domenica 26 agosto 2018

Difesa, la spesa italiana crescerà anche nel 2018: alle armi 25 miliardi, il 4% in più rispetto al 2017. - Luisiana Gaita - 2 febbraio 2018

militare italiano con sniper

I dati dell'Osservatorio Milex: la spesa militare vale l'1,4% del Pil. Pesa, oltre ai bilanci di Difesa, l'aumento dell'importo destinato al ministero dello Sviluppo per l'acquisto di nuovi armamenti. E una quota è destinata al Nuclear Sharing, le spese di mantenimento dell'arsenale nucleare Usa dislocato in Italia.


Ammonta a 25 miliardi di euro la spesa militare italiana per il 2018, l’1,4 per cento del Pil, con un aumento del 4 per cento rispetto al 2017. Si tratta ormai di una tendenza di crescita avviata dal governo Renzi (con un 8,6 per cento in più rispetto al 2015) che non accenna a fermarsi. Nel 2018, infatti, crescono anche il bilancio del Ministero della Difesa (21 miliardi, il 3,4% in più rispetto al 2017) e i contributi del Ministero dello Sviluppo Economico all’acquisto di nuovi armamenti (3,5 miliardi di cui 427 milioni di costo mutui, ossia il 115% in più nelle ultime tre legislature). A rivelarlo è il Rapporto MIL€X 2018, a cura di Enrico Piovesana, cofondatore dell’osservatorio sulle spese militari italiane e di Francesco Vignarca della Rete italiana per il Disarmo. Il dossier è stato presentato oggi presso la sala stampa della Camera dei Deputati alla presenza di Daniel Högsta, coordinatore della campagna ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons), premio Nobel per la Pace 2017. Il rapporto analizza i costi della ‘servitù nucleare’ legata alle spese di stoccaggio e sorveglianza delle testate atomiche tattiche americane B-61 nelle basi italiane e alle spese di stazionamento del personale militare USA addetto e di mantenimento in prontezza di aerei e piloti italiani dedicati al ‘nuclear strike’. “Questi dati – ha commentato Daniel Högsta – dimostrano come la presenza di armi nucleari abbia impatto negativo per i Paesi che le ospitano non solo dal punto di vista politico, ma anche della spesa pubblica. L’opinione pubblica dovrebbe rendersene conto”.

Tra gli ulteriori focus del dossier quelli sulle le spese italiane di supporto alle 59 basi USA in Italia (520 milioni l’anno) e di contribuzione ai bilanci Nato (192 milioni l’anno), sui costi nascosti (Mission Need Urgent Requirements) delle ‘infinite’ missioni militari all’estero (16 anni di presenza in Afghanistan e 14 anni in Iraq), il costo della base militare italiana a Gibuti intitolata all’eroe di guerra fascista Comandante Diavolo (43 milioni l’anno) e lo ‘scivolo d’oro’ dimenticato per gli alti ufficiali ma condannato dalla Corte dei Conti e l’onerosa situazione dei 200 cappellani militari ancora a carico dello Stato (15 milioni l’anno tra stipendi e pensioni).
LA CORSA ITALIANA ALLE ARMI – La corsa italiana agli armamenti è tutta nei dati. “Le spese per armamenti continuano ad aumentare – spiega Francesco Vignarca a ilfattoquotidiano.it – siamo a 5,7 miliardi nel 2018, l’88% in più nelle ultime tre legislature”. E si conferma la distorsione per cui essi sono possibili solo grazie ai contributi finanziari del Ministero dello Sviluppo Economico, anch’essi in aumento. “Finanziamenti sempre più ingenti e onerosi per la collettività e gravosi per il debito pubblico – spiega il rapporto – tenuto conto il sistematico ricorso del Mise a finanziare tali programmi richiedendo a istituti di credito (soprattutto IntesaBBVA e Cassa Depositi e Prestiti) prestiti bancari concessi a tassi improponibili (fino al 40% del finanziamento erogato)”. Il costo annuale degli interessi, riportato nei bilanci del Mise, è estremamente elevato: se nel 2017 è stato di 310 milioni, per il 2018 si pagheranno 427 milioni. “Tra i programmi di riarmo nazionale in corso i più ingenti – continua Vignarca – sono le nuove navi da guerra della Marina (tra cui la nuova portaerei Thaon di Revel), i nuovi carri armati ed elicotteri da attacco dell’Esercito e i nuovi aerei da guerra Typhoon e F-35”. Agli F-35 il rapporto dedica un approfondimento che analizza costi effettivi (50 miliardi con i costi operativi), reali ricadute industriali e occupazionali e “difetti strutturali – spiega il rapporto – che rischiano di mettere fuori servizio gli F-35 finora acquistati dall’Italia per 150 milioni l’uno e funzione strategica di questo sistema d’arma prettamente offensivo e intrinsecamente contrario all’articolo 11 della Costituzione Italiana e al Trattato di non Proliferazione Nucleare”.

