martedì 31 maggio 2016

Rodotà: Referendum, se Renzi falsifica anche la storia. - Stefano Rodotà




Era chiaro fin dall’inizio che la richiesta di tregua all’interno del Pd avanzata da Renzi mirava a tutt’altro che a una moratoria della politica. 
Occupando l’intero orizzonte con l’enfasi sull’epocale obiettivo della riforma costituzionale, si volevano creare le condizioni propizie per costruire nel fuoco di una lotta senza quartiere un’altra politica e un altro partito. Man mano che passano le giornate, e l’attivismo del Presidente del Consiglio si fa sempre più frenetico e compulsivo, tutto questo diviene più evidente, un rullo compressore viene lanciato su società e politica per spianare qualsiasi ostacolo, e di questo contesto bisogna tenere conto perché la discussione sul referendum costituzionale corrisponda alla sostanza delle cose.

Innovato il linguaggio con la parola “rottamazione”, Renzi ne ha via via esteso l’uso dalle persone ai corpi sociali, poi alle istituzioni e, infine, alla stessa storia. La storia, perché ormai è evidente che si è costruito un oggetto polemico totale, un ancien régime che coincide con tutta la passata vicenda repubblicana della quale, a dire del Presidente del Consiglio, o ci si libera con un colpo solo o si sprofonda nell’impotenza, nell’inciucio. Chi conosce un po’ di storia, sa quale ruolo possa giocare il richiamo a un regime precedente. Oggi, tuttavia, non si tratta di affrontare una questione teorica, ma di rispondere a una domanda precisa: quanto è attendibile la presentazione renziana della storia della Repubblica?

Di fronte a questa domanda vi è una responsabilità di storici e scienziati politici. L’informazione corretta, non falsificata, è premessa indispensabile per il voto consapevole dei cittadini, e chi ha le conoscenze necessarie deve metterle a disposizione di tutti. Rischia altrimenti di consolidarsi un modo di discutere che colloca il voto referendario tra un passato inguardabile e un futuro infrequentabile, se diverso da quello affidato al testo della riforma. Un anno zero, l’evocazione del caos, l’associazione del “no” con l’irresponsabilità.

Poiché si sollecita la discussione sul merito, bisogna segnalare l’insistente falsificazione della posizione di coloro i quali nel passato avevano proposto l’uscita dal bicameralismo perfetto. Proposte che smentiscono la tesi di un radicato conservatorismo, ma che andavano nella direzione opposta da quella seguita dalla riforma, perché mantenevano al centro una legge elettorale proporzionale come garanzia essenziale per gli equilibri costituzionali. Vi sono poi episodi minori, anche se rivelatori dell’approssimazione di chi parla, per cui i governi della storia repubblicana da 63 ogni tanto diventano 69 e si giunge addirittura ad adottare logiche da seduta spiritica annunciando che Enrico Berlinguer avrebbe votato “sì”, con una falsificazione clamorosa dei suoi atti e delle sue posizioni.

La storia della Repubblica non è una zavorra da buttare via senza un fremito. Nelle tambureggianti rievocazioni di Marco Pannella e della sua azione per i diritti civili bisogna dare a ciascuno il suo e ricordare anche che gli anni Settanta furono un tempo di vera rivoluzione dei diritti civili, politici e sociali. Di pari passo con divorzio e aborto andarono i diritti dei lavoratori, la scuola, la salute, la carcerazione preventiva, la maggiore età a 18 anni, l’obiezione di coscienza al servizio militare, gli interventi su carceri e manicomi e una riforma del diritto di famiglia scritta con uno spirito ben più aperto di quello che ha accompagnato la legge sui diritti civili. Fu un tempo di sintonia tra politica e società, tra politica e cultura, ma non fu il solo, e bisogna ricordarlo non con spirito nostalgico, ma per ristabilire una qualche verità storica e istituzionale, perché quel rinnovamento avvenne basandosi proprio sulla Costituzione.

Certo, sarebbe antistorico fermarsi qui e sottovalutare le dinamiche che hanno poi percorso il sistema politico-istituzionale, ponendo anche seri problemi di efficienza. Vi è, tuttavia, una questione di grande rilievo che investe proprio il tema dei diritti, la cui garanzia è affidata alla legge. Ma, quando venne scritta la Costituzione, la legge era il prodotto di un Parlamento eletto con il sistema proporzionale, sì che la garanzia nasceva dal pluralismo delle forze politiche, nessuna delle quali poteva impadronirsi dei diritti dei cittadini. 


