Il commissario europea al Bilancio in un’intervista al settimanale tedesco Focus: "Parigi ha violato le regole, non si può usare la mano leggera". Il suo collega agli Affari europei da giorni ribadisce il contrario. L'uscita dell'esponente del Ppe contro Macron segue una serie di attacchi a Roma nei mesi precedenti.
La Francia dovrebbe subire una procedura per deficit eccessivo, perché ha violato “le regole per l’undicesimo anno di fila”, tranne che nel 2017. E “i fondi extra che Emmanuel Macron ha promesso” per placare la rivolta dei gilet gialli “non sono regali di Natale una tantum, ma spese permanenti e strutturali”. Questo il pensiero del commissario europea al Bilancio, il tedesco Guenther Oettinger. In un’intervista al settimanale tedesco Focus, il funzionario appartenente al fronte rigorista smentisce il suo omonimo agli Affari europei, Pierre Moscovici, e dice: “Non si può usare la mano così leggera con la Francia”.
Moscovici era stato accusato più volte dal governo italiano di usare due pesi e due misure nel valutare le manovre di Roma e Parigi e i rispettivi sforamenti del deficit. “La Francia sarà l’unica a sforare il 3% ma non avrà sanzioni”, aveva ripetuto il commissario solo qualche giorno fa, ancor prima che la procedura contro l’Italia fosse scongiurata e dopo aver sostenuto a più riprese che il caso francese non può essere paragonato a quello italiano: “Non c’è nessuna indulgenza, sono le nostre regole”.
Prima delle ultime elezioni con www.peopleforplanet.it lanciammo una raccolta di firme per ottenere che anche in Italia le farmacie vendano le medicine nel numero esatto previsto dalla ricetta medica. Da decenni fanno così in Usa e in Germania.
Francia, Spagna e Svizzera stanno adottando lo stesso metodo. Un risparmio enorme per i cittadini e lo Stato, meno pericoli dovuti ai cassetti pieni di medicinali scaduti o assunti senza una prescrizione medica. Quando è diventata ministro Giulia Grillo sono aumentate le nostre speranze che questa piccola riforma andasse in porto perché lei nella passata legislatura era la prima firmataria di una proposta di legge in tal senso. E una volta tanto un ministro ci ha stupiti andando ben oltre le nostre speranze. Giulia Grillo infatti sta mettendo mano all’insieme del sistema dei medicinali, un ginepraio nel quale spariscono cifre da capogiro.
La prima questione che ha affrontato con uno staff di specialisti è quella della validità dei farmaci. La semplice verifica della reale efficacia dei farmaci, secondo criteri scientifici, porterà a un notevole risparmio ed eviterà ai pazienti di assumere medicamenti inutili e quindi potenzialmente dannosi. C’è poi la questione assurda dei farmaci che sono doppioni di altri. Si tratta del 70% dei farmaci, un migliaio di prodotti. Ad esempio sono in commercio 21 antidepressivi con prezzi ben diversi uno dall’altro. Discorso parallelo sui farmaci che hanno una formula chimica diversa ma effetti equivalenti. Su questo punto il ministero conta di ottenere risparmi ingenti per lo Stato ma anche per i cittadini, attraverso una campagna di informazione; infatti gli italiani spendono di tasca loro un miliardo all’anno per comprare medicinali di marca che sono fotocopie di medicinali più economici e che di più hanno solo il prezzo.
Chiara Daina, sul Fatto Quotidiano, spiega bene come una simile riforma sia complessa perché prevede di attivare le Regioni che sono gli enti che pagano direttamente le medicine e che dovrebbero modificare le modalità di acquisto. Alcune Regioni hanno spese per i farmaci molto alte, altre hanno iniziato a razionalizzare: “Un altro successo lo ha portato a casa il Piemonte, che quest’anno grazie al meccanismo delle gare ha risparmiato oltre 41 milioni di euro solo sui maggiori farmaci utilizzati, con una riduzione media di prezzo del 67%. In alcuni casi la spesa si è ridotta fino al 99%: per il bosentan (un antipertensivo) e l’imatinib (un antitumorale), i cui costi unitari sono scesi rispettivamente da 2.210 a 27 euro e da 1.907 a 24 euro. Il trastuzumab (un altro antitumorale) invece è passato da 565 a 163 euro (-71%); l’adalimumab (un antinfiammatorio), da 866 a 293 euro (-66%)”.
