Visualizzazione post con etichetta contro. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta contro. Mostra tutti i post

domenica 18 settembre 2022

Attentato contro i separatisti nel Lugansk, bomba sulla procura: uccisi il procuratore generale e la sua vice. - Michela Morsa

 

Leonid Psechnik, capo dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Lugansk, ha accusato Kiev di aver organizzato l’attacco: «È uno Stato terrorista»

 L’edificio della procura generale dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Lugansk, nella regione filorussa del Donbass, è stato colpito da una bomba. Secondo quanto si apprende dalle agenzie russe Interfax e Tass, l’esplosione sarebbe avvenuta proprio in prossimità o all’interno dell’ufficio del procuratore generale Sergei Gorenko, rimasto ucciso insieme alla sua vice Yekaterina Steglenko. L’attacco, secondo la milizia della Rpl citata da alcuni canali Telegram, sarebbe avvenuto nella tarda mattinata ora locale. I danni all’edificio, situato nel centro della città, sono visibili al livello del terzo piano. Il personale è stato evacuato. I funzionari del ministero delle Emergenze, la polizia e gli artificieri stanno lavorando sul posto. Lo riporta la Tass. Leonid Psechnik, capo dell’autoproclamata Repubblica di Lugansk, ha accusato Kiev di avere organizzato l’attentato dinamitardo. L’attacco, ha detto sul suo canale Telegram, «prova che l’Ucraina, sotto la guida dell’attuale leadership, è uno Stato terrorista».

https://www.open.online/2022/09/16/ucraina-donbass-lugansk-bomba-procura/

giovedì 23 dicembre 2021

Quirinale, Draghi si autocandida presidente. Ma l’aut aut fa arrabbiare i partiti. - Wanda Marra

 

SEGNALE DIRITTO - L'ex Mr. Bce si sbilancia durante la conferenza di fine anno. “Ricatto” alla maggioranza: la strada è tutta in salita.

Tra un applauso della stampa ancora prima che inizi a parlare e una quasi ovazione alla fine, Mario Draghi mette sul tavolo la propria candidatura al Quirinale nella conferenza stampa di fine anno. Con un linguaggio chiaro, ma sufficientemente elusivo da non essere diretto. “Abbiamo reso l’Italia uno dei Paesi più vaccinati del mondo, abbiamo consegnato in tempo il Pnrr e raggiunto i 51 obiettivi”. Dunque, l’operato del governo può continuare “indipendentemente da chi ci sarà”. La risposta chiave arriva alla prima domanda, il premier si mette in campo. Il segnale arriva più diritto rispetto alle previsioni. Non ha aspettato di farsi ulteriormente logorare dai partiti, Draghi, e neanche ha atteso il ritiro di Silvio Berlusconi. Ha lasciato dire a Sergio Mattarella il suo ennesimo “no” al bis. E poi ha voluto chiarire di persona quello che da Palazzo Chigi raccontavano ormai da settimane: “È immaginabile una maggioranza che si spacchi sulla elezione del presidente della Repubblica e si ricomponga nel sostegno al governo? È la domanda che dobbiamo farci”.

Di fatto, di rimanere a Palazzo Chigi con un altro presidente non ha alcuna intenzione. Forza fino a dove può Draghi, sapendo che i partiti a questo punto lo soffrono. Per questo ha giocato di anticipo, per questo non ha esitato a dettare le sue condizioni: se lo vogliono, il suo ruolo sarà un altro. Sa bene che non sarà facile dire di no a quello che suona come un aut aut. Delinea pure un percorso e una road map il premier. L’elezione dovrà avvenire con una maggioranza se possibile ancora più ampia di quella attuale. Il messaggio è per Giorgia Meloni, che però lo accusa a caldo di “autocelebrarsi”. Nelle intenzioni del premier, la legislatura deve andare avanti. Esattamente quello che la Meloni non vuole. Però ci tiene a restituire al Parlamento il suo ruolo, il premier: la responsabilità è “nelle mani delle forze politiche”. Si tratti di vita del governo o di voto per il Colle. Ma poi si definisce “un nonno al servizio delle istituzioni”. Anche questo, un messaggio chiarissimo, che evoca presidenti come Sandro Pertini e Sergio Mattarella. Si dà anche un profilo da presidente: non “notaio”, ma “garante”, come il suo precedessore. Di certo è l’attuale presidente della Repubblica “il modello” a cui guardare per come ha affrontato “momenti difficilissimi nel settennato con dolcezza e fermezza, lucidità e saggezza”. Senza travalicare il “governo parlamentare” previsto in Costituzione. Da una parte vuole assicurare che non ci sarà un presidenzialismo di fatto, dall’altra è già pronto a supplire alle carenze della politica. Verso la quale riesce a essere pure quasi sprezzante. “Il mio successore? Lo chieda ai partiti”. I partiti sono tutt’altro che entusiasti. “Non ha i voti, non ce la fa”, è il commento che si sente di più. E se Silvio Berlusconi non si ritira e chiede che il premier resti a Palazzo Chigi, Matteo Salvini, mentre si esprime perché il premier resti dov’è e annuncia nomi per i prossimi giorni, gli chiede un incontro.