In un Parlamento ipermaggioritario, come quello ora previsto, questa garanzia può svanire e il partito vincitore diventa partito pigliatutto non solo di seggi, ma di diritti.
Quando s’invoca la discussione sul merito, questi sono punti ineludibili, che ci consentono di cogliere nel loro insieme gli effetti di un cambiamento in cui riforma costituzionale e sistema elettorale sono assolutamente connessi. Il maggiore tra questi è proprio la riduzione della cittadinanza, per il combinarsi dell’affievolimento della garanzia dei diritti e della sotto rappresentazione dei cittadini. Non dimentichiamo che il Porcellum venne dichiarato incostituzionale proprio perché determinava una «illimitata compressione della rappresentatività» del Parlamento, «alterando il circuito democratico fondato sul principio di eguaglianza». Vizi, questi, che ricompaiono nell’Italicum e di cui si occuperà la Corte costituzionale. Poiché, tuttavia, l’abbassamento della soglia di garanzia è evidente, risolvendosi in una vera espropriazione per i cittadini, questi hanno la possibilità di reagire nel momento in cui si esprimeranno con il voto referendario.

Stando sempre attenti al merito, si incontrano due questioni paradossali. Persino accesissimi sostenitori della riforma riconoscono che poi saranno necessari aggiustamenti, altri condizionano il loro voto a cambiamenti della legge elettorale. Ma come? Si dice che stiamo combattendo la madre di tutte le battaglie, stiamo traghettando la Repubblica dal buio alla luce e invece sembra che si possano ancora cambiare le carte in tavola in una affannosa ricerca di consenso, ribadendo quella logica di inciucio preventivo all’origine dei tanti vizi della riforma.

Più sorprendente ancora è l’argomentazione di chi descrive il diluvio, il caos che inevitabilmente si determinerebbero se la riforma fosse bocciata, perché si dovrebbe tornare al voto intrecciando diverse leggi elettorali per Camera e Senato con problemi di governabilità. Singolare argomentazione, perché proprio i critici della riforma avevano messo in evidenza questo rischio ed è davvero da apprendisti stregoni, o da irresponsabili, prima creare le condizioni di un possibile fallimento, quindi agitarlo come uno spauracchio. E poi chi dice che alle annunciate dimissioni di Renzi di fronte ad un “no” debba seguire lo scioglimento delle Camere? La democrazia ha le sue risorse, produce i suoi anticorpi, si potrebbe anzi avviare una seria stagione riformatrice, visto che proprio sui punti caldi del bicameralismo o monocameralismo, del governo, dei sistemi elettorali più adeguati erano venute proposte precise e diverse dal semplice accentramento dei poteri e della democrazia d’investitura.

Futile, a questo punto, diviene il balletto intorno alla personalizzazione del referendum, alla richiesta che Renzi non lo trasformi in un plebiscito su di sé. Le cose stanno così fin dall’inizio. Il Presidente del Consiglio continuerà ad esibire la sua pedagogia sociale su Facebook, invaderà ogni spazio pubblico. Ma questo non fa scomparire i cittadini, che sono lì, sempre meglio informati e sempre più determinati. 


http://temi.repubblica.it/micromega-online/rodota-referendum-se-renzi-falsifica-anche-la-storia-2/

Amministrative, M5S unica alternativa al renzismo. - Paolo Flores d'Arcais



Tra una settimana si vota. Per coloro che hanno un animo propenso alla servitù volontaria, come già mezzo millennio fa la definiva Etienne de la Boetie, la scelta è semplice: mettere la x sui candidati sindaci di Renzi. 

Chi alla servitù volontaria è invece refrattario, e incapace di restare indifferente alla resistibile ascesa dell'ex sindaco di Firenze (che fece di Publiacqua, ora sotto accusa per i lungarno che sprofondano, uno dei suoi feudi, dove ebbe inizio tra l'altro la carriera pubblica della Boschi), filiazione e sintesi di Bettino Craxi e Silvio Berlusconi, con cui una Nuova Cricca (e più giovani lustrini) sta sostituendo la vecchia dell'inciucio per finire di spolpare a forza di privatizzazioni e infeudamenti politici un ex Paese chiamato Italia, ha di fronte a sè una scelta obbligata: votare per i candidati del M5S, quali che siano gli innumerevoli difetti di ciascuno di loro e le colpe del movimento in quanto tale e dei suoi vertici, che MicroMega ha sempre segnalato senza sconti e minimizzazioni.

