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mercoledì 16 giugno 2021

Istat conferma crescita della povertà assoluta nel 2020: “Riguarda 5,6 milioni di persone. Nord supera Sud per famiglie povere”.

 

Il rapporto dell'Istituto ribadisce il quadro delineato dalle stime preliminari di marzo: nell'anno della pandemia toccati valori record da 15 anni. La crescita più ampia si registra nelle Regioni settentrionali dove la povertà familiare sale al 7,6%. L'incidenza più alta tra i cittadini stranieri e nelle famiglie con minori. "Si è ridotto il valore dell'intensità della povertà assoluta grazie alle misure di sostegno come il reddito di cittadinanza e l'estensione della cassa integrazione".

Nel 2020 la povertà assoluta in Italia è tornata a crescere e ora riguarda oltre 5,6 milioni di persone. Il rapporto dell’Istat conferma le stime preliminari diffuse a inizio marzo: dopo il miglioramento del 2019, nell’anno della pandemia la povertà assoluta è aumentata raggiungendo il livello più elevato dal 2005 (inizio delle serie storiche). Confermata anche la dinamica territoriale: se l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si conferma più alta nel Mezzogiorno (9,4%, da 8,6%), la crescita più ampia si registra nel Nord dove la povertà familiare sale al 7,6% dal 5,8% del 2019. Tale dinamica fa sì che, se nel 2019 le famiglie povere del nostro Paese erano distribuite quasi in egual misura al Nord (43,4%) e nel Mezzogiorno (42,2%), nel 2020 arrivano al 47% al Nord contro il 38,6% del Sud, con una differenza in valore assoluto di 167mila famiglie.

Il report dell’Istat rileva che nel 2020 sono in condizione di povertà assoluta oltre due milioni di famiglie, pari al 7,7% del totale dal 6,4% del 2019. Si tratta appunto di oltre 5,6 milioni di individui, pari al 9,4% dal 7,7% dell’anno precedente. Cresce anche l’incidenza tra i cittadini stranieri residenti che sale al 29,3% (dal 26,9%). Nel 2020 la povertà assoluta in Italia colpisce 1 milione 337mila minori, pari al 13,5%, rispetto al 9,4% degli individui a livello nazionale. Le famiglie con minori in povertà assoluta sono infatti oltre 767mila, con un’incidenza dell’11,9% (9,7% nel 2019). La maggiore criticità di queste famiglie emerge anche in termini di intensità della povertà, con un valore pari al 21% contro il 18,7% del dato generale. Significa che oltre a essere più spesso povere, le famiglie con figli sono anche in condizioni di disagio più marcato.

In termini generali, invece, il valore dell’intensità della povertà assoluta – che misura in termini percentuali quanto la spesa mensile delle famiglie povere è in media al di sotto della linea di povertà (cioè ‘quanto poveri sono i poveri’) – registra una riduzione (dal 20,3% al 18,7%) in tutte le ripartizioni geografiche. Tale dinamica, scrive l’Istat, è frutto anche delle misure messe in campo a sostegno dei cittadini (reddito di cittadinanza, reddito di emergenza, estensione della Cassa integrazione guadagni) che hanno consentito alle famiglie in difficoltà economica – sia quelle scivolate sotto la soglia di povertà nel 2020, sia quelle che erano già povere – di mantenere una spesa per consumi non molto distante dalla soglia di povertà. Per quanto riguarda la povertà relativa, prosegue l’Istat, le famiglie sotto la soglia sono poco più di 2,6 milioni (10,1%, da 11,4% del 2019).

Anche in termini di individui è il Nord a registrare il peggioramento più marcato, con l’incidenza di povertà assoluta che passa dal 6,8% al 9,3% (10,1% nel Nord-ovest, 8,2% nel Nord-est). Sono così oltre 2 milioni 500mila i poveri assoluti residenti nelle regioni del Nord (45,6% del totale, distribuiti nel 63% al Nord-ovest e nel 37% nel Nord-est) contro 2 milioni 259mila nel Mezzogiorno (40,3% del totale, di cui il 72% al Sud e il 28% nelle Isole). In quest’ultima ripartizione l’incidenza di povertà individuale sale all’11,1% (11,7% nel Sud, 9,8% nelle Isole) dal 10,1% del 2019; nel Centro è pari invece al 6,6% (dal 5,6% del 2019).

Per classe di età, l’incidenza di povertà assoluta raggiunge l’11,3% (oltre 1 milione 127mila individui) fra i giovani (18-34 anni); rimane su un livello elevato, al 9,2%, anche per la classe di età 35-64 anni (oltre 2 milioni 394 mila individui), mentre si mantiene su valori inferiori alla media nazionale per gli over 65 (5,4%, oltre 742mila persone).

ILFQ

lunedì 23 novembre 2020

La metà dei prestiti garantiti al Nord. Sud a rischio usura. - Patrizia De Rubertis

 

Le imprese chiedono sempre più liquidità, anche perché la ottengono a basso prezzo grazie alle garanzie statali. Ma il flusso di questi soldi si ferma soprattutto al Nord, con un rischio usura nelle regioni del Sud. A otto mesi dall’avvio dei prestiti garantiti, introdotti dal dl Liquidità, da una parte ci sono i dati forniti dall’Associazione bancaria (Abi) che rilevano l’ingente crescita delle richieste di finanziamento arrivate al Fondo centrale di garanzia che hanno smosso crediti per oltre 106 miliardi. Dall’altra parte ci sono i numeri che arrivano dal territorio elaborati dal sindacato dei bancari Fabi che mostrano uno “squilibrio” nell’erogazione dei soldi: oltre il 52% dei finanziamenti garantiti dallo Stato sono andati a quattro Regioni (Lombardia 23%, Veneto 11,4%, Emilia-Romagna 10,2%, Toscana 8,2%) dove opera, però, appena il 37% di Pmi e partite Iva. Due facce della stessa medaglia.

Dal 17 marzo al 20 novembre, ha spiegato il direttore generale dell’Abi Giovanni Sabatini, nel corso di un’audizione in commissione Bilancio, sono arrivate 1 milione e 290 mila domande al Fondo di garanzia per le Pmi per un importo che ha già superato i 100 miliardi di liquidità, soglia ipotizzata dal governo all’emanazione del decreto. Di queste domande, 991 mila (oltre 19,4 miliardi) sono per prestiti fino a 30 mila euro con garanzia statale del 100% e durata di 10 anni concessi in automatico senza necessità di un’istruttoria. Poco più di 277 mila le richieste di finanziamento fino a 800.000 (non si deve superare il 25% dei ricavi) per un totale di 82,2 miliardi. Si tratta di prestiti con durata massima di 72 mesi e garanzia al 90%, ma estendibile fino al 100%.

