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sabato 22 ottobre 2022

Dalla Natalità alla Sovranità Alimentare fino al Merito: perché Giorgia Meloni ha cambiato il nome ai ministeri. - Antonio Di Noto

 

La scelta lessicale richiama all’idea di Italia che è il pallino della nuova premier.

Una cosa si nota subito scorrendo la lista dei ministri della nuova premier Giorgia Meloni: molti di questi hanno cambiato nome. E lo hanno fatto per riflettere i valori e la direzione del nuovo governo. Etichette che lanciano un segnale agli elettori su quello che il nuovo esecutivo si prepone di fare e che ribadiscono che quello appena formatosi – seppur europeista ed atlantista – rimane un governo di destra senza “se” e senza “ma”. Un esempio lampante è quella «natalità» di cui si fa carico la nuova ministra della Famiglia Eugenia Roccella che si è schierata contro il termine di gravidanza: «L’aborto non è un diritto». Il termine, però, può indicare anche un possibile sostegno pubblico alle famiglie che decidono di avere figli. Tuttavia, non è raro che a sinistra questo venga inteso più sulla falsa riga del motto «figli alla patria».

Il «merito» nell’istruzione e il «mare» del sud.

Compare poi un «merito» accanto all’Istruzione in carico a Giuseppe Valditara che ribadisce un principio cardine della scuola, forse lasciandone in disparte un altro, quello delle pari opportunità che devono essere garantite a chi proviene da contesti più disagiati e perciò potrebbe non avere i mezzi per stare al passo con i più fortunati. Curioso poi, che il «Mare »sia stato associato al Sud di Nello Musumeci, richiamando il più classico degli stereotipi. Anche se per quel dicastero potrebbe arrivare presto il primo scontro in maggioranza, visto che le competenze sulle capitanerie sono in capo alle Infrastrutture di Salvini.

«Sicurezza energetica» e «sovranità alimentare»

Altra aggiunta evidente è quel «sicurezza energetica» che accompagna l’ambiente nel ministero di Pichetto Fratin. Un tema figlio dei tempi che può essere interpretato come un segno dell’intenzione di rendere l’Italia indipendente sotto questo punto di vista. Nome che porta subito alla mente quella «Sovranità alimentare» che Francesco Lollobrigida – all’Agricoltura – cercherà di garantire. Tuttavia non è ben chiaro cosa si intenda con la locuzione, poiché le abitudini alimentari degli italiani vanno ben oltre quello che può essere prodotto nel Paese.

Il governo «delle imprese e del Made in Italy»

C’è un evidente richiamo alla Nazione nei nomi dei dicasteri. Che viene esplicitato nell’ormai ex ministero dello Sviluppo Economico. In mano a Adolfo Urso prende il nome di «ministero delle Imprese e del Made in Italy» rifacendosi a un vecchio pallino di Meloni. La premier, in effetti, dà 10 ministeri al suo partito; cinque vanno alla lega e altri cinque a Forza Italia, oltre ai quattro profili tecnici, che secondo le previsioni sarebbero stati di più.