Perchè a Roma e a Torino si gioca la prima partita decisiva (la seconda sarà al referendum di ottobre) tra la colonizzazione schiacciasassi delle istituzioni da parte della Nuova Cricca o la possibilità che si riaprano gli spazi di un rinnovamento civile che consenta all'Italia di congedarsi dal ventennio che non passa, nella cui morta gora Renzi vuole radicare e affondare il paese. 

Gli ingenui che vorranno ascoltare le sfiatate sirene di promesse elettorali accattivanti dei cloni renziani nelle città, si accomodino pure, evitino però di raccontare favole belle  alle ermioni delle rispettive coscienze: i programmi dei partiti di establishment sono scritti sull'acqua peggio dei sospiri d'amore di Lesbia per Catullo, mentre la forza che Renzi trarrà da ogni singolo voto dato ai suoi cloni e altri Giachetti propizierà il progetto con cui la lugubre progressione Craxi>Berlusconi> di azzeramento della balance of power e dell'autonomia di magistratura, giornalismo, cultura e associazioni della società civile (il tessuto di reciproche limitazioni che resta l'humus irrinunciabile della democrazia) arriverà a compimento.

Roma e Torino sono gli scontri più importanti: per il significato ovvio del risultato nella capitale, e perchè a Torino verrebbe sconfitto il renziano che sembra imbattibile, che ancora qualche mese fa era certo di essere confermato al primo turno, e che rappresenta nel modo più tronfio e arrogante la continuità con la quintessenza dell'inciucismo che Renzi vuole solo declinare in modo nuovo: gli apparati del professionismo politico in simbioso con l'affarismo dei poteri finanziari. Ma ovviamente è auspicabile che a Napoli al ballottaggio vadano il candidato M5S e De Magistris, e che l'alternativa democratica al renzismo prevalga ovunque sia presente.

Milano sarà un tristissimo caso anomalo: tutti i sondaggi indicano che al ballottaggio andranno due candidati identici e di una identica destra, Parisi e Sala. Un democratico, dopo aver votato al primo turno per il M5S o per Basilio Rizzo, non avrà cosa scegliere. Anche se tra padella e brace gli stessi sondaggi indicano un ovvio spostamento a vantaggio dell'originale Parisi a scapito della fotocopia Sala.


http://temi.repubblica.it/micromega-online/amministrative-m5s-unica-alternativa-al-renzismo/

“Marco Lillo del Fatto Quotidiano fuori dalla tv”. Maroni detta la linea alla Rai. Che esegue sconsigliando ai direttori di invitarlo. - Carlo Tecce

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Il governatore della Lombardia ha inviato una diffida a viale Mazzini per impedire la divulgazione del libro “Il potere dei segreti”. L'ufficio legale scrive ai responsabili di testata: "Valutare la presenza del giornalista in trasmissioni solo con motivazioni fondate e imprescindibili esigenze di cronaca". Ora il giornalista è escluso dal video.

Come arriva la censura in Rai. Su carta intestata della Regione Lombardia, il governatore Roberto Maroni, detto Bobo, ha spedito una diffida legale alle televisioni Rai e La7 per impedire la divulgazione del libro Il potere dei segreti di Marco Lillo, vicedirettore del Fatto Quotidiano. Il libro contiene le telefonate accluse agli atti di un’inchiesta della procura di Reggio Calabria non ancora terminata; pagina dopo pagina, si dipanano le inquietanti trame di un sistema di potere onnivoro e onnipresente – prefetti, politici, manager – che tenta di agganciare o blandire Isabella Votino, portavoce e detentrice del pensiero di Maroni.

Il governatore prova a censurare Lillo con la lettera del 28 aprile, dopo una doppia apparizione nel servizio pubblico, a Virus su Rai2, ad Agorà su Rai3: “Devo con rammarico rilevare che la promozione del libro (edito da Paper First del Fatto, ndr) in occasione delle vostre trasmissioni aggravi le conseguenze del reato e configuri a sua volta un illecito penale quale condotta di concorso nel reato, ovvero di favoreggiamento, anche attraverso l’utilizzo di atti o documenti di provenienza illecita (corpo del reato)”.