Una massa senza precedenti di denaro che si è fermata a Bologna. La rilevazione della Fabi mostra evidenti discrepanze su base territoriale. Gli estremi sono dati da Lombardia ed Emilia-Romagna che hanno ricevuto più di un terzo del totale. dall’altra parte c’è il Molise con 4.854 richieste pari allo 0,5% del totale e 89 milioni di euro complessivi. È nelle Regioni del Centro-Nord che si concentra sia l’erogazione dei mini-prestiti che di quelli fino a 800.000 euro. Eppure in questi territori la maggior parte delle fabbriche non ha chiuso durante il lockdown di marzo e aprile. Mentre al Sud, dove c’è più bisogno di liquidità, i prestiti garantiti scarseggiano spingendo il ricorso a forme alternative di finanziamento non legali. “In una situazione così difficile non bastano i finanziamenti: sono indispensabili anche stanziamenti a fondo perduto anche per evitare che famiglie e imprese possano essere costrette a chiedere denaro agli usurai”, commenta il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni. Tanto che nei primi sei mesi dell’anno, le segnalazioni di operazioni sospette lavorate dalle banche hanno raggiunto quasi 50 miliardi, di cui il 99% relativo al rischio riciclaggio.

Le moratorie sui crediti scadranno il 31 gennaio. Al ministero dell’Economia stanno valutando la possibilità di prevederne un ulteriore prolungamento da inserire nella manovra o nel Milleproroghe. Con un occhio alla possibile esplosione dei crediti deteriorati da parte di imprese e famiglie che potrebbero non essere in grado di restituire i prestiti ottenuti.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/22/la-meta-dei-prestiti-garantiti-al-nord-sud-a-rischio-usura/6012174/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-11-22#

domenica 30 agosto 2020

Maltempo flagella il Nord, un disperso nel Varesotto.

© ANSA

L'uomo è stato travolto da un torrente, un secondo muore nel mare in tempesta nello Spezzino. Controesodo con frane e incendi. A Milano tetto scoperchiato in una Rsa, trasferiti i pazienti.

Due bambine sono in gravissime condizioni dopo che per il maltempo un albero è caduto sulla tenda dove dormivano in un campeggio a Marina di Massa (Massa Carrara). Durante un temporale nella notte, con forte vento, un albero è finito sulla tenda occupata dalla famiglia e due bimbe di 10 anni e 2 anni e mezzo sono state travolte e ora si trovano in ospedale. Sul posto sono intervenute le automediche del 118 da Massa e Querceta, un'ambulanza da Massa, carabinieri e vigili del Fuoco. È stato richiesto anche l'intervento dell'elisoccorso Pegaso ma non è potuto intervenire per il forte vento.
Ieri un uomo era stato travolto da un torrente in piena nel Varesotto. Un altro affogato nel mare in tempesta. Un diciassettenne ferito dall'ondina di un tetto staccata da una tromba d'aria a Genova. Persone bloccate in una chiesa allagata sulle sponde del lago d'Orta. I pazienti di una casa di riposo di Milano trasferiti perché nella notte, a causa del vento e della pioggia, si è scoperchiato il tetto. I passeggeri di un treno bloccato sulla linea del Brennero evacuati in Trentino: sono solo alcuni dei danni causati dalle continue ondate di maltempo che da ieri hanno colpito tutte le regioni del Nord e che non accennano a fermarsi. L'allerta infatti rimane alta per pioggia, grandine e frane nel giorno del controesodo in cui si sono registrate code e rallentamenti per chi rientrava dalle vacanze. Traffico intenso sulla A14 fra Forlì e Bologna, sull'Autosole all'altezza di Firenze e in diversi punti in Emilia, sull'autobrennero, alla barriera di Roma dell'A27, sulla A10 fra Ventimiglia e Genova e anche in Puglia. Pioggia e vento con fulmini in Versilia hanno ancora una volta provocato allagamenti nelle strade, soprattutto a Viareggio (Lucca), con notevoli rallentamenti del traffico e disagi alla popolazione. Annullati alcuni eventi programmati all'aperto per la serata, visto il preannunciato allerta arancione delle condizioni meteo.
Non sono solo i temporali a minacciare i territori e la popolazione in queste ore. Al Centro e al Sud Italia, le squadre dei vigili del fuoco e la flotta aerea del Corpo sono impegnate per fronteggiare gli incendi boschivi nelle Marche, in Toscana e in Sicilia. E in Sardegna, nell'ambito di un'operazione del Corpo forestale per individuare i responsabili di alcuni roghi nell'Isola, tredici persone sono state indagate e alcune di queste arrestate: si tratterebbe di addetti alle operazioni di spegnimento degli incendi stessi. Ma i danni maggiori riguardano soprattutto il maltempo e in particolare il dramma del disperso nel Varesotto. A dare l'allarme per il trentottenne è stato un amico che era con lui nella zona vicino al lago Delio, e che lo ha visto trascinare via nelle acque del torrente in piena. Le ricerche sono andate avanti fino a che le condizioni meteo lo hanno permesso. Poi, complice la pioggia battente, si sono dovute interrompere e riprenderanno domani. Tempo permettendo. Nello Spezzino, invece, un 51enne è annegato nelle acque di Punta Bianca: si sarebbe tuffato con la fidanzata, nonostante il forte vento e le onde. Mentre la donna è riuscita a rientrare a riva l'uomo sarebbe stato risucchiato e rapidamente scomparso tra le onde. Episodio simile, ma non dovuto al maltempo, è accaduto a Villasimius, in Sardegna, dove un turista polacco di 39 anni è morto a causa di un malore dopo essersi tuffato in mare. Ed è stato trovato senza vita fra le montagne della Valle Vigezzo, in Piemonte, l'escursionista di 47 anni di cui non si avevano notizie da giovedì scorso.
Vigili del fuoco al lavoro, da ieri sera, per arginare i danni del violento nubifragio che si è abbattuto, a più riprese, su Milano e l'hinterland milanese. Sono alcune decine gli interventi per tetti scoperchiati, allagamenti di cantine e sottopassi, cornicioni pericolanti, e soprattutto cadute di alberi, anche se fortunatamente non si registra nessun ferito. Dalle 21 di ieri, e poi ancora intorno alla mezzanotte, vento, pioggia e fulmini si sono scatenati sulla metropoli provocando l'intasamento dei tombini e delle 'bocche di lupo' dei marciapiedi, e creando gigantesche pozze. In metropolitana ci sono state alcune infiltrazioni, con la Lilla che ha riportato il blocco di svariate scale mobili in diverse stazioni. I danni più consistenti, secondo il Comando provinciale dei vigili del fuoco, si sarebbero 
 Vicino al lago di Como, fra Domaso e Gravedona, una ventina di abitanti e turisti è stata costretta a lasciare la propria casa, mentre nell'Alessandrino una frana è arrivata sull'A7, l'autostrada che collega Milano a Genova. Nel Veronese - colpito domenica scorsa dal tifone - si è verificato un nubifragio nella notte che ha creato allagamenti e sradicato piante, mentre nel pomeriggio è stata la volta di una tromba d'aria e di una fortissima grandinata, con chicchi che, nella provincia confinante di Cremona e Mantova, avevano la grandezza di uova. Danni ingenti ma ancora da quantificare a diversi edifici e soprattutto alle coltivazioni, non ultima quella dell'uva dato che la a zona del Veronese colpita è quella dove si produce il Soave. Danni ancora maggiori per una tromba d'aria nel Vicentino, mentre anche la provincia di Belluno, Cortina d'Ampezzo inclusa, è stata investita da grandinate, e forte vento con relativi danni e smottamenti.

