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mercoledì 13 aprile 2022

“Gli Usa sfruttano la guerra per sbarazzarsi di Putin e mandare un segnale alla Cina e al mondo. Ma la ‘loro’ Nato non ha più l’appeal di 30 anni fa”. - Antonio Li Gobbi

 

L'analisi dell'ex generale Antonio Li Gobbi, già direttore delle operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della Nato, sugli esiti probabili del conflitto. Putin avrebbe già perso ma "una crisi lunga può risultare strumentale al perseguimento di obiettivi meno visibili, che vanno molto aldilà della guerra in corso". Dalla necessità di Washington di rilanciare la Nato (e contenere l'autonomia strategica dell'Europa) a quella di resistere al baricentro che si sposta nel Pacifico. Ecco perché.

In un’intervista sulla rivista The Atlantic l’ex presidente Bill Clinton descrive in modo accorato la sua visione del trentennio che dalla caduta del muro di Berlino ha portato all’attacco russo contro l’Ucraina. Ritengo che l’allora presidente Clinton abbia saputo gestire in maniera efficace le crisi in Europa e nella ex Jugoslavia con cui ha dovuto confrontarsi. Sicuramente più efficace di quanto non siano risultati i suoi quattro successori. Clinton afferma di ritenere che Putin sia stato spinto ad attaccare l’Ucraina solo per paura dell’avvicinamento di Kiev alla democrazia. Possibile, certamente, né lui potrebbe forse vedere la problematica in maniera diversa. Però, forse, degli eventi europei di questi ultimi trent’anni vi sono state almeno quattro letture diverse: una statunitense, una russa, una degli europei occidentali (paesi già membri della Nato trent’anni fa) e una degli europei orientali (paesi ex patto di Varsavia ora avvicinatisi o entrati nella Nato). Letture diverse dovute a percezioni spesso opposte degli stessi eventi.

Analogamente, penso che si possa ritenere che in relazione alla crisi ucraina siano oggi in corso ben tre conflitti che vedono il coinvolgimento di attori diversi, il ricorso a strumenti differenti e soprattutto con obiettivi tra loro ben distinti. Noi tendiamo forse a focalizzarci solo su quello più sanguinoso e più evidente. Vi è, infatti, indubbiamente un conflitto sanguinoso e violento tra Russia e Ucraina. Un conflitto combattuto sia con armi letali che con le armi della comunicazione.

In questo conflitto si sta esprimendo una crudeltà che, giustamente, ci stupisce e ci indigna. Una crudeltà, una barbarie, una violenza di cui pensavamo che l’essere umano non fosse più capace. Violenza gratuita, omicidi, stupri a danni di civili spesso inermi. Crimini che non ci aspettavamo oggi in Europa.

Questo è un conflitto che è sotto gli occhi di tutti e non occorre alcun ulteriore approfondimento. I giornali e le televisioni ne esaminano ogni aspetto. Potrà terminare presto? Purtroppo non credo, perché i russi non accetteranno di perdere e gli ucraini sono convinti (a torto o a ragione è da vedere) che se resistono prima o poi gli Usa e la Nato entreranno in guerra al loro fianco, capovolgendo l’esito dello scontro militare.

Chi lo vincerà? Penso nessuno dei due contendenti. La Russia comunque non sarà vincitrice e ciò indipendentemente dagli scontri sul terreno. Infatti da 75 anni sul campo si possono vincere le battaglie, ma le guerre si vincono o si perdono in base alla percezione che ne hanno le opinioni pubbliche. Ce lo insegnano il Vietnam, l’Iraq e l’Afghanistan. E la Russia politicamente potrebbe già aver perso. L’Ucraina forse otterrà delle vittorie sul terreno, ma temo che la sua economia faticherà a risollevarsi. Questo, per utilizzare una terminologia militare, rappresenta però solo il livello “tattico-operativo” di quanto sta avvenendo in relazione alla crisi ucraina.

Vi è poi un livello che definirei “strategico”. Ovvero la guerra in atto tra Usa e Russia. Si tratta di una guerra combattuta sia sul terreno (in questo caso per gli USA si tratta di una “guerra per procura” che Washington combatte utilizzando i soldati e i civili ucraini) che con la gestione della comunicazione e con armi economiche (le sanzioni). In questa guerra gli Usa si avvalgono anche della Nato e della Ue, che si sono immediatamente e convintamente schierate al fianco di Kiev e di Washington.

È chiaro, peraltro, che gli obiettivi ai due lati dell’Atlantico siano fondamentalmente diversi. Per alcuni Stati europei (Italia, Francia, Germania, Spagna) l’obiettivo sembrerebbe essere giungere a una rapida de-escalation del conflitto, facendo in modo da evitarne l’allargamento ai paesi Nato. Ovvero, si auspicano il conseguimento in tempi brevi di una pace stabile. Inutile evidenziare che affinché la pace possa essere “stabile” nessuna delle due parti sul terreno (Ucraina e Russia) dovrebbe risultare “visibilmente” sconfitta.

Per Washington, invece, l’obiettivo è radicalmente diverso: si tratta di sfruttare il conflitto ucraino per decapitare le eccessive ambizioni di tornare ad essere una “grande potenza” manifestate dalla Russia putiniana, indurre un “regime change” a Mosca, rinsaldare e rinvigorire la Nato ( che stava dando evidenti segni di stanchezza) anche al fine di utilizzarla in futuro in funzione anticinese. A tali obiettivi, in una visione che potrebbe apparire cinica, possono aggiungersi quelli di azzoppare la locomotiva economica europea (di cui Washington non gradisce la competizione) e far accantonare qualsiasi ambizione di autonomia strategica Ue che possa minare l’insostituibilità della Nato. Evidente che gli obiettivi Usa non possano essere conseguiti senza prima una “visibile” e decisa sconfitta russa. Ciò può richiedere l’escalation dei combattimenti e, soprattutto, molto tempo (mesi o anche anni).

