Visualizzazione post con etichetta re Giorgio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta re Giorgio. Mostra tutti i post

venerdì 10 agosto 2018

“Grazie, Sire” - Marco Travaglio - 9 agosto 2017

   Risultati immagini per il re   
Prima di leggere questo articolo, andate a pagina 13 e leggetevi quelli di Gomez e Robecchi sulla bombastica analisi della Corte dei Conti sul mega-bidone degli F-35, i cacciabombardieri americani che nel 2009 il governo di centrodestra e la finta opposizione Pd deliberarono di acquistare in 131 esemplari (poi ridotti a 90) dalla Lockheed Martin per la modica cifra di 15 miliardi: più o meno il costo di un anno di reddito minimo per chi non ha nulla. Ora i giudici contabili hanno scoperto quello che noi poveri tapini e financo un bel pezzo del Parlamento già sapevano: il programma F-35 è in ritardo di almeno 5 anni per “molteplici problematiche tecniche”; i costi sono “praticamente raddoppiati”; i 6500 nuovi posti di lavoro annunciati sono appena 1600; ritirarsi ora vorrebbe dire perdere gli “ingenti investimenti” di 4 miliardi già stanziati, ma anche risparmiare i restanti 10. Robecchi si domanda: “Chi è stato?” (ma la S andrebbe maiuscola). Per i più curiosi, torniamo indietro all’estate del 2013. In Egitto l’esercito arresta il presidente democraticamente eletto Morsi e migliaia di Fratelli musulmani e insedia il generale-dittatore Al-Sisi: scalpore in tutto il mondo. Intanto in Italia i generali con l’appoggio del rieletto presidente Giorgio Napolitano mettono in mora il Parlamento: silenzio di tomba. Il 29 giugno Camera e Senato approvano una mozione Sel-5Stelle che impegna il governo Letta (Pd+Pdl+Centro) a sospendere per sei mesi, in attesa dei risultati di un’“indagine conoscitiva”, i nuovi acquisti di F-35. Per motivi sia economici sia tecnici. Quel progetto di cooperazione tecnologico-militare coinvolge 9 Paesi, di cui già 5 si sono sfilati in varie forme: Gran Bretagna, Olanda, Danimarca, Australia e Turchia. Secondo non i pacifisti, ma gli esperti del Pentagono, gli F-35 presentano vari difetti di fabbricazione: tipo che, se colpiti da un fulmine, rischiano di esplodere in volo.
Anche il Pd – pur fra mille maldipancia – vota con M5S e Sel per vincolare il governo “a non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso nel merito, ai sensi della legge 244/2012”. Ma la sola idea che il Parlamento torni a esistere e a dire qualcosa senza il permesso dei superiori fa saltare la mosca al naso di re Giorgio. I giornali lo descrivono “molto irritato” per la lesa maestà delle Camere nei confronti suoi e dei padroni americani. Così il 3 luglio Napolitano riunisce il Consiglio supremo di difesa, di cui s’erano perse le tracce dalla notte dei tempi. Poi dirama un supermonito categorico e impegnativo per tutti.
Eccolo: “La facoltà del Parlamento (riconosciuta dalla legge 244/2012, nda) non può tradursi in un diritto di veto su decisioni operative e provvedimenti tecnici che, per loro natura, rientrano tra le responsabilità costituzionali dell’esecutivo”. Cioè: nel 2012 il Parlamento approva una legge, la 244, promulgata da Napolitano, per raccomandare tagli alle spese militari e stabilire che quelle “straordinarie” passino sempre dalle Camere, e pure quelle ordinarie che completino “programmi pluriennali finanziati nei precedenti esercizi con leggi speciali”; e per dare alle Camere l’ultima parola sulle spese militari alla luce del quadro internazionale e delle disponibilità finanziarie dello Stato, per evitare “nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Proprio il caso degli F-35. Ma Napolitano fa dire a quella legge il contrario di quel che dice, usandola per esautorare le Camere. Ce ne sarebbe abbastanza per un conflitto di attribuzioni fra Parlamento e Quirinale contro questo golpetto senza carri armati, ma con i generali. Ma i presidenti Boldrini e Grasso, solitamente così loquaci e suscettibili, dormono e non fanno un plissé.
Il ministro Franceschini ringrazia fantozzianamente il sovrano per il “giusto richiamo alla separazione dei poteri”. Solennissima sciocchezza: il Consiglio supremo di difesa non è un potere dello Stato, ma – come osserva Stefano Rodotà – “un organo di informazione e consulenza del presidente della Repubblica e indirettamente del governo”, dunque “non solo queste prerogative non si estendono al Parlamento, ma di certo non può essere il Consiglio a imporre veti alle Camere. Proprio non gli compete. Il Parlamento è stato ancora una volta esautorato”. 
Intervistato dal Fatto, anche Gustavo Zagrebelsky stigmatizza l’entrata a gamba tesa del Colle: “Chissà chi sono i consulenti giuridici che hanno avallato le affermazioni del Consiglio supremo di difesa, che svuotano i compiti del Parlamento in materia di sicurezza e politica estera. Un regresso di due secoli, a quando tali questioni erano prerogativa régia… La natura del Consiglio supremo di difesa è stata definita nel 1988 da una relazione della Commissione presieduta da un grande giurista, Livio Paladin, istituita dal presidente Cossiga per fare chiarezza su un organo ambiguo (ministri, generali, presidente della Repubblica). Fu chiarito allora che si tratta di un organo di consulenza e informazione del presidente, senza poteri di direttiva. 
D’altra parte, chi stabilisce se certi provvedimenti e decisioni sono solo tecnici e operativi, e non hanno carattere politico? I sistemi d’arma, l’uso di certi mezzi o di altri non sono questioni politiche? Chi decide? Il Parlamento, in un regime parlamentare. Forse che si sia entrati in un altro regime?”. Parole che cadono nel vuoto. Il Parlamento rincula, il governo preleva un’altra manciata di miliardi dalle nostre tasche per comprare dalla Lockheed altri bidoni volanti, e ora si scopre che era tutta una patacca. Casomai volesse recuperare qualche spicciolo, la Corte dei Conti può spedire il conto a casa Napolitano, Roma, via dei Serpenti.
Leggi anche:

sabato 27 dicembre 2014

Marco Travaglio: carriera amici incarichi di Giulio Napolitano figlio di Giorgio. - Marco Travaglio

zzz

“Il primo, Giovanni, è in forza alla Direzione conflitto di interessi dell’autorità Antitrust, dando un tocco di surrealismo al tutto.
Il secondo, Giulio, classe 1969, è il più attivo nel bel mondo (si fa per dire) romano fra salotti, atenei, palazzi del potere e spiaggia di Capalbio. È l’Infante d’Italia, omologo dell’Infanta di Spagna Elena María Isabel Dominica de Silos de Borbón y Grecia che tanti guai ha procurato al povero Juan Carlos, accelerandone l’abdicazione (istituto previsto dai cerimoniali della Corona spagnola, non di quella italiana). Nel 2003, a 34 anni, Giulio già beneficiava – per la sua leggendaria bravura, s’intende, mica per i lombi e il lignaggio - di due consulenze legali da 15mila euro dalla giunta romana di Veltroni (la Corte dei conti accertò poi che le sue prestazioni potevano essere tranquillamente svolte dal folto ufficio legale del Comune e condannò la malcapitata funzionaria che l’aveva reclutato a risarcire 10mila euro).
Intanto Giulio era già passato a migliori incarichi,tra consulenze pubbliche (Coni, Federcalcio, presidenza del Consiglio) e fondazioni private o quasi (VeDrò di Letta jr. e Arel del duo Amato&Bassanini).
Sempre grazie ai meriti scientifici conquistati sul campo, partecipò alla stesura del decreto sulle Authority, che in ultima analisi fanno capo al Papà Re.
Poi fu chiamato dal n.1 dell’Agcom, Corrado Calabrò, a presiedere l’Organo di vigilanza sull’accesso alla rete Telecom.
Senza trascurare la travolgente carriera universitaria, all’ombra del suo maestro Cassese (di cui ha curato il Dizionario di diritto pubblico), amico del Genitore Regnante (che nel 2013 tenterà di issarlo sul suo trono).
Un’irresistibile ascesa, quella dell’Infante prodige, fin sulla cattedra di Istituzioni di diritto pubblico all’università Roma Tre. Lì, per puro caso, ha regnato per 4 mandati (15 anni) il magnifico rettore Guido Fabiani, marito della sorella di donna Clio, cognato di Giorgio e zio di Giulio. E lì, sempre in ossequio alla meritocrazia, insegnano il Divo Giulio e la cugina Anna Fabiani, figlia del rettore, mentre il di lei marito Alberto Tenderini, non potendo proprio insegnare, cura le iniziative sportive dell’ateneo.
Quando l’anno scorso l’amico Letta Nipote va al governo, due fedelissimi dell’Infante diventano finalmente sottosegretari. Alla Giustizia l’inseparabile Andrea Zoppini, avvocato, autore di libri a quattro mani con Giulio e ordinario di Diritto privato a Roma Tre, ça va sans dire (presto costretto a dimettersi da un’indagine per frode fiscale, poi archiviata). Al Lavoro l’indimenticabile Michel Martone, che si segnala per gaffe memorabili prima d’inabissarsi nel nulla.
Ma ci vuol altro per oscurare la stella di Giulio, che séguita a collezionare poltrone: riformato il diritto sportivo per il Coni di Giovanni Malagò, è commissario ad acta alla Figc di Giancarlo Abete.
Sulle prime Matteo Renzi pare infastidito dall’ubiquo Infante, ma poi – in piena “emulsione” con S.A.R. – si arrende. Il Colle storce il naso per il decreto Franceschini sulla Cultura? Ecco sbucare al suo fianco il consigliere Lorenzo Casini, altro gemello siamese di Giulio, con cui firmò l’imprescindibile “Prospettive della globalizzazione. Come uscire dalla crisi”.
La Madia tribola a partorire il decreto PA, respinto con perdite dal Quirinale? Chi meglio del rampollo, che le fu pure fidanzato, per lubrificare l’ingranaggio?
