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giovedì 9 maggio 2024

Decifrata antica e misteriosa scrittura di 4.000 anni fa. - Lucia Petrone

 

Un misterioso antico sistema di scrittura chiamato Linear Elamite, usato tra il 2300 a.C. e il 1800 a.C. circa in quello che oggi è l’Iran meridionale, potrebbe essere stato finalmente decifrato.

Una misteriosa e antica scrittura chiamata Linear Elamite, usata tra il 2300 a.C. e il 1800 a.C. circa in quello che oggi è l’Iran meridionale, potrebbe essere stata finalmente decifrata. Solo circa 40 esempi noti di elamite lineare sopravvivono oggi, rendendo la scrittura difficile da decodificare. I ricercatori hanno scritto in un articolo pubblicato a luglio sulla rivista Zeitschrift für Assyriologie und Vorderasiatische Archäologie (tedesco per il Journal of Assyriology and Near Eastern Archaeology). La chiave della loro decifrazione è stata l’analisi di otto iscrizioni su becher d’argento. Altri gruppi di ricerca avevano precedentemente decodificato diverse iscrizioni elamiti lineari, e gli autori del nuovo studio si sono basati su questo lavoro precedente confrontando il sistema di scrittura nelle otto iscrizioni elamite lineari con testi cuneiformi (una scrittura già decifrata utilizzata in quello che ora è il Medio Oriente) che risalgono all’incirca allo stesso periodo di tempo e probabilmente contengono i nomi degli stessi sovrani e i loro titoli e usano alcune delle stesse frasi per descrivere il Righelli.

Il team ha determinato cosa significassero molti altri segni aggiuntivi. Tuttavia, circa il 3,7% dei segni elamiti lineari rimane indecifrabile. Ci sono più di 300 segni elamiti lineari che rappresentano suoni diversi, come un segno a forma di mezzaluna che suona come “pa”, ha scritto il team nel documento. Il team ha tradotto un breve testo nell’articolo che dice (in traduzione): “Puzur-Sušinak, re di Awan, Insušinak [una divinità] lo ama”. Il testo aggiunge che chiunque si ribelli da Puzur-Sušinak dovrebbe “essere distrutto”. Il team ha scritto che in futuro saranno pubblicate più traduzioni di testi completi. L’autore corrispondente del team, François Desset, archeologo dell’Università di Teheran e del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica (CNRS), ha rifiutato di commentare il lavoro del team.

https://www.scienzenotizie.it/2024/05/07/decifrata-antica-e-misteriosa-scrittura-di-4-000-anni-fa-2059734

domenica 11 febbraio 2024

Francia: scoperti fossili di creature risalenti a 470 milioni di anni fa. - Angelo Petrone

Trilobiti, gasteropodi, spugne, artropodi e molto altro ancora mineralizzati e fossilizzati nel biota francese (Immagine: Saleh et al./Nature Ecology & Evolution)

 Un team di paleontologi dilettanti ha trovato straordinari reperti fossili in un sito in Francia, con più di 400 resti di animali risalenti fino a 470 milioni di anni fa. Il sito si trova nella catena montuosa della Montagne Noire, in una provincia del sud del Paese. Dopo il ritrovamento, gli appassionati Eric Monceret e Sylvie Monceret-Goujon hanno incaricato un team dell’Università di Losanna di studiare il sito e i suoi reperti. I fossili risalgono all’Ordoviciano, un periodo in cui il pianeta stava sperimentando un riscaldamento globale estremo. Per sfuggire al caldo eccessivo molti animali fuggivano a latitudini più alte o più basse, dove, lontano dall’equatore, le temperature erano più miti. La regione francese faceva, all’epoca, parte del circolo polare meridionale, luogo ideale per la vita delle creature. Oltre al gran numero di fossili che hanno sorpreso gli scienziati, è degna di nota anche la loro conservazione: all’interno dei gusci della fauna c’erano ancora tessuti molli, come i tratti digestivi e le cuticole, che raramente si trovano nelle creature fossilizzate. Ciò ha permesso di studiare l’anatomia delle antiche specie marine in un modo senza precedenti.