Maroni si rivolge ai vertici di viale Mazzini e in copia a Federico Cafiero De Raho, procuratore a Reggio Calabria, perché l’indagine è partita lì e perché lì Marco Lillo è accusato di rivelazione di segreto istruttorio. Con questa infuocata premessa, Maroni conclude: “Vi intimo e diffido pertanto ad adottare ogni misura idonea a evitare il protrarsi di tali condotte incaute e favoreggiatrice e ad astenervi per il futuro dal promuovere nelle vostre trasmissioni la citata pubblicazione”.

I dirigenti di La7 non rispondono e non inoltrano la missiva ai giornalisti, viale Mazzini non replica a Maroni, ma l’ufficio legale – il 27 maggio – allerta i direttori di testata e dei canali e, in pratica, sconsiglia di ospitare il vicedirettore del Fatto Quotidiano: “La partecipazione per il futuro del predetto giornalista è rimessa alle opportune valutazioni editoriali che – in considerazione della contestazione in questione – dovranno considerare la sussistenza o meno di una fondata motivazione a soddisfare imprescindibili esigenze di cronaca e di critica. (…) Facciamo presente la necessità di adottare le più adeguate cautele affinché il giornalista, qualora ospitato per le sopra indicate esigenze, sia richiamato alla propria personale responsabilità”.

Chi avrà il coraggio di offrire il microfono a Marco Lillo dopo simili richieste di precauzione? Per saperlo occorre un po’ di tempo, ma è già inconfutabile che il giornalista, dopo Virus e Agorà, non sia stato più invitato negli studi del servizio pubblico, mentre ieri, per esempio, era a La7. Viale Mazzini non sarà mica un presidio del Pirellone?


Possiamo dire di essere in un paese libero?
Questa è la libera interpretazione di democrazia di Maroni?
In questi frangenti mi sento impotente, mi rendo conto che il mio pensiero non conta nulla.
Ed è doloroso appurarlo.

Banche, ‘in 30 anni evaporati 100 miliardi di investimenti. Risparmio ucciso da banchieri, Bankitalia e Consob complici’.

Banche, ‘in 30 anni evaporati 100 miliardi di investimenti. Risparmio ucciso da banchieri, Bankitalia e Consob complici’

