domenica 28 settembre 2014

Foto piramidi e calendari Maya.


UXMAL è un sito archeologico Maya presente nella penisola dello Yucatan, Messico. Il sito è stato proclamato Patrimonio Mondiale dell’Umanità da parte dell’Unesco. La città fu fondata nel VI secolo dopo cristo e raggiunse il massimo splendore nel periodo classico della cività Maya prima di iniziare un lento declino dal 900 dc in poi. Fonte immagine : democraticunderground.com



Piramide Maya Calakmul. Sito archeologico situato nello stato messicano del Campeche, vicino al confine con il Guatemala. Fonte immagine: earthchanges.ning.com

I Maya crearono 17 tipologie differenti di Calendario basato sul Cosmo. Il calendario Maya si basava su più cicli di differente durata: il ciclo Tzolkin aveva una durata di 260 giorni; il ciclo Haab aveva una durata di 360 giorni, più i "cinque giorni fuori dal tempo"; il Lungo computo indicava il numero di giorni dall'inizio dell'era maya. Fonte immagine: blackrainbow-blackrainbow.blogspot.com


Altro calendario Maya in pietra Fonte immagine: reinventingknowledge6.blogspot.com

Province “abolite”, politici al voto per rinnovare consigli di 4 Città metropolitane.

Province “abolite”, politici al voto per rinnovare consigli di 4 Città metropolitane

Domenica e lunedì tocca a Milano, Bologna, Genova e Firenze oltre a 6 province. Il 12 ottobre sarà la volta di Roma, Torino, Napoli e Bari e delle rimanenti 58 Aree vaste disegnate dalla legge Delrio. Questa volta i cittadini non saranno chiamati alle urne perché l’elezione è di secondo livello e a votare saranno sindaci e consiglieri comunali.
Il governo diceva di volerle abolire, quindi le ha trasformate in Città Metropolitane esultando per i risparmi che ne dovrebbero derivare. Il potere di quelle che una volta si chiamavano Province però è ancora lì, intatto, e anzi è stato redistribuito a livello locale (a fronte del taglio di 2.159 poltrone, aumentano i seggi per i consiglieri – pari a 26.096 – e i posti da assessore (+5.036) dei Comuni fino a 10 mila abitanti). Tra domani e il 12 ottobre si rinnova l’antica liturgia attraverso cui la democrazia (ma anche il potere) perpetua se stessa: le elezioni. La differenza con il passato è che la legge 7 aprile 2014 n. 56, detta legge Delrio dal nome dell’ex ministro per gli Affari regionali e attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, le ha trasformate in elezioni di secondo grado: per la prima volta nella storia a votare non saranno i cittadini, ma gli amministratori locali. Una chiamata alle urne che che riguarderà pochi intimi e “listoni” dalle larghe intese per spartirsi le poltrone da Nord a Sud. Il più possibile lontano dai riflettori e dal controllo dell’opinione pubblica. 
DOMENICA E LUNEDI’ TOCCA A MILANO, GENOVA BOLOGNA E FIRENZE
La prima tornata elettorale avrà luogo tra domenica e lunedì 29: interesserà 4 Consigli metropolitani (MilanoGenova, Firenze e Bologna) e 6 nuove Province (BergamoLodiSondrio, TarantoVibo Valentia il 28 settembre e Ferrara il 29 settembre). Dalle urne usciranno eletti 78 Consiglieri metropolitani, 6 Presidenti di Provincia e 70 Consiglieri Provinciali. In tutto, dunque 154 amministratori che, a titolo gratuito e senza ricevere alcuna indennità, prenderanno il posto dei circa 500 consiglieri e assessori provinciali uscenti. A votare per eleggere i 78 Consiglieri metropolitani saranno 4.393 sindaci e consiglieri comunali. I 6 Presidenti di Provincia e i 70 Consiglieri provinciali saranno invece votati da 5.718 sindaci e consiglieri comunali. Lo scrutinio dei voti e la proclamazione degli eletti si terranno tra lunedì e martedì. I presidenti di Provincia eletti una volta proclamati saranno immediatamente insediati, mentre i Consigli si insedieranno a seguito della convocazione che viene effettuata dal Sindaco del Comune capoluogo, per il Consiglio metropolitano, e dal nuovo Presidente di Provincia per il Consiglio provinciale.
IL 12 OTTOBRE TOCCA A ROMA, TORINO, NAPOLI E BARI
Le altre 4 Città metropolitane (Torino, Roma, Napoli e Bari) voteranno in ottobre, insieme alle restanti 58 Province. Al termine della tornata elettorale, che si concluderà il 14 ottobre saranno 986 sindaci e consiglieri al posto dei 2.500 attuali, che amministreranno, senza ricevere alcuna indennità, Province e Consigli metropolitani: 64 Presidenti di Provincia, 760 consiglieri provinciali e 162 consiglieri metropolitani. I risultati delle elezioni saranno pubblicati sulla sezione dei siti Anci e Upi appositamente dedicata alle “Elezioni Città metropolitane e nuove Province”.
COME FUNZIONANO LE ELEZIONI DI SECONDO GRADO
Le nuove disposizioni elettorali sono state introdotte dalla Legge 56/14 di riforma delle Province e delle Città metropolitane.
Nuovi organi: nelle Città metropolitane si vota per eleggere i Consiglieri metropolitani: il Sindaco del Comune capoluogo è Sindaco della Città metropolitana. Nelle Province si vota per eleggere i Presidenti di Provincia e i Consiglieri Provinciali.Chi vota: l’elezione è di secondo livello, a votare sono i Sindaci e i Consiglieri comunali dei Comuni della Provincia.Chi è eleggibile: sono eleggibili i sindaci e i Consiglieri Comunali, e, solo per le Province e solo per la prima tornata elettorale, anche i consiglieri provinciali uscenti.Il voto ponderato: il voto di ciascun elettore è “ponderato”, è cioè proporzionale al numero di cittadini che il consigliere comunale e il sindaco rappresentano all’interno dell’intero corpo elettorale della Provincia, in base alla popolazione residente nel Comune di appartenenza. In caso di parità è eletto il più giovane.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/27/province-domani-e-lunedi-si-rinnovano-i-consigli-di-4-citta-metropolitane/1135401/

