guizar y Valencia morì poche ore dopo. Un dettagliato resoconto sulla sua morte, racconta che fu impossibile coricarlo nel letto e dovettero lasciarlo steso al suolo, spiegando che volle giacere lì “come san Francesco”. A dodici anni dalla morte, le spoglie del vescovo furono riesumate per essere trasportate dal cimitero di Xalapa alla Cattedrale: aprendo la bara, il corpo fu trovato integro, ma i suoi capelli bianchi erano diventati rossicci. Espinosa sostiene che Maciel possa aver avvelenato lo zio con il cianuro, secondo alcune confessioni che lo stesso Maciel gli avrebbe fatto quando Alejandro era stato in seminario, e la colorazione rossiccia dei capelli dovrebbe esserne testimonianza, così come l’impossibilità di trasportare il vescovo agonizzante nel letto, poiché le convulsioni e gli spasmi dell’avvelenamento sono tali da riuscire a fratturare la colonna vertebrale. Tuttavia, padre Rafael González Hernández, il sacerdote che si è occupato della canonizzazione del vescovo, smentisce assolutamente l’ipotesi di un omicidio: “Monsignore Guizar morì nel 1938 a causa di un’insufficienza cardiaca e di un attacco di diabete. Aveva sessant’anni ma era piuttosto malandato per aver speso la vita al servizio dei fedeli”. Espinosa prosegue con l’elenco delle morti “provvidenziali” tra quelli che disturbarono Maciel. Padre Francisco Orozco Yepes morì in strane circostanze, mentre viaggiava dall’Irlanda a Roma, dove aveva il fermo proposito di denunciare le perversioni di Marcial Maciel davanti alla Sacra Rota Romana. Non si sa che cosa o chi lo convinse ad abbandonare l’aereo allo scalo di Madrid, si sa solo che preferì affittare un’automobile all’aeroporto e fare migliaia di chilometri per raggiungere Roma, dove non arrivò mai.

Un vescovo del Messico, che si opponeva al riconoscimento canonico della Legione di Cristo, fu minacciato da Marcial Maciel durante una discussione, davanti a testimoni. Pochi giorni dopo, un camion investì l’automobile del vescovo: morirono due dei suoi quattro occupanti ma il prelato riuscì a uscirne indenne. Nello stesso mese, si verificò un secondo incidente con la stessa dinamica del precedente, questa volta con esito tragico per il vescovo. Anche la morte di
Juan-Manuel Fernández Amenábar, come abbiamo visto, avvenne in circostanze singolari: soffocato da un pezzo di pollo mentre era in ospedale, dove si stava riprendendo da un ictus. Perfino Juan José Vaca temeva una reazione alla lettera che inviò a Maciel quando lasciò la Legione. Perciò quella lettera, nella quale gli rimproverava il danno irreparabile che gli aveva fatto e gliene domandava conto, conteneva un avvertimento: “Desiderando essere assolutamente sincero con lei, l’informo che l’originale di questo scritto, più altre undici copie, si trovano dentro buste sigillate, in un deposito inaccessibile agli indiscreti. Queste dodici buste recano già il nome e l’indirizzo dei destinatari – alte personalità della Chiesa e della società che, nel caso, conosceranno il loro contenuto – e immediatamente giungeranno nella mani dei destinatari, in due circostanze. La prima, nel caso in cui io muoia o sparisca inaspettatamente... “.

di
Vania Lucia Gaito da Il Fatto Quotidiano del 24 marzo 2010



lunedì 27 aprile 2009

L'informazione distorta





Febbre suina/ I governi cercano di placare la psicosi.
Giù le Borse, bene i titoli farmaceutici, Oms verso massima allerta.Il panico per il diffondersi della febbre suina cresce e la Ue insieme ai governi nazionali cerca di calmare la psicosi ma anche di dare qualche consiglio. Il primo è quello di non andare in Messico e Usa: il commissario europeo alla Salute Androulla Vassiliou ha sconsigliato i viaggi non necessari, ai cittadini europei, nelle zone colpite dall’influenza suina. Stessa raccomandazione è arrivata dalla Farnesina.
Un altro suggerimento anti-psicosi è quello di non andare all’assalto delle farmacie. Secondo i virologi ci vorranno almeno due mesi prima di trovare un vaccino. Consigliato, nel caso di una diffusione dell’epidemia, è invece l’uso della mascherina che riduce di quattro volte il rischio di contagio (il virus, come l’influenza, si diffonde anche per via aerea).
Nel frattempo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), pur non raccomandando restrizioni di spostamenti, non esclude la possibilità di alzare il livello di allerta direttamente dalla fase tre alla fase cinque su un totale di sei fasi.
La febbre suina non poteva non “contagiare” anche i mercati. Le Borse vanno tutte giù, i titoli delle compagnie aeree soffrono più di tutti, ma per contro le uniche a “godere di buona salute” sono le azioni delle case farmaceutiche.
FONTI INFORMATIVERepubblica Sole 24 Ore Adnkronos
Non siamo più in grado di capire se questi continui allarmi siano dovuti ad una vera notizia di epidemia, o sono creati ad hoc dalle case farmaceutiche.
Potrebbero essere anche notizie create per coprire altre notizie più gravi, come la crisi economica che ci sta investendo.........
Abbiamo i mass media così poco attendibili, qui in Italia, che non ci è dato sapere neanche se è il caso di allarmarsi e premunirsi o continuare a vivere la nosra vita tranquillamente.
Come nella favola di Esopo.