I calcoli di Adusbef e Federconsumatori nel giorno in cui parla il governatore Visco. Il solo doppio dissesto della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca è costato 18,9 miliardi di euro. In tutto 1,6 milioni di risparmiatori hanno perso i loro soldi.                                                                       
In 30 anni, dal 1985 a oggi, 1,617 milioni di risparmiatori hanno visto evaporare circa 100 miliardi di euro di investimenti nei crac bancari ed industriali. Il calcolo è stato fatto da Adusbef e Federconsumatori in occasione della presentazione della relazione annuale del governatore di Bankitalia. “Il doppio dissesto della Banca Popolare di Vicenza di Giovanni Zonin e di Veneto Banca, dell’ex padre-padrone Vincenzo Consoli, pari a 18,9 miliardi di euro a danno di 210.000 mila azionisti (120.000 BpVi, 90.000 Veneto Banca) tra azzeramento del valore delle azioni (10 miliardi), perdite ultimi 3 anni (per 4 miliardi), aumenti di capitale (4,9 miliardi), è solo l’ultimo anello di una lunga catena di scandali e crac bancari”.
Il comunicato cita “Bipop-Carire (Bruno Sonzogni 2002); Banca Popolare di Lodi (Giampiero Fiorani 2005); Banca Italease (Massimo Faenza 2008); Tercas (Di Matteo & Samorì 2012); Banca Popolare di Milano (Massimo Ponzellini 2012);Carige (Giovanni Berneschi 2014); MPS (Giuseppe Mussari (2013)”.
Poi l’atto di accusa nei confronti dei “governatori che si sono succeduti in Bankitalia (FazioDraghiVisco)”, che “non sono riusciti ad impedire un saccheggio sistematico del pubblico risparmio e la lunga catena di scandali bancari, che hanno messo sul lastrico 1 milione di risparmiatori (440.000 famiglie solo negli ultimi 6 mesi, 210.000 BpV e Veneto Banca, 130.000 con la risoluzione delle 4 Banche Marche, Etruria, Chieti, Ferrara, col decreto del 22 novembre 2015), per i rapporti incestuosi tra vigilanti e vigilati, che in qualità di azionisti privilegiati ricevono centinaia di milioni di euro di cedole l’anno, o per incapacità nella prevenzione delle crisi bancarie”.
Per questo, “in occasione della solita ed autocelebrativa ‘messa cantata’ del governatore di turno, Adusbef e Federconsumatori saranno in campo con i loro presidenti, ma anziché celebrare fasti e nefasti delle banche, dovranno commemorare i funerali del risparmio, ucciso dai banchieri di sistema con la complicità dei killer di Palazzo Koch, che insieme alla Consob sono riusciti ad assassinare il sudato risparmio di milioni di famiglie saccheggiate col concorso del controllore dai Boschi & Rosi (Banca Etruria), Bianconi & Costa (Banca Marche) Zonin & Sorato (Banca Popolare Vicenza); Consoli & Favotto (Veneto Banca); Giovanni Berneschi (Carige); Giuseppe Mussari (MPS), (Giampiero Fiorani (Banca Popolare di Lodi) ecc”.
Mentre nella prima metà del periodo, fino al 1998, “sono stati colpiti 238.250 investitori che hanno perso 9.761 miliardi di vecchie lire (5.041,414 milioni di euro),  nella seconda metà del periodo (dal 1999 al 2015) l’attività di rapina pianificata del sistema con il concorso dei distratti controllori, in particolare la inadeguata Consob a tutelare il pubblico risparmio (sentenza di Cassazione sul crack Parmalat), ha visto coinvolgere 1.379.000 concittadini per 95.067 milioni di euro. E’ evidente l’azione di rapina pianificata negli ultimi 15 anni, la cui origine può essere datata alla conclusione del processo di privatizzazione degli istituti bancari (1995). Tra le più rilevanti spiccano le vicende Parmalat, 14 miliardi di euro di 175mila concittadini ed altrettanti dei tango bond a 450mila concittadini; Bipop Carire che ha bruciato 10 miliardi di euro a 73.500 risparmiatori; i bond Cirio; il crack Lehman Brothers, i cui bond erano consigliati affidabili da Patti Chiari dell’Abi a differenza dei più solidi Btp, considerati a rischio, Mps (che ha bruciato nell’acquisto di Antonveneta oltre 18 miliardi di euro)”.
Poiché almeno la metà delle Procure italiane, indagano o stanno celebrando i processi a carico di banche e banchieri per gravissimi reati quali usura, truffa, associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, ecc., il governatore di Bankitalia all’assemblea dei partecipanti di domani, invece della solita ‘messa cantata’, potrebbe provare il più appropriato canto gregoriano del ‘Regina Coeli’.

Le banche assieme agli investimenti in borsa hanno dato origine al disastro economico che ha devastato e sta devastando ancora l'economia mondiale. 
Dovremmo rivedere tutta la materia e cercare una soluzione definitiva. Continuando con il sistema attuale non approderemo mai a nulla, continueremo a scivolare sempre più in basso fino al punto di non ritorno.

PS. Intanto Visco, con tutti i problemi legali a suo carico è diventato Governatore della Banca d'Italia; è proprio vero, l'essere ricattabili reciprocamente li unisce, li cementa tra loro....

domenica 29 maggio 2016

Involution effect.

