Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 5 settembre 2018
Firenze, i genitori di Matteo Renzi a processo: gup rinvia a giudizio papà Tiziano e la madre Laura Bovoli.
A giudizio anche l’imprenditore Luigi Dagostino, che in più rispetto ai Renzi è accusato anche del reato di truffa. Le fatture finite sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti sono due, da 20.000 e 140.000 euro più Iva. Prima udienza del processo 4 marzo 2019. L'avvocato Bagattini: "Le fatture ci sono, sono state regolarmente pagate e il progetto per il quale Renzi ha lavorato è in corso di realizzazione: siamo dunque molto fiduciosi sul merito del procedimento."
Quando emersero le prime notizie sull’inchiesta, Tiziano Renzi padre dell’ex premier, firmandola, comprò una pagina del Quotidiano Nazionale in cui scriveva di voler essere processato nei tribunali e non più sui giornali. “Stop allo stillicidio, chiedo di essere processato ovunque’, riportava il titolo dell’inserzione a pagamento, in cui protestò pubblicamente la propria innocenza: “Basta” ai processi sui giornali, disse con forza, “per il nome che porto”. Ora una data c’è e sembra quasi una beffa. Renzi senior e Laura Bovoli, madre dell’ex segretario del Pd, affronteranno il giudizio a partire dal 4 marzo 2019 con l’accusa di emissione di fatture false da parte di loro società. A giudizio anche l’imprenditore Luigi Dagostino, che in più rispetto ai Renzi è accusato anche del reato di truffa e che il 18 giugno scorso è stato arrestato (ai domiciliari) sempre per fatture false ma nell’ambito di un’altra inchiesta. Per quella per cui sono a processo i genitori dell’ex premier, invece, le fatture finite sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti sono due, da 20mila e 140mila euro più Iva.
LE ACCUSE: DUE FATTURE FALSE DA 20MILA E 140MILA EURO.
La Procura di Firenze aveva chiuso le indagini il 18 aprile scorsoe presentato la richiesta di rinvio a giudizio l’11 maggio scorso per aver emesso fatture false tramite aziende da loro controllate. Secondo i pm Luca Turco e Christine von Borries, e dopo le indagini della Guardia di finanza, furono pagate fatture per “operazioni inesistenti“, ovvero consulenze mai fatte. Si parla di studi di fattibilità incaricati dalla società di gestione dell’outlet The Mall di Leccio Reggello (Firenze), la Tramor srl (leggi l’articolo del Fattoquotidiano.it). L’outlet è molto frequentato dai compratori e gravita nell’orbita della holding globale del lusso Kering, del magnate francese Francois Pinault. Le fatture a cui non credono gli inquirenti sono due, da 20mila e 140mila euro, più l’Iva, e risalgono al 2015. Vennero pagate dalla Tramor a favore delle società Party, la prima, ed Eventi 6, controllate dai Renzi. Nelle indagini i pm e gli investigatori non hanno trovato riscontriconvincenti all’oggetto del prezzo. Quegli studi non ci sarebbero mai stati, ma i pagamenti sì. In teoria uno studio commissionato era diretto ad allargare al ‘food’ l’offerta commerciale dell’outlet, concentrata su abbigliamento di marca. L’altro per incentivare la logistica in modo da portare turisti giapponesi a fare acquisti all’outlet, che si trova a una trentina di chilometri da Firenze.
La Procura di Firenze aveva chiuso le indagini il 18 aprile scorsoe presentato la richiesta di rinvio a giudizio l’11 maggio scorso per aver emesso fatture false tramite aziende da loro controllate. Secondo i pm Luca Turco e Christine von Borries, e dopo le indagini della Guardia di finanza, furono pagate fatture per “operazioni inesistenti“, ovvero consulenze mai fatte. Si parla di studi di fattibilità incaricati dalla società di gestione dell’outlet The Mall di Leccio Reggello (Firenze), la Tramor srl (leggi l’articolo del Fattoquotidiano.it). L’outlet è molto frequentato dai compratori e gravita nell’orbita della holding globale del lusso Kering, del magnate francese Francois Pinault. Le fatture a cui non credono gli inquirenti sono due, da 20mila e 140mila euro, più l’Iva, e risalgono al 2015. Vennero pagate dalla Tramor a favore delle società Party, la prima, ed Eventi 6, controllate dai Renzi. Nelle indagini i pm e gli investigatori non hanno trovato riscontriconvincenti all’oggetto del prezzo. Quegli studi non ci sarebbero mai stati, ma i pagamenti sì. In teoria uno studio commissionato era diretto ad allargare al ‘food’ l’offerta commerciale dell’outlet, concentrata su abbigliamento di marca. L’altro per incentivare la logistica in modo da portare turisti giapponesi a fare acquisti all’outlet, che si trova a una trentina di chilometri da Firenze.