https://www.open.online/2022/10/22/governo-meloni-cambio-nome-ministeri-perche/

mercoledì 3 giugno 2020

Nel nome di Cassese: i tentacoli nello Stato. - Carlo Tecce

Nel nome di Cassese: i tentacoli nello Stato

L’Emerito - Dalla cattedra di Diritto amministrativo e dal suo Istituto Irpa, ha costruito un sistema di legami e “allievi”: dai cda alla Consulta, fino ai ministeri e a Chigi.
Assiso davanti ai suoi allievi provenienti dalle università di Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Catania e Siena per la presentazione della sua rivista giuridica, lo scorso anno, Sabino Cassese sentenziò: “La Pubblica amministrazione è il tramite fra la società e lo Stato”. Il tramite, spesso, sono Cassese e i suoi allievi, radicati ovunque, negli atenei, nei ministeri, nelle autorità di controllo, nelle aziende statali. E poi chiosò: “Oggi la Pubblica amministrazione è in una morsa”. Succede quando Cassese e i suoi allievi, cura e corpo dello Stato, luminari di diritto amministrativo, fustigatori della burocrazia, si sentono spodestati o non valorizzati dalla politica incapace di perseguire il meglio. Succede adesso. Cassese e i suoi allievi sono una corporazione, ben istruita, che si ritrova nelle strutture di governo e si riunisce all’Istituto per le ricerche sulla Pubblica amministrazione e nei seminari con le locandine enciclopediche in cui si saggiano futuri ministri e capi di gabinetto.
Curriculum in sella tra Lottomatica e Generali.
Il curriculum di Cassese scritto da Cassese è lungo due pagine, circa 7.500 caratteri. Non è la versione più aggiornata, neanche la più estesa. Si tratta di una volgare epitome. Più volte compare la parola emerito. Si intende docente emerito di diritto amministrativo e si riferisce alla cattedra all’Università Sapienza e al magistero perpetuo negli atenei italiani e stranieri. Ha studiato per mezzo secolo la Pubblica amministrazione, durante gli studi ne ha creato un tipo a sua immagine. Non a somiglianza perché nessuno davvero gli somiglia.
Fratello maggiore di Antonio, che fu giudice internazionale e accademico, Sabino nacque nel ’35 in Irpinia da Leopoldo, stimato archivista e storico. Nell’autunno del 2004, quasi a settant’anni, finiti i mandati nei consigli di amministrazioni di Lottomatica, Autostrade per l’Italia e Assicurazioni Generali e non ancora elevato alla Corte costituzionale, Cassese ha fondato l’Istituto per la ricerca sulla pubblica amministrazione, in breve Irpa, e l’ha dedicato a Cassese e ai suoi allievi. Irpa ha sede nel palazzo di Generali di piazza Venezia a Roma, di fronte al fatidico balcone. Non è proprio una sede, ma un indirizzo ufficiale, poiché viene ospitata dagli affittuari di Civita, l’associazione culturale presieduta da Gianni Letta. Il primo insegnamento che Cassese ha impartito ai suoi allievi è che l’alfabeto comincia dalla lettera c. L’esclusivo elenco soci di Irpa parte da Cassese Sabino e riprende da Agus Diego. In Irpa si entra per cooptazione, a oggi i posti sono 104, si paga un obolo di un paio di centinaia di euro, si va in ritiro a Sutri, provincia di Viterbo, con lo scoccare della raccolta delle castagne. Irpa raduna un gruppo ristretto di professionisti, di nobile lignaggio o di prestigiose carriere, interi blocchi di facoltà di giurisprudenza, docenti ordinari a trent’anni, associati a dottorati appena conclusi, ragazzi svezzati a vent’anni nei ministeri, avvocati dalle parcelle dorate. Tutti uniti da un legame con Cassese o da una venerazione per Cassese, un mentore che ha costruito attorno a sé una classe dirigente, in prosa, un gruppo di potere e di lobby, che negli anni ha proliferato compatto nelle università Sapienza, Tor Vergata, Roma Tre, Luiss di Confindustria e negli apparati di governo di ogni colore politico. Gli allievi di Cassese di Irpa si assembrano spesso. Da uno, a caso, si diramano gli altri. Più che un gioco di ruolo, è un gioco di Stato. Stefano Battini collabora col professor Cassese dal ’91, è ordinario di Diritto amministrativo all’Università della Tuscia. Nel 2017 il governo Gentiloni l’ha nominato al vertice di Sna, la Scuola nazionale dell’amministrazione. Per una docenza in Sna (40.000 euro), Battini ha reclutato Lorenzo Casini, eclettico e brillante giurista, classe ’76, già presidente per un anno di Irpa e da settembre capo di gabinetto di Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali, nonché prof di Diritto amministrativo alla Imt alti studi di Lucca.