lunedì 11 novembre 2019

Report: del leghista Giancarlo Giorgetti che se la dà a gambe davanti ai microfoni ne vogliamo parlare?

Report: del leghista Giancarlo Giorgetti che se la dà a gambe davanti ai microfoni ne vogliamo parlare?
Foto "il Messaggero"
Ragazzi: adesso anche il servizio pubblico della RAI ha messo a nudo – con i ‘numeri’ e non con i commenti – lo scippo del Centro Nord Italia ai danni del Sud. Il commento di Pino Aprile sull’ex sottosegretario della Lega, Giancarlo Giorgetti, che scappa perché non sa cosa dire ai cronisti di Report!
Il servizio che un paio di giorni fa Report – la trasmissione d’inchiesta della RAI – ha dedicato al Sud (che potete approfondire sulla Facebook di Terroni di Pino Aprile) ha aperto un dibattito interessante. Volendo, nella storia della Seconda Repubblica, è la prima volta che il servizio pubblico televisivo racconta la verità su come l’Italia ha trattato e continua a trattare il Mezzogiorno d’Italia.
Molto centrato il commento dello scrittore e giornalista Pino Aprile, leader del Movimento 24 Agosto per l’Equità Territoriale, soprattutto là dove mette in evidenza le contraddizioni della Lega di Matteo Salvini e del suo vice, Giancarlo Giorgetti. Infatti, davanti al giornalista di Report, che gli chiedeva conto e ragione della mancata applicazione della legge nazionale sul federalismo fiscale – legge voluta proprio dalla Lega – Giancarlo Giorgetti è letteralmente scappato!
Di cosa si era accorto, Giorgetti? Che se la legge – ribadiamo: voluta dai leghisti – fosse stata applicata, lo Stato avrebbe dovuto togliere soldi al Centro Nord e darli al Sud! Così la documentazione è sparita.
Scrive Pino Aprile:
“La fuga: dinanzi a dati, domande vere, non addomesticate, i ladri di diritti e verità sono scappati. Quando il cronista chiede a Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega, che fine hanno fatto i documenti sullo scippo progettato a danno del Sud (e ordinati da lui quando era presidente della Commissione parlamentare che avrebbe dovuto garantire uguali diritti a tutti e invece li rubava ai meridionali), lui farfuglia, scappa, cambia direzione, accelera, sparisce. China il capo e gira la faccia, come per non farsi riconoscere. Conservate nella memoria e in cima alle vostre pagine social quell’immagine: è la sintesi di un delitto e di una ammissione di colpa”.
Ce n’è anche per un altro leghista, Roberto Maroni:
“Quando, dopo le solite puttanate razziste sugli amministratori del Nord più onesti, per definizione e sé-dicenti – scrive Pino Aprile – l’intervistatore elenca i nomi di quelli lombardi e veneti incarcerati per mazzette, furti, appalti truccati, l’ex presidente della Lombardia Roberto Maroni, che vide il suo vice finire in galera (e lui stesso ha qualche problemino…) si alza e fugge. Conservate l’immagine nella memoria e sulle vostre pagine social: dice di che gente si sta parlando, il loro livello, e dice che hanno coscienza di quel che hanno fatto”.
Non può mancare una ‘pennellata’ su qualche esponente della ‘sinistra’ italiani in bilico tra il PD e Italia Viva di Renzi. E’ sempre Pino Aprile che scrive:
“E l’incredibile Luigi Marattin nato a Napoli, ex-PD ora Italia Viva, già consigliere economico di Renzi, e presidente della Commissione tecnica sui fabbisogni standard, indistinguibile dal peggior leghista, quando i meridionali venivano derubati di risorse e diritti, che dice: «I 35 euro in meno a un campano serve a riconoscere paradossalmente il fatto che la spesa storica è stata più bassa»! Per capirci, il cotale dice che per ‘far riconoscere’ che i terroni sono stati fottuti dallo Stato, tramite i partiti (tutti), li fottiamo di nuovo. Metti che poi uno non se ne accorge, se smetti di derubarlo… La Lega porta la nomina, ma tutti i partiti sono al servizio del potere nordico, con uso massiccio di ascari del Sud (il PD manda i dirigenti del Nord a capeggiare almeno la metà delle liste elettorali al Sud; la Lega lascia fare il lavoro sporco agli indigeni, poi invia i commissari in tutte le regioni meridionali, ad amministrare le colonie)”.
La “spesa storica”: l’ultima trovata della Lega e dei partiti politici nazionali per gabbare i circa 20 milioni di abitanti del Sud: siccome i Terroni hanno sempre avuto meno soldi, beh, che continuino ad avere meno soldi!
“Si possono scrivere molte cose della puntata di Report – scrive sempre Pino Aprile – su come il Sud è depredato, ma dopo il successo di libri meridionalisti su cui nessuno avrebbe scommesso un soldo; dopo il dilagare sul Web di verità storiche e contemporanee taciute dalla macchina nazionale della comunicazione (inclusa, e anzi in prima fila, quella di Stato); dopo l’ottima trasmissione di Riccardo Iacona; la puntata di Report sdogana gli ultimi dubbi: l’informazione sui furti di risorse e diritti ai danni dei meridionali, da parte dello Stato, tramite i partiti ‘nazionali’ complici del potere politico ed economico del Nord (tutti, e inclusi, ripeto, i rappresentanti del Sud), è uscita dalle catacombe dei ‘sudisti’ (lo dicono in termini dispregiativi), dei neoborbonici (dispregiativo, ovvio), eccetera. Non è più roba da lamentela terronica e ‘rimboccatevi le maniche'”.
Ragazzi: questa volta è stata la RAI a mettere in luce le magagne di un Centro Italia che toglie risorse al Sud, peraltro non su commenti, ma sulla base di dati ufficiali, oggettivi, impossibile da smentire: non a caso il leghista Giorgetti se l’è data a gambe!
“Quindi, è fatta? – si chiede e chiede Pino Aprile -. No, ovvio. Ora dobbiamo temere l’uso di questa informazione, da parte di chi si è scoperto alfiere dei diritti negati al Sud qualche minuto fa (e può succedere, non è una corsa a chi arriva prima), ma per renderla ancora una volta funzionale, però ‘da Sud ribelle (quasi…)’, ai soliti interessi. Non dimentichiamo il piano dei primi anni Novanta, concertato fra Lega e mafia, per la creazione di ‘leghe’ meridionali apparentemente contro quella Nord, di fatto al suo servizio (l’ideologo razzista Gianfranco Miglio scese a Catania per incontrare il latitante boss Nitto Santapaola)”.
“Ora diventa persino più difficile gestire e analizzare l’informazione, però parliamo di qualcosa che non c’era e adesso c’è, che è poca, ma cresce e può dilagare da un momento all’altro; se lo fa nella direzione sbagliata, sarà difficile correggerla. Un problema. E finalmente il problema è questo! Fatemelo ripetere: vederli, quei prepotenti e ladri di equità, fuggire dinanzi a una domanda, alla loro colpa, alla vergogna… Tante volte ti chiedi “ma chi me lo fa fare!”; ecco quella può essere una risposta. Ne vale la pena”, conclude Pino Aprile.
Ah, dimenticavamo: Giancarlo Giorgetti è quello che, da sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, durante il Governo Giallo-Verde, si è reso protagonista della seguente furbata:
“Ha fatto mettere, nero su bianco, che le risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione verranno utilizzate man mano che i progetti saranno ‘cantierabili’, cioè esecutivi, cioè pronti per essere realizzati. Peccato che non sono stati specificati i luoghi dove la ‘cantierabilità’ dei progetti si materializzerà. Che significa? Semplice: che siccome il Sud ha pochi progetti ‘cantierabili’, mentre nel Centro Nord ci sono già tanti progetti ‘cantierabili’, una parte delle risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione – che sono fondi del Sud – andrà al Centro Nord Italia!”
“Un ‘meraviglioso’ scippo silenzioso ai danni del Sud targato Lega di Matteo Salvini-Giancarlo Giorgetti. A quanto ammonterebbe questo nuovo scippo al Sud in salsa leghista? A circa 10 miliardi di euro. C’è un rimedio? Certo: il Ministro del Sud, Giuseppe Provenzano, dovrebbe bloccare subito questa furbata: e pazienza se leghisti, renziani e PD ci resteranno male!

