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giovedì 23 dicembre 2021

Quirinale, Draghi si autocandida presidente. Ma l’aut aut fa arrabbiare i partiti. - Wanda Marra

 

SEGNALE DIRITTO - L'ex Mr. Bce si sbilancia durante la conferenza di fine anno. “Ricatto” alla maggioranza: la strada è tutta in salita.

Tra un applauso della stampa ancora prima che inizi a parlare e una quasi ovazione alla fine, Mario Draghi mette sul tavolo la propria candidatura al Quirinale nella conferenza stampa di fine anno. Con un linguaggio chiaro, ma sufficientemente elusivo da non essere diretto. “Abbiamo reso l’Italia uno dei Paesi più vaccinati del mondo, abbiamo consegnato in tempo il Pnrr e raggiunto i 51 obiettivi”. Dunque, l’operato del governo può continuare “indipendentemente da chi ci sarà”. La risposta chiave arriva alla prima domanda, il premier si mette in campo. Il segnale arriva più diritto rispetto alle previsioni. Non ha aspettato di farsi ulteriormente logorare dai partiti, Draghi, e neanche ha atteso il ritiro di Silvio Berlusconi. Ha lasciato dire a Sergio Mattarella il suo ennesimo “no” al bis. E poi ha voluto chiarire di persona quello che da Palazzo Chigi raccontavano ormai da settimane: “È immaginabile una maggioranza che si spacchi sulla elezione del presidente della Repubblica e si ricomponga nel sostegno al governo? È la domanda che dobbiamo farci”.

Di fatto, di rimanere a Palazzo Chigi con un altro presidente non ha alcuna intenzione. Forza fino a dove può Draghi, sapendo che i partiti a questo punto lo soffrono. Per questo ha giocato di anticipo, per questo non ha esitato a dettare le sue condizioni: se lo vogliono, il suo ruolo sarà un altro. Sa bene che non sarà facile dire di no a quello che suona come un aut aut. Delinea pure un percorso e una road map il premier. L’elezione dovrà avvenire con una maggioranza se possibile ancora più ampia di quella attuale. Il messaggio è per Giorgia Meloni, che però lo accusa a caldo di “autocelebrarsi”. Nelle intenzioni del premier, la legislatura deve andare avanti. Esattamente quello che la Meloni non vuole. Però ci tiene a restituire al Parlamento il suo ruolo, il premier: la responsabilità è “nelle mani delle forze politiche”. Si tratti di vita del governo o di voto per il Colle. Ma poi si definisce “un nonno al servizio delle istituzioni”. Anche questo, un messaggio chiarissimo, che evoca presidenti come Sandro Pertini e Sergio Mattarella. Si dà anche un profilo da presidente: non “notaio”, ma “garante”, come il suo precedessore. Di certo è l’attuale presidente della Repubblica “il modello” a cui guardare per come ha affrontato “momenti difficilissimi nel settennato con dolcezza e fermezza, lucidità e saggezza”. Senza travalicare il “governo parlamentare” previsto in Costituzione. Da una parte vuole assicurare che non ci sarà un presidenzialismo di fatto, dall’altra è già pronto a supplire alle carenze della politica. Verso la quale riesce a essere pure quasi sprezzante. “Il mio successore? Lo chieda ai partiti”. I partiti sono tutt’altro che entusiasti. “Non ha i voti, non ce la fa”, è il commento che si sente di più. E se Silvio Berlusconi non si ritira e chiede che il premier resti a Palazzo Chigi, Matteo Salvini, mentre si esprime perché il premier resti dov’è e annuncia nomi per i prossimi giorni, gli chiede un incontro.

La partita è aperta. Con Forza Italia e la Lega divise, così come sono divisi Pd e M5S. Renzi è indeciso: con il premier in campo non può lavorare per un’altra candidatura, ma appoggiarlo potrebbe far naufragare il suo desiderio di fare da ago della bilancia. Potrebbe, visto che in realtà i margini per guidare il processo esistono. Fonti M5S, a caldo, fanno trapelare la “necessità” della “continuità dell’azione di governo”. Una locuzione che ha usato lo stesso premier, ma che fa capire anche il disappunto. In corso di giornata, infatti, il M5S rafforza la tesi che Draghi debba rimanere dov’è. Dal Nazareno sono più aperti. Si schierano per la tutela di Draghi e mettono l’accento sul fatto che l’importante è che la soluzione Colle e la soluzione governo vengano prese insieme. Un punto dolente. Draghi, per ora, lo ha detto chiaro e tondo: sta ai partiti trovare la soluzione. Un modo anche per inchiodarli alle loro responsabilità. E per precostituirsi la via d’uscita di fronte al caos. Ma anche per trovarla lui la soluzione, ove evidentemente mancasse.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/23/quirinale-draghi-si-autocandida-presidente-ma-laut-aut-fa-arrabbiare-i-partiti/6435350/