LA PREVISIONE PER IL 2018 – I dati contenuti negli stati di previsione allegati alla Legge di Bilancio 2018, approvata dal Parlamento il 23 dicembre 2017, mostrano un incremento annuo del 3,4% (circa 700 milioni) del budget previsionale del Ministero della Difesa, che passa dai 20,3 miliardi del 2017 ai quasi 21 miliardi del 2018. Si tratta di un aumento che rafforza la tendenza di crescita avviata due leggi di Bilancio fa dal governo Renzi con circa 1,6 miliardi in più rispetto al bilancio Difesa del 2015 (l’ultimo a risentire degli effetti della spending review decisa nel 2012 dal governo Monti e applicata dal successivo governo Letta anche al ministero della Difesa). Siamo all’1,3% in più rispetto all’inizio dell’ultima legislatura e al 18% in più nelle ultime tre legislature.
PER ARMI E INFRASTRUTTURE 2,3 MILIARDI IN PIÙ –Analizzando il dettaglio delle voci di spesa previste per il 2018 spicca un aumento del 9,7% dei fondi ministeriali per gli investimenti in nuovi armamenti e infrastrutture (2,3 miliardi). In aumento del 4,6% anche la spesa per il personale di Esercito, Marina e Aeronautica (10,2 miliardi) nonostante la riduzione degli organici dettata dalla Riforma Di Paola, a causa degli aumenti stipendiali per gli ufficiali superiori previsti dal recente riordino delle carriere. Questo per quanto riguarda i fondi preventivi relativi al solo bilancio del Ministero della Difesa, anche se ormai da anni i bilanci consuntivi diffusi in seguito risultano mediamente superiori di circa 2 miliardi ai preventivi.

LE VOCI EXTRA-BILANCIO DELLA DIFESA – L’aumento delle spese italiane per la Difesa risulta ancor più consistente se si tiene conto di tutte le altre voci di spesa militare sostenute da altri Ministeri ed enti pubblici: “I 3,5 miliardi (+5% rispetto al 2017) dei contributi del Ministero dello Sviluppo Economico per l’acquisizione di nuovi armamenti made in Italy (contributi pari al 71,5% del budget totale del Mise 2018 per la competitività e lo sviluppo delle imprese italiane), i circa 1,3 miliardi di costo delle missioni militari all’estero sostenute dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, gli oltre 2 miliardi del costo del personale militare a riposo a carico dell’Inps e il mezzo miliardo di spese indirette per le basi USA in Italia”. Aggiungendo queste voci di spesa e sottraendo invece i costi non propriamente militari, il totale delle spese militari italiane per il 2018 sfiora i 25 miliardi: +4% rispetto al 2017 (un miliardo in più).
SPESE NATO, BASI USA E NUCLEARE – Anche essere membri della Nato ha un costo per l’Italia. “Non solo le spese per la partecipazione alle missioni militari dell’alleanza – spiega il rapporto – ma anche quelle per la contribuzione diretta pro-quota (ultimamente pari all’8,4%) al budget militare e civile della Nato e al Programma d’investimento per la sicurezza Nsip (Nato Security Investment Programme). Complessivamente ogni anno il contributo dell’Italia (per il 2018 ma anche per gli anni precedenti e fino al 2020) ammonta a 192 milioni di euro: circa 125 milioni destinati al budget Nato (oltre 100 milioni al budget militare, il resto al budget civile) e 66,6 milioni destinati agli investimenti infrastrutturali. A questi contributi diretti vanno poi aggiunti ‘i contributi indiretti alla difesa comune’, vale a dire i costi sostenuti dall’Italia a supporto delle 59 basi americane in Italia (il nostro Paese è il quinto avamposto statunitense nel mondo per numero d’installazioni militari, dopo Germania con 179 basi, Giapponecon 103, Afghanistan con 100 e Corea del Sud con 89). La cifra esatta non viene resa nota dal 2002, nonostante recenti interrogazioni parlamentari al riguardo. All’epoca il contributo italiano era calcolato dal Pentagono in 366,5 milioni di dollari, un terzo rispetto all’abbondante miliardo di dollari che veniva pagato a fine anni ’90.