È veramente incredibile che la Regione Piemonte sia riuscita ad abbassare così tanto il prezzo di alcuni farmaci. C’è da chiedersi cosa abbiano combinato gli amministratori precedenti e che combinino quelli che tutt’ora continuano a pagare farmaci a peso d’oro. E in questo campo si otterranno ulteriori risparmi riuscendo a organizzare gare con la partecipazione di tutte le Regioni: maggiori acquisti vogliono dire prezzi più bassi!
Sono anni che si tenta la riforma del prontuario dei farmaci ma ogni tentativo è stato invalidato dalla resistenza delle case farmaceutiche. Non sarà facile ma finalmente vediamo all’opera la logica artigianale delle piccole riforme, che vanno a cambiare meccanismi che non infiammano le piazze e non esaltano i media ma sono sostanziali. È comunque un peccato che questa iniziativa, datata 10 dicembre, abbia trovato così poco spazio sui media. E già che ci siamo segnalo l’inizio di una campagna che segue questa filosofia Shangai di incominciare a cambiare le cose partendo dalle più facili. Abbiamo fondato il movimento dei Pink Bloc, come i Black Bloc ma più gentili. Il nostro primo bersaglio sono state le cattiverie verso i pendolari e i viaggiatori in genere, delle Ferrovie dello Stato. Un commando dei Pink Bloc ha danzato in tutù rosa di fronte alla sede romana delle Ffss, sulle note delle sonate romantiche di Chopin, cercando così di muovere a un sentimento di dolcezza gli uomini e le donne che dirigono questa azienda. Un passo di danza vi convertirà all’amore!
Spiace dirlo, ma ha ragione Berlusconi: “La Spazzacorrotti è una legge pericolosissima e mette ogni cittadino nelle mani di qualunque pm”. Avrebbe dovuto precisare “ogni cittadino come me”.
Ma non sottilizziamo: lui è sinceramente convinto che ogni cittadino passi le sue giornate a corrompere il prossimo. Dunque, letta la legge Bonafede, ha visto passare davanti ai suoi occhi tutta la sua carriera criminale.
E s’è fatto due conti: cosa sarebbe accaduto se l’Anticorruzione fosse in vigore dai tempi di Mani Pulite, al posto delle mille Procorruzione approvate da lui e dai suoi presunti avversari di centrosinistra?
La risposta è terrificante: lui oggi sarebbe praticamente all’ergastolo. Intanto perché alcune delle tante mazzette che ha pagato e sono rimaste occulte sarebbero state scoperte dai nuovi agenti sotto copertura o denunciate dai corrotti in cambio dei nuovi sconti di pena, e lui non avrebbe subìto 30 processi, ma almeno 50. Poi perché l’aumento delle pene per i reati contro la PA (di cui è un collezionista di fama mondiale) avrebbe comportato condanne più severe. Ma soprattutto perché il blocco della prescrizione dopo la prima sentenza avrebbe trasformato quasi tutte le sue prescrizioni in condanne definitive.
1) All Iberian. Nel 1998 B. viene condannato in primo grado a 2 anni e 4 mesi insieme a Bettino Craxi per finanziamento illecito: una maxitangente in Svizzera di 23 miliardi di lire al leader Psi. In appello però il reato si prescrive e la Cassazione conferma: B. è colpevole, ma l’ha fatta franca. Col blocco dei termini alla prima sentenza, sarebbe stato condannato definitivamente a 2 anni e 4 mesi.