Facilitare una soluzione negoziale non appare certamente coerente con gli obiettivi di Washington che vuole la caduta di Putin e quindi ha bisogno una sconfitta tale da provocare un regime change e possibilmente un radicale ridimensionamento delle aspirazioni geopolitiche di Mosca. Lo stesso ampio ricorso a sanzioni economiche che non portano a risultati immediati indica una prospettiva di molti anni di interruzione delle relazioni economiche con la Russia (lunga interruzione che gli Usa si possono permettere, ma che per molti Paesi europei potrebbe comportare non trascurabili sofferenze al sistema produttivo).

Peraltro, vi è anche un terzo conflitto che si combatte intorno alla crisi ucraina. Un conflitto ben più importante per il nostro futuro: quello che viene combattuto a livello geo-politico tra Usa e Cina. È chiaro che Washington voglia inviare un messaggio a Pechino in relazione a Taiwan. Ovvero far sapere a Pechino che come oggi gli Usa sono riusciti ad aggregare una vasta coalizione per contrastare le mire russe sull’Ucraina, così saranno in grado di fare per difendere l’indipendenza di Taiwan e che anche in quel caso le armi sarebbero soprattutto di natura economico-finanziaria (le armi che il Dragone forse teme di più). Soprattutto, però, indipendentemente dal destino di Taiwan, di cui all’elettore americano medio importa relativamente, prendendo spunto dall’attacco russo all’Ucraina Washington sta tentando di obbligare il mondo a scegliere con chi schierarsi: se con il “mondo democratico” o con l’aggressore Putin (e indirettamente con Pechino, che notoriamente ha legami abbastanza solidi con Mosca).

Infatti, alla riunione dei ministri degli Esteri della Nato del 6 e 7 aprile, che mi sarei aspettato fosse incentrata esclusivamente sulla crisi ucraina, erano invitati oltre a ministri dei Paesi Nato anche quelli di UcrainaGeorgiaSvezia e Finlandia (presenze più che comprensibili) e i ministri dei principali alleati degli Usa nell’Indo-Pacifico (Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Sud Corea). Nel comunicato stampa del Segretario Generale al termine della riunione, al pericolo cinese veniva attribuito quasi tanto spazio quanto a quello russo. Ulteriore indice della volontà più volte espressa da Washington di utilizzare la Nato quale suo strumento anche nel confronto tra Usa e Cina.

Una divisione del mondo in due blocchi che si contrapporrebbero più con armi economiche e sanzioni incrociate che con le portaerei. Si vedrà quali saranno a lungo termine gli effetti di una tale divisione, soprattutto per quei Paesi, come i molti europei, le cui economie sono maggiormente dipendenti dall’interscambio commerciale con governi “non graditi” a Washington.

Finora, però, i risultati di questa strategia tendente a fare terra bruciata intorno alla Russia e alle nazioni che continueranno a “violare” l’embargo unilateralmente deciso dall’Occidente non sembrerebbero particolarmente confortanti. La politica del “o con me o contro di me” lanciata da Biden potrebbe essere percepita da parti terze come più o meno ricattatoria, ma questo non è l’aspetto più importante. Il punto è che si tratta di una politica la cui efficacia va scemando man mano che diminuisce il bisogno delle parti terze di accontentare gli Usa. Ad oggi il fronte dei Paesi che stanno seguendo le indicazioni Usa (taluni con forti mal di pancia) appare limitato ai suoi “alleati storici”: Ue e Nato (meno la Turchia che si è ritagliata un ruolo super partes), GiapponeSud CoreaAustraliaNuova Zelanda.

Non solo Usa e Ue hanno ricevuto una risposta diplomatica abbastanza sprezzante da parte di Pechino quando hanno chiesto alla Cina di voltare le spalle al loro alleato russo, ma anche i Paesi Opec hanno dimostrato estrema freddezza nei confronti delle richieste statunitensi di incrementare le loro estrazioni per compensare il bando imposto all’acquisto di greggio e gas russo. In sintesi, l’iniziativa statunitense non pare accogliere consenso da nessun altro Paese significativo di Asia, Africa o America Latina. Continenti questi dove il concetto di “invasore” e di “guerra di aggressione” viene quasi sempre correlato agli Usa o al massimo alle passate mire imperiali e coloniali di Paesi europei (Gran Bretagna, Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Italia) o asiatici (Giappone) oggi tutti schierati con Washington.

Soprattutto, però, mentre venticinque anni fa un aut aut del genere da parte di Washington sarebbe stato accettato forse in tutto il mondo, per convenienza se non per convinzione, il quadro geopolitico globale è oggi cambiato. L’imperialismo commerciale cinese ha fatto sì che ormai Pechino rappresenti la potenza economica di riferimento per buona parte dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. Inevitabile che, stante la posizione cinese, l’aut aut commerciale imposto da Usa e Ue ad attenersi alle sanzioni decise a Washington e Bruxelles possa avere scarso appeal al di fuori della comunità Nord-Atlantica.

Ciò non solo ne vanificherà gli effetti per Mosca ma accelererà quei processi di polarizzazione del mondo in due blocchi politico economici, uno con Pechino come punto di riferimento e l’altro con Washington. In tale contesto è chiaro che verrà accelerato l’emergere di soluzioni finanziarie alternative a quelle che attualmente vedono lo Swift come principale sistema mondiale di interscambio bancario e il dollaro come principale moneta di riferimento internazionale. Ma anche l’Ue (già sofferente per le sanzioni alla Russia) non potrebbe oggi permettersi che la guerra commerciale avviata contro la Russia abbia un impatto sul suo interscambio commerciale con la Cina (che è oggi il primo partner commerciale dell’Ue, con un interscambio di 828,11 miliardi di dollari nel 2021 ).