Una particolare voce di spesa legata alla presenza militare USA in Italia, è quella relativa all’accordo di ‘condivisione nucleare’ (Nuclear Sharing) per cui il nostro Paese, fin dagli anni ’50, ospita una cinquantina di bombe atomiche americane B-61: una trentina nella base USA di Aviano e altre venti nella base italiana di Ghedi. Altre bombe erano custodite a Comiso fino al 1987 e a Rimini fino al 1993. “In definitiva – rileva il rapporto – la spesa direttamente riconducibile alla presenza di testate nucleari statunitensi sul suolo italiano ha un costo minimo di almeno 20 milioni annui, ma con tutti gli elementi coinvolti (anche per progetti straordinari di ammodernamento) potrebbe giungere anche ad essere stimata attorno ai 100 milioni di euro l’anno”.

sabato 25 agosto 2018

Ex ministri, senatori e amici. Così ha retto la rete Benetton. Da Cirino Pomicino fino a Mastrapasqua. Tutti hanno ancora ruoli nelle concessionarie. - Stefano Sansonetti

Benetton

Nel 1992, quando l’Iri venne trasformato in società per azioni, lui era ancora ministro del bilancio. Parliamo di quella stessa Iri che, qualche anno dopo, avrebbe inaugurato la cessione di Autostrade alla famiglia Benetton, oggi nel mirino per il crollo del Ponte Morandi sulla A10 e la sua pesantissima dote di 43 vittime. Ma ancora oggi, a 26 anni di distanza da quella trasformazione che fu la base per la grandi svendite di Stato, Paolo Cirino Pomicino è inseritissimo nelle rete di potere della famiglia di Ponzano Veneto. Per dire, non tutti sanno che l’ex andreottiano di ferro attualmente è presidente della Tangenziale di Napoli, la concessionaria dell’omonima infrastruttura controllata al 100% da Atlantia, holding dei Benetton. Così come a molti sembra sfuggire che lo stesso Cirino Pomicino è tutt’ora vicepresidente di Autostrade Meridionali, altra concessionaria che per il 58,9% fa capo alla famiglia e che gestisce l’A3 Napoli-Pompei-Salerno. 
E che dire della Società italiana per il traforo del Monte Bianco? Partecipata da Autostrade (51%), Anas (32,12%), Regione Valle d’Aosta (10,6%), Cantone e Città di Ginevra (6,24%), è presieduta nientemeno che dal notaio astigiano Aldo Scarabosio, ex senatore di Forza Italia prima e Pdl poi.
Gli altri – Ma nel Cda della stessa società è stato riciclato anche Marco Bonamico, ex Ad della società pubblica Sogei, all’epoca nelle grazie dell’ex ministro dell’economia, Giulio Tremonti, e del suo ex consigliere politico, Marco Milanese. Tornando poi alle Autostrade Meridionali, può essere di interesse svelare che nel collegio sindacale siede Antonio Mastrapasqua, un tempo molto vicino a Gianni Letta, ex presidente dell’Inps e già collezionista di una serie impressionante di poltrone. E il medesimo Mastrapasqua è inserito anche nel collegio sindacale di un’altra concessionaria della galassia Benetton, ovvero quella Società Autostrada Tirrenica che gestisce la A12 Livorno-Civitavecchia e che fa capo per il 99% ad Atlantia. Si tratta soltanto di alcuni esempi. Ma osservare come vecchi arnesi della prima repubblica ed ex manager pubblici siano stati recuperati nelle varie società satellite, aiuta a capire perché negli ultimi 20 anni i Benetton abbiano agito indisturbati con l’avallo del mondo politico. Un rapporto fatto di “do ut des”, come quando l’allora Governo guidato da Silvio Berlusconi nel 2008 si oppose alle cessione di Alitalia ad Air France-Klm coinvolgendo nel capitale l’armata Brancaleone dei cosiddetti “cavalieri bianchi”. In particolare fu l’allora Ad di Intesa Sanpaolo, il futuro ministro Corrado Passera, a mettere su il piano Fenice che portò all’ingresso nella compagnia dei vari Benetton, Riva (quelli dell’Ilva), Marcegaglia, Gavio (altri signori delle concessioni autostradali) e così via. Tutta gente che faceva e fa affari anche, se non soprattutto, con lo Stato. Ecco perché Benetton & Co., negli anni, hanno avuto tanta voce in capitolo. Ma ora la storia potrebbe cambiare.