Lui nega tutto: quello avvistato qua e là dev’essere un fantasma, o un sosia. La Napoli del dopoguerra ironizzava sulla somiglianza fra Umberto di Savoia e Giorgio Napolitano, il “figlio del Re”. Ora che questi s’è incoronato da solo come Carlo Magno, Giulio è figlio di un re e nipote di quell’altro. Viva l’Italia, viva la Repubblica.

venerdì 28 settembre 2012

KISSINGER, UN CRIMINALE DI GUERRA AL QUIRINALE CON NAPOLITANO. - Gianni Lannes



Se Heinz Albert non fosse il maggiore sospettato in qualità di mandante diretto dell’omicidio di Aldo Moro e della strage della sua scorta, le 5 fotografie attualmente in bella mostra sul sito del Quirinale, dell’ex segretario di Stato Usa a colloquio sorridente con il presidente della Repubblica uscente, Giorgio Napolitano, non avrebbero rilievo politico e sociale. 
Ma c’è di più, Henry il potente boss politico - al servizio di ben due presidenti Usa (Nixon & Ford) è pure ricercato a livello internazionale: infatti, tempo fa, è dovuto fuggire dall’Irlanda dove la polizia stava per arrestarlo in seguito ad una segnalazione di attivisti per i diritti civili. Nel 2001, mentre Kissinger si trovava a Parigi, gli è stato recapitato un mandato di comparizione emanato dal giudice LeLoire per testimoniare sulla scomparsa di cittadini francesi in Cile durante l’era dittatoriale del suo socio generale Pinochet. Invece di presentarsi al magistrato, Kissinger ha preferito fuggire in tutta fretta. Lo stesso ex segretario di Stato USA, vanta una denuncia per concorso nell’omicidio del comandante militare cileno Renè Schneider. Nel 2001 il giudice argentino Rodolfo Corral ha emesso nei suoi confronti un mandato di comparizione per la presunta complicità nell’ ”Operazione Condor”. Ad Henry Kissinger - già membro della Trilateral Commission e del Club Bilderberg - sono imputabili crimini contro l'umanità. L'11 settembre 1973 Kissinger ebbe un ruolo di sostegno attivo ordinando l'utilizzo di caccia statunitensi per mettere a segno il colpo di Stato militare di Augusto Pinochet contro il presidente socialista cileno Salvador Allende, eletto democraticamente. Relativamente ancora poca cosa rispetto alle accuse a ragion veduta dello sterminio di milioni di persone in vari continenti per assicurare il dominio Usa. Nello Stivale nessuno si scandalizza se piomba un macellaio - ombra nera della Cia - che ha trascorso la vita tra affari e genocidi su commissione e detta ancora legge nel nostro Paese a sovranità azzerata.
Impunemente l’ex braccio destro di Nixon atterra in Italia e viene addirittura ricevuto in pompa magna a Villa Madama dal sodale Napolitano che lui stesso definisce “My favorite communist”. In questa tenuta di rappresentanza del ministero degli Esteri, un’associazione privata nord-americana - l’Aspen Institute - ha organizzato una conferenza. Le accuse ad Henry Kissinger si sono fatte molto pesanti, almeno all’estero, come indiscutibilmente è altrettanto forte la richiesta di molti illustri personaggi di revocare il premio Nobel assegnatogli indebitamente nel 1973. E’ certo però che se l’ex Segretario di Stato americano lanciò frasi riguardanti il golpe cileno di questa portata: «Non si può permettere che il Cile diventi marxista, per il semplice motivo che la sua popolazione è irresponsabile» le riflessioni diventano obbligatorie anche da noi. Cile, Uruguay, Argentina almeno a pelle, sangue, dna e storia non ci sono indifferenti come, il Pakistan, l’Indonesia e Timor Est.