Ecco la legge Delrio, l'ultima porcata del governo, a mio avviso incostituzionale.
Con questa legge il potere si arroga il diritto di nominare chi gli pare e piace e sappiamo bene quali sono i personaggi graditi alla politica che, ultimamente, ha dimenticato il senso attribuitole ed il motivo per cui è stata creata: quello dell' "arte di governare".

Debutta Stella, l’auto a energia solare con 600 km di autonomia.

Le auto elettriche possono generare il proprio “carburante” mediante energia fotovoltaica. Questa è la filosofia di base che ha segnato il World Solar Challenge, un concorso che giovedì scorso ha svelato Stella, un’auto elettrica a energia solare. 
Il World Solar Challenge è un concorso che ha vita ogni due anni dal 1987 e le auto alimentate a energia solare sono solo l’ultima delle tante innovazioni protagoniste della sfida internazionale che per questa edizione, terminerà il prossimo ottobre.
Fino a oggi, le auto elettriche a energia solare non potevano vantare grandi performance ne’ spaziosità e comodità. La nuova classe di auto solari potrebbe essere commercializzata come berline familiari. Giovedì scorso, uno dei dieci team partecipanti al World Solar Challenge, ha presentato la sua auto fotovoltaica, si chiama Stella ed è spaziosa oltre che comoda.
Stella è stata presentata da un team di 22 studenti dell’Università di Eindhoven, Olanda. L’auto è stata già testata su strada e il progetto sta studiando il suo potenziale di redditività in ambito commerciale.
Le caratteristiche di questa auto elettrica alimentata da energia solare?
Stella è la prima auto solare a quattro posti a presentare un’autonomia di 600 chilometri. Combina un design aerodinamico con materiali leggeri quali fibra di carbonio e alluminio. La vettura si distingue per un’alta efficienza energetica ma anche per tecnologie di bordo hitech: un display touchscreen rende tutti i pulsanti e manopole superflui, il display e retroilluminato a LED e la guida è resa possibile grazie a un volante dinamico.
Non si tratta di un mero progetto: per dimostrare che la mobilità fotovoltaica è possibile, Stella otterrà la certificazione ufficiale per uso stradale, insomma… la vettura fotovoltaica sarà omologata per scorrazzare su strada diventando così un’auto a tutti gli effetti! Dopo la diffusione di imbarcazioni a energia solare e addirittura aerei che fanno il giro del mondo alimentati dal sole (vedi Solar Impulse), notizie del genere non dovrebbero meravigliarci più di tanto eppure il settore automobilistico fatica ad inglobare i principi dell’efficienza energetica.