sabato 21 agosto 2021

Superbonus 110%, rilancio in 10 mosse. Ecco come superare i nodi burocratici. - Dario Aquaro e Cristiano Dell'Oste

 

Dopo un avvio frenato da regole troppo complicate, il superbonus sta accelerando: solo a giugno sono stati comunicati nuovi lavori per 981 milioni, portando il totale a 3,5 miliardi. Il decreto Semplificazioni – convertito dal 31 luglio – scioglie diversi nodi procedurali. Ma il pieno rilancio del 110% dipende anche da altri fattori: dalle proroghe al costo dei materiali.
Ecco i dieci punti chiave, tra questioni risolte e da chiarire.

1. Cila semplificata.

La legge di conversione del Dl semplificazioni ha “creato” un titolo abilitativo specifico per il superbonus: la comunicazione di inizio lavori asseverata semplificata (Cilas). Un titolo che già nella versione iniziale del decreto non richiedeva più al professionista di attestare la conformità edilizia dell’immobile (lo “stato legittimo”). E che ora può essere usato anche per lavori strutturali, modifiche dei prospetti e varianti, senza allegare i progetti. Il modulo unico della Cilas, approvato in Conferenza unificata, è utilizzabile dal 5 agosto.

Così il tecnico evita i tempi lunghi dell’accesso agli atti per recuperare le vecchie licenze edilizie, ma la Cilas non sana eventuali difformità già presenti. Spiega Francesca Zaccagnini, della direzione Edilizia, ambiente e territorio dell’Ance: «Il vero impatto di questa semplificazione è che si slega l’agevolazione fiscale dalle verifiche di conformità edilizia».

«Certo, le eventuali irregolarità preesistenti potranno essere sanzionate, ma senza inficiare la detrazione. Inoltre, va detto che in molti casi si tratta di irregolarità di minima importanza e risalenti nel tempo», aggiunge Armando Zambrano, presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri e coordinatore Rete professioni tecniche.

In alcuni casi, però, gli abusi sono più gravi. «Lo stato legittimo può non essere “attestato” formalmente, ma andrebbe sempre “controllato”, anche per evitare che il committente si autodenunci o abbia problemi in caso di lavori futuri», avverte Andrea Barocci, presidente dell’associazione Ingegneria sismica italiana.

2. Scadenza dell’agevolazione

Il 110% scade il 30 giugno 2022 per i privati o il 31 dicembre 2022 per i condomìni (si vedano i quesiti a destra). Termini quasi impossibili da rispettare, partendo oggi. «Potremmo avere ancora 3-4 mesi di boom delle domande e poi un blocco, perché il timore di non finire in tempo diventa grave», osserva Flavio Monosilio, direttore del centro studi Ance.

«Noi abbiamo già tutti gli ordini per il 2022 e so che molte aziende si sono ritirate dai condomìni per puntare sulle villette – rileva Renato Cremonesi, presidente di Cremonesi consulenze –. Così si rischia di intervenire solo sullo 0,8% degli 1,2 milioni di condomìni da riqualificare: se si vuol avere un impatto reale, la misura va prolungata». Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha però affermato che la proroga del superbonus al 2023 sarà affrontata solo con la legge di Bilancio.

3. Materiali e manodopera.

A complicare il rispetto dei tempi c’è la scarsità di manodopera, unita al rincaro e razionamento dei materiali. Spiega ancora Monosilio: «Oggi capita di versare la caparra per un ponteggio con consegna tra 4-5 mesi». Concorda Cremonesi: «Il costo di un “cappottista” qualificato è passato dai 20-25 euro al metro quadrato a 30-35 e i prezzari Dei, che dettano la congruità delle spese, per molte voci non sono più aggiornati».