L’AVVOCATO DEI RENZI: “SIAMO MOLTO FIDUCIOSI SULL’ESITO DEL PROCESSO”
I pm hanno chiesto il processo anche per Luigi Dagostino, che deve rispondere delle stesse accuse, più un’altra per truffa. Imputazione, questa, maturata proprio a causa di una delle fatture ‘false’, quella da 140mila euro di cui Dagostino – ormai non più amministratore della Tramor – sollecitò il pagamento al manager che gli era succeduto. Per l’accusa, Dagostino avrebbe attestato la fondatezza e la veridicità della fattura contabile cosicché venisse pagata con urgenza. “Era una decisione scontata da quando abbiamo scelto di chiedere il processo nel marzo 2018. Vogliamo infatti difenderci in un processo vero e – fa sapere l’avvocato Federico Bagattini, difensore dei coniugi Renzi – non nel tritacarne mediatico. Anche perché le fatture ci sono, sono state regolarmente pagate e il progetto per il quale Renzi ha lavorato è in corso di realizzazione: siamo dunque molto fiduciosi sul merito del procedimento”.
I pm hanno chiesto il processo anche per Luigi Dagostino, che deve rispondere delle stesse accuse, più un’altra per truffa. Imputazione, questa, maturata proprio a causa di una delle fatture ‘false’, quella da 140mila euro di cui Dagostino – ormai non più amministratore della Tramor – sollecitò il pagamento al manager che gli era succeduto. Per l’accusa, Dagostino avrebbe attestato la fondatezza e la veridicità della fattura contabile cosicché venisse pagata con urgenza. “Era una decisione scontata da quando abbiamo scelto di chiedere il processo nel marzo 2018. Vogliamo infatti difenderci in un processo vero e – fa sapere l’avvocato Federico Bagattini, difensore dei coniugi Renzi – non nel tritacarne mediatico. Anche perché le fatture ci sono, sono state regolarmente pagate e il progetto per il quale Renzi ha lavorato è in corso di realizzazione: siamo dunque molto fiduciosi sul merito del procedimento”.
LA “SUDDITANZA PSICOLOGICA” DI LUIGI DAGOSTINO
Luigi Dagostino era in una condizione di “sudditanza psicologica” (come detto dallo stesso imprenditore pugliese in un’intercettazione) nei confronti di Tiziano Renzi: per questo motivo non avrebbe trattato sul prezzo, pagando una cifra di fatto eccessiva rispetto alle consulenze richieste che sarebbero però state realmente effettuate dalle aziende dei Renzi. È quanto sostenuto in una memoria difensiva presentata al gup dai legali di Tiziano Renzi e della moglie Laura Bovoli. Sempre secondo quanto riportato nella memoria, in un’intercettazione Dagostinosi lamenterebbe del fatto che le consulenze richieste alle ditte dei Renzi valevano “al massimo 50 60 mila euro 70…”, ammettendo implicitamente che fossero state eseguite. Per l’accusa invece Dagostino, pur non essendo più amministratore della Tramor srl, avrebbe indotto in errore il nuovo amministratore, convincendolo a pagare le due fatture per operazioni in realtà mai eseguite. Sempre in base a quanto ricostruito, il nuovo amministratore della Tramor, scoperta la falsità delle fatture, le avrebbe fatte cancellare dalla dichiarazione dei redditi dell’azienda attraverso un ravvedimento operoso con l’Agenzia delle Entrate, pagando la relativa penale. Secondo i legali dei Renzi, invece, la società non avrebbe annullato le fatture, limitandosi in via cautelativa a considerarne i relativi costi non come inesistenti ma come indeducibili ai fini fiscali.
Luigi Dagostino era in una condizione di “sudditanza psicologica” (come detto dallo stesso imprenditore pugliese in un’intercettazione) nei confronti di Tiziano Renzi: per questo motivo non avrebbe trattato sul prezzo, pagando una cifra di fatto eccessiva rispetto alle consulenze richieste che sarebbero però state realmente effettuate dalle aziende dei Renzi. È quanto sostenuto in una memoria difensiva presentata al gup dai legali di Tiziano Renzi e della moglie Laura Bovoli. Sempre secondo quanto riportato nella memoria, in un’intercettazione Dagostinosi lamenterebbe del fatto che le consulenze richieste alle ditte dei Renzi valevano “al massimo 50 60 mila euro 70…”, ammettendo implicitamente che fossero state eseguite. Per l’accusa invece Dagostino, pur non essendo più amministratore della Tramor srl, avrebbe indotto in errore il nuovo amministratore, convincendolo a pagare le due fatture per operazioni in realtà mai eseguite. Sempre in base a quanto ricostruito, il nuovo amministratore della Tramor, scoperta la falsità delle fatture, le avrebbe fatte cancellare dalla dichiarazione dei redditi dell’azienda attraverso un ravvedimento operoso con l’Agenzia delle Entrate, pagando la relativa penale. Secondo i legali dei Renzi, invece, la società non avrebbe annullato le fatture, limitandosi in via cautelativa a considerarne i relativi costi non come inesistenti ma come indeducibili ai fini fiscali.