La partita è aperta. Con Forza Italia e la Lega divise, così come sono divisi Pd e M5S. Renzi è indeciso: con il premier in campo non può lavorare per un’altra candidatura, ma appoggiarlo potrebbe far naufragare il suo desiderio di fare da ago della bilancia. Potrebbe, visto che in realtà i margini per guidare il processo esistono. Fonti M5S, a caldo, fanno trapelare la “necessità” della “continuità dell’azione di governo”. Una locuzione che ha usato lo stesso premier, ma che fa capire anche il disappunto. In corso di giornata, infatti, il M5S rafforza la tesi che Draghi debba rimanere dov’è. Dal Nazareno sono più aperti. Si schierano per la tutela di Draghi e mettono l’accento sul fatto che l’importante è che la soluzione Colle e la soluzione governo vengano prese insieme. Un punto dolente. Draghi, per ora, lo ha detto chiaro e tondo: sta ai partiti trovare la soluzione. Un modo anche per inchiodarli alle loro responsabilità. E per precostituirsi la via d’uscita di fronte al caos. Ma anche per trovarla lui la soluzione, ove evidentemente mancasse.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/23/quirinale-draghi-si-autocandida-presidente-ma-laut-aut-fa-arrabbiare-i-partiti/6435350/

sabato 21 agosto 2021

Superbonus 110%, rilancio in 10 mosse. Ecco come superare i nodi burocratici. - Dario Aquaro e Cristiano Dell'Oste

 

Dopo un avvio frenato da regole troppo complicate, il superbonus sta accelerando: solo a giugno sono stati comunicati nuovi lavori per 981 milioni, portando il totale a 3,5 miliardi. Il decreto Semplificazioni – convertito dal 31 luglio – scioglie diversi nodi procedurali. Ma il pieno rilancio del 110% dipende anche da altri fattori: dalle proroghe al costo dei materiali.
Ecco i dieci punti chiave, tra questioni risolte e da chiarire.

1. Cila semplificata.

La legge di conversione del Dl semplificazioni ha “creato” un titolo abilitativo specifico per il superbonus: la comunicazione di inizio lavori asseverata semplificata (Cilas). Un titolo che già nella versione iniziale del decreto non richiedeva più al professionista di attestare la conformità edilizia dell’immobile (lo “stato legittimo”). E che ora può essere usato anche per lavori strutturali, modifiche dei prospetti e varianti, senza allegare i progetti. Il modulo unico della Cilas, approvato in Conferenza unificata, è utilizzabile dal 5 agosto.

Così il tecnico evita i tempi lunghi dell’accesso agli atti per recuperare le vecchie licenze edilizie, ma la Cilas non sana eventuali difformità già presenti. Spiega Francesca Zaccagnini, della direzione Edilizia, ambiente e territorio dell’Ance: «Il vero impatto di questa semplificazione è che si slega l’agevolazione fiscale dalle verifiche di conformità edilizia».

«Certo, le eventuali irregolarità preesistenti potranno essere sanzionate, ma senza inficiare la detrazione. Inoltre, va detto che in molti casi si tratta di irregolarità di minima importanza e risalenti nel tempo», aggiunge Armando Zambrano, presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri e coordinatore Rete professioni tecniche.

In alcuni casi, però, gli abusi sono più gravi. «Lo stato legittimo può non essere “attestato” formalmente, ma andrebbe sempre “controllato”, anche per evitare che il committente si autodenunci o abbia problemi in caso di lavori futuri», avverte Andrea Barocci, presidente dell’associazione Ingegneria sismica italiana.

2. Scadenza dell’agevolazione

Il 110% scade il 30 giugno 2022 per i privati o il 31 dicembre 2022 per i condomìni (si vedano i quesiti a destra). Termini quasi impossibili da rispettare, partendo oggi. «Potremmo avere ancora 3-4 mesi di boom delle domande e poi un blocco, perché il timore di non finire in tempo diventa grave», osserva Flavio Monosilio, direttore del centro studi Ance.

«Noi abbiamo già tutti gli ordini per il 2022 e so che molte aziende si sono ritirate dai condomìni per puntare sulle villette – rileva Renato Cremonesi, presidente di Cremonesi consulenze –. Così si rischia di intervenire solo sullo 0,8% degli 1,2 milioni di condomìni da riqualificare: se si vuol avere un impatto reale, la misura va prolungata». Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha però affermato che la proroga del superbonus al 2023 sarà affrontata solo con la legge di Bilancio.

3. Materiali e manodopera.

A complicare il rispetto dei tempi c’è la scarsità di manodopera, unita al rincaro e razionamento dei materiali. Spiega ancora Monosilio: «Oggi capita di versare la caparra per un ponteggio con consegna tra 4-5 mesi». Concorda Cremonesi: «Il costo di un “cappottista” qualificato è passato dai 20-25 euro al metro quadrato a 30-35 e i prezzari Dei, che dettano la congruità delle spese, per molte voci non sono più aggiornati».

4. Abusi e violazioni formali.

Tra tanti ostacoli, la legge cerca di snellire qualche altro passaggio. Innanzitutto, fa salve le violazioni formali «che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo». E che quindi non fanno venir meno il superbonus. «Si tratta di errori in buona fede, come la svista sul costo di un componente o un piccolo errore di calcolo», spiega Zambrano.

Inoltre, quando le infrazioni non sono lievi, viene previsto che si perda il 110% solo per il singolo intervento irregolare e non per tutto il cantiere.