4. Abusi e violazioni formali.

Tra tanti ostacoli, la legge cerca di snellire qualche altro passaggio. Innanzitutto, fa salve le violazioni formali «che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo». E che quindi non fanno venir meno il superbonus. «Si tratta di errori in buona fede, come la svista sul costo di un componente o un piccolo errore di calcolo», spiega Zambrano.

Inoltre, quando le infrazioni non sono lievi, viene previsto che si perda il 110% solo per il singolo intervento irregolare e non per tutto il cantiere.

5. Cappotti termici e distanze.

Sempre la legge permette di derogare alle distanze minime tra edifici fissate dal Codice civile per installare i cappotti termici. «Ma ciò che serve sarebbe la possibilità di mitigare i ponti termici senza dover raggiungere gli attuali requisiti, com un risparmio di costi senza peggiorare le prestazioni», osserva Cremonesi.

6. Termini da 18 a 30 mesi.

Vengono inoltre portati a 30 mesi due termini: quello per la vendita delle case ricostruite dalle imprese (sismabonus acquisti) e quello entro cui deve trasferirsi chi acquista la prima casa e fa il 110 per cento.

7. Unità indipendenti.

Restano comunque diversi punti incerti. Uno dei più gravi è se sia obbligatorio o facoltativo (come pare logico) trattare a sé le unità indipendenti comprese in edifici plurifamiliari. Ciò si riflette sui limiti di spesa, sull’Ape e sulle asseverazioni e sta bloccando molti lavori.

8. Termine dei lavori trainati.

Non è chiaro, inoltre, se il termine attuale di fine 2022 valga anche per i lavori effettuati nei singoli appartamenti del condominio (trainati). Alla lettera sembra di no, ma sarebbe una soluzione illogica.

9. Modifica delle finestre.

Una parziale apertura è invece arrivata dalla Entrate sulla possibilità di modificare la forma delle finestre, senza cambiare la superficie complessiva (interpello 524/21).

10. Sismabonus e villette.

Altra apertura – stavolta della Commissione ministeriale di monitoraggio – riguarda la possibilità di fare il 110% antisismico sulle singole villette a schiera senza dover considerare la cosiddetta “unità strutturale”.

Domande & Risposte.

Quando scade il superbonus e quando si deciderà la proroga?
La scadenza “base” è il 30 giugno 2022, ma in alcuni casi c’è più tempo. I condomìni hanno fino al 31 dicembre 2022. Per gli edifici composti da due a quattro unità e posseduti da un unico proprietario (o in comproprietà tra più persone fisiche), si può arrivare al 31 dicembre 2022 se a fine giugno di quell’anno è stato realizzato almeno il 60% dell’intervento. Per le case popolari e assimilate la scadenza è il 30 giugno 2023, che può diventare 31 dicembre 2023 se a fine giugno si è completato il 60% dei lavori.
Eventuali proroghe oltre le date ora prestabilite saranno decise con la prossima manovra.

Dopo il Dl Semplificazioni, quale pratica edilizia è necessaria?
Con la legge di conversione del Dl Semplificazioni (legge 108/2021) è stato “creato” un nuovo titolo abilitativo: la Cila semplificata (Cilas). Mercoledì scorso è stato approvato in Conferenza unificata il nuovo modello, utilizzabile dal 5 agosto. La Cilas – il cui utilizzo è comunque facoltativo – consente di non attestare la conformità edilizia dell’immobile e di non allegare progetti e grafici. Inoltre, in caso di varianti in corso d’opera, si può procedere con una semplice integrazione della Cilas alla fine dei lavori, senza necessità di un nuovo titolo.

Se l’immobile su cui si interviene presenta già degli abusi edilizi realizzati in passato, quali conseguenze si rischiano?
Con la Cilas non occorre attestare che l’edificio è “legittimo”, ma ciò non sana eventuali abusi già presenti, tant’è vero che la norma dice che «resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell’immobile oggetto di intervento». Perciò il Comune potrà sempre fare i propri controlli in materia edilizia. Sotto il profilo fiscale, però, lo stesso Dl Semplificazioni assicura che le vecchie irregolarità edilizie non faranno perdere il 110% sui nuovi lavori.