venerdì 5 luglio 2019

‘Ndrangheta a Nord, nelle carte i legami politici del clan: “A Lonate Pozzolo i voti dei boss in cambio di posti in giunta”. - Giuseppe Pipitone

‘Ndrangheta a Nord, nelle carte i legami politici del clan: “A Lonate Pozzolo i voti dei boss in cambio di posti in giunta”

Non c'è solo l'affare dei parcheggi dell'aeroporto di Malpensa nell'ultima operazione antimafia della procura di Milano. L'ex sindaco di Lonate racconta: "Vi sono diverse famiglie originarie di Cirò Marina, che esercitano un controllo sul territorio. Mi hanno appoggiato nella campagna elettorale. In cambio volevano la figlia assessore". Il gip su Misiano, il consigliere di Fdi arrestato: "Intermediario tra il mondo politico ed alcuni esponenti di spicco della cosca mafiosa". E si scopre il tentativo di pestaggio per il candidato sindaco antimafia.


Trecento voti bastavano per far vincere un sindaco. Solo che erano voti di ‘ndrangheta. Non c’è solo l’affare dei parcheggi dell’aeroporto di Malpensa nell’ultima operazione antimafia della procura di Milano. Trentaquattro arresti in otto province, accuse che vanno dall’associazione mafiosa alle lesioni e allo spaccio di droga, e una certezza: “Negli ultimi dieci anni, nonostante le indagini e gli arresti, non è cambiato nulla. Le cosche sono ancora padrone del territorio“. Parola di Alessandra Dolci, procuratore aggiunto del capoluogo lombardo che ha coordinato l’inchiesta sui clan a Lonate Pozzolo e Ferno, due piccoli centri in provincia di Varese praticamente attaccati allo scalo di Malpensa.
“Voti in cambio di posti in giunta” – Due comuni che, secondo il gip Alessandra Simion, versano in una situazione “particolarmente critica“. Il motivo? “Le giunte sono espressione della capacità del gruppo criminale di veicolare considerevoli quantità di voti, barattandoli con la nomina di familiari e parenti a cariche politiche ed amministrative”, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare del giudice per le indagini preliminari di Milano. Una ricostruzione, quella degli investigatori, che si basa anche su un testimone eccellente: Danilo Rivolta, ex sindaco di Lonate Pozzolo di Forza Italia. Arrestato nel maggio del 2017 con l’accusa di corruzione, Rivolta ha patteggiato quattro anni di carcere nel settembre del 2017. Due mesi prima, nel luglio del 2017, si era seduto davanti ai pm per mettere a verbale una storia pericolosa: quella della ‘ndrangheta che fa politica in provincia di Varese. “A Lonate Pozzolo vi sono diverse famiglie originarie di Cirò Marina, che esercitano un controllo sul territorio – è il racconto dell’ex primo cittadino – Hanno tutte delle imprese edili ed artigiane. Le attività regolari riguardano per lo più il settore edilizio. Ho appreso tali notizie da Franco De Novara. Nella giunta in cui io ricoprivo la carica di assessore all’Urbanistica, vi era la sorella di De Novara Franco (a sua volta cognata di Alfonso Murano, ucciso nel 2006 ndr). Nel 2009, questi pretese l’assunzione della sorella alla Saap. Venne assunta e, di seguito abbiamo agevolato la sua assunzione alla fondazione musicale Puccini di Gallarate. Premetto che sua figlia Francesca è l’attuale assessore alla cultura, sport e tempo libero”.
“I calabresi mi dissero che mi avrebbero appoggiato” –Insomma, già prima dell’elezione di Rivolta a sindaco la ‘ndrangheta faceva politica a Lonate Pozzolo. Poi, nel 2014, ha deciso di puntare su di lui. “Nel febbraio, marzo 2014, Peppino Falvo (il coordinatore dei Cristiano-popolari ndr) venne da me e mi disse che i De Novara mi avrebbero appoggiato nella campagna elettorale. Franco De Novara in cambio voleva che la figlia Francesca venisse nominata assessore. Loro, nel frattempo, avrebbero provveduto a farmi prendere dei voti. Francesca De Novara ha preso 300 voti“. Un bel pacchetto di preferenze in una città dove gli elettori sono circa 5mila. “La mia lista è stata supportata anche da Cataldo Casoppero. Dopo la mia elezione ho effettivamente nominato la figlia di De Novara assessore alla cultura”, continua il suo racconto l’ex sindaco davanti ai pm di Busto Arsizio.  Insomma in provincia di Varese i clan si “compravano” con i voti i posti in giunta. E quando qualcosa nell’amministrazione non andava, si lamentavano direttamente con il primo cittadino: “Una sera Franco De Novara si lamentò con me del fatto che destinavo pochi soldi all’assessorato di sua figlia e del fatto che ricadeva a sulla stessa un’iniziativa sulla legalità, che lei non si sentiva di sostenere. In quel periodo era già stato programmato il matrimonio tra Francesca De Novara e Malena Cataldo, luogotenente di De Castro Emanuele. Le famiglie calabresi controllavano il mercato della droga”. 