5. Cappotti termici e distanze.

Sempre la legge permette di derogare alle distanze minime tra edifici fissate dal Codice civile per installare i cappotti termici. «Ma ciò che serve sarebbe la possibilità di mitigare i ponti termici senza dover raggiungere gli attuali requisiti, com un risparmio di costi senza peggiorare le prestazioni», osserva Cremonesi.

6. Termini da 18 a 30 mesi.

Vengono inoltre portati a 30 mesi due termini: quello per la vendita delle case ricostruite dalle imprese (sismabonus acquisti) e quello entro cui deve trasferirsi chi acquista la prima casa e fa il 110 per cento.

7. Unità indipendenti.

Restano comunque diversi punti incerti. Uno dei più gravi è se sia obbligatorio o facoltativo (come pare logico) trattare a sé le unità indipendenti comprese in edifici plurifamiliari. Ciò si riflette sui limiti di spesa, sull’Ape e sulle asseverazioni e sta bloccando molti lavori.

8. Termine dei lavori trainati.

Non è chiaro, inoltre, se il termine attuale di fine 2022 valga anche per i lavori effettuati nei singoli appartamenti del condominio (trainati). Alla lettera sembra di no, ma sarebbe una soluzione illogica.

9. Modifica delle finestre.

Una parziale apertura è invece arrivata dalla Entrate sulla possibilità di modificare la forma delle finestre, senza cambiare la superficie complessiva (interpello 524/21).

10. Sismabonus e villette.

Altra apertura – stavolta della Commissione ministeriale di monitoraggio – riguarda la possibilità di fare il 110% antisismico sulle singole villette a schiera senza dover considerare la cosiddetta “unità strutturale”.

Domande & Risposte.

Quando scade il superbonus e quando si deciderà la proroga?
La scadenza “base” è il 30 giugno 2022, ma in alcuni casi c’è più tempo. I condomìni hanno fino al 31 dicembre 2022. Per gli edifici composti da due a quattro unità e posseduti da un unico proprietario (o in comproprietà tra più persone fisiche), si può arrivare al 31 dicembre 2022 se a fine giugno di quell’anno è stato realizzato almeno il 60% dell’intervento. Per le case popolari e assimilate la scadenza è il 30 giugno 2023, che può diventare 31 dicembre 2023 se a fine giugno si è completato il 60% dei lavori.
Eventuali proroghe oltre le date ora prestabilite saranno decise con la prossima manovra.

Dopo il Dl Semplificazioni, quale pratica edilizia è necessaria?
Con la legge di conversione del Dl Semplificazioni (legge 108/2021) è stato “creato” un nuovo titolo abilitativo: la Cila semplificata (Cilas). Mercoledì scorso è stato approvato in Conferenza unificata il nuovo modello, utilizzabile dal 5 agosto. La Cilas – il cui utilizzo è comunque facoltativo – consente di non attestare la conformità edilizia dell’immobile e di non allegare progetti e grafici. Inoltre, in caso di varianti in corso d’opera, si può procedere con una semplice integrazione della Cilas alla fine dei lavori, senza necessità di un nuovo titolo.

Se l’immobile su cui si interviene presenta già degli abusi edilizi realizzati in passato, quali conseguenze si rischiano?
Con la Cilas non occorre attestare che l’edificio è “legittimo”, ma ciò non sana eventuali abusi già presenti, tant’è vero che la norma dice che «resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell’immobile oggetto di intervento». Perciò il Comune potrà sempre fare i propri controlli in materia edilizia. Sotto il profilo fiscale, però, lo stesso Dl Semplificazioni assicura che le vecchie irregolarità edilizie non faranno perdere il 110% sui nuovi lavori.

Cosa accade se vengono commesse violazioni nell’ambito dell’intervento agevolato dal 110?
Si rischia la decadenza dall’agevolazione fiscale. Il Dl Semplificazioni, però, indica i casi tassativi di decadenza e fa salve le violazioni «meramente formali che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo». Ad esempio, un piccolo errore di calcolo o di riporto di una cifra. Inoltre, anche in caso di violazioni «rilevanti», viene previsto che la decadenza scatterà solo per il singolo intervento oggetto di irregolarità.

IlSole24Ore (19.8.2021)

mercoledì 9 giugno 2021

Il pirlicidio. - Marco Travaglio

 

Avere un libro nella top ten dopo 10 giorni con zero recensioni è già una bella soddisfazione (le recensioni sono come i premi che, diceva Longanesi, “non basta rifiutarli: bisogna non meritarli”). Ma vederlo evocare un po’ da tutti senza mai citarne il titolo (un po’ come la Mercegaglia imputata per evasione) è proprio da sballo. Il bello è che chi lo evoca non l’ha letto. O ha letto l’unica recensione: quella del miglior leccapiedi del Foglio, datata però 14 aprile, quando il libro non solo non era stato pubblicato, ma neppure scritto. Però il noto linguista già sapeva che riguardava “il complotto internazionale contro Conte”. Invece riguarda quattro congiure nazionali, tutte alla luce del sole per chi ha occhi per guardare anziché lingue per leccare. E quella andata a segno si fondava proprio sulla maxiballa delle cancellerie europee allarmatissime per il Pnrr di Conte (che poi era di Gualtieri, Amendola e gli altri ministri), per la governance con 300 tecnici (molto più numerosi dei 550 di Draghi) e per il no al Mes (che, da quando c’è Draghi, è una ciofeca). E chi la raccontava la panzana sesquipedale sull’intera Ue schierata contro Conte, per far dimenticare che il Recovery Fund l’aveva ottenuto lui? Gli stessi giornali che ora la attribuiscono al mio libro (che sostiene l’opposto).