Cosa accade se vengono commesse violazioni nell’ambito dell’intervento agevolato dal 110?
Si rischia la decadenza dall’agevolazione fiscale. Il Dl Semplificazioni, però, indica i casi tassativi di decadenza e fa salve le violazioni «meramente formali che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo». Ad esempio, un piccolo errore di calcolo o di riporto di una cifra. Inoltre, anche in caso di violazioni «rilevanti», viene previsto che la decadenza scatterà solo per il singolo intervento oggetto di irregolarità.

IlSole24Ore (19.8.2021)

martedì 16 marzo 2021

Ecco perché Letta a capo del Pd è una buona notizia. - Andre Scanzi

 

Enrico Letta (di nuovo) a capo del Pd è una buona notizia? Domanda legittima, ma dalla risposta complicata. Senz’altro è una brava persona, e non è poco. Dopo il tradimento del 2014 patito da Renzi, che pochi giorni prima gli aveva detto di stare “sereno” ospite dell’amica Daria Bignardi, Letta ha navigato a distanza dal sudicio mare della politica politicante.

Profilo centrista e garbato, mai iconoclasta e poco divisivo, Enrico Letta alla guida del Pd è una buona e al contempo una meno buona notizia. Partiamo dalle meno buone. Il suo primo punto debole è il profilo da “usato sicuro”. Letta appartiene a tutti gli effetti a una nomenclatura di centrosinistra che ha fallito, al punto tale che il Pd non ha mai vinto uno straccio di elezione nazionale (Regionali ed Europee fanno storia a sé). Ritornare a Letta sa di polveroso e politichese: chi è l’elettore che dovrebbe votare – o rivotare – il Pd grazie a Letta? Bah. Al tempo stesso, Letta è una figura squisitamente priva di carisma. Se Zingaretti non sapeva incendiare le masse, con Letta non è che si avvertano miglioramenti. Mi si dirà qui che la storia del carisma è una dannazione della politica contemporanea, e che sia meglio un politico serio e silenzioso rispetto a un fanfarone falso ma mediaticamente scaltro. Siamo d’accordo, ma qui non bisogna vincere il Premio della Critica: qui c’è da vincere le elezioni, sconfiggendo questa destraccia e questi mefitici rigurgiti di renzismo. Oltre a ciò, Letta era e resta il leader Pd che ha accettato per primo l’abbraccio con Berlusconi. Anno 2013. Rodotà venne “ucciso” dal suo stesso Pd nella corsa al Quirinale (una delle più grandi vergogne della Repubblica italiana). E Letta fu la faccia dell’orrenda Restaurazione imposta dal Napolitano Bis. Lo stesso Letta, in quei giorni, diceva che Berlusconi fosse meglio dei grillini. È incredibile come, in otto anni, sia cambiato tutto.

E qui veniamo agli aspetti positivi della scelta di Letta. Una scelta assai furbina operata da Franceschini e Orlando, che hanno proposto un nome a cui la Base Riformista renziana (Guerini, Lotti, etc) non può dire di no, ma che certo non può amare. Una sorta di scacco matto, almeno per ora, sebbene il Pd resti un progetto politico drammaticamente balcanizzato (auguri, Enrico!). Letta, al momento, vuol dire due cose. La prima è che il Pd rilancerà l’accordo con M5S e bersaniani (e Sardine, e società civile), perché questa è stata la sua linea dalla nascita del Conte II a oggi. La seconda è che, con lui alla guida, Renzi non ha chance alcuna di rientrare nel Pd. Renzi è quello che lo ha accoltellato politicamente nel 2014. È quello a cui consegnò la campanella col broncio. È quello che, durante le settimane della crisi, Letta criticava duramente un giorno sì e l’altro pure. Se c’è lui al comando, possono rientrare nella “Ditta” i renziani minori ma non certo i Renzi e le Boschi.

In questo senso, verrebbe da esprimere solidarietà a quei soloni senza lettori né morale che, fino a ieri, parlavano di un Renzi “geniale e vincitore”. Come no: è il politico meno amato dagli italiani, almeno tra i sedicenti “leader”, e con la sua crisi scellerata ha consegnato il Pd a Letta e i 5 Stelle a Conte. Ovvero alle sue vittime più note, che ora verosimilmente lo isoleranno ancora di più. Davvero un “genio” e un “vincente”, ’sto Renzi!