“Quel pagliaccio di sindaco” – Insomma, secondo il gip “emerge chiaramente la consapevolezza degli indagati, e fra questi principalmente Casoppero Cataldo Santo, che l’elezione di Rivolta era stata appoggiata da famiglie calabresi di origine cirotana, stanziate storicamente in zona”. Casoppero è un imprenditore d’origine calabrese che abita a Lonate da anni. Già arrestato nel 2009, è considerato un boss. “Ma a Lonate tutti calabresi siete?“, gli chiede a un certo punto un suo conoscente. “È quella la fregatura, hai capito perchè? Noi gli ultimi arresti del 2009, per questo pagliaccio di sindaco, siamo andati a finire in galera. Prima l’abbiamo messo su come sindaco e poi è andato a dire che qua c’è la ‘ndrangheta “, risponde Casoppero, intercettato. “Questo è un pagliaccio”, conferma il suo interlocutore. Lapidaria la risposta: “Eh ma i lombardi sono tutti così; ti devi fidare pochissimo, per niente proprio”.
Il nuovo “referente”: Misiano – Dopo l’arresto di Rivolta per corruzione, i clan “ingaggiano” un nuovo referente: si chiama Enzo Misiano, ed fa il consigliere comunale di Fratelli d’Italia a Ferno. Anzi faceva: lo hanno arrestato nell’inchiesta. Non si tratta di un politico minore, ma è il plenipotenziario del partito di Giorgia Meloni nella zona. Nelle carte il gip lo individua come il “responsabile per i comuni di Ferno e Lonate per Fratelli d’Italia” e in quanto tale “decide autonomamente le candidature del partito, avendone avuta ampia delega dal suo referente diretto l’onorevole Paola Frassinetti, portavoce regionale Lombardia”. Solo che parallellamente, per l’accusa, è anche il “referente politico dei ‘calabresi‘. Un ruolo che gli consente di essere “potenzialmente in grado di contribuire alla causa politica della sua coalizione con un considerevole pacchetto di voti”. 
L’intermediario tra clan e politica – Secondo gli inquirenti il consigliere di Fdi “in più occasioni” ha svolto il ruolo di “intermediario tra il mondo politico ed alcuni esponenti di spicco della cosca mafiosa, tra i quali Giuseppe Spagnolo, Mario Filippelli, Emanuele e Salvatore De Castro ed esponenti della famiglia dei De Novara. In più circostanze, Misiano si propone per dirimere controversie che esulano dalle sue competenze politiche”. Un esempio? Quando Alessandro Pozzi gli chiede una mano. Pozzi fa il consigliere comunale a Ferno. È stato eletto da Forza Italia, prima di passare con Fratelli d’Italia, e a un certo punto diventa l’obiettivo di un’estrosione da parte dei fratelli De Novara. Cosa fa per difendersi? Denuncia alla polizia? Nossignore. Si rivolge a Misiano per risolvere la faccenda. ” Altamente significativa la condotta di un amministratore locale che, anziché rivolgersi alle Autorità, si rivolge alla criminalità organizzata per risolvere una questione tanto delicata”, annota il gip nell’ordinanza. Misiano, però, è soprattuto di politica che si occupa. Dopo l’arresto di Rivolta, infatti, a Lonate si torna a votare. E Misiano “diviene il catalizzatore del pacchetto di voti mosso dalla locale, veicolandoli verso la coalizione d’appartenenza che vede Angelino Ausilia candidata alla carica di sindaco”. Il clima in paese è pesante dopo le vicende giudiziarie della giunta Rivolta, e Misiano convoca più una riunione tra la maggioranza di centrodestra. C’è anche Gioacchino Caianiello, il ras dì Forza Italia nella zona, recentemente arrestato per le tangenti in Lombardia. Scrive il giudice: “Significativo il passaggio in cui Misiano cita Caianiello dicendo: “Le partecipate, alla fine la riunione, un cinema, la riunione in Comune è venuto Caianiello, un macello, Canianiello, Cattaneo, Petroni, ho hatto venir già la Frassinetti”.
Il tentativo di pestaggio – Le elezioni non andranno bene per Misiano e i calabresi: perderanno per 500 voti contro la sindaca Nadia Rosa. Terzo arriva Modesto Verderio, ex consigliere comunale della Lega che però si era candidato con Grande Nord (il partito di Matteo Salvini era nella lista civica di centrodestra). Verderio a Lonate ha condotto molte campagne politiche contro la ‘ndrangheta. E anche durante la campagna elettorale non si sottrae: rilascia un’intervista a un giornale locale per attaccare gli esponenti della criminalità calabrese ormai residenti in zona. Che non la prendono bene. Cataldo Casoppero commenta così l’intervista: “Quell’altro pagliaccio di Verderio che scrive su Lonate News, che lui prende a calci tutti i cirotani, la ‘ndrangheta la manda via. Adesso prende le botte però”. Il progetto è chiaro: pestare il politico anti ndrangheta: “Abbiamo deciso che lo facciamo picchiare. Devo vedere dove cazzo fa il comizio e devo trovare, facciamo venire due albanesi e lo facchiamo picchiare al comizio stesso”.  Gli amici di Casoppero cercano di fermarlo: “Si alza un polverone, specialmente ora sotto elezioni”. Il pestaggio di un candidato sindaco avrebbe fatto rumore: e Verderio fu risparmiato. Non è la Calabria e non sono neanche gli anni ‘70: è il profondo Nord. Dove la ‘Ndrangheta c’e ancora.
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giovedì 27 giugno 2019