il labirinto discepoli vista Quirinale
Battini e Casini, in quest’ordine, si palesano fra i prof del master interuniversitario – Sapienza, Tor Vergata, Roma Tre, Luiss più Sna – di secondo livello in diritto amministrativo chiamato Mida. Battini, Casini e poi Davide Colaccino, iscritto di Irpa e soprattutto direttore affari istituzionali di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp). I soci di Irpa e i prof. di Mida sono sovrapponibili: pleonastico. Non solo Colaccino. Cdp in Irpa è ben rappresentata, o viceversa. Alessandro Tonetti, già vicecapo di gabinetto al Tesoro col ministro Padoan, è al vertice dell’ufficio legale di Cassa dal 31 marzo 2016. Un anno dopo Cassese è stato scomodato da Cdp per una consulenza legale in “merito alla posizione di Cassa e al suo Statuto” per 39.000 euro. Nel 2018 Susanna Screpanti è stata collocata agli “affari normativi e ai progetti speciali presso la direzione legale” di Cdp. Socia di Irpa, Screpanti è dottore di ricerca in diritto amministrativo a Roma Tre nel feudo del prof. Giulio Napolitano, figlio di Giorgio. Napolitano è stato presidente di Irpa prima di Casini e dopo l’avvocato Luisa Torchia. Nel 2018 Giulio ha ottenuto due incarichi legali da Cdp per un totale di 28.000 euro. Irpa in Consob, la commissione nazionale che vigila sul mercato borsistico, un tempo si fregiava del segretario generale Giulia Bertezzolo, decaduta il 29 marzo 2019 dopo le dimissioni del presidente Massimo Nava. In compenso, sempre nel 2019, il 20 febbraio, Napolitano è stato accolto in Consob nel comitato degli operatori e gli investitori. In Irpa il dibattito sulle concessioni autostradali sarà molto partecipato e si presume univoco. Cassese si è battuto sin da subito, dopo la tragedia del ponte Morandi, contro la revoca totale della concessione per Autostrade della famiglia Benetton. L’ha definita “sproporzionata”. Alcuni maliziosi hanno rievocato la sua esperienza nel cda di Autostrade. Di sicuro Cassese sarà in sintonia con l’amica giurista Torchia (Roma Tre), avvocato di Autostrade e in passato consigliere di Atlantia, la cassaforte dei Benetton. Sull’altro fronte, o almeno in una posizione di neutralità, in Irap c’è Lorenzo Saltari, che Danilo Toninelli, allora ministro dei Trasporti, indicò tra i membri della commissione tecnica per esaminare l’ipotesi di revoca della concessione. E in Irpa c’è anche Massimo Macrì, responsabile dei rapporti legali di Autostrade con il ministero dei Trasporti. A differenza di Macrì, Torchia e Saltari, Alberto Stancanelli, capo di gabinetto del ministro Paola De Micheli, successore di Toninelli, non è un socio di Irpa, ma a pieno titolo va considerato un allievo di Cassese. Ha trascorso vent’anni al suo fianco alla Sapienza. L’avvocato Torchia è stato il presidente più longevo di Irpa, sei anni, uno in più di Bernardo Giorgio Mattarella, figlio di Sergio, ordinario di dDiritto amministrativo a Siena. Mattarella è stato per un biennio capo del legislativo del ministero della Pubblica amministrazione con Marianna Madia. Quel periodo, che ha coinciso col renzismo, è stato l’ultimo di massimo splendore per il proselitismo di Cassese. Come se fosse tornato alla Funzione pubblica dopo l’anno da ministro nel governo Ciampi. Mattarella al legislativo, Pia Marconi alla guida del dipartimento, Elisa D’Alterio all’unità per la semplificazione: una colonna di Irpa al dicastero. Il governo giallorosa può vantare un altro socio di Irpa, però molto trasversale: Luigi Fiorentino, capo di gabinetto al ministero dell’Istruzione (mentre Saltari è al legislativo). Alla Presidenza del Consiglio ci sono i dirigenti Carlo Notarmuzi Chiara Lacava. Cassese e i suoi adepti vanno oltre Irpa. Tra gli allievi va annoverato Giacinto Della Cananea (Tor Vergata), che fu estensore del programma di governo dei 5 Stelle. L’esecutivo renziano ha rottamato l’Isfol con l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche (Inapp). Cassese apprezzò. Stefano Sacchi, il presidente, ne fu orgoglioso. Cassese fu presto coinvolto con un parere legale (25.000 euro) e con la presidenza del comitato editoriale della rivista (15.800) di Inapp. La modesta pecunia non c’entra. Le cose in Italia accadono con rigore scientifico. Se le fanno accadere Cassese e i suoi allievi.