TIZIANO RENZI E GLI OUTLET DEL LUSSO
Il rapporto tra la famiglia Renzi e gli sviluppatori degli outlet della moda The Mall nati sotto le insegne di Gucci (a Leccio Reggello, ma anche a Sanremo e a Fasano, in provincia di Brindisi, dove però i lavori non sono mai iniziati) è stato al centro di diverse inchieste del Fatto Quotidiano negli anni scorsi. Proprio per questo motivo, Tiziano Renzi ha chiesto 300mila euro di danni al direttore del quotidiano Marco Travaglio, al direttore del sito Peter Gomez e a due suoi giornalisti (Pierluigi Giordano Cardone e Gaia Scacciavillani) per quella che lui prefigurava come una campagna mediatica ai suoi danni, chiedendo appunto un risarcimento. Nel mirino del padre dell’allora premier erano finiti proprio gli articoli che si sono occupati del business degli outlet e dei suoi protagonisti (oltre a Renzi senior anche l’imprenditore Andrea Bacci, l’ultimo presidente di Banca Etruria Lorenzo Rosi, la famiglia aretina dei Moretti e il faccendiere pugliese Luigi Dagostino che in Gucci avevano contraltare il top manager Carmine Rotondaro). Un tema su cui, ora è ufficiale, i genitori di Matteo Renzi (che già avevano ricevuto dai pm fiorentini un un invito a comparire per chiarire i loro rapporti, e quelli delle loro società, con Luigi Dagostino) dovranno render conto in qualità di imputati.
Il rapporto tra la famiglia Renzi e gli sviluppatori degli outlet della moda The Mall nati sotto le insegne di Gucci (a Leccio Reggello, ma anche a Sanremo e a Fasano, in provincia di Brindisi, dove però i lavori non sono mai iniziati) è stato al centro di diverse inchieste del Fatto Quotidiano negli anni scorsi. Proprio per questo motivo, Tiziano Renzi ha chiesto 300mila euro di danni al direttore del quotidiano Marco Travaglio, al direttore del sito Peter Gomez e a due suoi giornalisti (Pierluigi Giordano Cardone e Gaia Scacciavillani) per quella che lui prefigurava come una campagna mediatica ai suoi danni, chiedendo appunto un risarcimento. Nel mirino del padre dell’allora premier erano finiti proprio gli articoli che si sono occupati del business degli outlet e dei suoi protagonisti (oltre a Renzi senior anche l’imprenditore Andrea Bacci, l’ultimo presidente di Banca Etruria Lorenzo Rosi, la famiglia aretina dei Moretti e il faccendiere pugliese Luigi Dagostino che in Gucci avevano contraltare il top manager Carmine Rotondaro). Un tema su cui, ora è ufficiale, i genitori di Matteo Renzi (che già avevano ricevuto dai pm fiorentini un un invito a comparire per chiarire i loro rapporti, e quelli delle loro società, con Luigi Dagostino) dovranno render conto in qualità di imputati.
Due vermi congelati da 40 mila anni tornano a vivere e a mangiare.
Due “nematodi” vissuti 40 mila anni fa sono stati trovati in alcuni campioni di permafrost raccolti in Siberia dai ricercatori russi: una volta ‘scongelati’ a 20 gradi per qualche settimana, i vermi hanno ricominciato a vivere e a mangiare. Si tratta di un’importante scoperta che apre nuovi dibattiti sul tema della criopreservazione.
Due nematodi (vermi cilindrici) di migliaia di anni fa (tra i 30 e i 40 mila anni fa) sono tornati in vita dopo essere stati ‘scongelati’ da un permafrost raccolto dai ricercatori russi: si tratta di un’importante scoperta che apre nuove riflessioni sulla reale possibilità della criopreservazione e, in generale, sulla preservazione dei nostri tessuti a bassissime temperature. Lo studio, intitolato “Viable Nematodes from Late Pleistocene Permafrost of the Kolyma River Lowland”, è stato pubblicato sulla rivista Doklady Biological Sciences.
La scoperta nel permafrost.
I biologi russi raccontano di aver raccolto circa 300 campioni di suolo ghiacciato, permafrost, in Siberia e di averli portati in un laboratorio a Mosca per osservarli. All’interno di due campioni sono stati trovati due nematodi di due generi differenti: il primo appartiene al genere Panagrolaimus, raccolto a 30 metri sottoterra, in quello che un tempo era la tana di uno scoiattolo che si è congelata circa 32 mila anni fa, il secondo invece appartiene al genere Plectus, raccolto a 3,5 metri di profondità e, secondo i calcoli, vissuto circa 42 mila anni fa.
Le fasi dello “scongelamento”.
I due nematodi, osservati al microscopio, sono stati così lasciati per alcune settimane al caldo, a 20 gradi, e con il passare del tempo hanno iniziato a dare i primi segni di vita addirittura muovendosi e mangiando: questo evento rappresenta un record assoluto di quanto un animale possa sopravvivere grazie alla criopreservazione.
Dai batteri ai vermi.