‘Ndrangheta in Emilia, il caporalato del clan: operai inviati a Bruxelles. “Paghe da fame e un terzo dei soldi finiva ai boss” - Paolo Bonacini

‘Ndrangheta in Emilia, il caporalato del clan: operai inviati a Bruxelles. “Paghe da fame e un terzo dei soldi finiva ai boss”

L'ultima inchiesta contro i Grande Aracri ricostruisce le vicende legate all’intermediazione di manodopera. Sono la fotocopia di quanto emerso in Aemilia sulle attività di ricostruzione post terremoto nel 2012. Per i cantieri del Belgio, dove operavano società di costruzione albanesi, partivano decine di lavoratori disoccupati e bisognosi, reclutati in Emilia Romagna nel 2017 e formalmente assunti da una impresa di Firenze che in realtà era solo un paravento.

L’inchiesta Grimilde è come una dependance di Aemilia, il maxi processo alla ndrangheta in Nord Italia. Una succursale che aveva sede a Brescello, chiusa dagli arresti ottenuti dalla pm di Bologna, Beatrice Ronchi. Settantasei gli indagati (13 nella sola Brescello), 16 custodie cautelari, 13 persone accusate di 416 bis, appartenenza ad associazione criminale di stampo mafioso. Una famiglia sotto accusa, quella di Francesco Grande Aracri, della moglie Santina Pucci, dei figli Paolo, Rosita e Salvatore, detto Calamaro e vero reggente delle attività esterne dopo che la nomea del padre era stata compromessa dalla condanna in Edilpiovra. L’uomo che già secondo Aemilia era il vero proprietario dei due locali più “in” di Reggio Emilia, qualche tempo fa, sul fronte discoteche giovanili: il Los Angeles a Quattro Castella e l’Italghisa in città. Anche Carmelina, moglie di Salvatore e con lui residente a Brescello, è indagata, e assieme a lei altri quattro membri della famiglia Passafaro che abita a Viadana.
Erano loro, con illustri compagni di avventura, a mandare avanti le attività di ‘ndrangheta dalla dependance di Brescello dopo il gennaio 2015, con il consueto corredo di intestazioni fittizie, minacce e intimidazioni, falsi e truffe, estorsioni e recupero crediti, furti e sfruttamento dei lavoratori. Carpentieri e muratori in particolare, reclutati dal capofamiglia Francesco Grande Aracri che insegnava al figlio Salvatore come si utilizza al meglio il caporalato e andava personalmente a Bruxelles per gestire le attività che varcavano i confini nazionali.
Le vicende legate all’intermediazione di manodopera sono la fotocopia di quanto emerso in Aemilia sulle attività di ricostruzione post terremoto nel 2012. Per i canteri del Belgio, dove operavano società di costruzione albanesi, partivano decine di lavoratori disoccupati e bisognosi, reclutati in Emilia Romagna nel 2017 e formalmente assunti da una impresa di Firenze che in realtà era solo un paravento. I collegamenti con il Belgio erano garantiti da Mario Timpano, indagato residente a Dilbeek nel paese del nord, mentre ad attendere la manovalanza a Bruxelles e a smistarla nei cantieri era Davide Gaspari, nato in Germania e residente a Viadana di Mantova, finito ora agli arresti domiciliari.
Un terzo del compenso per il lavoro prestato finiva nelle tasche della ‘ndrangheta, mentre i carpentieri e i muratori ottenevano pagamenti da fame. Un caso per tutti: l’operaio Francesco Sciano che ha lavorato per 100 ore ricevendo 675 euro in contanti (6,75 euro l’ora) senza busta paga, senza indennità, senza contributi, pagandosi da solo il vitto nelle settimane dal 25 marzo al 13 aprile 2017. Peggio degli emigranti italiani nelle miniere del Belgio settant’anni fa. 
L’insieme dei reati di Grimilde è stato commesso tra il 2004 e il 2018, con particolare intensità d’azione negli ultimi quattro anni, quando gli uomini liberi della cosca coprivano anche i vuoti lasciato da quelli in galera. Quando in molti a Reggio Emilia si illudevano che tutto fosse finito. Il caso più eclatante è quello riguardante Giuseppe Caruso, dipendente dell’Ufficio delle Dogane di Piacenza, accusato del 416 bis assieme al fratello Albino e capace (a proprio dire) di muovere mari e monti per gli interessi della cosca. Giuseppe Caruso è anche presidente del Consiglio comunale di Piacenza, in quota a Fratelli d’Italia: Giorgia Meloni ne ha annunciato ieri l’espulsione dal partito del presidente arrestato.
Anche l’ex presidente del Consiglio Comunale di Parma Giovanni Paolo Bernini (Forza Italia) fu accusato in Aemilia di concorso esterno all’associazione mafiosa, ma il reato venne riqualificato ed estinto per avvenuta prescrizione. Anche il capogruppo di Forza Italia in Consiglio Comunale a Reggio Emilia, Giuseppe Pagliani, è ancora sotto processo in Aemilia, dopo l’assoluzione di primo grado, la condanna in appello e la decisione della Cassazione di rinviarlo ad un nuovo appello. E infine l’11 luglio prossimo, tra pochi giorni, il Gup di Bologna si pronuncerà sulla richiesta di rinvio a giudizio presentata dalla procura nei confronti di 11 persone, tra cui funzionari pubblici dello Stato, accusati di violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario, con l’aggravante del metodo mafioso, in concorso con l’allora senatore Pdl Carlo Giovanardi, ex componente della commissione parlamentare antimafia. Il tutto all’indomani del terremoto, per ottenere la riammissione nella white list della Bianchini Costruzioni srl. La stimata impresa che – per l’accusa – utilizzava manodopera fornita dalla ‘ndrangheta.
Un’altra società che casca nelle mani dei Grande Aracri di Brescello, con un ruolo in questo caso giocato anche dal capo dei capi Nicolino, è la azienda Vigna Dogarina srl di Treviso, alla quale i Grande Aracri portano via tonnellate di vino per centinaia di migliaia di euro che non verranno mai pagati, mostrando credenziali false di false o vere società. In un caso presentano alla Dogarina una fideiussione per tre milioni di euro apparentemente emesso dalla Banca Barclays nel 2013 e si portano via un milione di bottiglie di prosecco. Peccato che la fideiussione fosse falsa.