2) Telefonata Consorte-Fassino. Nel 2013 B. viene condannato col fratello Paolo a 1 anno di reclusione per violazione del segreto per aver ricevuto illegalmente la bobina segretata dell’intercettazione tra il patron Unipol e il segretario Ds sulle scalate dei furbetti del quartierino (“allora, siamo padroni di una banca?”) e averla fatta pubblicare dal Giornale alla vigilia delle elezioni 2006. Poi, in appello, lo salva la solita prescrizione, che non scatterebbe con la riforma Bonafede: dunque B., dichiarato colpevole ma illeso pure in Cassazione, si beccherebbe un altro anno di galera definitivo (oltre ai 2 anni e 4 mesi di All Iberian: totale 3 anni e 4 mesi).
3) Compravendita senatori. Nel 2015 B. viene condannato dal Tribunale di Napoli a 3 anni con Valter Lavitola per corruzione del senatore Sergio De Gregorio con 3 milioni di euro in cambio del suo passaggio dall’IdV a FI. In secondo grado, il consueto miracolo della prescrizione. Ma Corte d’appello e Cassazione confermano che è un colpevole impunito. Con la Spazzacorrotti già in vigore, anche quei 3 anni di galera sarebbero diventati definitivi. Totale, con le condanne precedenti: 7 anni e 4 mesi. Che sarebbero diventati 11 anni e 4 mesi con l’unica condanna definitiva finora subita dal Caimano: quella a 4 anni confermata nel 2013 dalla Cassazione per le frodi fiscali sui diritti Mediaset. Quest’ultima condanna si ridusse a 1 anno grazie all’indulto triennale varato dal centrosinistra (coi voti di FI) nell’estate del 2006, che però era riservato a chi non avesse riportato altre condanne per reati commessi dopo la sua approvazione: dunque B., con la condanna per la mazzetta a De Gregorio (fine 2006), non ne avrebbe beneficiato. E avrebbe dovuto scontare in carcere la bellezza di 11 anni e 4 mesi. Si dirà: ma la legge ex-Cirielli esenta dal carcere gli ultrasettantenni. Vero. Ma almeno una condanna definitiva B. l’avrebbe subìta prima di compiere 70 anni (nel 2006) e anche prima di imporre la ex-Cirielli (2005), dunque sarebbe finito in carcere fin dai primi anni 2000. E, compiuti i 70 anni, avrebbe seguitato a scontare il resto della pena non comodamente ai servizi sociali nell’ospizio di Cesano Boscone, ma agli arresti domiciliari. Con una serie di effetti collaterali non da poco: l’interdizione dai pubblici uffici sarebbe scattata ben prima del 2013, dunque B. non avrebbe più potuto candidarsi: cioè ci saremmo risparmiati un bel pezzo del suo secondo governo, il più devastante (2001-2006) e anche l’ultimo (2008-2011), senza contare le larghe intese con Monti e Letta jr. Perché B., anziché a Palazzo Chigi, avrebbe dovuto risiedere in gattabuia o restarsene chiuso in casa piantonato dalla forza pubblica. Se, puta caso, avesse iniziato a scontare i suoi 11 anni e rotti nel 2005, avrebbe finito – con tutti gli sconti all’italiana – intorno al 2015. Ma non sarebbe stato più eleggibile né riabilitabile nemmeno dopo. E, in questi calcoli, ci siamo tenuti stretti. È ovvio che, se questa Anticorruzione fosse stata approvata quando il pool di Mani Pulite la propose (a Cernobbio, nel settembre ’94), significherebbe che al governo ci sarebbero stati già allora i 5Stelle, non il Partito dell’Impunità del centro-destra-sinistra. Quindi nessuna delle Procorruzione varate dal ’94 al 2017 sarebbe diventata legge, nemmeno le due più devastanti fatte da B. per B.: la ex-Cirielli che dimezzava i termini di prescrizione e la depenalizzazione del falso in bilancio, che hanno incenerito altri sei processi a suo carico. I quali si sarebbero conclusi quasi tutti non con prescrizioni, ma con condanne. E il totale sarebbe salito ad almeno 20 anni. Che, per un uomo di 82 anni, equivale all’ergastolo, anche al netto delle sentenze che arriveranno prossimamente nei processi e nelle inchieste ancora aperti: il Ruby ter – in sei tronconi sparsi per l’Italia – per corruzione di testimoni; il caso Tarantini per l’induzione a mentire su un altro giro di escort; l’indagine fiorentina per concorso nelle stragi del ’93 a Milano, Firenze e Roma. Quindi sì, la Spazzacorrotti è pericolosissima. Per i delinquenti.