La posizione dei continenti faceva in modo che il sito francese si trovasse vicino al Polo Sud del periodo Ordoviciano. Nel sito erano presenti artropodi, dunque, un gruppo ancestrale e molto diversificato di insetti che comprende millepiedi e gamberetti, oltre a cnidari, come meduse e coralli. Un altro gruppo abbondante nel sito erano le spugne marine e le alghe, che rendevano l’antico ecosistema estremamente ricco, un santuario per le specie in fuga dal caldo equatoriale. Oltre a fornire un ritratto molto interessante del passato, il passato può aiutarci a capire come sarà il nostro futuro se non saremo in grado di rallentare il ritmo del riscaldamento globale.

Fonte: https://www.nature.com/articles/s41559-024-02331-w


https://www.scienzenotizie.it/2024/02/10/francia-scoperti-fossili-di-creature-risalenti-a-470-milioni-di-anni-fa-5679895

giovedì 4 maggio 2023

Arabia Saudita: scoperta rara incisione raffigurante l’ultimo re di Babilonia. - Lucia Petrone

Il reperto risale al VI secolo a.C e contiene il testo in scrittura cuneiforme più lungo mai rinvenuto fino ad oggi.

Il petroglifo, una pietra di basalto raffigurante Nabonide è stato scoperto nelle Penisola Araba. L’iscrizione è stata trovata ad Al Hait, nella regione di Hail, nel nord dell’Arabia Saudita. Conosciuto come Fadak nei tempi antichi, Al Hait detiene numerosi siti antichi, tra cui i resti di fortezze, arte rupestre e impianti idrici, ha affermato la commissione. “[Essa] ha un grande significato storico dal primo millennio [aC] fino all’inizio dell’era islamica”. Resta da vedere quali nuove informazioni fornirà questa iscrizione sul re Nabonedo (regno 555–539 aC).

L’ impero babilonese si estendeva dal Golfo Persico al Mar Mediterraneo, e all’inizio del regno di Nabonedo conquistò parte dell’attuale Arabia Saudita e alla fine scelse di vivere a Tayma, una città nell’attuale Arabia Saudita, fino al 543 circa a.C. Il motivo per cui Nabonedo scelse di vivere in quella che oggi è l’Arabia Saudita per un lungo periodo di tempo è oggetto di dibattito tra gli storici, con alcuni esperti che affermano che i conflitti tra Nabonedo e i sacerdoti e funzionari di Babilonia sono una probabile ragione. Alla fine del regno di Nabonedo, l’impero babilonese fu attaccato dall’impero persiano, guidato dal re Ciro il Grande; La stessa Babilonia fu conquistata dai persiani nel 539 a.C. e l’impero babilonese crollò. Il destino di Nabonidus dopo il crollo non è chiaro.

https://www.scienzenotizie.it/2023/05/02/arabia-saudita-scoperta-rara-incisione-raffigurante-lultimo-re-di-babilonia-1847547?utm_source=dlvr.it&utm_medium=facebook

venerdì 9 aprile 2021

Egitto, ritrovata a Luxor la 'città d'oro perduta'.


























Sarebbe il più grande insediamento urbano del Paese.

In Egitto è stata annunciata la scoperta di quello che viene descritto come il più grande insediamento urbano mai rinvenuto nel Paese attraverso un ritrovamento presentato quale il secondo più importante dopo quello della tomba di Tutankhamon. Come riporta la pagina Facebook del ministero delle Antichità egiziano, si tratta di una "città d'oro perduta" di quasi 3.000 anni fa e il ritrovamento è stato fatto da una missione guidata dall'archeologo-star egiziano Zahi Hawass sulla sponda ovest del Nilo nella zona di Luxor, nel sud dell'Egitto.