Delitto Moro - Nel 1982 grazie alla testimonianza giurata in sede giudiziaria di Corrado Guerzoni (collaboratore di Moro) - prontamente rimossa e dimenticata dagli addetti ai lavori di pulizia ed ignota alla coscienza collettiva - l’Italia e l’Europa (ma non gli Stati Uniti) appresero che Kissinger era dietro la morte di Aldo Moro. Sicuro nella sua posizione di membro della più potente fra le società segrete del mondo, il tedesco Kranz non solo terrorizzò Moro, ma portò avanti le sue minacce di far “eliminare” l’uomo politico pugliese se non avesse rinunciato al progetto di far progredire l’economia e l’industria in Italia.

Nel giugno e luglio di 30 anni fa, la moglie di Aldo Moro, Eleonora Chiavarelli Moro, testimoniò in tribunale che l’assassinio del marito fece seguito a serie minacce di morte, esercitate da colui che lei definì «una figura politica americana di alto livello». La signora Eleonora Moro ripeté la stessa frase attribuita ad Henry Kissinger nella testimonianza giurata di Guerzoni: «O tu cessi la tua linea politica oppure pagherai a caro prezzo per questo». Richiamato dai giudici, a Guerzoni fu chiesto se poteva identificare la persona di cui aveva parlato la signora Moro. Guerzoni confermò che si trattava di Henry Kissinger, come d’altra parte aveva precedentemente dichiarato. Il giornalista Guerzoni spiegò in tribunale come Kissinger fece le sue minacce ad Aldo Moro in una stanza d’albergo durante una visita ufficiale di alcuni leader italiani. Secondo Guerzoni, Moro, che solo in seguito divenne Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, era un uomo di prim’ordine, uno che non si sarebbe mai piegato a minacce ed avvertimenti di stile mafioso. Moro era accompagnato nella sua visita agli Usa dal Presidente della Repubblica in carica. Kissinger era un importante agente del RIIA, un membro del CFR e del Club di Roma.

Ecco come l’analista John Coleman ha ricostruito e documentato l’eliminazione di Moro ed il coinvolgimento di Kissinger, nel libro THE STORY OF THE COMMITTEE OF 300 (pubblicato nel 1992 e mai tradotto in Italia).

«Aldo Moro fu un leader che si oppose alla “crescita zero” e alla riduzione della popolazione pianificata dal NWO per l’Italia, per questo incorrendo nelle ire del Club di Roma, un’entità creata dagli Olympians della Commissione dei 300 per portare a compimento le sue politiche. In un tribunale di Roma, un amico intimo di Aldo Moro, il 10 di Novembre del 1982, testimoniò che l’ex Presidente del Consiglio fu minacciato da un agente della RIIA (Istituto Reale per gli Affari Internazionali) – che era anche membro della Commissione dei 300 – mentre era il Segretario di Stato USA in carica. Quest’uomo era Henry Kissinger . Moro fu rapito dalle Brigate Rosse nel 1978 ed in seguito assassinato brutalmente. Fu al processo alle Brigate Rosse che diversi di loro testimoniarono che erano a conoscenza di un coinvolgimento degli USA ai massimi livelli nel complotto per uccidere Aldo Moro. Mentre minacciava Moro, Kissinger stava agendo non in qualità di rappresentante della politica estera degli Stati Uniti, ma piuttosto secondo le istruzioni ricevute dal Club di Roma, il braccio che si occupava della politica estera della Commissione dei 300».