martedì 2 febbraio 2016

CIMITERO NAZIONALE DI SCORIE NUCLEARI IN VENETO? - Gianni Lannes



Nonostante il popolo italiano si sia pronunciato per ben due volte con i referendum (1987 e 2011), contro l'energia atomica, ben cinque centrali nucleari non sono state ancora bonificate, e così le officine ed i laboratori di fabbricazione del combustibile atomico, senza contare gli arsenali atomici degli Stati Uniti d'America nel belpaese. Inoltre, ogni anno, in media vengono sfornate ben 550 metri cubi di scorie radioattive dalle produzioni industriali e sanitarie. Secondo l'agenzia Askanews, con molta probabilità il deposito unico dei rifiuti radioattivi sorgerà nel Nord Italia. A svelare la possibile ubicazione è stato alcuni giorni fa, durante un convegno, il sottosegretario del Ministero dello Sviluppo economico, Simona Vicari.

«A breve - ha dichiarato il sottosegretario - il Governo rivelerà l'esatta localizzazione del deposito unico nazionale. Posso dire che al Nord alcune località più di altre si stanno attrezzando per accoglierlo. Al di là della sindrome nimby, non dimentichiamo che il deposito nazionale è una grande opportunità di sviluppo che comporta anche vantaggi economici per la località che lo ospiterà». Perché la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) non è stata ancora resa di dominio pubblico, ma addirittura sottoposta a segreto di Stato in violazione della Convenzione europea di Aarhus, ratificata dalla legge italiana numero 108 del 2001?

«La parole del sottosegretario allo sviluppo economico Simona Vicari, raccolte a margine dell'Italian Energy Summit, sono fuori luogo. Invece di far uscire indiscrezioni, il Governo dovrebbe rispettare la legge, che prevede tempi certi per rilasciare la carta con l'indicazione dei siti candidati ad ospitare il deposito unico per i rifiuti nucleari, per avviare una opportuna discussione con le comunita' locali e le amministrazioni interessate. Tempi, questi, ampiamenti scaduti» dichiara il presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, detta 'Ecomafie', Alessandro Bratti. «Rimane poi un fantasma l'Ispettorato per il nucleare- Isin, la cui nomina del direttore e' ferma da mesi, con il nome del candidato ritenuto da tanti inidoneo, rimasto nel limbo, in attesa di chissa' quale evento. Cio' detto, la dichiarazione del sottosegretario Vicari potrebbe far immaginare una trattativa sotterranea su ipotetici siti nel Nord Italia, con una procedura perlomeno curiosa», conclude Bratti.

Sono per caso in corso trattative sotterranee con i politicanti della regione Veneto, e con Palazzo Balbi in particolare, dopo l'impugnazione governativa dei referendum su autonomia e indipendenza? E’ stato scelto l’ex mitico nordest, forse perché la gente del luogo è ritenuta pacifica e remissiva, a differenza di quella del Mezzogiorno d'Italia (nel 2003 Scanzano Ionico docet)? Forse perché in questo territorio di frontiera, esistono già depositi nucleari dismessi dalle autorità militari di Washington, come nel caso documentato di “site Pluto” a Vicenza e altrove? Il primo ministro pro tempore Matteo Renzi, è in grado di smentire con dati di fatto questa solida indiscrezione? 

In Italia, sul nucleare è stata bruciata una quantità impressionante di denaro pubblico, ma nessun risultato operativo è stato ancora raggiunto. E', in particolare, fallimentare la ricerca di un deposito per lo scorie nucleari ad alta radioattività. Anche perché nuovi problemi continuano ad accumularsi. Circa sei mesi fa doveva essere presentata la mappa dei possibili luoghi dove sistemare le scorie nucleari. Era un impegno solenne del governo Renzi. Poi sono cominciati rinvii incomprensibili e, tuttora, sei mesi dopo, non si sa niente al riguardo, a parte la recentissima esternazione della Vicari. Si conoscono solo i criteri utilizzati per individuare il sito adatto o meglio per escludere luoghi ove sarebbe pericoloso sistemare sostanze tanto dannose alla salute.
Il 2 gennaio 2015, la SOGIN ha consegnato a ISPRA la proposta di Carta delle aree potenzialmente idonee a ospitare il deposito. Il 13 marzo, ISPRA ha presentato la sua relazione ai ministeri dello Sviluppo economico e dell'Ambiente. Il 16 aprile i due ministeri hanno rimandato il rapporto a SOGIN e ISPRA chiedendo approfondimenti tecnici, mai specificati. Anzi tenuti rigorosamente segreti, alla faccia della tanta conclamata trasparenza renziana.
Quello che dice la Vicari fa immaginare che in questi giorni il dossier sul deposito radioattivo stia completando l'ultima tappa a Palazzo Chigi. Non ci sarà quindi la gara fra tanti comuni per aggiudicarsi il deposito, come aveva preconizzato un altro sottosegretario qualche mese fa. La decisione sarebbe già stata presa, il che spiegherebbe gli incomprensibili rinvii: trattative riservate con Comuni e Regioni. Era previsto e considerato necessario anche un dibattito aperto a tutti.  Ma in che termini dibattere, considerata la dichiarazione della Vicari?

Peraltro il costo della gestione fallimentare della stagione nucleare italiana è decisamente elevato. Nella bolletta elettrica per le scorie paghiamo da decenni una cifra attorno ai 250 milioni di euro annui. E per il cosiddetto decommissioning i costi complessivi si aggirano attualmente sull'ordine della decina di miliardi, ma sono destinati a lievitare ancora senza alcun risultato positivo.  

«Non c'è chiarezza su cosa realmente si intenda fare e per questo si corre il serio rischio che le popolazioni facciano saltare il banco - afferma il senatore Cinque Stelle, Gianni Girotto - Sono troppi i punti oscuri. La normativa prevede la definizione di un programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi con la partecipazione del pubblico; prevede la creazione dell'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare, un ente con funzioni di controllo e di vigilanza delle attività nucleari; prevede l'adeguamento della classificazione dei rifiuti radioattivi alle normative internazionali. Ma su nessuna di queste questioni è stata ancora data una risposta soddisfacente».

Comunque solide contestazioni potrebbero essere rivolte al piano che prevede la realizzazione di un deposito nazionale per i rifiuti a bassa e media attività (restano pericolosi per almeno 300 anni), che però dovrebbe ospitare «in modo temporaneo» anche i rifiuti ad alta attività (pericolosi per centinaia di migliaia di anni). Le scorie a bassa e media attività vanno custodite in un deposito di superficie, le altre in un deposito geologico di profondità (che al momento nessuna nazione è riuscito a completare), capace di garantire per migliaia di generazioni la sicurezza e la trasmissione dell'informazione sul rischio.