ANSA

venerdì 7 febbraio 2020

La mamma di Mesagne e il bambino: un abbraccio lungo 600 anni. - Marina Poci



















Si trovarono fra tutte quelle carcasse orrende due scheletri di cui l’uno teneva l’altro stranamente abbracciato. Quando fecero per staccarlo dallo scheletro che stringeva, andò in polvere”. Così, in Notre Dame de Paris, Victor Hugo concludeva la storia del gobbo Quasimodo, volontariamente andato a morire insieme all’amata Esmeralda nella fossa comune dove la gitana, giustiziata per avere rifiutato l’amore dell’arcidiacono della cattedrale, era stata seppellita.
Per nostra fortuna, la stessa cosa non è accaduta agli scheletri rinvenuti, intatti, alla fine di gennaio nel centro storico di Mesagne, in piazza Sant’Anna dei Greci, durante i lavori di rifacimento della rete idrica e fognaria da parte della ditta incaricata dall’Acquedotto Pugliese: dai primi rilievi effettuati sulle dimensioni del cranio e delle circonferenze toracica e pelvica, si tratterebbe dello scheletro di una donna molto giovane, reclinata sul fianco destro e con gli arti superiori leggermente curvati e dello scheletro di un infante di pochi anni a questa sovrapposto, adagiato all’altezza del suo grembo.
L’annuncio dello straordinario ritrovamento, facente parte di un più ampio rinvenimento di tombe con scheletri interi, è stato dato la mattina del 30 gennaio, in una conferenza stampa congiunta, dall’amministrazione comunale di Mesagne e dalla Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio di Brindisi, Lecce e Taranto: presenti il sindaco Toni Matarrelli, il vicesindaco Giuseppe Semeraro, i consulenti Mimmo Stella e Marco Calò, l’architetto Maria Piccarreta, soprintendente, e la direttrice scientifica degli scavi, dottoressa Annalisa Biffino, hanno descritto quanto è stato rinvenuto durante lo scavo per la posa delle nuove condutture, nonché gli interventi già effettuati dai tecnici sul luogo.
“Questo ritrovamento ci consente di leggere la stratigrafia di realizzazione della città in un periodo non antichissimo, ma comunque importante, dal momento che è nel periodo basso medioevale che si sono determinate la struttura del centro storico e l’articolazione del tessuto urbano così per come le conosciamo e le viviamo noi adesso. Quanto abbiamo ritrovato rappresenta probabilmente soltanto un angolo di un sito che si estende sia al di sotto che lateralmente, ma in questi casi occorre essere molto razionali: studiare ciò che è emerso e coniugare il nostro lavoro di archeologi e storici con le esigenze di vivibilità del luogo e di posizionamento delle condutture delle utenze”, ha chiarito la soprintendente Piccarreta.
“Abbiamo trovato cinque tombe attestanti la presenza di un sepolcreto urbano in adiacenza ad un tratto di muratura di notevole spessore. Al momento, in base alle tipologie di sepoltura e in base ai reperti ritrovati, ci pare di poter collocare questa necropoli in periodo basso medioevale, quindi tra la fine del XIII e il XV secolo, ma abbiamo naturalmente bisogno di studi più approfonditi, anche in laboratorio, per poter essere più precisi sulla datazione”, specifica la dottoressa Biffino.
Due delle tombe ritrovate, quelle a cassa in muratura, sono state studiate e mantenute sul luogo del ritrovamento. Le altre tre, rimosse per essere analizzate, erano a fossa terragna (il defunto veniva inumato direttamente nel terreno, a volte sopra un piano di ghiaia o sabbia, e a protezione della salma veniva predisposta una copertura di materiale che variava dal legno al carparo).
Proprio una delle tombe a fossa terragna conteneva la doppia deposizione di quella che è immediatamente apparsa come una donna di giovane età e del bambino.
Immediata risonanza al ritrovamento è stata data persino dai media nazionali, che hanno divulgato la suggestiva immagine dei due scheletri definendola, forse un po’ forzatamente, come “l’abbraccio eterno di mamma e figlio”.
Gli scavi, dei quali già in occasione della conferenza è stato mostrato alla stampa un piccolo saggio stratigrafico, sono stati condotti dallo Studio Consulenza Archeologica di Ugento, diretto dal dottor Paolo Schiavano, che, come da normativa vigente, si è aggiudicato l’appalto dell’AQP per la sorveglianza e assistenza archeologica.
“Mi piace sottolineare quello di Mesagne come un buon esempio di sinergia tra impresa esecutrice dei lavori, soprintendenza e impresa appaltatrice della sorveglianza. Nel momento in cui sono state rinvenute sedimentazioni di tipo archeologico, l’archeologa nostra delegata presente sul posto, la dottoressa Adele Barbieri, ha immediatamente sospeso i lavori, richiedendo l’intervento della Soprintendenza. Non sempre troviamo la giusta disponibilità, perché l’interruzione delle attività comporta naturalmente una serie di disagi. In questo caso, invece, sia l’AQP che la ditta Spinosa, incaricata dei lavori di rifacimento, hanno collaborato attivamente, favorendo l’allargamento dello scavo e dimostrando una grande sensibilità”, sottolinea il dottor Schiavano. “La dinamica degli eventi mesagnesi testimonia anche l’efficacia della legge cosiddetta “sull’archeologia preventiva” (il cui scopo è di prevenire danni su resti archeologici e di garantire una corretta gestione di possibili rinvenimenti non soltanto nei centri storici e nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico e archeologico)”, conclude Schiavano.