Già in passato i ricercatori erano riusciti a riportare in vita alcuni esseri viventi di 250milioni di anni fa, ma si trattava di batteri, adesso però si tratta di animali, per questo la scoperta è così sorprendente. Per quanto i nematodi siano conosciuti per la loro resistenza, che non è paragonabile a quella dei tardigradi che riescono non solo a sopravvivere in condizioni estreme, ma anche a riparare il loro DNA, lo ‘scongelamento’ messo in pratica suggerisce che questi animali abbiano alcuni meccanismi adattativi, che possono essere studiati e applicati nel campo della criomedicina, della criobiologia e dell’astrobiologia. Ovviamente saranno necessari ulteriori studi per capirne di più.
https://www.conoscenzealconfine.it/due-vermi-congelati-da-40-mila-anni-tornano-a-vivere-e-a-mangiare/
Il polacco, la suora e lo sceicco Ecco chi compra i nostri debiti. - Mario Gerevini
Da sinistra Krzysztof Borusowski, suor Annamaria Gasser e Michel Lowy
Oggi migliaia di piccoli debitori italiani, quelli che hanno preso a rate l’auto o la tv, ricevono comunicazione che devono restituire i soldi non più alla loro banca o finanziaria ma a loro.
A un certo punto entra in campo Krzysztof Borusowski, faccia da bravo ragazzo, occhialoni rettangolari da secchione. Non rincorre un pallone ma debiti. Gioca (pulito) sul portafoglio degli altri: compra crediti problematici e ha un’azienda che li recupera. Lo fa anche il nostro connazionale Celestino Amore da Londra, 46 anni, con una società che è tutto un programma, la IlliquidX, di cui è cofondatore insieme a Galina Alabatchka. Se oggi migliaia di piccoli debitori italiani del credito al consumo, quelli che hanno preso a rate l’auto o la tv, ricevono comunicazione che devono restituire i soldi non più alla loro banca o finanziaria ma a una certa Best Capital, ecco quello è Krzysztof il polacco, uno che è entrato nella classifica ufficiale di Forbes e che ha già scalato quella ufficiosa dei «furbes».
Se oggi una piccola parte del debito originario da 800 milioni della gloriosa acciaieria Lucchini di Piombino passa anche da Fleet Street a Londra, ecco vuol dire che l’ha comprata (e poi rivenduta) la coppia Celestino-Galina, l’ingegnere e la finanziera dal super curriculum. Storie minori di cartolarizzazioni, all’ombra dei grandi numeri, ma fanno capire che in questo mercato (transazioni stimate per 80 miliardi nel 2018) c’è posto per tutti: chi tratta grossi stock e chi fa acquisti mirati contando sulla capacità di recupero. In questo Borusowski pare essere un mago, tant’è che il valore del suo Best Group è esploso alla Borsa di Varsavia.
A proposito di rinascite... C’era una volta una piccola banca privata in mezzo alla Romagna, cresciuta impetuosamente e poi commissariata dalla Banca d’Italia che qui per la prima volta ha applicato il potere di «removal», ovvero spedire a casa i vertici. Sembrava spacciata ma per fortuna era stata tirata su con fondamenta solide. Così in primavera a Forlì si è presentato Michel Lowy, capello lungo, faccia da surfista, solida esperienza finanziaria, ex Deutsche Bank. Il suo «credo» è: «Noi creiamo valore dal rischio, là dove altri non riescono». In scioltezza ha tirato fuori 50 milioni e acquisito il Credito di Romagna che ora fa parte del gruppo finanziario SC Lowy di Hong Kong. Holding e controllata si sono poi presentate in Piazza Salimbeni 3 a Siena e hanno acquisito un portafoglio di crediti ipotecari e chirografi vantati da Mps nei confronti di società degli armatori D’Amato (Peppino D’Amato e figli). Importo rilevante, circa 160 milioni nominali per crediti classificati come «unlikely to pay» ovvero incagliati. Espressione efficace trattandosi di navi. Punto di forza di SC Lowy, che ha un ufficio a Milano, è proprio lo shipping. Mps si è trovata così bene che il 10 agosto ha venduto a Lowy un altro portafoglio di crediti «misti».
Poche settimane prima sempre a Siena, terra ricchissima di npl doc, era passata di mano una partita di sofferenze di orgine immobiliar-romana: indiscrezioni dicono che si trattasse delle posizioni della famiglia Haggiag il cui pezzo pregiato era Villa Balestra, nel cuore dei Parioli, valutata tra i 20 e i 25 milioni. Perfino uno sceicco saudita appartenente alla ricca famiglia Al Rajhi ha innescato una serie di cartolarizzazioni sui 400 milioni presi in prestito, anni fa, per acquistare 300 immobili ex Enel. Un buco colossale. Dopo anni quei crediti passano ancora di mano.