In conclusione, un approccio “o con noi o contro di noi” non potrà che evidenziare plasticamente il calo di credibilità della leadership politica, economica e militare Usa. Leadership che era stata incontrastata dopo la fine della Guerra Fredda, ma che ormai da una decina di anni almeno mostra segni di debolezza in favore del Dragone. Ragionare come se si fosse ancora l’unica superpotenza in un mondo unipolare quando i rapporti di forza sono drasticamente cambiati può rivelarsi estremamente pericoloso per Washington (e di conseguenza per i suoi più fedeli Alleati europei)

Non sappiamo oggi come evolveranno questi tre conflitti che si muovono lungo piani forse non sempre paralleli. Certo è che si influenzeranno a vicenda e ciò probabilmente non nell’interesse di una rapida soluzione del conflitto sul terreno. Tale crisi sul terreno potrebbe, per diversi attori extra europei, risultare strumentale al perseguimento di obiettivi strategici e geopolitici aldilà della situazione in Ucraina e che forse hanno il loro baricentro nell’Oceano Pacifico.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/04/13/gli-usa-sfruttano-la-guerra-per-sbarazzarsi-di-putin-e-mandare-un-segnale-alla-cina-e-al-mondo-ma-la-loro-nato-non-ha-piu-lappeal-di-30-anni-fa/6557554/

mercoledì 23 febbraio 2022

La crisi in Ucraina spiegata in due (beh, non proprio due) parole. - Michele Lebotti

 

In Ucraina ho vissuto un anno meraviglioso, a cavallo fra il 2009 e il 2010, viaggiando in lungo e largo per il paese per motivi di lavoro, finendo poi col trascorrere un’estate splendida in Crimea. Nei miei spostamenti, mi rendevo sempre conto che quel paese aveva (ed ha) due anime, distinte, separate fondamentalmente dal corso di un fiume, il Dniepr. Un’anima russa, propriamente russa, di ucraini che parlano russo, che sono di religione ortodossa e che sono eredi di quella cultura del Don che non ha mai conosciuto un confine reale fra Russia e Ucraina. Faccio notare che in russo la parola stessa У-край на vuol dire : presso/lungo i confini.
L’altra anima del paese è invece propriamente slava e mitteleuropea, direi quasi asburgica, considerato che a Leopoli furono incoronati ben due imperatori della casata imperiale austriaca. La Galizia, i Carpazi, tutti i territori fra Polonia e Ucraina esprimono infatti una cultura diversa, fondamentalmente cattolici, si parla ucraino, si avverte da secoli, la Russia, come un vicino ingombrante.
In effetti anche se si guarda la mappa dell’Europa, si nota che l’Ucraina ha la forma di un ponte. Ora questo essere ponte fra due mondi, che ha sempre trovato in Kiev, la bellissima capitale, la sua sintesi ideale, invece di divenire un vantaggio strategico per il paese, è diventato nel tempo la sua grande tara.
Come si è arrivati a questa polarizzazione drammatica?
Facciamo un passo indietro: fine dell’URSS, nascono, nelle repubbliche dell’ex impero, le pseudo-monarchie dei Lukashenko (Bielorussia), degli Aleev (Azerbaijan), dei Nazarbayev (Kazakistan) etc etc.. A Kiev si instaura un governo di incapaci attaccato alla tetta russa, che però di latte, all’indomani del crollo sovietico, ne ha ben poco. Il paese si impoverisce, le infrastrutture non reggono, la gente scende finalmente in piazza chiedendo rinnovamento. Sono i giorni di speranza della rivoluzione arancione, la rivoluzione di Maidan, la grande piazza che si apre sul Kreshatik, la via principale della capitale. La rivoluzione riesce, il governo in carica di dimette, le elezioni vengono vinte da Victor Yushenko, professore, scacchista, persona onesta, ma pessimo politico, e soprattutto, amministratore incapace. Fra i tanti errori di Yushenko c’è quello di mettersi vicino una pasionaria fascistoide, Yulia Timoshenko, che contribuirà non poco ad avvelenare l’aria del paese. Il governo Yushenko non funziona, la grivna crolla, la gente continua ad impoverirsi, le grandi speranze rimangono disilluse. Si torna a votare e questa volta, l’esito del voto premia un altro Victor, Yanukovich, espressione della parte russofona e russofila del paese, fra cui il Donbass appunto, essendo lui stesso nato a Donetsk. Ex malavitoso, uomo controllato dal FSB, estremamente corrotto. È l’anno in cui arrivo a Kiev. Il mio autista è anche un musicista, per la precisione oboista della filarmonica di stato. La quale filarmonica, ogni giovedì, va in casa di Yanukovich, un enorme villa sopra l’Arsenalnaya, a suonare per il presidente e per le sue feste.
Si ferma l’occidentalizzazione del paese, ci si riavvicina alla Russia. Tuttavia alcuni impegni come i colloqui per una preadesione all’UE erano stati già presi dal governo precedente. Yanukovich stoppa tutto. Questo scatena la rabbia delle generazioni più giovani e della parte del paese ad occidente del Dniepr. Yanukovich viene rimosso con la forza, da frange organizzatissime dietro le quali fra gli altri c’è la stessa Timoshenko. Ma Yanukovich era stato eletto democraticamente e quella parte del paese che lo aveva eletto, non ci sta. E’ la contro-rivolta, vengono occupati i municipi di Lugansk, Donetsk, Sebastopoli.. E in questa fase, Il nuovo governo di Kiev non trova di meglio che inviare in quelle province i carri armati. Contro una parte del proprio popolo. Un’assurdita’. La Russia manda i rinforzi tecnici e paramilitari che l’esercito ucraino non ha la forza di sconfiggere. Putin vede un’occasione unica e si prende la Crimea, senza sparare un colpo.
La situazione si cristallizza e questo status quo viene sancito internazionalmente dagli accordi di Minsk nel 2014. Fino a ieri sera.
Considerazioni finali: nelle situazioni così complesse il male e il bene, la ragione e il torto non stanno mai da una parte sola.
La NATO non può pensare di bussare alla porta di territori e paesi che sono al confine dello spazio strategico vitale della Federazione Russa. Ne’ può giustificare la sua esistenza con il solo spauracchio della russofobia.
La Federazione Russa non può pensare di violare la sovranità di paesi che sono comunque paesi terzi e indipendenti, ne’ può continuare ad inquinare il processo di integrazione europeo (l’unico argomento che vede convergere gli interessi russi e americani).
Si può ammettere che l’Ucraina non entri mai nella NATO ma non si può costringere nessuno a firmare un accordo scritto sulla testa di uno stato terzo, come vorrebbero i russi.
Gli USA non possono forzare la mano senza capire che i rapporti geopolitici fra Russia e Europa sono molto più complessi e interconnessi di quello che gli americani stessi vorrebbero. A 6000 km di distanza se ne fottono. Per loro l’energia non è un problema, per noi si.
L’Europa dovrà parlare con una voce sola, e dovrà mediare. Ne va del suo, pardon, del nostro futuro. Il resto lo leggeremo sui giornali a partire da domani..