Il riferimento alla legge che concilia l’opera pubblica con la tutela archeologica del territorio, in effetti, coglie nel segno: gli scavi hanno per l’appunto evidenziato come parte del ritrovamento appaia vistosamente danneggiato dai sottoservizi precedenti, in particolare dagli interventi effettuati per portare nel centro storico la linea telefonica.
“Non è inconsueto, nel nostro territorio, rinvenire sepolture plurime. A volte sono membri della stessa famiglia, ma spesso si tratta di soggetti estranei che possono essere seppelliti insieme per i motivi più diversi (anche, molto banalmente, per mancanza di spazio). Per accertare che si tratti di una donna, abbiamo bisogno di condurre analisi molto più approfondite. Al momento mi limito a dire che certamente si tratta di un soggetto giovane e che da un’analisi macroscopica del bacino e del cranio parrebbe essere una giovinetta. Ma la conferma ci sarà data soltanto dalla comparazione di tutti i parametri biometrici, che richiede un po’ di tempo”, precisa cautamente la dottoressa Barbieri.
Degno di nota appare, inoltre, il rinvenimento, nelle tombe a cassa, di una ulteriore sepoltura doppia, con ogni probabilità di due uomini (accanto ai quali vi sono delle monete non leggibili ma sicuramente di età bassomedievale) e di una tomba a colatoio (una tipologia di tomba utilizzata prevalentemente nelle chiese e nei conventi o per seppellire membri della stessa famiglia guadagnando spazio, nella quale le salme venivano deposte mano a mano che morivano e ad ogni nuova deposizione veniva spinto giù il defunto precedente). Il primo defunto emerso in questa tomba dovrebbe essere una donna, dal momento che addosso allo scheletro sono stati ritrovati un paio di orecchini. Nel riempimento della tomba a colatoio sono stati ritrovati almeno cinque individui e una serie reperti di non eccezionale valore (anellini, monetine, addirittura un anello da cucito, cioè un ditale senza il vertice) ma utilissimi ai fini della datazione.
Il ritrovamento mesagnese degli scorsi giorni ha una certa importanza, in quanto potrebbe dare conferma di una serie di informazioni delle quali abbiamo conoscenza da fonti storiche e storiografiche. Già lo storico Cataldo Antonio Mannarino (1568-1621), infatti, dava notizia, documentandola con la sua famosa mappa a forma di cuore, dell’esistenza in loco di una chiesa di fondazione bizantina dedicata a Sant’Anna dei Greci, che insisteva sull’omonima piazza e fu demolita intorno agli anni 1839-40 in quanto pericolante. Giacché i rinvenimenti tombali appaiono allineati ad un tratto piuttosto largo di muratura, l’ipotesi interpretativa più affascinante (che al momento, in mancanza di elementi a suffragio, non può essere validata) è che quelle mura siano proprio le fondamenta dell’antica chiesa di rito greco e che le tombe ritrovate siano parte del cimitero annesso alla chiesa (di sepolcri con “vestimenta bizantine” scoperti durante i lavori di demolizione parlano, infatti, le fonti storiografiche del tempo).
“Mi permetto di suggerire una soluzione simile a quella che è stata elaborata a Lecce in piazza Castromediano: una copertura a vista con lastroni di vetro, per rendere il sito fruibile ai cittadini e ai turisti anche in occasione di una semplice passeggiata nel centro storico”, propone, sentito sul punto, il massimo esperto di Mannarino sul territorio, il professor Domenico Urgesi, già direttore del museo archeologico di Mesagne e della biblioteca comunale “Granafei”. “Inoltre, credo che ormai sia tempo che il Comune di Mesagne si doti di una specifica voce di bilancio con la quale sia previsto l’accantonamento di somme da destinare all’eventualità di ritrovamenti archeologici: Mesagne è un territorio ricchissimo ed è giusto che venga riconosciuto”.
“Non è ancora prevedibile quello che accadrà”, puntualizza il sindaco di Mesagne Toni Matarrelli. “In questo momento il dominus della vicenda non è il Comune, ma la Soprintendenza, che valuterà tra le diverse ipotesi che sono emerse: la trasposizione degli scheletri all’interno del museo o la predisposizione di un sito da lasciare nel luogo del ritrovamento, come è stato fatto in occasione del rinvenimento della necropoli di Vico Quercia. Accolgo con attenzione il suggerimento del professore Domenico Urgesi e valuterò l’ipotesi insieme ai miei collaboratori, compatibilmente con le risorse comunali. Certamente, dal punto di vista umano, mi colpisce molto l’immagine dei due scheletri, giovane donna e bambino, in una posizione suggestiva come quella in cui sono stati trovati e vorremmo che di questa visione beneficiassero tutti coloro che frequentano Mesagne. Nell’immaginario collettivo, siamo associati alla civiltà messapica, ma questo ritrovamento dimostra, una volta di più, che la storia della nostra città non può essere confinata al solo periodo messapico, ma va indagata in ogni direzione temporale”.