È un mercato alimentato anche da enti pubblici che non pagano (compresi esercito e ministeri) e da onesti fornitori che non possono aspettare anni. Prendiamo Suor Annamaria Gasser, occhialino tondo e trasparente, faccia severa ma rassicurante, direttore generale della «Casa Regina Apostolorum della Pia società delle Figlie di San Paolo», a capo di un ospedale ad Albano Laziale. Ha deciso di sbarazzarsi dei crediti che la Regione Lazio, in imbarazzante ritardo, non paga da anni: «Fatture - si legge nelle carte dell’ospedale - per prestazioni e/o forniture sanitarie rese negli anni 2004, 2007, 2008, 2009 e 2010». Tra ospedale, rapporti con la Regione e crediti è tutta una sofferenza. Ma poi alla fine a chi ha venduto Suor Gasser? A una società veicolo che fa capo a un trust di Guernsey con beneficiaria la onlus Fondazione Avsi.
venerdì 31 agosto 2018
Migranti, inchiesta choc sui centri di accoglienza a Firenze: sovraffollamento, cibo avariato e bagni mai disinfettati. - Giacomo Salvini
Operazione di carabinieri e Finanza a Lastra a Signa, indagati titolari e dirigenti di società e coop: due ai domiciliari. E al telefono c'era chi rideva: "Quanti ne hai messi?", "Ingegnere, pensi a un numero: di più". In qualche caso sono spariti anche i soldi destinati ai migranti come pocket money.
“Quanti ce ne ha messi?”. “Ingegnere lei pensi a un numero: di più!”. E giù risate. Al telefono Ottorino Stantetti, amministratore della Eurotravel bed&breakfast srl, non tratteneva l’allegria parlando con un ingegnere che gli chiedeva quanti migranti in più rispetto al dovuto avesse piazzato in una delle sette strutture di prima accoglienza a Lastra a Signa (Firenze). Ma nei centri adibiti all’accoglienza di migranti del Comune non c’era solo il problema del sovraffollamento: spesso i locali non erano a norma, il cibo era avariato o scaduto, i bagni non erano mai stati disinfettati e gli ospiti erano obbligati su minaccia a fare le pulizie. Di tutto questo la Procura di Firenze accusa 4 tra titolari e dirigenti di ditte e cooperative che nel 2014 si erano aggiudicate i bandi della Prefettura per l’accoglienza dei migranti. Si tratta dei due soci e amministratori di fatto della Eurotravel, che forniva le strutture per l’accoglienza, Ottorino Stantetti (84 anni) e il figlio Davide (56), ai domiciliari con l’accusa di frode in pubbliche forniture, e i presidenti delle coop che si erano aggiudicati i bandi, Matteo Conti (Cenacolo Onlus) e Lorenzo Terzani (Consorzio CO&So), per i quali è scattata l’interdizione da tutti gli incarichi societari. Oltre a loro risulta indagata anche Maria Grazia Scacciati, moglie di Stantetti e titolare della Eurotravel, che sottoscriveva le convenzioni degli alloggi con la coop Il Cenacolo.
L’inchiesta, condotta dal sostituto procuratore di Firenze Leopoldo De Gregorio, è partita nel 2014 dopo alcuni controlli dei carabinieri di Lastra a Signa nei centri di accoglienza: in quell’occasione erano stati proprio i migranti a denunciare le pessime condizioni in cui vivevano. C’era chi segnalava di non aver mai ricevuto il cosiddetto pocket money (i 2,50 euro settimanali che finiscono ai migranti) o chi raccontava che gli operatori portavano il cibo, spesso avariato, “una volta al giorno o addirittura una volta alla settimana” e che “il cambio delle lenzuola e delle coperte erano effettuate solo una volta in tre mesi”. E le pulizie? Quelle le facevano direttamente i migranti minacciati di essere trasferiti immediatamente in un altro centro sempre di Lastra a Signa: alcuni ospiti hanno anche raccontato agli investigatori che i locali non erano mai stati disinfettati e che “spesso le stanze erano pulite solo con l’acqua perché non vi erano detersivi”.
Durante le indagini, carabinieri e guardia di finanza di Lastra a Signa si sono concentrati anche sui sei/sette immobili messi a disposizione dalla Eurotravel per accogliere i migranti. Scoprendo casi di sovraffollamento e soprattutto locali non in regola perché adibiti ad un uso solo ricreativo. C’era per esempio la struttura di Malmantile (vicino a Signa) dove alloggiavano fino a 30 migranti nonostante una disponibilità massima di 12-14, poi c’era quella di via Livornese a Lastra a Signa che ne ospitava 24 sebbene i posti letto fossero solo 9 e poi un altro immobile vicino che, scrive il gip Antonella Zatini nell’ordinanza di custodia cautelare, era “da considerarsi abusivo, poiché si trattava di locali con destinazione d’uso a circolo ricreativo e non a civile abitazione, dunque inidoneo ad essere adibito a luogo di dimora”. E come facevano i gestori dei locali a coprire queste irregolarità, lo racconta proprio uno dei migranti ospiti del centro agli investigatori: “Prima che arrivasse l’ispezione – si legge nell’ordinanza – arrivava una persona che toglieva un letto per camera e mandava via una persona per ogni stanza, sistemavano tutta la casa in modo da fare apparire che noi stiamo bene. Ai soggetti che vengono allontanati dicono di allontanarsi per qualche ora”. Poi, passati i controlli, li facevano rientrare.