giovedì 8 novembre 2018

Polizia, cade l’obbligo di informare i superiori. Incostituzionale la legge per fare conoscere le indagini ai governi. - Giuseppe Pipitone e Giovanna Trinchella

Polizia, cade l’obbligo di informare i superiori. Incostituzionale la legge per fare conoscere le indagini ai governi

La norma - varata nell'agosto del 2016 dal governo Renzi - era stata aspramente contestata da magistrati e investigatori. Prevedeva che l’informativa di reato - cioè il primo atto all'interno dell'inchiesta - dovesse scalare le scale gerarchiche di Polizia, carabinieri, Guardia di finanza. E chi sta all’ultimo gradino di quelle gerarchie? I rispettivi ministeri di competenza: Interno, Difesa ed Economia.

La legge che poteva consentire ai politici di conoscere in anticipo le indagini è incostituzionale. Il motivo? Lede le attribuzioni costituzionali del pubblico ministero. Lo ha stabilito la Consulta che ha accolto il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal procuratore di Bari nei confronti del governo. La norma era stata varata nell’agosto del 2016 quando a Palazzo Chigi sedeva Matteo Renzi. A luglio, invece, si erano registrate le prime fughe di notizie all’interno dell’inchiesta Consip. I vertici della centrale acquisti della pubblica amministrazione furono informati quasi in diretta dell’esistenza dell’indagine che ora rischia che di portare alla richiesta di rinvio giudizio per l’ex ministro dello Sport Luca Lotti e il generale dell’Arma Tullio Del Sette. L’ad Luigi Marroni, intercettato il 20 dicembre 2016, confessò al capo dell’ufficio legale di sapere dell’esistenza degli accertamenti “4-5 mesi” prima.

Il conflitto sollevato dal procuratore di Bari – Il procuratore del capoluogo pugliese, Giuseppe Volpe, sosteneva che la norma di fatto abrogasse parzialmente il segreto investigativo e che il governo fosse andato oltre la delega del Parlamento introducendo una sorta di deroga alla riservatezza. “Notizie riservate potevano arrivare dove non dovevano con il rischio di compromissione delle indagini”, cioè vere e proprie “fughe di notizie legittimate”, commenta il magistrato che ha definito “la sentenza come “un grandissimo successo”. Il magistrato spiega che la legge rischiava di “compromettere il segreto istruttorio e la stessa obbligatorietà dell’azione penale”. Il ricorso è stato scritto personalmente dal procuratore di Bari, rappresentato nel giudizio dai professori Giorgio Costantino e Alfonso Celotto.

La norma bocciata – Al centro dell’atto c’è  l’articolo 18, comma 5, del decreto legislativo n. 177 del 2016. La disposizione prevede che, a fini di coordinamento informativo, “i vertici delle Forze di Polizia adottino istruzioni affinché i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettano alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale”. La Corte, pur riconoscendo che le esigenze di coordinamento informativo poste a fondamento della disposizione impugnata sono meritevoli di tutela, ha ritenuto lesiva delle attribuzioni costituzionali del pubblico ministero, garantite dall’articolo 109 della Costituzione, la specifica disciplina della trasmissione per via gerarchica delle informative di reato.
Spataro: “Incostituzionale. Segreto investigativo carta straccia” – Un testo che all’epoca aveva fatto molto discutere. “Una norma a dir poco sorprendente”, l’aveva definita il procuratore di Torino, Armando Spataro segnalando subito “profili di incostituzionalità“, ma soprattutto di un “contrasto con alcune norme del codice di procedura penale che attribuiscono al pm il ruolo di dominus esclusivo dell’indagine”. “Così il segreto investigativo diventa carta straccia“, diceva il magistrato parlando di un ulteriore passo della “generale tendenza a spostare ogni attività verso l’esecutivo, persino la guida della polizia giudiziaria”. La legge, sottolineava sempre Spataro, non prevede infatti “alcun divieto” per le gerarchie delle forze dell’ordine “di riferire all’autorità politica”. La questione era arrivata sui tavoli di Palazzo dei Marescialli, con il Consiglio superiore della magistratura che si era espresso in maniera critica sul provvedimento.
Le indagini top secret al governo in anteprima –L’informativa di reato è il primo atto scritto in cui uno o più membri delle forze dell’ordine riassumono i risultati di un’inchiesta, in quel momento coperta da segreto, per trasmetterli alla magistratura, alla procura di competenza. Il “coordinamento” di cui parla il testo, necessario per evitare doppioni e sovrapposizioni, in precedenza spettava proprio ai magistrati inquirenti. Con la norma, invece, l’informativa deve scalare le scale gerarchiche di Polizia, carabinieri, Guardia di finanza. E chi sta all’ultimo gradino di quelle gerarchie? I ministeri di competenza: Interno, Difesa ed Economia. Così, per esempio, un’inchiesta per corruzione o per mafia, o qualunque indagine che possa mettere in imbarazzo un ministro, un parlamentare, un amministratore locale, potrà arrivare sul tavolo della politica prima di essere resa nota all’interessato con un provvedimento della magistratura.
La circolare di Gabrielli – Una normativa simile era già prevista i carabinieri, sottoposti al Testo unico dell’ordinamento militare del 2010. Con la legge del 2016 è stata estesa a tutti le altre forze dell’ordine. L’8 ottobre 2016 una circolare dal capo della polizia, Franco Gabrielli, spiegava che i superiori gerarchici devono essere informati anche degli ulteriori sviluppi “rilevanti” dell’inchiesta, “fino alla fine delle indagini preliminari”. Ma precisava che nel farlo è necessario “preservare il buon esito delle indagini in corso”, e quindi le comunicazioni dovevano  essere selezionate in modo “graduale” e al solo scopo di “garantire un adeguato coordinamento informativo”.