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giovedì 25 febbraio 2021

I 4 dell’Ave Mario. - Marco Travaglio

 

Sei giorni fa titolavamo: “Perché è caduto Conte?”. Ora, alla luce delle prime scelte di Draghi, possiamo cancellare il punto interrogativo. Conte non è caduto per la blocca-prescrizione (confermata dal governo Draghi). Non per i Dpcm (li fa anche Draghi). Non per le chiusure anti-Covid (elogiate, ribadite e inasprite da Draghi). Non per i vertici serali (li fa pure Draghi, ieri per la mega-rissa sui sottosegretari). Non per ministri e collaboratori incapaci (quasi tutti confermati da Draghi, con l’aggiunta di Brunetta, Gelmini, Carfagna, Garavaglia, Stefani&C. per aumentare il tasso di competenza). Non per il Mes (non lo prende neanche Draghi). Non per il Reddito di cittadinanza (non lo cancella neanche Draghi). Non per il ponte sullo Stretto (non ne parla neppure Draghi). Non per Arcuri (finora se lo tiene anche Draghi). Non perché accentrava la governance del Recovery in soli tre ministeri (Draghi l’accentra in uno: il Mef del fido Franco). E qui finiscono i pretesti ripetuti per due mesi dall’Innominabile e dai suoi pappagalli per giustificare la crisi: erano tutte balle.

Le vere ragioni del ribaltone sono altre: mettere le mani dei soliti noti sui miliardi del Recovery e dirottarli verso Confindustria&C. Per chi nutrisse ancora dubbi, basta leggere i nomi dei ministri Franco, Cingolani, Colao, Giorgetti e (a pag. 2-3) dei sottostanti boiardi e retrostanti lobbisti, su su fino al neoconsigliere economico Francesco Giavazzi: un turboliberista che predica da sempre contro l’impresa pubblica e a favore di quella privata (ma con soldi pubblici) e che neppure i giornaloni riusciranno a spacciare per “liberalsocialista”, “keynesiano” e “allievo di Caffè” (che non smette più di rivoltarsi nella tomba, tanto nessuno sa dove sia). Mentre i partiti giocano agli adulti nel cortile dell’asilo coi loro ministri e sottosegretari superflui, Draghi e i Quattro dell’Ave Mario si occupano delle cose serie. Cioè della scelta meno tecnica e più politica del mondo: a chi destinare i miliardi del Recovery. Ricordate il mantra del Piano “scritto coi piedi” da Conte e Gualtieri e “migliorato” in extremis dal provvidenziale intervento renziano? Ora Repubblica titola: “Pulizia sul Recovery Plan. Il governo taglia subito 14 miliardi di progetti… senza copertura finanziaria. Sfoltite le iniziative in eccesso previste dal Conte2, si torna a quota 209,5 miliardi”. Già: ma le “iniziative in eccesso” sono quelle chieste dal Rignanese nel celebre Piano Ciao e aggiunte da Gualtieri per tacitarlo. Quindi era meglio il Piano Conte prima della cura Iv: quello “scritto coi piedi”, senza i famosi “miglioramenti” renziani che ora Draghi deve “ripulire”. Ma questo i repubblichini si scordano di scriverlo. Vergogniamoci per loro.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/25/i-4-dellave-mario/6112986/

sabato 20 febbraio 2021

Perché è caduto Conte? - Marco Travaglio

 

Dopo due giorni di travolgente emozione, commozione, brividi e pelle d’oca per i Grandi Discorsi di Draghi tra Senato e Camera, sobriamente celebrati dalla maggioranza politico-mediatica modello Pyongyang come il ritorno di Demostene e Cicerone fusi insieme, è finalmente chiaro ciò che il governo farà di buono e giusto (tutto) e di cattivo e sbagliato (niente). Un solo interrogativo resta inevaso: perché è caduto il governo Conte-2? Breve catalogo di opzioni.

Incapace. Conte era un premier incapace con ministri scappati di casa provenienti da partiti incompetenti ed è stato travolto dal “fallimento della politica” e dalla “crisi di sistema”? Draghi governa coi partiti incompetenti che appoggiavano Conte (più Lega, FI ecc.) e con 9 dei suoi ministri più 2 tecnici (Bianchi e Colao) che operavano con lui. Poi ci sono Brunetta, Gelmini, Giorgetti&C.

Recovery Plan. Conte aveva fallito sul piano, scritto coi piedi, in perenne ritardo e con una governance accentrata fra Mef, Mise e Affari Ue tipica dei dittatori, roba da cestinare e rifare da capo? Draghi dichiara al Senato che “il precedente governo ha già svolto una grande mole di lavoro sul Programma”, “finora costruito in base a obiettivi di alto livello” che ora “dobbiamo approfondire e completare, ma “le missioni del Programma resteranno quelle enunciate nei documenti del governo uscente”. Resta da fare ciò che due mesi di crisi impedirono a Conte di fare: “rafforzarlo per gli obiettivi strategici e le riforme che li accompagnano”. E la governance? Draghi l’accentra al Mef, molto più dell’accentratore Conte.