3 erbe aromatiche da coltivare in casa in autunno. - Giusy Ocello

piantare il prezzemolo

A ogni stagione la sua pianta! Ieri, abbiamo visto come la natura ci aiuti ad affrontare al meglio l’arrivo di ogni stagione, con i doni della terra: per l’autunno, zucche, cavolfiori, kiwi, pere, ci aiutano a stare meglio.
La stessa cosa, naturalmente, vale anche per le erbe aromatiche che possiamo tranquillamente coltivare nelle nostre case.
Come dicevamo prima, a ogni stagione, la sua pianta, ecco che anche per questa particolare coltivazione dobbiamo rispettare le giuste tempistiche. Sappiamo, ad esempio, che la coltivazione del basilico non è consigliabile in questo periodo. Ma esistono molte altre erbe aromatiche che, soprattutto a ridosso tra settembre e ottobre, possono essere piantate.
Cosa serve
In genere per la coltivazione delle nostre erbe aromatiche, soprattutto in balcone, serve un posto esposto al sole, con vasi di almeno 12-20 cm di diametro. Le piantine si possono acquistare anche nei negozi biologici, in genere si consiglia di inserire nel vaso del ghiaietto sul fondo e terreno leggero e drenante. I vasi devono essere sistemati vicino a fonti di luce e in luoghi non troppo umidi.
Vediamo adesso 3 piante che possiamo coltivare nelle nostre case anche durante il periodo autunnale.
Maggiorana
In genere, l’impianto della maggiorana può avvenire in primavera, estate o autunno. Dipende dal metodo di propagazione. A settembre-ottobre, ad esempio, questa pianta può essere piantata per talea: attraverso il frammento di una pianta opportunamente tagliato e sistemato per favorire la rigenerazione delle parti mancanti.
Per prima cosa dunque bisogna tagliare gli apici vegetativi  dalla pianta che vogliamo moltiplicare. Essi devono essere lunghi dagli otto ai dieci centimetri  e si consiglia che siano tagliati da piante di almeno 2 anni di età. I cespi, quindi, devono essere divisi e messi a radicare in un luogo fresco ed asciutto fino alla messa a dimora definitiva nella primavera successiva. Meglio inserirle in un vaso contenente due parti di terriccio fertile ed una di sabbia grossolana.
Il periodo della semina invece è la primavera.
In ogni caso è una pianta facile da coltivare sia in vaso che nella terra libera.
Salvia
Ottobre è in particolare il momento migliore per piantare la Salvia, quella che utilizziamo per insaporire molti dei nostri piatti preferiti.
In genere è consigliabile sistemare la pianta in un vaso piuttosto capiente, perché anche se non diventa molto alta, formerà comunque un bel cespuglio. Questa pianta ama il caldo e il sole. Per questo, durante l’inverno, è necessario tenerla al riparo da gelo e umidità e mettere il vaso in un punto molto luminoso.
È consigliabile non innaffiarla troppo spesso e non concimarla durante l’inverno. Durante l’inverno, potrete usare le foglie fresche, mentre già da maggio, e fino a luglio, al massimo della sua fioritura, potrete cominciare ad essiccarle e conservarle in barattoli di vetro.
Dopo la fioritura, ossia alla fine dell’estate, la salvia va potata per favorirne la ricrescita. In questo periodo può essere piantata per seme o per talea.
Prezzemolo
Tra le tante semine che possono essere effettuate durante la stagione autunnale, c’è anche quella del prezzemolo. Seminare nella stagione autunnale consente di effettuare la raccolta già nel corso della primavera successiva.
È meglio coltivare il prezzemolo in luoghi luminosi o in penombra, in modo tale che possa ricevere l’irradiazione diretta per qualche ora nel corso della giornata.
Non tollerando le temperature molto rigide, in inverno è meglio coprire le piante con un telo su cui andranno praticati dei fori.
La pianta va innaffiata con regolarità, anche se è necessario evitare i ristagni idrici, che possono danneggiarla. Meglio liberare il terreno dalle erbacce ed eliminare gli steli fioriti non appena faranno la loro comparsa, in genere al secondo anno di vita della pianta.