Nel corso del discorso tenuto sabato 15 dicembre 2018 a Pisa, in occasione del conferimento della Laurea honoris causa in Economia da parte della Scuola Superiore Sant’Anna, Mario Draghi ha finalmente ammesso che qualcosa deve essere cambiato nel funzionamento dell’Unione Europea ed ha anche espressamente parlato della sovranità monetaria.
Questo atteggiamento più “critico” è probabilmente dovuto al tentativo di arginare i movimenti sovranisti e populisti, che hanno dato origine nel Regno Unito alla Brexit, in Italia al Governo M5S e Lega e in Francia alle manifestazioni di piazza dei gilets gialli. Movimenti che pur nelle loro diversità, manifestano un malcontento molto evidente nei confronti delle politiche economiche neoliberiste degli ultimi anni.
Per legge il governatore della BCE deve realizzare la stabilità dei prezzi, la piena occupazione e la crescita economica equilibrata (art.127 comma 1 del TFUE e il collegato art.3 comma 3 del TUE), ma tutto ciò non è stato raggiunto da Mario Draghi e perciò, con una punta di faceta ironia, ho corretto il suo discorso assegnandogli un bel 4+ di incoraggiamento:
Premesso tutto ciò dò atto a Mario Draghi di aver cambiato atteggiamento rispetto al passato, introducendo alcuni elementi di critica nella gestione eccessivamente neoliberista dell’Unione Europea.
Alla fine del suo discorso Mario Draghi si è dichiarato molto preoccupato, perché nonostante si stia uscendo dalla più grande crisi finanziaria dell’ultimo decennio, “nel resto del mondo il fascino di ricette e regimi illiberali si diffonde: a piccoli passi si rientra nella storia. È per questo che il nostro progetto europeo è oggi ancora più importante. È solo continuandone il progresso, liberando le energie individuali ma anche privilegiando l’equità sociale, che lo salveremo, attraverso le nostre democrazie, ma nell’unità di intenti“.
E pensare che solo un anno fa, nella Conferenza Stampa del 20 luglio 2017 a Francoforte, quando gli avevano chiesto espressamente come mai non si occupi di crescita e di occupazione, Mario Draghi aveva risposto in modo inequivocabile : “Dobbiamo sempre ricordare che il nostro mandato non è né la crescita né l’occupazione, ma è la stabilità dei prezzi. E questo è ciò che la nostra politica monetaria è orientata a fare e questo è ciò che dobbiamo esaminare per decidere se ci stiamo muovendo nella direzione giusta“. https://comedonchisciotte.org/rileggiti-i-trattati-mario/
Questo discorso rappresenta una novità per Draghi, e spero scaturisca dalla consapevolezza che il sistema, così come è stato gestito fino ad ora, non funziona e bisogna individuare strade nuove ed alternative per avere una società più equa e più giusta.
I risultati dell’Unione Europea
In diversi punti del suo discorso, il Presidente della Banca Centrale Europea, pur ribadendo la bontà delle scelte effettuate dalla BCE e dall’Unione Europea, ne mette in luce anche gli aspetti critici, ammettendo la necessità di correzioni:
“l’unione monetaria è stata un successo sotto molti punti di vista“, ma “dobbiamo allo stesso tempo riconoscere che non in tutti paesi sono stati ottenuti i risultati che ci si attendeva“;
“il mercato unicoè visto non di rado come una semplice trasposizione del processo di globalizzazione, a cui nel tempo è stata tolta persino la flessibilità dei cambi. Ma non è così“;
“la globalizzazioneha complessivamente accresciuto il benessere in tutte le economie“, ma “è oggi chiaroche le regole che ne hanno accompagnato la diffusione non sono state sufficienti a impedirne profonde distorsioni“.