Basti pensare che, mentre Repubblica, Stampa, Corriere, Messaggero, Sole 24 Ore, Giornale, Foglio&C. la sparavano a edicole unificate, il capogruppo del Ppe Martin Weber, merkeliano di ferro, chiamava Lorenzo Cesa per spingerlo ad aiutare il Conte-2 con “responsabili” dell’Udc. La congiura fu tutta italiana (a parte qualche ammiccamento all’ambasciata Usa, allergica alla politica un po’ più multilaterale e un po’ meno servile di quel governo rispetto ai precedenti). Vi parteciparono festosamente i padroni del vapore tramite i loro house organ che chiamiamo “giornali”. I quali ora fanno il giro delle sette chiese in cerca di smentite alla tesi opposta a quella del mio libro che non possono citare. Il Corriere domanda a Conte: “Lei crede al Conticidio per mano (sic, nda) di un complotto internazionale?”. Conte risponde: “Nessuno ha mai pensato a un complotto internazionale. Il mio governo ha sempre ricevuto forte sostegno dalle cancellerie europee”, vedi “l’affidamento per i 209 miliardi del Recovery”. Allora Riformatorio e Foglio se la ridono: “Conte sbugiarda Travaglio” (che dice la stessa cosa). La Stampa ci riprova con Bonafede: “Il famoso Conticidio: crede anche lei (sic, nda) al complotto internazionale?”. Risposta: “Il Conticidio è sotto gli occhi di tutti, ma non fu un complotto internazionale”. Poveretti: farebbero quasi tenerezza, se qualcuno non li scambiasse ancora per giornalisti.

IlFQ

martedì 20 aprile 2021

Una firma contro il vitalizio ai corrotti. - Ilaria Proietti


Privilegi da condannati. Senato, cosa si può fare dopo che il tribunale interno ha restituito l’assegno a Formigoni e Del Turco? Le richieste avanzate dal “Fatto”.

Il Fatto Quotidiano lancia una petizione in modo che i cittadini possano farsi sentire da Maria Elisabetta Alberti Casellati. Fino a convincere il Senato a sollevare un conflitto di attribuzione di fronte alla Corte costituzionale ora che la Commissione contenziosa presieduta dal suo collega di Forza Italia Giacomo Caliendo ha ripristinato il vitalizio per Roberto Formigoni e per tutti gli ex senatori, anche se condannati per reati gravissimi come mafia e terrorismo. Anche a costo di cancellare le regole che lo stesso Senato si era dato dal 2015 e attraverso le quali era stato possibile sospendere l’erogazione dell’assegno agli ex di lusso, ma con la fedina penale sporca, come ad esempio Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.

Ora invece si rischia di tornare all’antico, grazie a una decisione che fa arrossire e a cui si vorrebbe mettere la sordina.

I partiti In silenzio.

L’appello dell’ex presidente del Senato Pietro Grasso, che ha indicato la strada del conflitto di attribuzione di fronte alla Consulta oltre che quello del ricorso all’organo di appello interno, finora ha avuto un’accoglienza tiepida. Chi ci sta? Quelli di Forza Italia sicuramente no: dicono che Caliendo è stato impeccabile e che la Commissione che presiede “è più di un tribunale. È come la Consulta. Quindi è impensabile il conflitto di attribuzione: il Senato è giudice di se stesso”.

Su Grasso fa melina Fratelli d’Italia. E la Lega? Non pervenuta: il vitalizio pure ai condannati non è un tabù.

È invece possibilista la neo capogruppo del Pd, Simona Malpezzi, ma c’è un ma: “Gli elementi per sollevare il conflitto di attribuzione ci sono ed è buona norma che il Senato tuteli le proprie decisioni”. Anche se poi lascia intravvedere anche un altro scenario: “Il Consiglio di presidenza ha la possibilità di riscrivere bene una delibera, inattaccabile dai ricorsi e coerente con la giurisprudenza di legittimità”.

Ma intanto la delibera sui condannati è diventata carta straccia dopo la sentenza di Caliendo, resa esecutiva con il sigillo di Sua Presidenza Casellati. Che si fa? “Attendiamo di leggere le carte, poi decideremo che fare. Anche se par di capire che i 5Stelle sono vittime di se stessi: se avessero approvato i paletti che avevamo proposto per il reddito di cittadinanza non sarebbe stato possibile ridare il vitalizio ai condannati”, dice il capogruppo di FdI Luca Ciriani facendo eco alle motivazioni adottate dalla Commissione Caliendo. Che intanto però fa festeggiare gli ex senatori con una condanna sul groppone.

L’ineffabile Caliendo.

Del resto Caliendo aveva già tanti fan pure tra quelli a posto con il casellario giudiziale. Già l’anno scorso gli aveva dato di piccone azzoppando il taglio dei vitalizi deciso nel 2018 per ragioni di equità sociale: ora che il vitalizio l’hanno ridato pure ai condannati, attendono più sereni il giudizio di appello affidato alla commissione presieduta dall’altro forzista Luigi Vitali.