Trattativa Stato-mafia, la Corte: “Napolitano deve testimoniare in aula”. - Giuseppe Pipitone

Giorgio Napolitano

Il Capo dello Stato chiamato a deporre per decisione del presidente della Corte d'Assise di Palermo che celebra il processo. "Non si può escludere un testimone perché afferma di non essere informato". Nell'udienza di oggi, Ciriaco De Mita non ricordava quando fosse avvenuta la strage di Via D'Amelio.
Giorgio Napolitano testimonierà al processo sulla Trattativa tra pezzi dello Stato a Cosa Nostra, ma verrà ascoltato al Quirinale, senza l’accesso del pubblico e senza la presenza degli imputati, rappresentati dai loro legali. Lo ha deciso Alfredo Montalto, presidente della Corte d’Assise che, nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, sta processando boss mafiosi, politici e alti ufficiali dei carabinieri per il patto segreto che portò Cosa Nostra a sedere allo stesso tavolo delle istituzioni lungo il biennio al tritolo che sconquassò il Paese tra il 1992 e il 1994.
“In assenza di norme specifiche, ci atteniamo a quanto dettato dall’articolo 502 del codice di procedura penale”, ha detto Montalto emanando l’ordinanza che ammette la testimonianza del capo dello Stato: Napolitano dunque verrà ascoltato al Quirinale, alla sola presenza dei legali, senza la presenza degli imputati e senza l’accesso del pubblico. Sarà sempre il Colle a comunicare alla Corte d’Assise le date utili per fissare il giorno della deposizione del presidente della Repubblica. A chiedere di citazione come teste di Napolitano era stata la procura di Palermo, che l’aveva ottenuta già il 17 ottobre del 2013.
La tesi dei giudici, fissata nell’ordinanza della Corte d’assise, è che non si può escludere il diritto delle parti di chiamare un testimone su fatti rilevanti per il processo solo perché il testimone ha escluso di essere informato sui fatti stessi, come ha fatto appunto Napolitano: “La superfluità o irrilevanza di una prova testimoniale – scrivono i magistrati – deve essere valutata dal giudice esclusivamente in relazione ai fatti oggetto dell’articolato e alla sua riferibilità al teste indicato e non già in relazione a o in previsione di ciò che il teste medesimo può sapere o non sapere”. Alcuni legali avevano infatti preso spunto dalla lettera con cui Napolitano ha fatto sapere ai giudici di non essere a conoscenza di elementi utili al processo per chiedere alla corte di ripensarci e non ascoltare il presidente della Repubblica.
Ma la richiesta non è stata accolta: “Infatti – si legge nell’ordinanza - non si può di certo escludere il diritto di ciascuna parte di chiamare e interrogare un testimone su fatti rilevanti per il processo solo perché quel testimone abbia, in ipotesi anche e, persino, in una precedente deposizione testimoniale, escluso di essere informato dei fatti medesimi. E ciò quantomeno al fine di consentire alla parte richiedente di acquisire nel contraddittorio e nelle forme previste, prescritte per il processo, quel contenuto dichiarativo che, seppure negativo, riguardo alla conoscenza di determinati fatti, potrebbe tuttavia assumere una valenza non necessariamente neutra nel contesto delle altre acquisizioni probatorie e della loro valutazione interpretativa”. Non c’è dubbio, secondo i giudici, che la testimonianza del capo dello Stato sia “oltre che ammissibile, “né superflua né irrilevante. 
L’oggetto principale della testimonianza del capo dello Stato è rappresentato dalla missiva che Loris D’Ambrosio scrive a Napolitano il 18 giugno del 2012, poco dopo la chiusura dell’indagine sulla Trattativa: in quella lettera il consulente giuridico del Quirinale confessa al Presidente il suo timore per essere stato “utile scriba di indicibili accordi” tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, quando era in servizio all’Alto Commissariato Antimafia. Sempre in quei giorni vengono depositate le intercettazioni tra D’Ambrosio e Nicola Mancino, oggi imputato di falsa testimonianza. E Napolitano dovrà essere sentito anche sulla lettera inviata nell’aprile 2012 all’allora procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito in cui si esponevano le lamentele dell’ex presidente del Senato.
Dopo l’ordinanza della Corte d’Assise di Palermo che ammetteva la testimonianza del capo dello Stato, dal Quirinale era giunta una lettera in cui Napolitano riferiva ai giudici di non avere “da riferire alcuna conoscenza utile al processo”. “Sottopongo queste precisazioni alla sua attenzione – scriveva Napolitano a Montalto il 31 ottobre 2013 – affinché la Corte possa valutare nel corso del dibattimento, a norma dell’art. 495, co.4, c.p.p., il reale contributo che le mie dichiarazioni, sulle circostanze in relazione alle quali è stata ammessa la testimonianza, potrebbero effettivamente arrecare all’accertamento processuale in corso”.
Dopo la lettera del Colle sia l’Avvocatura dello Stato sia la difesa dell’ex senatore Marcello Dell’Utri (oggi condannato definitivamente per concorso esterno a Cosa Nostra) avevano chiesto alla corte di cancellare la testimonianza di Napolitano: i giudici avevano scelto di riservarsi nell’udienza del 28 ottobre 2013. Oggi, dopo quasi un anno, la riserva è stata sciolta: nonostante la lettera in cui diceva di non avere “da riferire alcuna conoscenza utile al processo”, Napolitano salirà comunque sul banco dei testimoni, seppur senza pubblico e alla sola presenza degli avvocati degli imputati, in una sala del Quirinale.
La decisione della corte d’assise di Palermo arriva alla fine di un’udienza in cui l’ex presidente del consiglio Ciriaco De Mita è stato ascoltato come teste. I pm hanno chiesto all’ex premier ragguagli sulla sostituzione di Vincenzo Scotti con Nicola Mancino alla guida del ministero degli Interni nel giugno 1992, proprio tra la strage di Capaci e quella di Via D’AmelioDe Mita, che ha 86 anni ed è attualmente sindaco di Nusco, ha però collocato l’attentato che uccise Paolo Borsellino addirittura nel 1993. “Ricorda quando avvenne la strage di via D’Amelio?”, ha chiesto il pm Nino Di Matteo. “Mi pare un anno dopo quella di Falcone” ha risposto De Mita che all’epoca era presidente della Democrazia Cristiana. In realtà le due stragi sono separate da soli 57 giorni. Nonostante i suoi 86 anni, De Mita ha però ricordato molto lucidamente diversi aneddoti degli anni Novanta, dalla sostituzione di Vincenzo Scotti con Nicola Mancino al Viminale, all’incontro con Giovanni Falcone dopo l’omicidio di Salvo Lima