https://www.senzacolonnenews.it/apertura/item/la-mamma-di-mesagne-e-il-bambino-un-abbraccio-lungo-600-anni.html?fbclid=IwAR26OpV-KoVql0Xd0wJAIPShsQQXStVUzonverQQ5mG3pCUTTpeD9SJh8uI

domenica 30 dicembre 2018

Ritrovata tomba egizia intatta: nessuno ci entra da oltre 4.400 anni.


Un team di archeologi ha scoperto il sepolcro nel sito di Saqqara, un luogo unico ricco di reperti dell’antico Egitto.


In Egitto il Ministro del Supremo Consiglio delle AntichitàKhaled el-Enany, ha annunciato un ritrovamento eccezionale: nel sito di Saqqara, dove da tempo si sta lavorando, un team di archeologi ha ritrovato una tomba antichissima rimasta praticamente intatta. Nessuno vi entra da 4.400 anni ed è anche questo che rende il ritrovamento unico e importantissimo ai fini dello studio dell’antica civiltà egizia.
Gli stessi archeologi non riuscivano a credere ai loro occhi quando hanno scoperto la tomba: nonostante sia antichissima, infatti, è conservata benissimo e contiene dei veri e propri tesori storici e artistici. Secondo le prime notizie del ritrovamento, il sepolcro conterrebbe circa 45 statue scolpite nella roccia, per questo motivo gli studiosi pensano si tratti della tomba di un alto funzionario e della sua famiglia. È stato ipotizzato che potrebbe appartenere al sacerdote Wahtye, risalente a un periodo datato più o meno tra il 2500 e il 2300 a.C., dunque, appunto, circa 4.400 anni fa.
Le statue dovrebbero raffigurare uomini o divinità, considerando che alcune sono a grandezza naturale, mentre altre sono alte circa 1 metro. Nei geroglifici dipinti sulle pareti e ancora perfettamente visibili viene spesso nominata “Merit Meen”, che significa “l’amante del dio Min” e si presume possa essere la madre di Wahtye; in un altro punto, invece, si legge “Nin Winit Ptah”, che significa “il grandissimo dio Ptah”, una divinità associata a Memphis, l’antica capitale egizia che si trovava proprio nei pressi di Saqqara.
Quello della tomba di Saqqara è dunque il secondo grande ritrovamento di quest’anno, dopo quello delle 8 mummie intatte, ritrovate a novembre nella zona sud orientale della piramide del re Amenemhat II, nella necropoli di Dahshur.