Caso Maro', insulto dunque sono. -

La famiglia di uno dei due pescatori uccisi
Tutto è possibile in politica internazionale, anche il prolungamento dell’agonia dei singoli esseri umani protagonisti di una vicenda legale che nasce dalla competizione d'immagine tra Stati sovrani. E’ infatti sempre più chiaro che il caso dei due maro’ Massimiliano Latorre e Salvatore Girone esula dalle circostanze che hanno portato allo scontro tra Stati cominciato oggi ad Amburgo presso la Corte Internazionale, dove in ballo c'è apparentemente il diritto dell’Italia di far giudicare da tribunali terzi i suoi soldati, accusati dalla magistratura indiana di duplice omicidio.
Un dato di fatto è che le accuse e le parole dure reciproche usate oggi dai rappresentanti legali di Delhi e Roma sono in contrasto con le regole di bon ton diplomatico sulle quali si basavano le relazioni precedenti al drammatico episodio del febbraio 2012, quando vennero uccisi due pescatori del Kerala mentre nelle vicinanze navigava la petroliera italiana dalla quale sarebbero partiti i colpi letali.
Fino a quel momento gli scambi culturali e quelli commerciali italo-indiani sembravano viaggiare, se non a vele spiegate, in un crescendo di accordi e interscambi proficui, non ultima la fornitura a Delhi di elicotteri Augusta della Finmeccanica, poi bloccata per i sospetti di corruzione emersi – è cosa nota – proprio nei giorni della polemica sull’arresto dei due marines in Kerala.
La Enrica Lexie prima di cambiare nome
La Enrica Lexie prima di cambiare nome
Due governi democratici non devono necessariamente scambiarsi dei convenevoli, ma i loro leader dovrebbero considerare i pro e i contro del mettersi a litigare come comari di villaggio lanciandosi insulti piuttosto che esporre posizioni ragionate e ragionevoli sulla base delle regole create proprio per dirimere le controversie. In entrambi i Paesi esistono elementi - singoli e gruppi d'opinione - poco propensi al dialogo, ma sono le ambiguità alimentate dai vertici degli Stati ad accrescere gli umori di anti-italianismo e anti-indianismo, le cui conseguenze possono essere varie e spiacevoli. Di certo dalla confusione di un’opinione pubblica disinformata non esce mai nulla di buono e nessuno presenta l’oggetto dell'arbitrato presso la Corte di Amburgo per quello che è: non una battaglia legale per dimostrare l'innocenza o meno degli imputati, ma la disputa sulla giurisdizione del caso, ovvero stabilire se la morte dei pescatori sia avvenuta o meno in acque internazionali.
Poiché la polemica viaggia da anni su diversi livelli non solo legali, ci si potrebbe cominciare a chiedere perché l’Italia non abbia proposto subito l’arbitrato di Amburgo (senso di colpa, tentativo di ricucire alla buona attraverso canali non diplomatici?), e perché l’India abbia deciso fin dal primo momento di accollarsi la responsabilità del giudizio anche nel dubbio della competenza giurisdizionale (clima elettorale infuocato nel Kerala dove è avvenuto il fatto, manovre in atto contro Sonia Gandhi l’italiana?).
Sappiamo che il governo italiano non solo ha cercato di trattare sottobanco con l’India per riportare a casa subito i due maro’ (e in diverse circostanze è pure riuscito a ottenere concessioni come il trasferimento temporaneo in patria di uno o entrambi i soldati), ma ha anche offerto e pagato una compensazione alle famiglie dei pescatori uccisi, mossa letta dall’India come ammissione di colpevolezza.
colosseo maro'Se i due governi avessero voluto una soluzione efficace e incontestabile da parte delle rispettive infuocate opinioni pubbliche nazionali, potevano concordare insieme di rivolgersi ad Amburgo e non trovarsi separati da un’animosità che non è degna di due Paesi di grande tradizione e cultura del diritto. Non avendo scelto fin da subito la strada consensuale dell'arbitrato, il caso Maro’ non è ormai sola materia di codici, ma di supremazia dei rispettivi ego patriottici, qualcosa di inafferrabile ai più, eppure estremamente importante per chi si imbeve di orgoglio nazionale e nazionalistico che prescinde per definizione dal buon senso.
Gli Stati Uniti (che pochi mesi fa hanno avuto un breve scontro diplomatico con l'India dopo l'arresto a New York di una diplomatica di Delhi, risolto in pochi giorni proprio usando la testa e non le viscere), l’Unione sovietica e le sue ex repubbliche, la Cina e i vicini sud-asiatici, molti Paesi sudamericani, africani e del medio oriente, tutti hanno incontrato oppure ospitato nell'ultimo anno il nuovo premier indiano Narendra Modi per farci affari insieme. Perfino il premier pachistano Nawaz Sharif ha più volte stretto la mano al "nemico" di sempre, anche se gli eserciti si sparano ancora ai confini e muoiono quasi ogni giorno soldati di entrambi i fronti.