Si lascia andare anche ad una frase fortemente critica nei confronti del neoliberismo “l’apertura dei mercati, senza regole, ha accresciuto la percezione di insicurezza delle persone particolarmente esposte alla più forte concorrenza, ha accentuato in esse il senso di essere state lasciate indietro in un mondo in cui le grandi ricchezze prodotte si concentravano in poche mani” arrivando ad ammettere che “occorre ora disegnare i cambiamenti necessari perché l’unione monetaria funzioni a beneficio di tutti i paesi e realizzarli il prima possibile, ma spiegandone l’importanza a tutti i cittadini europei“.
Mercato unico e moneta unica
Analizza poi le motivazioni e le conseguenze del mercato unico e della moneta unica, cercando in tutti i modi di evidenziarne gli effetti positivi.
Sul mercato unico, nonostante l’evidenza dei fatti, cerca di spiegare che “rimuovendo queste barriere (ndr non tariffarie), il progetto del mercato unico puntava a rilanciare la crescita e l’occupazione“. Puntava, ma di certo non ha centrato il bersaglio …
Più difficile dimostrare la positività della moneta unica, perché è costretto a fare un ragionamento più complesso. Sostiene che “l’Italia è, attraverso il mercato unico e con la moneta unica, strettamente integrata nel processo produttivo europeo“, e che questa maggiore integrazione “ha avuto due effetti importanti sulle loro relazioni di cambio. Primo, il costo di non poter svalutare nell’unione monetaria è diminuito“. Secondo, sostiene ancora Draghi, si sono “ridotti i benefici di breve periodo delle svalutazioni competitive, poiché le esportazioni hanno un maggior contenuto di beni importati” e quindi “ogni espansione della domanda estera conseguita con una ipotetica svalutazione è ora controbilanciata dai maggiori costi dei prodotti intermedi importati “.
Tutti questi ragionamenti, dimostrano la sua grande capacità tecnica ed economica, ma non convincono del tutto. È vero che oggi abbiamo una bilancia commerciale in attivo di circa 50 mld di euro, ma è anche vero che la Germania ha un attivo 5 volte superiore, proprio perché usufruisce del vantaggio competitivo derivante dal rapporto di cambio fisso all’interno dell’Unione Europea. Pensare che una eventuale svalutazione monetaria non si traduca in una maggiore competitività delle aziende italiane nell’esportazione dei loro prodotti, è francamente un pò “di parte”.
La sovranità monetaria
Molto più interessante è come Mario Draghi affronta il problema della sovranità monetaria, perché fa diverse ammissioni che rappresentano una novità per lui :
“la moneta unica ha consentito a diversi paesi di recuperare sovranità monetaria rispetto al regime di parità fisse vigenti nello SME”, ammettendo quindi che la sovranità monetaria è ancora degli Stati;
“fra i presunti vantaggi della sovranità monetaria quello di poter finanziare con la moneta la spesa pubblica non è in apparenza particolarmente apprezzato dai paesi che fanno parte del mercato unico ma non dell’euro” Questa frase è smentita subito dopo da lui stesso, quando afferma che il debito pubblico di questi paesi è molto inferiore (44% del PIL, escluso il Regno Unito) a quello dei paesi a moneta comune (89% del PIL).
Con queste due frasi per la prima volta Mario Draghi non solo ammette che la sovranità monetaria è ancora degli Stati, ma dimostra anche che può essere utilizzata per ridurre il rapporto Debito/PIL, come noi sosteniamo da tempo.
Convergenza e divergenza nell’area dell’euro
Nella seconda parte del suo discorso, Mario Draghi ammette che il processo di convergenza delle economie dei vari paesi nell’area euro non c’è stata, semplicemente perché “in alcuni paesi vari benefici che si attendevano dall’UEM non si sono ancora realizzati. Non era, e non è oggi, sbagliato attendersi maggiore crescita e occupazione da quella che allora fu chiamata la “cultura della stabilità”, che l’unione monetaria avrebbe portato“. Per questo conclude dicendo che “Occorreva e occorre molto di più“.
A questo punto si chiede: “Che cosa ha determinato le diverse traiettorie di convergenza e in che misura queste sono legate all’appartenenza all’area dell’euro?” La sua spiegazione purtroppo giunge alle solite conclusioni: “sono le politiche nazionali, sono le riforme strutturali e istituzionali, nonché il contributo dei fondi strutturali della UE ad avere un ruolo cruciale“.