Insomma, l’austerità durata una paio d’anni, per Lorsignori condannati e non, pare alle spalle. Ci crede l’avvocato e già deputato azzurro Maurizio Paniz, che dopo la nuova autostrada che si è aperta al Senato già si frega le mani in attesa dell’effetto domino: “Spero che l’annullamento della delibera Grasso venga recepito dagli organi giurisdizionali della Camera per eliminare l’omologa delibera Boldrini, impugnata dal alcuni ex parlamentari, tra cui l’ex ministro Francesco De Lorenzo che io assisto e che ha impugnato oltre quattro anni fa”.

Insomma, l’auspicio è che si torni ai fasti di un tempo e che venga restaurato anche quello che era davvero impensabile, ossia la riapertura dei rubinetti persino a mafiosi e corrotti, con Formigoni che, dimentico di essere ai domiciliari non certo per meriti, ora se la gode ad attaccare quei “manettari rosiconi” dei 5Stelle e pure a dileggiare l’ex “supermagistrato di tutte le Sicilie”, Pietro Grasso. Su cui è partita la controffensiva, dopo l’intervista sui vitalizi che ha rilasciato al Fatto Quotidiano: è stata tirata in ballo persino la sua famiglia e attacchi forsennati si sono registrati da parte di Forza Italia dopo che l’ex procuratore Antimafia ha denunciato l’operato della Commissione Caliendo.

La lega Volta faccia.

“La Contenziosa si è attribuita il potere di annullare erga omnes una delibera del Consiglio di Presidenza. Poteva farlo? A nostro avviso no”, dice il capogruppo del M5S, Ettore Licheri. Affonda la lama Paola Taverna: “La verità è che si vogliono riprendere i vitalizi, e questo è un problema politico prima che giuridico”, ha detto ieri la pentastellata al Fatto, che ha chiesto a Casellati di sollecitare il Segretario generale di Palazzo Madama perché presenti ricorso in Appello rispetto alla decisione della Commissione contenziosa che “ha un presidente di Forza Italia e altri due membri che appartengono alla Lega. Eppure il Carroccio aveva accompagnato e appoggiato i nostri provvedimenti sui vitalizi. Il problema lo abbiamo posto a tutti pubblicamente, ma rimaniamo gli unici a protestare. Evidentemente una certa classe politica vuole ridarsi i vitalizi”.

Già, la Lega. Matteo Salvini a luglio aveva lanciato una raccolta di firme contro i vitalizi dopo che a Palazzo Madama sempre la Commissione Caliendo aveva bocciato il taglio dei vitalizi: di quella raccolta di firme però non si è saputo più niente.

E ora sul ripristino degli assegni ai condannati, il leghista non ha proferito parola, anzi. Due dei suoi, Simone Pillon e Alessandra Riccardi , come ha ricordato Taverna, hanno vergato assieme a Caliendo e ai due laici, nominati a inizio legislatura dalla Casellati, la sentenza della Commissione contenziosa che fa brindare Formigoni, ma pure tutti gli ex inquilini di Palazzo con la fedina penale sporca. E Salvini muto.

IlFQ

martedì 16 marzo 2021

Ecco perché Letta a capo del Pd è una buona notizia. - Andre Scanzi

 

Enrico Letta (di nuovo) a capo del Pd è una buona notizia? Domanda legittima, ma dalla risposta complicata. Senz’altro è una brava persona, e non è poco. Dopo il tradimento del 2014 patito da Renzi, che pochi giorni prima gli aveva detto di stare “sereno” ospite dell’amica Daria Bignardi, Letta ha navigato a distanza dal sudicio mare della politica politicante.

Profilo centrista e garbato, mai iconoclasta e poco divisivo, Enrico Letta alla guida del Pd è una buona e al contempo una meno buona notizia. Partiamo dalle meno buone. Il suo primo punto debole è il profilo da “usato sicuro”. Letta appartiene a tutti gli effetti a una nomenclatura di centrosinistra che ha fallito, al punto tale che il Pd non ha mai vinto uno straccio di elezione nazionale (Regionali ed Europee fanno storia a sé). Ritornare a Letta sa di polveroso e politichese: chi è l’elettore che dovrebbe votare – o rivotare – il Pd grazie a Letta? Bah. Al tempo stesso, Letta è una figura squisitamente priva di carisma. Se Zingaretti non sapeva incendiare le masse, con Letta non è che si avvertano miglioramenti. Mi si dirà qui che la storia del carisma è una dannazione della politica contemporanea, e che sia meglio un politico serio e silenzioso rispetto a un fanfarone falso ma mediaticamente scaltro. Siamo d’accordo, ma qui non bisogna vincere il Premio della Critica: qui c’è da vincere le elezioni, sconfiggendo questa destraccia e questi mefitici rigurgiti di renzismo. Oltre a ciò, Letta era e resta il leader Pd che ha accettato per primo l’abbraccio con Berlusconi. Anno 2013. Rodotà venne “ucciso” dal suo stesso Pd nella corsa al Quirinale (una delle più grandi vergogne della Repubblica italiana). E Letta fu la faccia dell’orrenda Restaurazione imposta dal Napolitano Bis. Lo stesso Letta, in quei giorni, diceva che Berlusconi fosse meglio dei grillini. È incredibile come, in otto anni, sia cambiato tutto.