domenica 3 giugno 2018

L'olio d'oliva più antico ha 4.000 anni.

L'antica giara di ceramica rinvenuta negli anni '90 in Sicilia, a Castelluccio di Noto (fonte: Polo Regionale di Siracusa per i siti e musei archeologici Museo Paolo Orsi)

In una giara dell'Età del Bronzo rinvenuta in Sicilia.


L'olio d'oliva è molto più antico di quanto si pensasse: risale a oltre 4.000 anni fa, come indicano i resti trovati in una giara di ceramica e in altri frammenti di terracotta rinvenuti negli anni '90 in Sicilia, a Castelluccio di Noto. I frammenti sono stati analizzati soltanto adesso dal gruppo del ricercatore italiano, Davide Tanasi, che lavora nell'americana University of South Florida, e che ha pubblicato il risultato sulla rivista Analytical Methods. 

"Abbiamo individuato la prima prova chimica del più antico olio d'oliva nella preistoria italiana" ha rilevato Tanasi. Questo, ha aggiunto, "spinge indietro di almeno di 700 anni la produzione dell'olio d'oliva". Finora le altre tracce antiche dell'olio d'oliva erano state individuate in alcuni vasi scoperti a Cosenza e a Lecce e risalenti al XII e XI secolo a.C

I ricercatori hanno individuato tracce di acidi oleico e linoleico, che sono le firme dell'olio d'oliva, in alcuni frammenti di terracotta e in una giara in ceramica rinvenuti oltre 20 anni fa durante gli scavi in un sito archeologico a Castelluccio di Noto, risalente all'età del Bronzo e in particolare al periodo compreso tra la fine del 3.000 a.C e l'inizio del 2.000 a.C

Tutti i resti sono conservati nel Museo Archeologico di Siracusa dove negli ultimi anni sono stati restaurati e riassemblati. I restauratori del museo hanno così ricostruito completamente la giara in ceramica (ottenuta ricomponendo 400 frammenti), alta un metro, dalla forma simile a quella di un uovo, con tre maniglie sui lati e contenente al suo interno residui di sostanze organiche. Nello stesso sito erano stati trovati anche i frammenti di altri due contenitori in terracotta, contenenti anch'essi tracce di sostanze organiche e per identificare la natura di queste sostanze, i ricercatori, adesso, hanno analizzato chimicamente i resti. "Volevamo scoprire - ha detto Tanasi - a che scopo venissero usati questi contenitori".


lunedì 27 gennaio 2014

Occhi azzurri, carnagione scura: com'eravamo nel Mesolitico


Occhi azzurri, carnagione scura: com'eravamo nel MesoliticoRicostruzione dell'aspetto di La Brana 1: sono evidenti i tratti somatici misti, con carnagione scura e occhi azzurri (Cortesia Vidal Encina)


Le analisi del genoma di un uomo vissuto in Europa 7000 anni fa, in un periodo che precede l'arrivo dell'agricoltura e delle tecniche di allevamento dal vicino Medio Oriente, mostrano un misto di caratteri somatici africani e scandinavi e un'intolleranza al lattosio, lo zucchero contenuto naturalmente nel latte. 
Occhi azzurri e pelle scura: erano probabilmente questi alcuni dei tratti somatici di La Braña 1, un uomo il cui scheletro fossile risalente al Mesolitico è stato scoperto nel sito archeologico di La Braña-Arintero, nei pressi di León, in Spagna. Lo ha stabilito una ricerca pubblicata su “Nature” da Carles Lalueza-Fox del Consiglio nazionale delle ricerche spagnolo (CSIC) e colleghi di un'ampia collaborazione internazionale, sulla base dell'analisi del genoma di quest'uomo del passato, il primo genoma che è stato possibile ricavare dai resti di un cacciatore-raccoglitore europeo, cioè di un individuo vissuto in Europa prima dell'avvento dell'agricoltura.