Mikhail Gorbaciov: "Vero virus non è l'Ebola ma sono gli Usa" -



L'ultimo presidente dell'Urss ha difeso l'attuale governo russo: "Non dobbiamo perdere la testa e il buon senso. Siamo una nazione forte, abbiamo cose che ci sostengono e abbiamo qualcosa da dire" 

"Il virus principale non è l'Ebola ma gli Usa e le ambizioni della sua leadership". 

Mikhail Gorbaciov intervistato alla Radio delle notizie russe dimentica la perestroika, il disgelo, le aperture. 
Il premio Nobel ed ex presidente russo, commentando l'intervento di Obama all'assemblea generale dell'Onu, si lascia andare a considerazioni sull'attuale scenario geopolitico.  
La risposta di Gorbaciov è diretta al presidente americano che aveva definito la Russia una delle principali minacce al mondo, insieme al virus Ebola. 
"Non è neppure dialogo politico, è parlare male. 
Vogliono ferire e provocare ma la cosa principale è che si fa perché i contrasti in Europa continuino. 
Perché gli Usa ambiscono ad avere il monopolio. 
L'Ucraina e altre cose sono solo pretesti", ha proseguito. 
A suo avviso, "non c'è alcuna guerra fredda tra Russia e Usa ma ci sono indizi di essa". L'ultimo presidente dell'Unione Sovietica ha difeso l'attuale governo russo: "Non dobbiamo perdere la testa e il buon senso. Siamo una nazione forte, abbiamo cose che ci sostengono e abbiamo qualcosa da dire", ha concluso.