E qui veniamo agli aspetti positivi della scelta di Letta. Una scelta assai furbina operata da Franceschini e Orlando, che hanno proposto un nome a cui la Base Riformista renziana (Guerini, Lotti, etc) non può dire di no, ma che certo non può amare. Una sorta di scacco matto, almeno per ora, sebbene il Pd resti un progetto politico drammaticamente balcanizzato (auguri, Enrico!). Letta, al momento, vuol dire due cose. La prima è che il Pd rilancerà l’accordo con M5S e bersaniani (e Sardine, e società civile), perché questa è stata la sua linea dalla nascita del Conte II a oggi. La seconda è che, con lui alla guida, Renzi non ha chance alcuna di rientrare nel Pd. Renzi è quello che lo ha accoltellato politicamente nel 2014. È quello a cui consegnò la campanella col broncio. È quello che, durante le settimane della crisi, Letta criticava duramente un giorno sì e l’altro pure. Se c’è lui al comando, possono rientrare nella “Ditta” i renziani minori ma non certo i Renzi e le Boschi.

In questo senso, verrebbe da esprimere solidarietà a quei soloni senza lettori né morale che, fino a ieri, parlavano di un Renzi “geniale e vincitore”. Come no: è il politico meno amato dagli italiani, almeno tra i sedicenti “leader”, e con la sua crisi scellerata ha consegnato il Pd a Letta e i 5 Stelle a Conte. Ovvero alle sue vittime più note, che ora verosimilmente lo isoleranno ancora di più. Davvero un “genio” e un “vincente”, ’sto Renzi!

Alla luce di tutto questo, a oggi la scelta di Letta è – lungi dal giustificare cortei – più una buona che una cattiva notizia. Tutto il resto si vedrà.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/16/ecco-perche-letta-a-capo-del-pd-e-una-buona-notizia/6134710/

sabato 9 gennaio 2021

Dal Financial Times a El País, la stampa estera contro Matteo. - Lorenzo Giarelli










“Il bel mezzo di una pandemia globale e di una brutale recessione potrebbe non sembrare il momento più opportuno per provare a far cadere il governo. A meno che tu non sia Matteo Renzi”. Nelle prime righe del pezzo di due giorni fa del Financial Times, quotidiano economico del Regno Unito tra i più letti e autorevoli del mondo, c’è tutta la percezione dei giornali esteri rispetto alla crisi di governo minacciata da Italia Viva nelle ultime settimane.

Una rassegna stampa delle principali testate straniere conferma infatti l’impressione del Financial Times: brigare per mandare a casa l’esecutivo non è affatto una buona idea. Nelle mosse dell’ex rottamatore, il quotidiano britannico vede solo interessi personali: “Conte rappresenta un ostacolo alle rinnovate ambizioni politiche di Renzi dopo la nascita del suo nuovo piccolo partito derivato dal Pd”.

In Francia a occuparsi di noi è Les Echos: “Nuovo duello tra Giuseppe Conte e un Matteo. Non più Matteo Salvini, che ha provocato la crisi politica nel 2019, ma Matteo Renzi”. A scrivere il pezzo è Olivier Tosseri: “Qualche errore Conte lo ha commesso – dice al Fatto il giornalista francese – ma allo stesso tempo Renzi lo conosciamo tutti e sappiamo che politico è. Questo non è il momento per scatenare una crisi”.

La sensazione di Tosseri è che, alla fine, quello di Italia Viva possa rivelarsi un bluff: “Credo che Renzi si sia mosso solo per ottenere qualcosa in più al tavolo del governo. Anche perché molti dei suoi sparirebbero dal Parlamento in caso di elezioni”. Impietoso è pure Politico.eu, dorso europeo dell’omonima testata americana: “Le lotte intestine nel mezzo di una pandemia probabilmente faranno infuriare gli italiani, proprio mentre sono alle prese con una seconda ondata che ha visto il Paese tornare il peggiore in Europa per numero di morti”. A dispetto della versione renziana – secondo cui a muovere la crisi sono i temi e non le poltrone –, Politico ne fa un discorso ben più pragmatico: “L’obiettivo a lungo termine di Renzi è di posizionarsi al centro, diventando l’ago della bilancia di qualsiasi governo, magari sbarazzandosi di Conte”.

Gavin Jones, corrispondente da Roma per Reuters, dà un’interpretazione simile: “Renzi dice che sta facendo politica, ma a me evoca l’espressione inglese playing politics, cioè ‘giocare con la politica’. Descrive chi agisce in modo cinico e spregiudicato per un vantaggio politico o personale, invece che per il bene comune”. Di certo c’è che far cadere Conte adesso sarebbe un rischio: “Una crisi in questa situazione mi sembra assurda. Trovo difficile giustificare la posizione di Renzi, anche perché spazia da una questione all’altra: Mes, servizi segreti, giustizia, Recovery”.