Alla luce di tutto questo, a oggi la scelta di Letta è – lungi dal giustificare cortei – più una buona che una cattiva notizia. Tutto il resto si vedrà.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/16/ecco-perche-letta-a-capo-del-pd-e-una-buona-notizia/6134710/

venerdì 4 settembre 2020

I due Matteo di nuovo insieme: stavolta per lo stadio di Firenze. - Giacomo Salvini

I due Matteo di nuovo insieme: stavolta per lo stadio di Firenze

L’emendamento - Lega e Pd votano un testo di Renzi che toglie poteri alla soprintendenza.
Dopo una notte di trattative e una seduta fiume in commissione Trasporti, alle 9 di mattina il primo a esultare è il più insospettabile: “Lo sblocca-stadi è una vittoria della Lega, le città potranno avere gli stadi che meritano”, dice Matteo Salvini da Genova. Eppure l’emendamento decisivo per sbloccare la costruzione del nuovo stadio di Firenze di cui parla il leader del Carroccio non è quello presentato dalla Lega ma dall’altro Matteo: Renzi. Tant’è che dopo due ore il cappello ce lo mette proprio lui, il leader di Italia Viva: “Una grande vittoria collettiva”, scrive Renzi nella sua e-news. Sono loro i protagonisti dell’accordo che ha portato a sbrogliare la matassa del nuovo stadio di Firenze.
A fine luglio Renzi aveva presentato un emendamento per fare carta straccia del parere contrario della Soprintendenza che si opponeva alla volontà del presidente della Fiorentina, Rocco Commisso, di abbattere le due curve dello stadio Artemio Franchi (che è un bene vincolato) e costruire un impianto nuovo di proprietà. “Ove vi sia il via libera dell’ente territoriale di riferimento, il Comune, una società professionistica può far realizzare interventi di modifica di impianti sportivi senza la necessità dell’autorizzazione della competente Soprintendenza” si leggeva nel testo originario. Insomma: avrebbe deciso tutto il Comune. Un emendamento del genere in commissione non sarebbe mai passato, vista la contrarietà del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini e del M5S. Ma la trattativa tra Pd e Iv si è conclusa con un testo condiviso votato nella notte tra martedì e mercoledì da Pd, Lega, Italia Viva e Fratelli d’Italia con l’unico voto contrario del M5S. L’impianto rimane lo stesso della proposta di Renzi anche se un po’ addolcito dai dem: si potranno ristrutturare gli stadi anche se vincolati, ma sempre nel rispetto “unicamente dei soli specifici elementi strutturali, architettonici o visuali di cui sia strettamente necessaria a fini testimoniali la conservazione o la riproduzione” e la verifica di questi presupposti è demandata al Mibact che deve decidere entro 90 giorni.
Sulla norma ci mette il cappello anche il Pd: “Salvini si prende meriti non suoi – dice il capogruppo dem al Senato Andrea Marcucci –. È una norma che consentirà a Firenze e a molte altre città italiane la ristrutturazione degli stadi senza vincoli irragionevoli”. E anche il presidente della Fiorentina Commisso esulta: “I fiorentini meritano lo stadio”. La norma arriverà domani in Senato dove il governo ha posto la fiducia su tutto il decreto: a quel punto, com’è ovvio, voteranno a favore solo i partiti di maggioranza tra cui i 5Stelle che saranno costretti a piegarsi nonostante il “no” in commissione. In cambio i grillini hanno ottenuto che sull’altra infrastruttura di Firenze, l’aeroporto di Peretola voluto da Renzi, Toscana Aeroporti dovrà presentare una nuova documentazione su Vas e Via, mentre nel testo originario del decreto la prima era stata di fatto abolita. Ma Renzi canta vittoria lo stesso: “Una grande doppietta per Firenze”. Ma Gianluca Ferrara (M5S) replica: “La Vas resta, altro che nuova pista”. E sarebbero anche alleati di governo.
A chi condanna il m5s per non aver portato a termine tutte le proposte in itinere, pongo una domanda: se a votare contro le proposte dei 5s ci si mettono anche gli alleati, Pd e Iv, che votano con l'opposizione, Lega e Fdi, che pretendiamo?
Purtroppo, per approvare e rendere effettive ed applicabili alcune misure in cantiere, è necessario che vengano avallate dalla maggioranza dei parlamentari, e i 5s, da soli, la maggioranza non la raggiungono.
Lapalissiano...
by c.