Ma subito dopo evidenzia anche l’importanza di fattori come “i tassi di crescita, il grado di sincronizzazione dei cicli economici, soprattutto in occasione di shock rilevanti. In questo caso l’appartenenza a un’unione monetaria gioca un ruolo importante perché influenza la capacità con cui le singole economie stabilizzano la domanda, soprattutto durante le fasi recessive“.
Infine ammette che “i bilanci pubblici nazionali non perderanno mai la loro funzione di strumento principale nella stabilizzazione delle crisi”. Ma è anche vero che “L’uso degli stabilizzatori automatici da parte dei paesi dipende, tuttavia, dall’assenza di vincoli connessi al loro livello del debito. Occorre dunque ricreare il necessario margine per interventi di bilancio in caso di crisi. E ancora non basta: occorre un’architettura istituzionale che dia a tutti i paesi quel sostegno necessario per evitare che le loro economie, quando entrano in una recessione, siano esposte al comportamento prociclico dei mercati“.
In pratica il Presidente della BCE dà ragione al Ministro delle Politiche Europee Paolo Savona, quando dice che se in un contratto ci sono degli obiettivi, ma non ci sono gli strumenti adeguati per raggiungerli, allora il contratto è nullo.
Conclusioni
Purtroppo per Mario Draghi le uniche soluzioni possibili sono quelle che ripete da anni, le famose riforme strutturali, perché è con esse “che si creano le condizioni per far crescere stabilmente salari, produttività, occupazione, per sostenere il nostro stato sociale. È un’azione che in gran parte non può che svolgersi a livello nazionale, ma può essere aiutata a livello europeo dalle recenti decisioni di creare uno strumento per la convergenza e la competitività“.
Siamo d’accordo che servano strumenti adeguati, ma riteniamo che questi strumenti debbano essere trovati all’interno degli Stati, non certo nelle istituzioni europee che hanno già dimostrato una scarsa sensibilità ad aiutare i paesi in difficoltà.
Se si vuole “far crescere stabilmente salari, produttività, occupazione, per sostenere il nostro stato sociale“, lo Stato deve immettere nell’economia reale maggiori quantità di denaro, mentre, purtroppo, la soluzione che individua Draghi è, come al solito, “il completamento dell’unione bancaria e del mercato dei capitali“, senza le quali si “accentua la fragilità dell’unione monetaria proprio nei momenti di maggiore crisi; la divergenza fra i paesi aumenta“.
Le nostre osservazioni
La ricetta di Mario Draghi ricorda quando si va dal medico perché la cura che ti ha dato ti fa stare peggio, e lui, invece di cambiarla, ti aumenta le dosi. Siamo alle solite, se non si raggiungono i risultati previsti, non bisogna insistere con la stessa soluzione, ma bisogna cambiarla.
Attualmente le politiche monetarie della BCE sono un vantaggio solo per banche e mercati finanziari, mentre l’economia reale e gli Stati non ne hanno alcun beneficio, se non indiretto e minimo.
Fino ad oggi Mario Draghi si è preoccupato solamente della stabilità dei prezzi, che ha cercato di raggiungere negli ultimi 3 anni attraverso il Quantitative Easing e i prestiti alle banche, il famoso TLTRO.
La BCE ha creato dal nulla più di 2.600 mld di euro, che sono finiti però solo nei mercati finanziari e nella pancia delle banche, mentre poco o niente è arrivato all’economia reale.
Con queste manovre non si è raggiunto neppure un misero e agognato 2% di inflazione.
Inoltre negli ultimi anni gli impieghi, cioè i finanziamenti concessi dalle banche alle aziende, è sempre calato.
È questo il motivo del malcontento, le persone in difficoltà si sono stancate di fare sacrifici, perchè si rendono conto che il denaro viene creato in grandi quantità, ma non ne vedono mai gli effetti perché circola soprattutto nella mani dei soliti privilegiati.