La Braña 1 è rimasto sepolto per 7000 anni in una zona montuosa a 1500 metri di quota: proprio la bassa temperatura ha contribuito a determinare l'eccezionale stato di conservazione dei resti, da cui è stato possibile estrarre una quantità di DNA sufficiente per estese analisi genetiche. In una caverna gemella, La Braña 2, è stato trovato un secondo scheletro, conservato un po' peggio del primo, da cui gli autori dello studio contano comunque di ricavare nuovo materiale genetico in una prossima ricerca.

I risultati ottenuti dall'analisi genetica del primo scheletro contribuiscono a fare una luce sulle popolazioni che abitavano l'Europa in una fase cruciale della storia umana. Il periodo Mesolitico, situabile tra 10.000 e 5000 anni fa, che è terminato con l'avvento dell'agricoltura e dell'allevamento del bestiame dal vicino Medio Oriente. Questa trasformazione dell'economia e dei mezzi di sostentamento ha esposto le popolazioni post-mesolitiche a nuovi patogeni, per la vicinanza con gli animali, e ha determinato l'inserimento nella dieta di carboidrati e del latte e dei suoi derivati. 


Occhi azzurri, carnagione scura: com'eravamo nel Mesolitico
Il cranio di La Braña 1 si presenta in ottimo stato di conservazione (Cortesia Vidal Encina)
L'adattamento a queste nuove condizioni ha richiesto un conseguente adeguamento del sistema immunitario e anche degli enzimi necessari alla digestione, reso possibile da una serie di mutazioni genetiche. L'analisi del DNA di La Braña 1 mostra infatti che questo individuo era intollerante al lattosio, lo zucchero contenuto nel latte, coerentemente con l'ipotesi che la capacità di digerire il latte animale sia stata acquisita successivamente all'avvento delle pratiche di allevamento.

Ma a chi somigliava somaticamente La Braña 1? La sorpresa più grande è stata scoprire che La Braña 1 aveva versioni africane dei geni che determinano la pigmentazione cutanea, il che indica che aveva la pelle scura, sebbene non sia nota la gradazione esatta”, commenta Lalueza-Fox. “Ancora più sorprendente è il fatto che questo individuo avesse variazioni genetiche che portano a occhi azzurri negli europei attuali, producendo un fenotipo unico in un genoma che altrimenti sarebbe chiaramente individuabile come nord-europeo”.


Occhi azzurri, carnagione scura: com'eravamo nel Mesolitico
Lo scheletro di La Braña 1al momento della scoperta (Cortesia Vidal Encina)
Lo studio del genoma fa ipotizzare che le popolazioni attuali più vicine a quella di La Braña 1 siano quelle del Nord Europa, in particolare Svezia e Finlandia. La Braña 1 ha però un antenato comune anche con la popolazione che colonizzò nel Paleolitico superiore il sito di Mal'ta, in Siberia: lo rivela il confronto con l'analisi genetica condotta nel 2013, e illustrata su "Nature", sui resti di un giovane individuo scoperti proprio a Mal'ta e conservati all'Hermitage di San Pietroburgo.

“Complessivamente, i risultati documentano una continuità genetica nelle popolazione dell'Eurasia centrale e occidentale”, conclude Lalueza-Fox. "In effetti, questi dati sono coerenti con quelli ricavati dai resti di altri siti archeologici in Europa e Russia”.


http://www.lescienze.it/news/2014/01/27/news/occhi_azzurri_carnagione_scura_europei_mesolitico-1980654/

Leggi anche:

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/preistorici-con-pelle-scura-e-occhi-blu-190b1c71-9597-4365-ac52-917a14ad3c1b.html