Invece in Europa, durante il suo tour dello scorso aprile, Modi è stato accolto solo dalla Francia e dalla Germania, mentre la tappa di Bruxelles venne letteralmente fatta saltare all’ultimo momento. All’origine del mancato incontro ci sarebbe stata, secondo alcuni, l’opposizione della nuova neoministro degli Esteri comunitaria, l'italiana Federica Mogherini. Anche se altri fattori possono aver contribuito a quella decisione, che non ha portato e non potrà portare niente di buono nel lungo termine, la posizione pregiudiziale italiana ha fatto sì che l’intera Unione europea si schierasse almeno formalmente a favore del nostro Paese nel contenzioso sui maro’.
Federica Mogherini
Federica Mogherini
Se cio’ ha alimentato in alcuni la convinzione di essere nel giusto, è un fatto che una questione di principio è stata letteralmente messa davanti al più vasto interesse generale, che è quello di accrescere il benessere e le opportunità di interscambio tra le economie europee e un grande Paese emergente come l’India. Infatti ad aprile quando nazioni leader della UE quali la Francia e la Germania hanno ricevuto Modi, sono state poste da Hollande e Merkel le condizioni per la firma di lucrosi contratti commerciali a dispetto delle posizioni di principio e dei comunicati stampa di Bruxelles.
Certo, noi italiani siamo un popolo di romantici che vive di ideali di giustizia, poco importa se il clima sfavorevole verso l’India e viceversa puo’ danneggiare le nostre imprese. Eppure il giorno dell’incidente all’origine di tutta questa controversia, l’armatore italiano della Enrica Lexie a bordo della quale viaggiavano Latorre e Girone ordino' al capitano di fare marcia indietro e attraccare la petroliera nel porto di Kochi per consegnare i due marines. Molti sostengono che cio’ avvenne a dispetto delle direttive della Marina militare italiana che fornisce le scorte aalle mostre navi-cargo nelle regioni a rischio; altri assicurano che fu la polizia militare indiana a imporre invece la consegna sotto la minaccia di ritorsioni.
Ma la realtà potrebbe essere ben più semplice e ovvia. L’armatore napoletano non voleva rovinarsi i rapporti con le autorità dell’India attraverso le cui acque e porti sarebbero passate altre decine di navi della stessa compagnia, la Fratelli d'Amato Spa. Infatti oggi la Enrica Lexie, con quel nome ormai infausto per ogni superstiziosa compagnia che va per mare, è stata riverniciata e ribattezzata Olympic sky, così da farla navigare inosservata e far dimenticare un episodio che in fondo sembra nascere da un terribile sbaglio di valutazione. Se davvero i marines hanno scambiato i pescatori per pirati, sarebbe bastato insistere su questo punto, chiedere scuse formali e passare oltre senza scatenare tutto questo putiferio. Del resto quale altro misterioso motivo poteva esserci dietro l’uccisione di due poveracci a bordo di una carretta del mare che non poteva far paura a nessuno? Per questo verrebbe da dire, con l’armatore napoletano, “scordammoce 'o passato...” e smettiamola di farla troppo lunga.
I figli di uno dei pescatori uccisi al funerale del padre
I figli di uno dei pescatori uccisi al funerale del padre
Le stesse audizioni dell’arbitrato internazionale potrebbero essere un’occasione eccellente per mettere a tacere le opinioni pubbliche dei due Paesi con una sentenza rispettosa delle rispettive giurisdizioni partendo dall'eventuale attenuante del delitto causato dall'errore umano. Ripristinare i rapporti ai massimi livelli andrebbe infatti a beneficio di tutti, considerando che le stesse famiglie delle vittime non chiedono nessuna vendetta, consapevoli del possibile malinteso all’origine del delitto dei loro cari. Ma la macchina da guerra dei consiglieri legali, professionisti ben pagati che hanno interesse ad allungare tempi e aggiungere complicazioni, è ben oliata dall’uso strumentale del processo da parte di politici con l’occhio rivolto al consenso elettorale più che alle soluzioni ragionevoli.
Di sicuro né il vecchio governo Monti, protagonista della prima fase confusa, né quello attuale di Renzi, hanno tratto e trarranno niente di buono dai reciproci toni offensivi. Men che meno  il resto dell'Italia e dell'India, trascinate loro malgrado in una vicenda che porta benefici unicamente a una manciata di legulei del diritto internazionale.

Abolizione della prescrizione del reato.



Abolire la prescrizione del reato significa accorciare i tempi delle cause. 
Senza prescrizione, infatti, gli avvocati della difesa non chiederebbero continui rinvii delle udienze e non cercherebbero cavilli per allungare i tempi ed arrivare alla famigerata prescrizione.
Inserendo la prescrizione abbiamo solo imbastardito il concetto di giustizia.


Cetta