Pandemia. Conte ha fallito sulla gestione della pandemia, con le arlecchinesche Regioni a colori, le troppe chiusure, i ritardi sui vaccini, i disastri di Speranza, Arcuri e Cts? Draghi dichiara al Senato: “Ringrazio il mio predecessore Giuseppe Conte che ha affrontato una situazione di emergenza sanitaria ed economica come mai era accaduto dall’Unità d’Italia”. Conferma Speranza, il Cts e probabilmente Arcuri. E sui vaccini – salvo che riesca a fabbricarli in proprio – attende anche lui notizie dalla Commissione europea, quella dei competenti che si son fatti fregare dalle case farmaceutiche con contratti suicidi.

Prescrizione. Conte ha fallito perché non voleva cancellare la blocca-prescrizione di Bonafede? Draghi non la nomina, la Cartabia la rinvia a data da destinarsi e gli emendamenti contrari vengono ritirati da FI, Iv, Azione e +Europa che fino all’altroieri li ritenevano urgentissimi e decisivi.

Giustizia. Conte, presentando al Senato il suo secondo governo, annunciò “una riforma della giustizia civile, penale e tributaria, anche attraverso una drastica riduzione dei tempi”.

E si dilungò sulla lotta alla mafia. Draghi promette di “aumentare l’efficienza del sistema giudiziario civile”; di penale e di mafia non parla, se non in replica; e aggiunge che la giustizia deve rispettare “garanzie e principi costituzionali che richiedono a un tempo un processo giusto e di durata ragionevole”. Ovvietà copiate dall’art. 111 della Costituzione e dai discorsi degli ultimi 30-40 predecessori. Per sua fortuna la relazione Bonafede, su cui è caduto il Conte-2, già prevede 16 mila nuovi assunti nei tribunali con 2,8 miliardi del Recovery.

Carceri. Conte non fece nulla contro il sovraffollamento delle carceri, Draghi sermoneggia fra le standing ovation sulle “carceri, spesso sovraffollate” e su chi ci vive “esposto al rischio della paura del contagio e particolarmente colpito dalle misure contro la diffusione del virus”. Ma il rischio Covid è molto più alto fuori che dentro (in un anno 12 morti in carcere su 100mila detenuti passati per le celle, contro i 95.223 morti fuori su 60 milioni: 0,00012% contro 0,00015); e Bonafede nell’anno del Covid ha ridotto l’affollamento dai 61mila presenti a marzo ai 52.515 di oggi.

Mes. Gli incompetenti Conte e Gualtieri, per compiacere la follia dei 5S, rifiutavano i 36 miliardi del Mes? Il competentissimo Draghi manco lo cita e chi lo invocava un giorno sì e l’altro pure – FI, Iv&giornaloni – ha improvvisamente deciso che non serve più.

Ponte sullo Stretto. Vedi Mes, una prece.

Scuola. Conte ha fallito sulla scuola per colpa dell’incompetente Azzolina? Draghi nomina ministro Bianchi (già capo della task force dell’Azzolina); promette di “tornare rapidamente a un orario scolastico normale” (difficile, con l’aumento dei contagi con varianti Covid) e di “recuperare le ore di didattica in presenza perse” con le scuole aperte fino a giugno. Ma questo l’aveva già detto la Azzolina che, dopo aver garantito in piena pandemia un numero di ore in presenza superiore alla media Ue (dati Unesco), vede elogiare la Dad da lei inventata un anno fa come “notevole e rapida” nella kermesse mondiale Google Education, in corso negli Usa.

Ambiente. Conte non era abbastanza ambientalista? Draghi ha dato fondo a tutti gli slogan sul tema. Conte già nel settembre 2019 parlò di “transizione ecologica”, “riconversione energetica, fonti rinnovabili, biodiversità dei mari, dissesto idrogeologico, economia circolare” e stop alle trivelle. E disse le stesse cose che avrebbe detto Draghi 17 mesi dopo anche su fisco, pagamenti elettronici, Sud, atlantismo, europeismo, ricerca, Pa, digitalizzazione e migranti. Quindi il giallo del premiericidio senza movente rimane irrisolto: perché è caduto il governo Conte?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/20/perche-e-caduto-conte/6107700/

giovedì 5 novembre 2020

Il problema dei tamponi, focolai nelle Rsa e l’incognita dei posti in ospedale: ecco perché la Sicilia è diventata zona arancione. - Manuela Modica

 

L'inserimento dell'isola nella zona arancione, con criticità elevata, ha sollevato le proteste del governatore Nello Musumeci, che ha fatto notare come Campania e Lazio facciano registrare spesso numeri assoluti maggiori nell'incremento dei contagi. Il monitoraggio dell’Iss fatto nella settimana che va dal 19 al 25 ottobre, però, si basa su parametri suddivisi in 21 macroaree: la lotta alla pandemia nella Regione più a Sud d'Italia va tutt'altro che bene.

Sicilia in zona arancione, ed è subito polemica. Un minuto dopo il discorso del presidente del consiglio, che annuncia la serrata totale per bar e ristoranti sull’isola, è lo stesso governatore siciliano, Nello Musumeci, a infiammare gli animi: “La scelta del governo nazionale di relegare la Sicilia a zona arancione appare assurda e irragionevole. L’ho detto e ripetuto stasera al ministro della Salute Speranza, che ha voluto adottare la grave decisione senza alcuna preventiva intesa con la Regione e al di fuori di ogni legittima spiegazione scientifica”.

Ed elenca subito una serie numeri: “Un dato per tutti – prosegue il governatore siciliano – oggi la Campania ha avuto oltre quattromila nuovi positivi; la Sicilia poco più di mille. La Campania ha quasi 55 mila positivi, la Sicilia 18 mila. Vogliamo parlare del Lazio? Ricovera oggi 2.317 positivi a fronte dei 1.100 siciliani, con 217 in terapia intensiva a fronte dei nostri 148. Eppure, Campania e Lazio sono assegnate a zona gialla. Perché questa spasmodica voglia di colpire anzitempo centinaia di migliaia di imprese siciliane? Al governo Conte chiediamo di modificare il provvedimento, perché ingiusto e ingiustificato. Le furbizie non pagano”.