Mamma di Neanderthal, padre di Denisova: trovata l'erede dei due gruppi di ominidi. - Maria Francesca Fortunato

Mamma di Neanderthal, padre di Denisova: trovata l'erede dei due gruppi di ominidi
Il frammento di osso trovato nel 2012 a Denisova e che rappresenta la figlia di una donna di Neandertal e un uomo di Denisova (Credit T. Higham, University of Oxford) 

Partendo da un piccolo frammento di osso ritrovato nel 2012 in Russia i ricercatori del Max Planck Institute hanno sequenziato il genoma di Denny, scoprendo il primo "ibrido". La ricerca è stata pubblicata su Nature.

I CONTATTI tra l'uomo di Neanderthal e quello di Denisova - i nostri più vicini parenti estinti - sono stati già documentati in passato. Il primo, dalle regioni più occidentali d'Europa, si era spinto parecchio a est nelle sue migrazioni, fino in Uzbekistan e Siberia centrale, lì dove è localizzata la cava di Denisova in cui furono trovati i resti dell'ominide che da quella grotta prese il nome. Ora gli studiosi hanno trovato l'erede dei due gruppi, una ragazza di circa 13 anni, morta 90mila anni fa e ribattezzata dai ricercatori Denny.

Il team di ricercatori del Max Planck Institute  for Evolutionary Anthropology dall'analisi del genoma ha ricostruito "l'albero geneologico" dell'ibrido Denny, partendo da un piccolo frammento di osso recuperato in Russia nel 2012 in mezzo ad altri 2mila resti non identificati, e ha scoperto che si trattava della figlia di una donna di Neandertal e di un uomo di Denisova. Una circostanza piuttosto fortunata per i ricercatori. "L'aspetto interessante di questo genoma - spiega Fabrizio Mafessoni, uno degli autori dello studio pubblicato su Nature- è che ci permette di imparare nuove cose su entrambe le popolazioni". Si è scoperto ad esempio che il padre denisoviano doveva aver avuto almeno un antenato di Neanderthal e che il quadro dei rapporti tra i due gruppi poteva essere più complesso.

La madre, invece, era molto più vicina ai neanderthaliani trovati in Croazia, rispetto a quelli già trovati a meno di un metro dalla stessa cava russa che custodiva i resti di Denny. I Neanderthal croati sono scomparsi circa 55mila anni fa, molto tempo dopo rispetto a Denny, mentre quelli ritrovati in Russia avevano circa 120mila anni. Le ipotesi formulate dai ricercatori sono due: un gruppo di neanderthaliani può essere migrato da ovest verso i monti Altai, e quindi Denisova, poco prima della nascita di Denny oppure essere andati via da lì e tornati in Europa poco dopo.

"È incredibile aver trovato un figlio di Neandertal/Denisova nel gruppetto di antichi individui i cui genomi sono stati sequenziati - commenta Svante Paabo, direttore del dipartimento di Genetica evolutiva del Max Planck - Neandertaliani e Denisoviani potrebbero non aver avuto molte occasioni di incontrarsi, ma quando lo hanno fatto devono essersi accoppiati spesso. Molto più di quanto ipotizzato finora".