I toni non cambiano se si va in Germania. Handelsblatt, che si occupa soprattutto di economia e finanza, nell’edizione cartacea definisce Renzi “il disturbatore d’Italia”. Online non va molto meglio: “Renzi spielt mit dem feuer”, ovvero “Renzi gioca col fuoco”. Nel pezzo si sottolinea ancora come il contesto renda fuori luogo la crisi: “Con le sue minacce e i suoi ultimatum, il 45enne potrebbe portare il suo Paese alle urne in mezzo a una pandemia che continua a fare più di 300 vittime al giorno”. Stando in Germania, il quotidiano Die Welt insiste: “L’Italia ha bisogno di un nuovo governo nel bel mezzo della peggiore crisi degli ultimi decenni?”.

Per non dire di Daniel Verdù su El País, forse il più noto quotidiano spagnolo: “Gli scienziati avvertono sui rischi di una imminente terza ondata, ma la politica resta immersa nella telenovela scaturita dalla minaccia di Matteo Renzi di far cadere il governo”. In un altro articolo, Verdù parla anche di “crisi irresponsabile in un momento di estrema fragilità”. A Renzi e soci non resta allora che aggrapparsi ad Abc, lo stesso giornale spagnolo che qualche mese fa sventolò presunti documenti segreti per dimostrare un finanziamento milionario del governo venezuelano al M5S. Oggi, Abc la vede a modo suo: “Draghi, el mejor remedio italiano contra la crisis”. La traduzione, in questo caso, appare superflua.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/09/dal-financial-times-a-el-pais-la-stampa-estera-contro-matteo/6059970/ 

venerdì 4 settembre 2020

I due Matteo di nuovo insieme: stavolta per lo stadio di Firenze. - Giacomo Salvini

I due Matteo di nuovo insieme: stavolta per lo stadio di Firenze

L’emendamento - Lega e Pd votano un testo di Renzi che toglie poteri alla soprintendenza.
Dopo una notte di trattative e una seduta fiume in commissione Trasporti, alle 9 di mattina il primo a esultare è il più insospettabile: “Lo sblocca-stadi è una vittoria della Lega, le città potranno avere gli stadi che meritano”, dice Matteo Salvini da Genova. Eppure l’emendamento decisivo per sbloccare la costruzione del nuovo stadio di Firenze di cui parla il leader del Carroccio non è quello presentato dalla Lega ma dall’altro Matteo: Renzi. Tant’è che dopo due ore il cappello ce lo mette proprio lui, il leader di Italia Viva: “Una grande vittoria collettiva”, scrive Renzi nella sua e-news. Sono loro i protagonisti dell’accordo che ha portato a sbrogliare la matassa del nuovo stadio di Firenze.
A fine luglio Renzi aveva presentato un emendamento per fare carta straccia del parere contrario della Soprintendenza che si opponeva alla volontà del presidente della Fiorentina, Rocco Commisso, di abbattere le due curve dello stadio Artemio Franchi (che è un bene vincolato) e costruire un impianto nuovo di proprietà. “Ove vi sia il via libera dell’ente territoriale di riferimento, il Comune, una società professionistica può far realizzare interventi di modifica di impianti sportivi senza la necessità dell’autorizzazione della competente Soprintendenza” si leggeva nel testo originario. Insomma: avrebbe deciso tutto il Comune. Un emendamento del genere in commissione non sarebbe mai passato, vista la contrarietà del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini e del M5S. Ma la trattativa tra Pd e Iv si è conclusa con un testo condiviso votato nella notte tra martedì e mercoledì da Pd, Lega, Italia Viva e Fratelli d’Italia con l’unico voto contrario del M5S. L’impianto rimane lo stesso della proposta di Renzi anche se un po’ addolcito dai dem: si potranno ristrutturare gli stadi anche se vincolati, ma sempre nel rispetto “unicamente dei soli specifici elementi strutturali, architettonici o visuali di cui sia strettamente necessaria a fini testimoniali la conservazione o la riproduzione” e la verifica di questi presupposti è demandata al Mibact che deve decidere entro 90 giorni.
Sulla norma ci mette il cappello anche il Pd: “Salvini si prende meriti non suoi – dice il capogruppo dem al Senato Andrea Marcucci –. È una norma che consentirà a Firenze e a molte altre città italiane la ristrutturazione degli stadi senza vincoli irragionevoli”. E anche il presidente della Fiorentina Commisso esulta: “I fiorentini meritano lo stadio”. La norma arriverà domani in Senato dove il governo ha posto la fiducia su tutto il decreto: a quel punto, com’è ovvio, voteranno a favore solo i partiti di maggioranza tra cui i 5Stelle che saranno costretti a piegarsi nonostante il “no” in commissione. In cambio i grillini hanno ottenuto che sull’altra infrastruttura di Firenze, l’aeroporto di Peretola voluto da Renzi, Toscana Aeroporti dovrà presentare una nuova documentazione su Vas e Via, mentre nel testo originario del decreto la prima era stata di fatto abolita. Ma Renzi canta vittoria lo stesso: “Una grande doppietta per Firenze”. Ma Gianluca Ferrara (M5S) replica: “La Vas resta, altro che nuova pista”. E sarebbero anche alleati di governo.
A chi condanna il m5s per non aver portato a termine tutte le proposte in itinere, pongo una domanda: se a votare contro le proposte dei 5s ci si mettono anche gli alleati, Pd e Iv, che votano con l'opposizione, Lega e Fdi, che pretendiamo?
Purtroppo, per approvare e rendere effettive ed applicabili alcune misure in cantiere, è necessario che vengano avallate dalla maggioranza dei parlamentari, e i 5s, da soli, la maggioranza non la raggiungono.
Lapalissiano...
by c.