Oltre agli alloggi, uno dei servizi previsti dai bandi della prefettura era quello del cosiddetto pocket money e delle ricariche telefoniche dal valore di 15 euro per migrante: molti degli ospiti dicono di non ricevere spesso né l’uno né l’altro oppure di ricevere ricariche di un valore più basso. Secondo i pm, per esempio, la coop Il Cenacolo spendeva solo 1.740 euro per le tessere telefoniche: una cifra che poteva al massimo coprire 116 dei 791 migranti che la coop aveva ospitato nel 2014. Oppure non forniva proprio il pocket money ai propri ospiti anche per periodi fino a sei mesi: “Nonostante la cooperativa il Cenacolo omettesse la consegna di pocket money a trecentotrentasei soggetti ospiti per impossibilità di identificazione – scrive il giudice – non stornava dalle fatture riepilogative mensili, emesse nei confronti della Prefettura, i relativi importi”. A questo proposito gli investigatori il 26 giugno 2015 ascoltano una telefonata in cui il presidente della cooperativa si lamenta: “In sé, la questione… E di nuovo veramente si sta parlando di quanto? Tremila euro? Tremilacinquecento euro? In un periodo assolutamente convulso… (incomprensibile)… Non c’eran indicazioni, disposizioni, però è veramente, cioè…”. Annota il gip: “colpisce in particolare, dal tenore della conversazione, la spregiudicatezza con la quale sia il Conti sia l’interlocutrice si riferivano all’utilizzo di denaro pubblico, destinato ai migranti in base agli accordi con la prefettura ma di fatto sottratto alla possibilità di ogni effettivo controllo, con il pretesto non meglio precisato e comunque del tutto inaccettabile di un periodo di confusione, o della notevole entità delle corresponsioni”.
lunedì 27 agosto 2018
Cancro, arriva in Europa terapia antitumorale con cellule del paziente.
Via libera all'immunoterapia Car-T tisagenlecleucel che utilizza i linfociti T per combattere le neoplasie. Potrà essere usata per il trattamento di due forme di leucemia e linfoma, nel caso non funzionino le terapie tradizionali.
Roma, 27 agosto 2018 - Novità importante nel campo della cura di leucemie e linfomi. La Commissione europea ha dato l'ok all'uso dell'immunoterapia Car-T tisagenlecleucel per il trattamento di bambini e giovani adulti fino ai 25 anni con leucemia linfoblastica acuta (Lla) a cellule B e per il trattamento di pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B (Dlbcl) nei casi in cui la patologia non risponda alle tradizionali terapie (neoplasie recidivanti o refrattarie). E' la prima volta che la cura per i tumori chiamata 'Car T', che prevede l'uso delle cellule del paziente 'addestrate' a riconoscere quelle tumorali, arriva in Europa. Ad annunciarlo è la svizzera Novartis, che "continua a collaborare con le autorità competenti di tutta Europa - si legge in una nota - per definire un approccio economico equo e basato sul valore, ma che sia al contempo sostenibile per i servizi sanitari nazionali".
IN COSA CONSISTE LA CAR-T THERAPY- E' la stessa azienda a spiegare le potenzialià del nuovo farmaco sviluppato in collaborazione con l'università della Pennsylvania: "Tisagenlecleucel è un trattamento rivoluzionario cheutilizza i linfociti T del paziente per combattere il cancro". La Cart-t therapy consiste infatti nel prelevare i linfociti T del paziente, un tipo di cellule del sistema immunitario, modificandoli perché riconoscano le cellule tumorali e poi reinfondendoli dopo averli fatti replicare. E' anche "l'unica terapia con recettore antigenico chimerico delle cellule T (Car-T) che ha ricevuto l'approvazione regolatoria nella Ue per due distinte neoplasie a cellule B", nonché "è stato anche la prima terapia cellulare Car-T mai approvata dalla Fda statunitense".
IL SI' DELL'EMA - L'autorizzazione della Commissione è arrivata dopo il parere positivo del Chmp, il comitato dell'Ema (Agenzia europea per i medicinali) che si occupa dell'approvazione dei farmaci, a fine giugno. Per Liz Barrett, Ceo di Novartis Oncology, il via libera dell'Emarappresenta "una svolta trasformativa per i pazienti in Europa che hanno bisogno di nuove opzioni terapeutiche. Perseguendo tenacemente il suo obiettivo di ridisegnare la cura del cancro - aggiunge - Novartis sta realizzando un'infrastruttura globale per la fornitura di terapie cellulari Car-T, laddove prima non ne esisteva alcuna".