http://www.repubblica.it/scienze/2018/08/22/news/mamma_di_neandertal_padre_di_denisova_trovato_un_erede_dei_due_gruppi_di_ominidi-204677699/

venerdì 24 agosto 2018

Diciotti, sequestro, migranti. - Io la penso così

Risultati immagini per nave stipata di migranti

Mi domando 🤔: E' possibile accusare uno stato di aver commeso reato di sequestro di persona se i sequestrati non sono provvisti di documenti? Che trascrivono nella denuncia: sequestro di ignoti stipati in una nave che, illegalmente, li ha presi in mare e li ha trasportati in un porto senza aver ricevuto il permesso di attracco? Non so a voi, ma a me questa storia sa di irreale. Che i profughi vadano soccorsi è innegabile, e la Diciotti, che nel caso in questione è la soccorrente, deve, in ogni caso, assumersi la responsabilità di un'adeguata successiva sistemazione degli stessi previa accordi intrapresi preventivamente con il destinatario della sistemazione. Non risulta, però, che la Diciotti abbia intrapreso alcun accordo con l'Italia per la successiva definitiva sistemazione, decidendo autonomamente di trasportarli sulle nostre coste; è, pertanto, la Diciotti ad essere passibile di ogni denuncia possibile, non lo stato che rifiuta lo sbarco dei migranti. In sintesi, senza una corretta intesa che pianifichi legalmente e logicamente una questione alquanto ostica e difficile da gestire, non si otterranno risultati efficaci e soddisfacenti. In ogni caso, teniamolo a mente, chi ha bisogno va aiutato, ma con la collaborazione di tutti, nessuno escluso. In ogni ostica situazione è l'unione che fa la forza e, in medio stat virtus recitavano gli antichi; tutti sono colpevoli se il delitto è commesso da tutti, non ci può essere, secondo giustizia, un capro espiatorio come intendono fare quelli che si scrollano le responsabilità dalle spalle addossando la colpa al più debole e più esposto. Io la penso così.

giovedì 23 agosto 2018

Procuratore di Agrigento sulla Diciotti: s'indaga per sequestro di persona.

Procuratore di Agrigento sulla Diciotti: s'indaga per sequestro di persona

Il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, è salito a bordo della nave Diciotti a Catania. Il magistrato è titolare dell’inchiesta sul trattenimento dei profughi a bordo della Diciotti. L’inchiesta, che potrebbe ipotizzare anche il sequestro di persona, è ancora a carico di ignoti: qualora fossero individuate responsabilità da parte di esponenti del Governo la palla passerebbe al tribunale dei ministri.

https://www.lasicilia.it/news/cronaca/183052/procuratore-di-agrigento-sulla-diciotti-s-indaga-per-sequestro-di-persona.html



- Il sequestro di persona, in diritto penale, è il delitto previsto dall'art. 605 del Codice Penale che recita:
« Chiunque priva taluno della libertà personale è punito con la reclusione da sei mesi a otto anni.
La pena è della reclusione da uno a dieci anni, se il fatto è commesso:
in danno di un ascendente, di un discendente o del coniuge
da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni »
È prevista un'ipotesi delittuosa speciale, qualora tale fattispecie di reato venga effettuata al fine di averne un profitto: il sequestro di persona a scopo di estorsione.-
Non mi pare che nel caso in questione si possa procedere con un'accusa di sequestro di persona. La Diciotti, che ha recuperato i passeggeri di sua sponte pretendendo di farli sbarcare sulle coste italiane è, semmai, responsabile del sequestro.
Sono, semmai, i "tenutari" dei centri di accoglienza ad essere passibili di condanna per sequestro di persona quando lucrano sulle spalle dei migranti, come lo sono i caporali che li ingaggiano per lavori forzati pagati una miseria.
A prescindere dalla situazione in essere, e in ogni caso,  l'accoglienza è innegabile e ritengo che sia un dovere di ogni essere umano aiutare chi è in difficoltà.