Nella sua esposizione di questo atroce crimine, Coleman dimostrò come Aldo Moro, un leale membro del partito della Democrazia Cristiana, fu ucciso da assassini controllati dalla loggia Massonica P2 con l’obiettivo di riportare l’Italia in linea con i piani del Club di Roma per deindustrializzare il paese e ridurre in modo considerevole la sua popolazione. Il piano di Moro di stabilizzare l’Italia attraverso la piena occupazione e la pace industriale e politica avrebbe da una parte rafforzato l’opposizione cattolica al comunismo e dall’altra reso la destabilizzazione del Medio Oriente molto più difficile. L’Italia fu scelta come paese-test dalla Commissione dei 300. L’Italia è importante per i piani dei cospiratori perché è il paese occidentale avente rapporti politici ed economici col Medio Oriente più vicino a tale area. Inoltre ospita alcune delle famiglie della Nobiltà Nera più potenti d’Europa. Se l’Italia fosse uscita indebolita dall’affaire Moro, ci sarebbero state ripercussioni anche nel Medio Oriente, e questo avrebbe indebolito l’influenza degli USA nella regione. L’Italia è importante anche per un’altra ragione: è la porta d’ingresso in Europa della droga proveniente dall’Asia e dal Libano.

Vari gruppi si sono aggregati sotto la bandiera del “socialismo” da quando si formò ufficialmente il Club di Roma (Aurelio Peccei) nel 1968. Fra questi, la Nobiltà Nera di Venezia e Genova, la loggia Massonica P2 e le Brigate Rosse, tutti operanti per i medesimi scopi. Investigatori della Polizia a Roma che operavano nel caso di Aldo Moro rapito dalle Brigate Rosse incapparono nei nomi di diverse potenti famiglie italiane che operavano in modo stretto con i terroristi. La Polizia scoprì anche che in almeno una dozzina di casi, queste potenti famiglie bene in vista avevano messo a disposizione le loro case o proprietà come covi sicuri per le Brigate Rosse.

La “nobiltà” finanziaria internazionale opera analogamente per distruggere la Repubblica Italiana, ed un grande apporto è stato offerto da Richard Gardner anche nel periodo in cui svolgeva il ruolo di ambasciatore del presidente Carter a Roma. Non a caso la recensione di Giorgio Napolitano al libro di Gardner (Mission: Italy) - che “re Giorgio” chiama affettuosamente “Dick” - è stata pubblicata proprio dalla rivista Aspenia (numero 27, anno 2004) è oltremodo illuminata. Insomma, tutto torna prima o poi, basta dare un’occhiata ai contenuti reali senza farsi confondere dagli abbagli. Nel Gruppo dei 300 figurano anche gli italiani Giovanni Agnelli, Umberto Ortolani (il vero deus ex machina della P 2) e Carlo De Benedetti.




16 marzo 1978 - «49 dei 92 proiettili che furono ritrovati in via Fani erano ricoperti da una particolare vernice a lunga conservazione - specifica l’esperto storico Gianni Cipriani - ed erano senza la data di fabbricazione. La prima perizia parlò di proiettili in uso a forze armate non convenzionali».

Colpì la geometrica potenza. Le brigate rosse non avevano la forza né la capacità di portare a termine un sequestro militarmente così complesso. Si trattava di un’organizzazione fatta da giovani con poca o scarsa esperienza bellica. A parte gli infiltrati dei servizi segreti, addestrati a Capo Marrargiu in una base di Gladio. E poi un rapimento in pieno giorno nel centro di Roma, nella primavera del 1978, tutte le sue guardie del corpo freddate in pozze di sangue. Inverosimile.