martedì 28 aprile 2020

Andrea Scanzi

L'immagine può contenere: il seguente testo "business.it PEOPLE Salvini chiama i suoi in piazza con le mascherine: ma a vietarlo è il decreto Salvini 28 aprile 2020"
Questa è bellissima. Salvini, domenica nella sua diretta Facebook, delira: “Se non ci ascoltano ci faremo sentire, con i guanti e le mascherine torneremo a farci sentire, fuori dai social”. Ovviamente poche ore dopo si rimangia tutto. Perché nessuno lo segue, ovvio. Ma non solo: perché una legge vieta di manifestare con il volto anche parzialmente coperto. E chi l’ha fatta quella legge? Salvini. Quale? Quel troiaio del Decreto Sicurezza. Il suo voler creare assembramenti con mascherine sarebbe infatti una violazione del “Decreto sicurezza” che lui stesso ha creato, e in cui lui vieta di manifestare con volto parzialmente coperto.
Questo qua scrive le leggi (orrende) e neanche le capisce. Idolo assoluto.


https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=2372701819119034825#editor/target=post;postID=1266416059256113278

giovedì 11 aprile 2019

La telefonata a Fazio contro l’invito a Di Maio.




Il Fatto Quotidiano racconta oggi che dietro l’ospitata di domenica sera di Luigi Di Maio da Fabio Fazio c’è un retroscena curioso, che parte da una telefonata ricevuta dal conduttore per cercare di dissuaderlo dall’invitare il leader M5S:

A non essere tanto normale è invece una telefonata partita dai piani alti di Viale Mazzini qualche giorno prima, tra venerdì e sabato, proprio a Fazio e anche al direttore del Tg1 Carboni, dopo che è stata resa nota la scaletta del programma. Un colloquio in cui un alto dirigente Rai, come riportava ieri anche il sito Dagospia, avrebbe tentato di convincere il conduttore a declinare l’invito al ministro del Lavoro.
Una conversazione dove si è fatto notare se fosse proprio il caso, a un mese e mezzo dalle Europee, di avere ospite Di Maio e se, nel caso, si fosse pensato a un riequilibrio nella settimana successiva con un ospite leghista. E, dato che Salvini da Fazio non ci va, se non fosse il caso comunque di evitare l’ospitata di Di Maio. Non una telefonata di censura, nemmeno un ordine perentorio, ma una sorta di moral suasion anche assai educata.
Secondo il Fatto il dirigente che si è mosso è Fabrizio Ferragni, capo delle relazioni istituzionali, vicino al presidente Foa:
Nella nuova Rai gialloverde, infatti,di lui si dice che sia molto apprezzato dalla Lega e dal presidente Marcello Foa. Quando Foa ha un impegno istituzionale, spesso ad accompagnarlo c’è Ferragni. Ed è farina del sacco di Foa la decisione di spacchettare la comunicazione, con la conferma di Ferragni. Con chi non aveva buoni rapporti, invece, è Mario Orfeo, di cui era vicedirettore al Tg1. E quando quest’ultimo passa alla direzione generale, gli preferisce, come suo successore, Andrea Montanari.
 https://theworldnews.net/it-news/la-telefonata-a-fazio-contro-l-invito-a-di-maio

martedì 17 febbraio 2015

“Sono musulmano, abbracciami”: l’esperimento contro l’odio.



Esperimenti sociali di questo tipo, come tutto ciò che la rete rende virale, ormai sono diventati una moda, ma questa volta c’è qualcosa di diverso, qualcosa che va al di là del puro intrattenimento.
“The Blind Trust Project”, nato dalla collaborazione della youtuber AsoOmii Jay con la Time Vision Production, ha un duplice obiettivo: contrastare l’islamofobia tra i non musulmani, influenzati dagli stereotipi diffusi dai media, e parlare a quei musulmani integralisti che erroneamente utilizzano la religione come strumento di odio e di guerra. E’ con queste intenzioni che il protagonista del video, occhi bendati e braccia spalancate, si è piazziato a Dundas Square nel centro di Toronto. Al suo fianco due cartelli: “Sono musulmano, sono etichettato come terrorista. Io mi fido di te. Tu ti fidi di me? Abbracciami”.
La reazione dei canadesi, colpiti proprio pochi mesi fa da un attentato di matrice islamista (il 23 ottobre un commando di tre persone ha assaltato il Monumento ai Caduti del Parliament Hill di Ottawa, causando due vittime: un soldato italo-canadese e uno degli assalitori, il trentaduenne Michael Zehaf-Bibeau), è sorprendente nella sua naturalezza. Alle braccia aperte di quel ragazzo hanno risposto con decine di abbracci donne e uomini, giovani e anziani e c’è chi ha persino lasciato la macchina al centro della strada, incurante del traffico, pur di correre a stringere quel ragazzo.
AsoOmii Jay, soddisfatta dell’attenzione mediatica che i suoi “esperimenti” stanno ottenendo, ha scritto sul suo profilo Facebook che: “I radicali, a cui è stato fatto il lavaggio del cervello, devono ricordare che l’Islam è un mezzo di pace e per questo è contrario a qualsiasi forma di violenza e terrorismo”.