mercoledì 22 agosto 2018

TERRORE A RIMINI - Marco Travaglio 22 agosto 2018


L’altroieri, al Meeting di Rimini, si è temuto il peggio quando Maria Stella Gelmini, capogruppo di FI alla Camera, con l’aria etimologicamente spensierata di chi non ha pensieri, se n’è uscita con una gravissima affermazione: “L’accertamento delle responsabilità è compito della magistratura”. 
Per comprendere il terrore misto a panico che ne è seguito, occorre considerare alcune circostanze. 
1) In 39 edizioni di Meeting ciellino, nessuno aveva mai osato nominare la magistratura senza insultarla. 
2) Dalla prima edizione del 1980 a oggi, gli sponsor e gli ospiti principali, da Andreotti a Martelli, da Sbardella a Farina-Betulla, da Tanzi a Ciarrapico, da B. a Formigoni, si erano sempre divisi in due categorie: quelli già imputati o condannati (detti familiarmente i “già mangiati”) e quelli che lo sarebbero stati appena usciti di lì (i “da mangiare”). 
3) Da oltre 10 anni, la kermesse è sponsorizzata da Autostrade per l’Italia, che però a Ferragosto, dopo il crollo del ponte Morandi, ha ritirato il suo stand, anch’esso probabilmente pericolante. 
4) L’incauta Gelmini blaterava a un dibattito promosso dall’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà, la lobby trasversale della Compagnia delle Opere guidata da Maurizio Lupi, già ministro dimissionario per un altro scandalo autostradale. 
5) Da tutti ci si poteva attendere un proditorio elogio dei giudici, fuorché dalla Gelmini, che mai aveva manifestato tali sinistre inclinazioni e proprio per questo era stata invitata: i promotori la ricordavano sulle barricate a strillare al complotto contro qualunque pm, gip, giudice di primo, secondo o terzo grado si azzardasse ad accertare qualsivoglia responsabilità.

Infatti, non appena la malcapitata ha proferito quelle spericolate parole, dal tavolo dei relatori s’è scatenato il fuggifuggi generale avviato dall’ex ministro Delrio, che non dorme da una settimana nel terrore che qualcuno accerti le sue responsabilità nella proroga della concessione senza gara ad Autostrade o negli allarmi ignorati sul ponte cadente. Intanto, in sala, si svuotavano le prime file, riservate a quei dirigenti della CdO che, appena un magistrato accerta una responsabilità, traslocano nel più vicino penitenziario. 
Pochi han capito che la poveretta, lungi dal voler elogiare quei manigoldi in toga, intendeva semplicemente difendere Autostrade e i retrostanti Benetton dalle accuse del governo e dal ritiro della concessione, prendendo tempo e rinviando il capitolo delle colpe alle calende greche del verdetto di Cassazione (quando i colpevoli saranno tutti morti). La prossima volta, per evitare il terrore e le fughe di massa, le basterà l’accortezza di aggiungere la clausola di stile: “Esclusi i presenti”.

Rogito, ergo sum. - di Marco Travaglio-sul Fatto Quotidiano del 21 agosto.

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Da quando, perdute rovinosamente le elezioni del 4 marzo, Matteo Renzi giurò che sarebbe scomparso dai radar per dedicarsi umilmente e silenziosamente alla nuova missione di “senatore di Scandicci, Impruneta, Signa e Lastra a Signa”, non passa giorno senza che lui parli di qualcosa o qualcosa parli di lui. Con effetti devastanti non solo per lui (che sarebbe il meno), ma per tutto il Pd (cioè per milioni di persone). 
Quando si imbocca un piano inclinato, non c’è più verso di risalire: la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo. 
E così quello che per quattro anni fu il Gastone della politica, che portava buono a se stesso e jella agli altri, è diventato l’esatto opposto: un incrocio tra Paperino, Fantozzi e Tafazzi che porta jella a se stesso e buono agli altri. 
Provate solo a immaginare quanti consensi in meno avrebbero M5S e Lega se dall’altra parte non ci fosse lui. 
Pare che Di Maio abbia eretto un altarino con la sua effigie (al posto di quella di Fassino) e ogni sera, prima di coricarsi, gli dedichi una preghiera riconoscente. 

L’unica mossa politica di Renzi dopo le elezioni è stata impedire la soluzione di governo più ragionevole per l’Italia e per il Pd: l’accordo fra un centrosinistra rinnovato e il M5S. 
Prima il Tafazzi di Rignano ha spinto i 5Stelle fra le braccia di Salvini (il Corriere raccontò una sua allarmatissima telefonata a Salvini: “Matteo, sono Matteo, ma davvero non ce la fate a fare il governo con i 5Stelle?”). Poi s’è messo a sbraitare contro i 5Stelle che governano con Salvini. 