Il conflitto sollevato dalla procura di Bari  – La Corte costituzionale – giudice relatore Nicolò Zanon – aveva ammesso il conflitto tra poteri dello Stato il 6 dicembre del 2017. Anche se l’allarme sui possibili profili di incostituzionalità della norma era stato lanciato dai procuratori – Spataro in primis – e dal Csm già diversi mesi fa, in piena tempesta sull’inchiesta Consip tra fughe di notizie e dubbi sulle prove manipolate. E aveva suscitato la reazione indignata di Gabrielli. A sollevare il conflitto era stato il procuratore Bari, Volpe nei confronti del governo per quella disposizione inserita a sorpresa nel decreto che aveva accorpato la Forestale all’Arma dei carabinieri. La norma venne introdotta con l’obiettivo dichiarato di evitare duplicazioni e sovrapposizioni tra le forze di polizia e e per ottenere così un efficace coordinamento informativo. Per il procuratore pugliese, però, non solo il governo era andato oltre la delega ricevuta dal Parlamento, ma aveva di fatto abrogato parzialmente il segreto investigativo, che è uno dei cardini del nostro sistema processuale, introducendo una sorta di deroga alla segretezza.

Per procuratore Bari lesi gli articoli 109 e 112 della Costituzione – Non solo: introducendo quell’obbligo a carico della polizia giudiziaria, il governo, per il procuratore, aveva anche leso le prerogative riconosciute dalla Costituzione alla magistratura inquirente. Perché quella norma contrasta con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale (articolo 112), che garantisce l’indipendenza funzionale del pm da ogni altro potere e soprattutto da quello esecutivo; e ledeva anche l’articolo 109 della Costituzione che dà ai pubblici ministeri il potere di disporre direttamente della polizia giudiziaria.
I rilievi del Csm – Gli stessi rilievi che aveva mosso nel giugno del 2017 il Csm. L’organo di autogoverno della magistratura sollevò il problema anche del rischio di “interferenze” nelle indagini dei magistrati con la trasmissione di notizie sulle inchieste a “soggetti che non rivestono la qualifica di polizia giudiziaria e che, per la loro posizione apicale, vedono particolarmente stretto il rapporto di dipendenza organica dalle articolazioni del potere esecutivo”. La delibera fu approvata dal plenum del Consiglio superiore della magistratura. Fu quel passaggio che fece sentire “offeso” Gabrielli, “come se il sottoscritto – disse in un’intervista – e i vertici delle forze dell’ordine non avessero giurato fedeltà alla Costituzione, ma alla maggioranza di governo del momento.” Anche a giudizio del plenum il governo era andato oltre la delega ricevuta dal Parlamento. Palazzo dei Marescialli suggerì anche una possibile via d’uscita: che la comunicazione in via gerarchica sulle informative della polizia giudiziaria avvenisse “compatibilmente con gli obblighi” di legge sul segreto investigativo e non “indipendentemente” da tali obblighi, come detto nella disposizione. Che però è stata bocciata dai giudici costituzionali.

Fonte: ilfattoquotidiano del 7 novembre 2018