Furbizie, scelte assurde, irragionevoli: Musumeci dà voce così ad una buona parte dell’opinione pubblica siciliana, colta di sorpresa non tanto dalla posizione in zona “chiusura”, quanto dall’assenza nella stessa posizione di regioni considerate a rischio molto più alto di quello della Sicilia, come appunto Lazio e Campania. I contagi in Sicilia sono inferiori, non c’è dubbio, ma c’è un dato che Musumeci non menziona e che affiora anche alla luce dei chiarimenti successivi alle dichiarazioni di Giuseppe Conte. La divisione in zone si basa infatti sul monitoraggio dell’Iss fatto nella settimana che va dal 19 al 25 ottobre e si basa su parametri suddivisi in 21 macroaree. Tra queste c’è l’attività di screening effettuata dai territori. Ed è su questo punto che la differenza tra la Sicilia e le altre due regioni prese a paragone dal governatore può spiegare perché l’isola è considerata a rischio elevato: nella settimana presa in analisi la Sicilia ha processato 43.630 tamponi, mentre la Campania ha fatto quasi il doppio, con 81.321 e il Lazio ha raggiunto quota 130.265 tamponi processati (mentre la Puglia, posizionata al pari della Sicilia in zona arancione si attesta a 31.747 test). L’isola ha dunque fatto 86.635 tamponi in meno del Lazio (12.376 in meno, in media, al giorno) e 37.691 meno della Campania in una settimana (5.384 in meno, in media, al giorno), a fronte di una popolazione più numerosa in queste due ultime regioni. Il Lazio conta 910mila abitanti circa in più della Sicilia, mentre la Campania circa 850mila in più, tutte e tre oscillano su una cifra che sfiora e supera i 5 milioni di abitanti. Dunque, anche se il fattore Rt – l’indice di contagio – in Sicilia più basso (nel periodo preso in esame era di 1.42, mentre in Lazio di 1.51, in Campania di 1.49 e in Puglia di 1.65) è stata l’inferiore capacità di monitorare i contagi a pesare nella scelta del governo.

Un ruolo hanno giocato anche i numeri della terapia intensiva. Lo scorso 21 ottobre Nicola Zingaretti firma un’ordinanza per l’incremento dei posti letto, per raggiungere la soglia di 552 posti Covid in terapia intensiva e sub intensiva. In Campania al 25 ottobre ne risultano 320 tra attivati e attivabili. La cifra dei posti letto di terapia intensiva in Sicilia è invece difficile da reperire con precisione. Bisogna chiamare ogni azienda ospedaliera provinciale per sapere il numero esatto, alla fine risultano circa 245 posti di terapia intensiva già attivati (Enna non ne ha nessuno e Palermo dà un dato che oscilla tra 80 e 100). Dall’assessorato regionale alla Salute però assicurano che quelli attivabili sono 500, già predisposti. Mentre da giorni indicano la vera criticità per l’attivazione: gli anestesisti. Non c’è personale a sufficienza per attivare i posti, un problema che riguarda tutto il Paese.

“Dalla Regione c’hanno fornito tutte le attrezzature. Manca il personale”, assicura, per esempio, Angelo Aliquò, direttore generale dell’Asp di Ragusa. Sono 31 i posti attivati nel Ragusano, lì dove da poco è stata dichiarata una nuova zona rossa a Vittoria, comune con quasi 64mila abitanti. E non sono poche le zone rosse siciliane, tutte concentrate in paesi di montagna: Centuripe (5249 abitanti), Torretta (4278), Galati Mamertino (2419), Randazzo (10599), Sambuca (5792), Mezzojuso (2799), Villafrati (3275). Piccoli comuni con pochi abitanti, ma con alta contiguità tra le persone, e soprattutto con centri di Rsa, come Villafrati che è stata zona rossa sia a marzo che ad ottobre. O come Sambuca dove le immagini delle ambulanze in fila per evacuare la Rsa hanno fatto il giro del web.

Ed è proprio la gestione delle residenze degli anziani uno dei 21 parametri presi in esame dall’Iss per suddividere le regioni in zone di rischio più o meno elevato. Secondo l’assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza, però, il tasso di occupazione di posti letto in terapia intensiva nella settimana presa in esame è passato “dal 15 al 19 percento”. Per questo sottolinea: “Leggo sulla stampa farneticazioni (qualche volta strumentali, qualche altra dettate dalla voglia di fare polemica a tutti i costi) in ordine all’occupazione dei posti letto in Sicilia e mi pare, quindi, indispensabile pubblicare il report settimanale utilizzato da Roma. Come vedete i nostri indici di occupazione erano ben al di sotto della soglia di allerta. E, riferendosi i dati alla scorsa settimana, essi non tengono neppure in considerazione il piano approvato dal Comitato tecnico scientifico che li aumenta ancora di più. Sono fatti, non analisi”. Intanto nella settimana presa in analisi, i positivi in terapia intensiva sono stati 35 in più nel Lazio, 28 in più in Campania e 23 in più in Sicilia. L’isola segna dunque un incremento in terapia intensiva molto vicino a quello campano e non lontano da quello laziale, dove processano più tamponi e quindi forse intervengono prima sui contagiati.

La polemica, non a caso, provoca la reazione anche del ministro della Salute, Roberto Speranza: “Le regioni alimentano i dati con cui la cabina di regia effettua il monitoraggio dal mese di maggio – sottolinea il ministro in una nota -. Nella cabina di regia ci sono tre rappresentanti indicati dalle regioni. È surreale che anziché assumersi la loro parte di responsabilità ci sia chi faccia finta di ignorare la gravità dei dati che riguardano i propri territori. Serve unità e responsabilità. Non polemiche inutili”. E anche le opposizioni si scatenano contro il governo regionale: “La Sicilia è area arancione perché, pur avendo meno ammalati Covid di altre regioni area gialla, non ha un numero adeguato di posti letto di terapia sub-intensiva e intensiva per garantire le cure necessarie. Se Musumeci avesse utilizzato il periodo estivo per adeguare le strutture sanitarie la Sicilia sarebbe area gialla”, dice il capogruppo dem all’assemblea regionale, Giuseppe Lupo.