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Mikhail-Gorbaciov-Vero-virus-non-Ebola-ma-sono-Usa-dfc0cbe8-052e-4f41-aa63-614fa57d1a17.html

EBOLA, IL VACCINO PASSA DA NAPOLI. - Roberto Zichittella



Il farmaco è in fase di studio avanzato, tanto che si sta passando alla sperimentazione sull’uomo. Merito dei nostri ricercatori. E di un centro di eccellenza.
La guerra contro il micidiale virus Ebola si combatte anche a Napoli. Si combatte con le armi della scienza, affidandosi alla competenza e alla passione di un gruppo di giovani ricercatori della Okairos, un’azienda biofarmaceutica impegnata nello sviluppo di vaccini contro le principali malattie infettive: malaria, epatite C, tubercolosi e, appunto, Ebola.
La possibilità di un vaccino per contrastare la febbre emorragica è stata studiata nei laboratori di Okairos ospitati all’interno del Ceinge, un consorzio nato nel 1983 che ha come partner la Regione Campania, l’Università Federico II, la Provincia, la Camera di commercio e il Comune di Napoli. 
Al Ceinge, che funge da incubatorio, si fa ricerca nel campo delle biotecnologie avanzate e delle loro applicazioni nell’ambito della salute. In particolare si studiano le malattie genetiche ereditarie, le leucemie e alcune forme di tumore. Si svolge anche l’attività di diagnostica molecolare. 
Si tratta di un centro di eccellenza di cui va molto fiero il suo presidente Francesco Salvatore, docente di Biochimica alla Federico II, il quale spera che poli di ricerca scientifica come questo possano fermare la fuga di cervelli dall’Italia. «Anzi», dice, «la speranza è quella di attirare qui e di far restare nel nostro Paese anche i ricercatori stranieri». La sfida, per i giovani cervelli italiani di Okairos, è stata quella di realizzare una piattaforma tecnologica per far entrare in azione i linfociti killer contro il virus di Ebola. Antonella Folgori, fra i fondatori di Okairos e direttore del dipartimento di Immunologia, spiega: «Per armare il sistema immunitario usiamo una specie di “navetta” che possa portare all’interno dell’organismo il Dna del virus che vogliamo debellare. Queste navette sono altri virus meno pericolosi, come gli adenovirus». A quel punto la reazione dei linfociti killer dovrebbe portare alla soppressione del virus Ebola.

Dopo cinque anni di ricerche si è capito che il vaccino era maturo per poter essere testato sugli animali, dove si è dimostrato efficace, come illustrato in un articolo su Nature Medicine. Studiato a Napoli e prodotto a Pomezia, alle porte di Roma – presso l’Irbm Science Park –, ora il vaccino è stato mandato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna dove partiranno i primi test clinici su volontari sani. Okairos è un nome greco, riferito al tempo. Si potrebbe tradurre con “tempo di Dio”, inteso anche come “il momento giusto”. L’azienda è stata fondata da Riccardo Cortese, Alfredo Nicosia, Stefano Colloca e Antonella Folgori. Acquisita dalla multinazionale GlaxoSmithKline, restano comunque italiane le sedi a Napoli e Pomezia.

Le donne rappresentano la maggioranza dei ricercatori. Antonella Folgori, sposata, due figli, romana, ha lavorato per anni alla Merck e ha vissuto due anni a Strasburgo per una specializzazione dopo il dottorato. Virginia Ammendola, napoletana, coordinatrice del gruppo di vettorologia, ha fatto esperienze in laboratori di ricerca finanziati da Telethon. Morena D’Alise, napoletana, 34 anni, laureata in Biotecnologie mediche a Napoli, vanta un dottorato di ricerca negli Stati Uniti, alla prestigiosa università di Harvard. Però è tornata. Convinta. «Questa», assicura, «è una delle poche realtà che funziona bene in Italia. Qui si può fare buona ricerca. Non penso proprio di aver fatto un passo indietro lasciando gli Stati Uniti».

Ha studiato all’estero anche Angiolo Pierantoni, 30 anni, napoletano. Dopo la laurea in Biotecnologie mediche, Angiolo ha studiato in Gran Bretagna e poi in Spagna. In Spagna sarebbe anche rimasto, ma poi la crisi economica lo ha costretto a tornare. «Consiglierei a tutti di fare esperienze all’estero», dice, «perché aiutano dal punto di vista umano e professionale. Ti crei un bagaglio multiculturale che ti servirà sempre. Inoltre, stando fuori, ci si rende conto della mentalità decadente italiana, dove il lavoro è svalutato e rischi una vita da precario tradito da continue promesse. Per fortuna, tornato in Italia ho trovato lavoro in questi laboratori che, qui da noi, rappresentano una specie di oasi nel deserto».