Di fronte a queste preoccupazioni,  la Vicari elenca i presunti vantaggi che derivano dalla creazione del deposito nazionale: investimenti per miliardi di euro, realizzazione di un parco tecnologico, alcune centinaia di posti di lavoro. Insomma, la solita aria fritta. In ogni caso, se tutto è così semplice e chiaro perché tanti rinvii e tanti misteri? In tutto, secondo le stime ufficiali, dovranno trovare posto circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività (per il 60% prodotti dalle attività di smantellamento degli impianti nucleari e per il 40% dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca) e circa 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività (anche con circa 1.000 metri cubi di combustibile ritrattato di ritorno da Francia e Gran Bretagna).

Infine, esistono già in Italia, da nord a sud, una dozzina di depositi nucleari definitivi gestiti dalla Sogin, per non dire di tutti quelli privati e di quelli controllati direttamente dalle ecomafie, spesso per conto dello Stato tricolore. Dulcis in fundo, la centrale nucleare militare segreta in Toscana, controllata dal ministero della difesa. Allora, come si fa ancora a blaterare di deposito unico? All’orizzonte non si profila alcuna sicurezza, ma soltanto un gigantesco affare per i soliti noti padroni del vapore.



TRA PUGLIA,CAMPANIA E BASILICATA SARA' REALIZZATO IL CIMITERO ITALIANO DI RIFIUTI RADIOATTIVI 


Il cimitero italiano di rifiuti radioattivi sarà realizzato ai confini di Puglia, Campania e Basilicata. Ovviamente, a tutt'oggi all'insaputa delle popolaizoni meridionali. Infatti, la carta delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), già vidimata da Ispra e Sogin, doveva essere resa di dominio pubblico già da tempo, ma il governo Renzi ne ha vietato la pubblicazione, viololando la convenzione europea di Aarhus, ratificata dalla legge italiana 108 dell'anno 2001. In merito, il 16 ottobre 2015 ho inviato una e-mail al presidente della regione Puglia Michele Emiliano. Dopo tre mesi e mezzo ancora non risponde. Perché? L'ineletto Matteo Renzi è in grado di smentire questi fatti con prove alla mano? Gianni Lannes

mercoledì 12 settembre 2012

'Ndrangheta: in Brianza un bunker come in Aspromonte. - Salvatore Garzillo




Arresti anche a Milano, boss tra estorsioni.


La 'ndrangheta è sempre più a suo agio al Nord. Lo dimostrano le indagini dei carabinieri del Ros e della Dda di Milano, che oggi hanno portato all'esecuzione di 37 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettanti affiliati alle cosche presenti sul territorio di Milano e provincia. L'operazione "Ulisse" - chiamata così dal nome di Ulisse Panetta, presunto boss della 'locale' di Giussano - ha permesso di scoprire non solo traffici e schemi criminali, ma anche atteggiamenti nuovi dell'organizzazione calabrese. Un esempio è il bunker trovato in via Boito 23 a Giussano, piccolo comune della Brianza, precisamente nell'abitazione di Antonio Stagno, 44enne giussanese detenuto per altra causa nel carcere di Opera. Una botola nascosta nel pavimento della cucina, con un perfetto meccanismo di apertura telecomandata.
Un bunker in piena regola per scappare ai blitz della forze dell'ordine, identico a quelli di 'ndranghetisti latitanti dell'Aspromonte. Si tratta di un vero e proprio bunker con una parete mobile che si aziona con un telecomando - ha spiegato il pm della Dda di Milano, Alessandra Dolci - come quelli che siamo soliti trovare in realtà come San Luca o Platì. Determinanti per l'operazione condotta dai carabinieri del comando provinciale di Milano e coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dai pm Alessandra Dolci e Cecilia Vassena, sono state le rivelazioni del 'nuovo' pentito della 'ndrangheta in Lombardia, Michael Panaja, che era stato arrestato assieme a un altro pentito, Antonino Belnome (che ha gia' parlato di alcuni omicidi avvenuti negli ultimi anni), perché ritenuto uno dei responsabili dell'omicidio di Carmelo Novella.
Quest'ultimo, 'capo dei capi' delle cosche dalla 'ndrangheta in Lombardia, venne ucciso in un bar nel milanese nel luglio 2008, perche' voleva rendere autonome le 'locali' lombarde dalla casa madre calabrese. Panaja avrebbe svelato le attività delle cosche lombarde dal luglio 2010 in poi, rivelando quanto accaduto dopo il maxi-blitz 'Infinito' della Dda di Milano che aveva portato ad oltre 170 arresti e a 110 condanne con rito abbreviato. Gli investigatori hanno scoperto che, oltre al traffico di droga e alla detenzione di armi (Kalashnikov, mitragliette Uzi, bombe a mano), l'organizzazione si occupava di usura ed estorsioni nei confronti di imprenditori locali, soprattutto di origini calabresi. Quasi nessuno ha denunciato le vessazioni, restando in un clima di omertà che ha ostacolato le indagini. Anche un politico, Francesco Gioffré, consigliere comunale di Seregno (Milano), con un atteggiamento "vicino alla connivenza", scrive il gip nell'ordinanza, tentò "di minimizzare" con le sue dichiarazioni agli inquirenti le minacce subite dal fratello Roberto, vittima di estorsione da parte della cosca della 'ndrangheta dei Cristello.
Nonostante cio', sono tanti gli episodi raccolti dai militari, a partire dal 2007, quando le vittime dell'estorsione furono i titolari della concessionaria di auto "Selagip 2000" di Giussano, a cui venne chiesto il pagamento di 500mila euro dopo minacce, telefonate minatorie, attentati incendiari, e l'esplosione di colpi di pistola contro le vetrine. E' del 2010, invece, quella nei confronti di Domenicantonio Fratea, imprenditore nel settore immobiliare e titolare di una bar a Giussano. A lui vennero chiesti 80mila euro con la medesima modalità intimidatoria. La lista prosegue con Roberto Gioffré, titolare di una sala giochi che alla fine del 2010 fu costretto a rinunciare a un credito di 70mila euro, che vantava nei confronti di alcuni affiliati, dopo numerose minacce. Infine, Stefano Sironi, imprenditore edile di Giussano, costretto a riconoscere interessi esorbitanti sulle somme prestate dalla cosca.