“Andavano aumentati posti letto, tamponi e tracciamento, invece cosa è arrivato? L’aumento delle pensioni e dell’assegno di fine mandato dei deputati dell’Ars”, sottolineano i Cinquestelle siciliani, componenti della commissione Salute all’Ars, Giorgio Pasqua, Salvatore Siragusa e Antonio De Luca. Nei giorni scorsi i consiglierei del M5s hanno, infatti, denunciato l’avvenuto aumento della pensione per i consiglierei regionali. E adesso insistono sui tamponi: “Ci dicano perché facciamo solo 6000 tamponi al giorno. Se con 6.000 tamponi giornalieri abbiamo 1.000 contagiati al giorno, vuol dire che un siciliano controllato su 6 risulta positivo e allora quanti ce ne sarebbero se facessimo 20 o 30.000 tamponi giornalieri? Altro che arancione…”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/05/il-problema-dei-tamponi-focolai-nelle-rsa-e-lincognita-dei-posti-in-ospedale-ecco-perche-la-sicilia-e-diventata-zona-arancione/5993018/

martedì 27 ottobre 2020

Giuseppe Conte, l’intervento sul Fatto Quotidiano: “Ecco perché ho chiuso alle 18. Nessuno ora soffi sul fuoco.” - di Giuseppe Conte*

 

Abbiamo appena varato un Dpcm con misure più restrittive, ma necessarie. Quel Dpcm è nato da un lungo confronto tra tutte le forze di maggioranza, rappresentate dai rispettivi capi-delegazione. Queste misure non sono in discussione. Piuttosto vanno spiegate a una popolazione in sofferenza, che legittimamente chiede di capire i motivi delle scelte del governo. In queste ore molti ci chiedono: perché chiudete proprio i ristoranti, perché le palestre, i cinema e i teatri, che pure applicano rigorosamente i protocolli di sicurezza? A queste categorie – e ai cittadini tutti – va data una risposta razionale, perché razionali sono i criteri che ci hanno ispirato.

Non abbiamo deciso queste chiusure indiscriminatamente. Tutte le misure messe in campo rispondono alla necessità di tenere sotto controllo la curva dei contagi. Con lo smart working e il ricorso alla didattica a distanza nelle scuole secondarie di secondo grado, puntiamo a ridurre momenti di incontri e soprattutto l’afflusso nei mezzi di trasporto durante il giorno, perché sappiamo che è soprattutto lì che si creano affollamenti e quindi occasioni di contagio. Acquistare subito centinaia di nuovi mezzi pubblici è impossibile, per questo andava decongestionato il sistema del trasporto pubblico agendo su scuola e lavoro e altre occasioni di uscita come lo sono l’attività sportiva in palestre e piscine. Stessa cosa abbiamo fatto la sera: abbiamo ridotto tutte le occasioni di socialità che spingono le persone a uscire nelle ore serali e a spostarsi con i mezzi pubblici. Uscire la sera per andare al ristorante, cinema o teatro significa prendere mezzi pubblici o taxi, fermarsi prima o dopo in una piazza a bere qualcosa o a incontrarsi con amici abbassando la propria soglia di attenzione e creando assembramenti. Ecco perché abbiamo sospeso le attività di ristoranti, cinema e teatri. Così si è meno incentivati a uscire di casa.

Non solo: diminuendo le occasioni di socialità, abbassiamo anche il numero di contatti che ognuno di noi può avere, rendendo così più facile fare i tracciamenti nel caso in cui una persona risulti positiva. Senza queste misure la curva è destinata a sfuggirci di mano.

Sono queste le motivazioni che ci hanno spinto ad adottare misure che sappiamo essere dure. Ora è il momento della responsabilità. La politica – e questo vale soprattutto per chi è al governo – deve saper dar conto delle proprie scelte ai cittadini, assumersi la responsabilità delle proprie azioni e non soffiare sul fuoco del malessere sociale per qualche percentuale di consenso nei sondaggi. Ora è il momento di mettere il Paese in sicurezza, evitando la diffusione del contagio e il rischio di non riuscire a garantire cure e ricoveri adeguati e di non riuscire a preservare il tessuto economico e produttivo.

Siamo tutti pienamente consapevoli delle ricadute economiche di queste misure, delle difficoltà a cui molti cittadini italiani vanno incontro, penso a chi lavora nel settore della ristorazione, del turismo, dello spettacolo, della cultura, delle palestre e di tutti i settori connessi. Ma proprio per questo oggi approviamo un decreto importante con ingenti risorse che ci permette di ristorare tutte queste persone, di dare loro in maniera rapida e diretta risorse per colmare le perdite dovute alle chiusure. Saranno soldi certi e rapidi.

* presidente del Consiglio

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/27/perche-ho-chiuso-alle-18-nessuno-ora-soffi-sul-fuoco/5980963/

lunedì 17 febbraio 2020

Andrea Detto Il Toscano.