Peter Bader, capo della Divisione immunologia e trapianti di cellule staminali dell'University Hospital for Children and Adolescents di Francoforte, principal investigator dello studio 'Eliana' sul tisagenlecleucel, parla di "progresso senza precedenti del paradigma terapeutico". Il farmaco, evidenzia in particolare l'esperto, "costituisce una terapia salvavita per i giovani pazienti con Lla che non sono stati trattati con successo con le terapie esistenti e per i quali sono rimaste poche opzioni terapeutiche".
domenica 26 agosto 2018
Difesa, la spesa italiana crescerà anche nel 2018: alle armi 25 miliardi, il 4% in più rispetto al 2017. - Luisiana Gaita - 2 febbraio 2018
I dati dell'Osservatorio Milex: la spesa militare vale l'1,4% del Pil. Pesa, oltre ai bilanci di Difesa, l'aumento dell'importo destinato al ministero dello Sviluppo per l'acquisto di nuovi armamenti. E una quota è destinata al Nuclear Sharing, le spese di mantenimento dell'arsenale nucleare Usa dislocato in Italia.
Ammonta a 25 miliardi di euro la spesa militare italiana per il 2018, l’1,4 per cento del Pil, con un aumento del 4 per cento rispetto al 2017. Si tratta ormai di una tendenza di crescita avviata dal governo Renzi (con un 8,6 per cento in più rispetto al 2015) che non accenna a fermarsi. Nel 2018, infatti, crescono anche il bilancio del Ministero della Difesa (21 miliardi, il 3,4% in più rispetto al 2017) e i contributi del Ministero dello Sviluppo Economico all’acquisto di nuovi armamenti (3,5 miliardi di cui 427 milioni di costo mutui, ossia il 115% in più nelle ultime tre legislature). A rivelarlo è il Rapporto MIL€X 2018, a cura di Enrico Piovesana, cofondatore dell’osservatorio sulle spese militari italiane e di Francesco Vignarca della Rete italiana per il Disarmo. Il dossier è stato presentato oggi presso la sala stampa della Camera dei Deputati alla presenza di Daniel Högsta, coordinatore della campagna ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons), premio Nobel per la Pace 2017. Il rapporto analizza i costi della ‘servitù nucleare’ legata alle spese di stoccaggio e sorveglianza delle testate atomiche tattiche americane B-61 nelle basi italiane e alle spese di stazionamento del personale militare USA addetto e di mantenimento in prontezza di aerei e piloti italiani dedicati al ‘nuclear strike’. “Questi dati – ha commentato Daniel Högsta – dimostrano come la presenza di armi nucleari abbia impatto negativo per i Paesi che le ospitano non solo dal punto di vista politico, ma anche della spesa pubblica. L’opinione pubblica dovrebbe rendersene conto”.
Tra gli ulteriori focus del dossier quelli sulle le spese italiane di supporto alle 59 basi USA in Italia (520 milioni l’anno) e di contribuzione ai bilanci Nato (192 milioni l’anno), sui costi nascosti (Mission Need Urgent Requirements) delle ‘infinite’ missioni militari all’estero (16 anni di presenza in Afghanistan e 14 anni in Iraq), il costo della base militare italiana a Gibuti intitolata all’eroe di guerra fascista Comandante Diavolo (43 milioni l’anno) e lo ‘scivolo d’oro’ dimenticato per gli alti ufficiali ma condannato dalla Corte dei Conti e l’onerosa situazione dei 200 cappellani militari ancora a carico dello Stato (15 milioni l’anno tra stipendi e pensioni).
LA CORSA ITALIANA ALLE ARMI – La corsa italiana agli armamenti è tutta nei dati. “Le spese per armamenti continuano ad aumentare – spiega Francesco Vignarca a ilfattoquotidiano.it – siamo a 5,7 miliardi nel 2018, l’88% in più nelle ultime tre legislature”. E si conferma la distorsione per cui essi sono possibili solo grazie ai contributi finanziari del Ministero dello Sviluppo Economico, anch’essi in aumento. “Finanziamenti sempre più ingenti e onerosi per la collettività e gravosi per il debito pubblico – spiega il rapporto – tenuto conto il sistematico ricorso del Mise a finanziare tali programmi richiedendo a istituti di credito (soprattutto Intesa, BBVA e Cassa Depositi e Prestiti) prestiti bancari concessi a tassi improponibili (fino al 40% del finanziamento erogato)”. Il costo annuale degli interessi, riportato nei bilanci del Mise, è estremamente elevato: se nel 2017 è stato di 310 milioni, per il 2018 si pagheranno 427 milioni. “Tra i programmi di riarmo nazionale in corso i più ingenti – continua Vignarca – sono le nuove navi da guerra della Marina (tra cui la nuova portaerei Thaon di Revel), i nuovi carri armati ed elicotteri da attacco dell’Esercito e i nuovi aerei da guerra Typhoon e F-35”. Agli F-35 il rapporto dedica un approfondimento che analizza costi effettivi (50 miliardi con i costi operativi), reali ricadute industriali e occupazionali e “difetti strutturali – spiega il rapporto – che rischiano di mettere fuori servizio gli F-35 finora acquistati dall’Italia per 150 milioni l’uno e funzione strategica di questo sistema d’arma prettamente offensivo e intrinsecamente contrario all’articolo 11 della Costituzione Italiana e al Trattato di non Proliferazione Nucleare”.