Per il resto, ogni notizia che lo riguarda sembra fatta apposta per ricordare agli italiani che l’equazione “Pd=establishment” e “giallo-verdi=anti-establishment” non è una fake news made in Putin, ma una triste realtà: appena si parla di Renzi, di riffa o di raffa, saltano fuori i soldi. Cioè gli affari.
Lui denuncia un complotto contro i suoi genitori e quelli vengono imputati per false fatture. Strilla contro la Lega che ruba milioni e maltratta i migranti e le Ong, e suo cognato finisce indagato per aver rubato 6 milioni a un’Ong (l’Unicef) destinati ai bimbi africani, girandone una parte ai soliti genitori. Nega inciuci con B., e si scopre che sta girando un documentario sulle bellezze di Firenze (titolo provvisorio: “Firenzi”) per Mediaset, che per giunta alla fine si sfila perché il costo è troppo esoso (2-3 milioni). Mostra in tv l’estratto conto da nullatenente, poi si scopre che s’è comprato una villa da 1,3 milioni, versando al rogito una caparra di 400mila euro sull’unghia e stipulando il suo quarto mutuo in banca (un mutuo subprime, visto che gli lascia solo 600 euro l’anno per tirare avanti con i suoi cari).
Incolpa i leghisti per il lancio di uova razziste contro un’atleta nera, poi si scopre che il lanciatore è il figlio di un consigliere Pd. 
Chiede ai pm di deporre sui troll e le fake news russe anti-Mattarella, poi si scopre che i social che rilanciarono la campagna del M5S erano italiani e sorprendentemente vicini al M5S. Si danna a dimostrare che lui non è “casta”, diversamente dai giallo-verdi, i quali però desecretano gli atti sull’Air Force Renzi e disdettano il contratto capestro da 150milioni imposto ad Alitalia. Lui allora, per dimostrare che erano soldi ben spesi, giura: “Non ci sono mai salito”, così tutti – anche i suoi – capiscono che erano soldi buttati. Crolla il viadotto di Genova, affidato al controllo (si fa per dire) di Autostrade Spa, regalata da sinistra e destra ai Benetton con una concessione prorogata senza gara, in una notte, da Gentiloni&Delrio. 

Tacere e sperare nella smemoratezza italica sarebbe il minimo, ma i grandi twittatori renziani non resistono: è più forte di loro. Rinfacciano ai 5Stelle il no alla Gronda, presunta “alternativa al ponte Morandi”, ragion per cui Faraone chiede le dimissioni di Toninelli: “Se non se ne va lui, lo cacciamo noi”. Peccato che la Gronda non avrebbe mai sostituito il ponte Morandi, ma l’avrebbe mantenuto in funzione (e, iniziando i lavori adesso, sarebbe pronta nel 2029); se ne parla dagli anni 80, quando Grillo faceva la serate; ed è stata bloccata da giunte e governi di destra e sinistra, mentre il M5S non ha mai governato. 

A questo punto Di Maio fa una gaffe, accusando il Pd di prender soldi da Autostrade, mentre gli ultimi finanziamenti risalgono al 2006 (un anno prima che nascesse il Pd). Ma Renzi&C., disabituati a stare dalla parte della ragione, passano subito da quella del torto annunciando querele e negando che il centrosinistra abbia mai preso un euro: sbugiardati dal video di Report sui 150 mila euro di 12 anni fa.
Completa il quadro la difesa strenua del titolo Atlantia in Borsa (l’unico crollo che li preoccupa) e i timidi pigolii sulle colpe dei Benetton, che intanto festeggiano con grigliate e serate danzanti a Cortina. 
L’ultima tappa dello Sfiga Party è l’intervista di ieri a Repubblica: fra una supercazzola (“il passato non cambierà, cambiamo il futuro”) e una balla (la lista completa è a pag. 8), Renzi dice che revocare la concessione ad Autostrade significa “pagare 20 miliardi di danni”, tesi che ormai si vergognano a sostenere pure i Benetton. E aggiunge giustamente che il selfie di Salvini ai funerali è “squallido ma coerente”. A stretto giro, sul web, salta fuori un selfie del premier Renzi nel 2016 alle esequie di Tina Anselmi. Squallido ma coerente. Viene in mente il film La maledizione dello scorpione di Giada con Woody Allen nei panni dello sfortunatissimo investigatore Briggs, che indaga su una serie di furti e alla fine scopre che il ladro è lui. Però Matteo Tafazzi ci dà anche una good news: “Da qui a Natale nasceranno comitati civici contro questo governo in tutti i comuni”. Il primo sarà Lourdes, dove lui sta per trasferirsi per girare il suo prossimo docufilm. E, già che c’e per farsi un bagno integrale in piscina.[…]