Risultato immagini per ribellione

Buona sera. Allora mi corre l’obbligo di fare un altro post, quasi come quello che ho fatto tempo fa.
Sono e rimango una persona di sinistra e, per una vita intera ho votato a sinistra. Nelle ultime elezioni ho votato M5S perché disgustato da quanto avveniva nella sfera politica del Paese. Ho visto quello che era il mio partito fare inciuci sottobanco, ho visto il mio partito dimenticarsi del popolo, ho visto il mio partito votare provvedimenti assieme alla destra (Fornero) e ho visto i sindacati, che hanno taciuto (solo 2 ore di sciopero) ma che, con quel provvedimento mi hanno RUBATO 8 anni di vita, ho visto quello che era il mio partito salvare banche e multinazionali a scapito del popolo. E ho deciso. La mia non è stata una decisione facile. E’ stata sofferta. Ho pensato anche di votare partiti nati dalla famosa scissione, molto più vicini alla mia idea politica ma ho anche pensato che quel voto non avrebbe cambiato le cose, perché gli italiani hanno uno strano modo di decidere, legittimo beninteso, e che quei partiti sarebbero rimasti al palo, perché è innegabile che l’Italia è un Paese diviso esattamente a metà. Una metà che ha a cuore gli interessi comuni, i cittadini, l’equità sociale, l’aiuto del più debole. Mentre l’altra metà (a mio avviso certamente) è per la difesa dei ceti ricchi, degli evasori fiscali, dei corrotti e corruttori, dei furbetti e delle scorciatoie. E in mezzo a questi chi c’era ? C’era un partito che gridava VAFFANCULO a tutto questo. Ed io, che di vaffanculi ne aveva presi tanti, ma anche dati, ho deciso di provare una strada diversa, nuova, di quanti gridavano all’onestà. Ma, sia detto per inciso, il mio essere di sinistra non è cambiato di un millimetro! Purtroppo devo registrare alcune cose che a me fanno soffrire molto. E cioè la prevenzione che la stragrande maggioranza degli Italiani ha verso qualcuno che vuole il bene comune. Adesso vedo e leggo che dovrei addirittura vergognarmi di aver fatto quella scelta. Ma vi siete mai chiesti perché il M5S ha tutti contro? ma per tutti dico proprio tutti : partiti (e quello lo posso capire), giornalisti, anchor man, giornali, radio, ma anche cittadini che hanno verso quelle persone una acredine ed un odio tale che mai ho registrato neanche verso le destre, neanche verso i fascisti. E questo non riesco proprio a spiegarmelo. Sarà certamente una mia tara mentale. Ripeto, posso capire gli altri partiti, posso capire i giornalisti tutti, visto che volevano mettere mano alla Legge sull’Editoria, posso capire i sindacati, che erano entrati nelle loro mire, dopo la legge 564 sulle loro pensioni d’oro, taciuta da tutte le sinistre. Ma i cittadini no, non riesco a capire tutti quelli che hanno un odio preventivo che non registravo da tempo immemore verso delle persone che vogliono il bene comune.
Hanno fatto degli errori ? Certamente! e ne rifaranno anche. Sono stati tacciati di incapacità e questo lo posso capire. Ho avuto anche io questo dubbio ma, mi sono detto che nessuno nasce imparato e che anche tutte le altre persone che, negli anni, si sono succedute al Governo sono nate con quella esperienza. Ho anche sentito dire che qualcuno preferiva i ladri, ma competenti! Tanti si sono sciacquati la bocca prendendo in giro queste persone senza motivazione chiamando qualcuno “bibitaro”, chiamandoli “grullini”. Ebbene, almeno per me è più onorevole aver fatto lo stewart, che aver campato sempre di politica. I vecchi politicanti hanno dovuto fare errori (nel passato coperti dai loro stessi partiti) per poi governare come gli riusciva. Si sono alleati con il PD (mio vecchi partito, prima dell’innominabile Renzi e compagnia)? no, non l’hanno fatto. Hanno fatto un contratto che non vuol dire alleanza, vuol dire fare alcune leggi e poi ognuno per proprio conto. Ho anche cercato di fare un bilancio degli ultimi 25 anni di Governi, di destra e di sinistra, e sapete cosa ho visto? Che le leggi fatte dalla destra (per me orrori), una volta che la sinistra era andata al potere, non erano cambiate. Non le avevano cambiate! Vedi leggi ad personam, vedi conflitto di interessi, vedi precarietà del lavoro, diminuzione dei diritti dei lavoratori (cancellazione dell’art. 18, che non era riuscito nemmeno a Berlusconi). Ebbene non le avevano cambiate per non andare a toccare interessi comuni. Interessi che non erano certo rivolti al popolo, ma a loro stessi e ai loro amici. Ma non ho mai visto scagliarsi con tanta forza e tanto odio contro qualcuno, nemmeno da quei partiti di sinistra, nati dalle scissioni, verso la destra xenofoba e prepotente. Quella destra a cui ne arrestano uno al giorno, mentre, al momento almeno nei 5S non vi sono indagati o arrestati (salvo il vero). A meno che, questo odio non derivi dal fatto che alcune leggi fatte dal M5S, dovevano essere ad appannaggio delle sinistre, come il tanto vituperato reddito di cittadinanza, che però, quando si chiamava reddito di inclusione, era applaudito addirittura……..coerenza questa sconosciuta!
La peggior cosa che sto vedendo e leggendo, scorrendo alcuni post, è l’odio viscerale che traspare da tutti i commenti, come se questo movimento avesse fatto e fosse responsabile di tutti i mali che ci hanno attanagliato negli ultimi 30 anni, dimenticando quello che abbiamo abbonato a quei partiti che votavamo e incensavamo, anche quando sapevamo bene che avevano fatto delle cazzate!
Ma tutto questo finisce qui. Ho cercato di fare chiarezza sulle circostanze che mi hanno portato a dare quel voto, scevro da pregiudizi verso altri partiti e verso altre persone. L’odio e l’acredine non mi appartengono, chi mi conosce bene lo sa. Non posso dare consigli a nessuno, ma cerco di riflettere che la politica, purtroppo è mediazione talvolta, e se non hai la forza per fare passare un provvedimento come lo vorresti, devi per forza mediare qualcosa, non molto, altrimenti viene stravolto. E per questo voglio tacere sulle mediazioni che sono state fatte in passato, anche quando forse non ce n’era bisogno. Anche se per molte cose il bisogno di avere memoria è senz’altro superiore ai commenti offensivi, alle prese per il culo, ai mezzi discorsi dove si dice e non si dice, ad erigersi giudici e giurati senza che vi sia nemmeno un imputato.
Andrea detto il Toscano.