LA PREVISIONE PER IL 2018 – I dati contenuti negli stati di previsione allegati alla Legge di Bilancio 2018, approvata dal Parlamento il 23 dicembre 2017, mostrano un incremento annuo del 3,4% (circa 700 milioni) del budget previsionale del Ministero della Difesa, che passa dai 20,3 miliardi del 2017 ai quasi 21 miliardi del 2018. Si tratta di un aumento che rafforza la tendenza di crescita avviata due leggi di Bilancio fa dal governo Renzi con circa 1,6 miliardi in più rispetto al bilancio Difesa del 2015 (l’ultimo a risentire degli effetti della spending review decisa nel 2012 dal governo Monti e applicata dal successivo governo Letta anche al ministero della Difesa). Siamo all’1,3% in più rispetto all’inizio dell’ultima legislatura e al 18% in più nelle ultime tre legislature.
PER ARMI E INFRASTRUTTURE 2,3 MILIARDI IN PIÙ –Analizzando il dettaglio delle voci di spesa previste per il 2018 spicca un aumento del 9,7% dei fondi ministeriali per gli investimenti in nuovi armamenti e infrastrutture (2,3 miliardi). In aumento del 4,6% anche la spesa per il personale di Esercito, Marina e Aeronautica (10,2 miliardi) nonostante la riduzione degli organici dettata dalla Riforma Di Paola, a causa degli aumenti stipendiali per gli ufficiali superiori previsti dal recente riordino delle carriere. Questo per quanto riguarda i fondi preventivi relativi al solo bilancio del Ministero della Difesa, anche se ormai da anni i bilanci consuntivi diffusi in seguito risultano mediamente superiori di circa 2 miliardi ai preventivi.
LE VOCI EXTRA-BILANCIO DELLA DIFESA – L’aumento delle spese italiane per la Difesa risulta ancor più consistente se si tiene conto di tutte le altre voci di spesa militare sostenute da altri Ministeri ed enti pubblici: “I 3,5 miliardi (+5% rispetto al 2017) dei contributi del Ministero dello Sviluppo Economico per l’acquisizione di nuovi armamenti made in Italy (contributi pari al 71,5% del budget totale del Mise 2018 per la competitività e lo sviluppo delle imprese italiane), i circa 1,3 miliardi di costo delle missioni militari all’estero sostenute dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, gli oltre 2 miliardi del costo del personale militare a riposo a carico dell’Inps e il mezzo miliardo di spese indirette per le basi USA in Italia”. Aggiungendo queste voci di spesa e sottraendo invece i costi non propriamente militari, il totale delle spese militari italiane per il 2018 sfiora i 25 miliardi: +4% rispetto al 2017 (un miliardo in più).
SPESE NATO, BASI USA E NUCLEARE – Anche essere membri della Nato ha un costo per l’Italia. “Non solo le spese per la partecipazione alle missioni militari dell’alleanza – spiega il rapporto – ma anche quelle per la contribuzione diretta pro-quota (ultimamente pari all’8,4%) al budget militare e civile della Nato e al Programma d’investimento per la sicurezza Nsip (Nato Security Investment Programme). Complessivamente ogni anno il contributo dell’Italia (per il 2018 ma anche per gli anni precedenti e fino al 2020) ammonta a 192 milioni di euro: circa 125 milioni destinati al budget Nato (oltre 100 milioni al budget militare, il resto al budget civile) e 66,6 milioni destinati agli investimenti infrastrutturali. A questi contributi diretti vanno poi aggiunti ‘i contributi indiretti alla difesa comune’, vale a dire i costi sostenuti dall’Italia a supporto delle 59 basi americane in Italia (il nostro Paese è il quinto avamposto statunitense nel mondo per numero d’installazioni militari, dopo Germania con 179 basi, Giapponecon 103, Afghanistan con 100 e Corea del Sud con 89). La cifra esatta non viene resa nota dal 2002, nonostante recenti interrogazioni parlamentari al riguardo. All’epoca il contributo italiano era calcolato dal Pentagono in 366,5 milioni di dollari, un terzo rispetto all’abbondante miliardo di dollari che veniva pagato a fine anni ’90.
Una particolare voce di spesa legata alla presenza militare USA in Italia, è quella relativa all’accordo di ‘condivisione nucleare’ (Nuclear Sharing) per cui il nostro Paese, fin dagli anni ’50, ospita una cinquantina di bombe atomiche americane B-61: una trentina nella base USA di Aviano e altre venti nella base italiana di Ghedi. Altre bombe erano custodite a Comiso fino al 1987 e a Rimini fino al 1993. “In definitiva – rileva il rapporto – la spesa direttamente riconducibile alla presenza di testate nucleari statunitensi sul suolo italiano ha un costo minimo di almeno 20 milioni annui, ma con tutti gli elementi coinvolti (anche per progetti straordinari di ammodernamento) potrebbe giungere anche ad essere stimata attorno ai 100 milioni di euro l’anno”.
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