Federico Umberto Valerio, a capo per decenni dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale, nonché fondatore, anzi “padrino” (come amava ricordare e farsi chiamare) del Club di Berna - che riunisce i servizi segreti europei, elvetici ed Usa - si è vantato che «Le brigate rosse erano ampiamente infiltrate». Inoltre, tutti i componenti delle br erano noti agli ambiti di comando superiore di carabinieri, polizia e servizi segreti.

Lo storico dell’intelligence italiana, Gianni Cipriani così argomenta: «Valerio Morucci il brigatista che fu arrestato non molto temo dopo l’eliminazione di Aldo Moro aveva un’agenda piena di documenti e di numeri di telefono con annotazioni molto riservate. E tra queste, quella del generale Giovanni Romeo a che era capo dell’Ufficio D del Sid, cioè l’ufficio più importante durante il sequestro. E’ stato proprio il generale che nel 2001 in Commissione Stragi ha parlato in maniera chiara della presenza di agenti dei servizi segreti all’interno delle brigate rosse». Anzi, la mattina dell’agguato sul luogo della mattanza c’era il colonnello Guglielmi dell’ufficio sicurezza interna (già addestratore di Capo Marrargiu) che interrogato in seguito ha dichiarato una cosa piuttosto singolare. Vale a dire di “essere stato invitato a pranzo da un amico alle nove del mattino”.

Anche a Giovanni Galloni - certo non l’ultimo arrivato - tornò in buona fede la memoria parecchio tempo dopo. Così riporta il settimanale L’Espresso (14 maggio 2007): «Ci sono dei fatti nuovi da scoprire e da introdurre», dice Galloni, «perché non tutte le cose su Moro sono state dette, soprattutto quelle che riguardano la sua fine». Perché solo adesso? Perché, a quasi trent'anni di distanza dalla strage di via Fani e dal ritrovamento del cadavere di Moro nel bagagliaio della famosa R4 rossa, l'ultraottantenne Giovanni Galloni avverte la necessità di riaprire questo capitolo della storia italiana e, soprattutto, della Democrazia Cristiana di cui entrambi furono esponenti di primissimo piano? Gli aspetti ancora nell'ombra, per Galloni, sono soprattutto due: «Le quattro sentenze che ci sono state sulla morte di Moro non hanno soddisfatto la magistratura. Una parte di quei magistrati, compreso il fratello di Moro, mi ha detto di aver rifiutato i verdetti dei tribunali. Sono convinti che le Br abbiamo negato di avere avuto alle loro spalle altri esecutori solo per ottenere degli sconti di pena, che ci sono stati. E ora anche questo va chiarito».

Henry Kissinger è anche proprietario della Kissinger Associates, una società che offre consulenze e contatti a multinazionali e società in genere e che annovera, o ha annoverato tra la sua clientela, le più grandi industrie mondiali come la Coca-Cola, la Daewoo, l’American Express, l’Anheuser-Bush, la Banca nazionale del Lavoro, la Fiat; particolarmente riconoscente alla K.A. è la Freeport McMoran, una società mineraria che ha in gestione la più grande miniera d’oro al mondo e che si trova a Grasberg in Irian Jaya (la parte occidentale della Nuova Guinea annessa dagli indonesiani).

A 34 anni dall’assassinio dello statista Aldo Moro le carte sono ancora vergognosamente coperte dal segreto, in palese violazione della legge 124 dell’anno 2007 che aveva stabilito il limite temporale di 30 anni alla consultazione libera. Ed il generale Dalla Chiesa ci ha rimesso la pelle insieme alla moglie, esattamente dopo le conferme e rivelazioni in tribunale sulle minacce di Kissinger a Moro.

Allora Monti sarà possibile conoscere almeno la verità sulla fantomatica seduta spiritica nella quale venne fatto il nome di Gradoli? Sarebbe l'unica volta che abbia avuto successo di cui si ha conoscenza. Ed è tutto agli atti delle commissioni parlamentari d'inchiesta, ma nessuno all'epoca andò a controllare seriamente in via Gradoli a Roma, proprio dove era prigioniero il presidente Moro. Romano Prodi quando si deciderà a svelare la fonte che gli ha parlato di Gradoli? Quanti italiani sanno che Prodi ha dichiarato in due commissioni d'inchiesta parlamentari che questo nome è venuto fuori dal gioco del piattino a Bologna?