In questi anni, con la scusa dell’ideale europeo, si è cercato di trasferire parti della sovranità degli stati alla UE, ad esempio la sovranità monetaria e fiscale, ma ora dobbiamo scegliere:
lo stato torna ad utilizzare in toto la propria sovranità monetaria e fiscale
si continua con le ricette neoliberiste, col prendere in prestito la moneta dai mercati finanziari e con la resa completa e incondizionata all’Unione Europea e a chi la conduce.
Questa è la vera natura dello scontro in atto.
Sovranismo contro neoliberismo, populismo contro elitismo, 99% della popolazione contro l’1% più ricco che vuole arricchirsi sempre di più a scapito di tutti gli altri.
Le soluzioni che noi abbiamo elaborato, e che abbiamo illustrate anche nel nostro incontro “Società, economia e moneta positiva” del 23 novembre 2018, nell’Aula dei Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati, insieme agli amici Nino Galloni, Antonio Maria Rinaldi, Giovanni Zibordi, Marco Cattaneo, Orango Riso e Steve Keen.
Prevediamo che il debito pubblico venga monetizzato attraverso la creazione di Moneta Positiva da parte degli Stati, in modo anche da permettere politiche espansive nei periodi di recessione, con una funzione anticiclica.
Se non adottiamo soluzioni di questo genere, il malumore della popolazione crescerà ogni giorno di più e c’è il rischio fondato che crolli tutto il sistema dell’Unione Europea, compresa quella parte sana che aveva degli obiettivi condivisibili da tutti.
Se vogliamo uscire dalla crisi economica e sociale, lo Stato può e deve usare questi strumenti per raggiungere gli obiettivi previsti non solo dalla nostra Costituzione, ma anche e soprattutto dai Trattati Europei, così come definiti dall’art.3 comma 3 del TUE, dove tra gli altri ci sono la piena occupazione, il progresso sociale e la crescita economica equilibrata.
Le passate e le attuali politiche non producono aumento di ricchezza per tutti, ma solo per pochi privilegiati già ricchi, impoverendo tutti gli altri.
Come racconta mirabilmente Trilussa, nella sua poesia dedicata alla statistica, uno dei problemi dei cosiddetti esperti economici è che i loro dati sono sempre interpretati con le medie statistiche, che spesso nascondono la verità.
Me spiego: da li conti che se fanno seconno le statistiche d’adesso risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra ne le spese tue, t’entra ne la statistica lo stesso perche’ c’e’ un antro che ne magna due.
(Andrea Scanzi) – Bentornati a Ten Talking Fava, l’unica rubrica che si chiama così. Altre considerazioni. 1. Niente procedura d’infrazione per l’Italia. Dovrebbe essere una buona notizia per tutti, ma l’opposizione pare assai triste: sperare che moriremo tutti è la loro unica strategia, e sfortunatamente (per loro) non pare ancora essere tempo per la suprema Apocalisse. 2. Lo Spazzacorrotti è legge. E’ la riforma della giustizia che avrebbe dovuto fare in vent’anni il centrosinistra, solo che nel frattempo era troppo impegnato a titillare Berlusconi, farsi le seghine gaudiose da Fazio o i simposi della fava mencia bevendo un gingerino al chiaro di Luna con Lerner. Daje compagni. 3. Quando vi chiedete perché la sinistra non risalga nei consensi nonostante Salvini e tutto il resto, pensate a due nomi. Donna Murgia, elevata pateticamente a guida di una sinistruccia tronfia e autoriferita che straparla di fascismo per sentirsi migliore e nei sondaggi non raggiunge il 2% neanche se preghi. E poi Mastro Oliverio, ovvero quel tale che in Calabria regna e signoreggia con lo stemma del Pd e sul quale pendono accuse da far trasecolare chiunque (tranne il Pd). Ecco: per ogni boiata che fanno i Toninelli e le Castelli, e accidenti se ne fan tante, arriva poi sempre qualche diversamente satanasso della “sinistra” a ricordarti che, spesso (per fortuna non sempre), in confronto a loro è meglio chiunque. Ma proprio chiunque. Anche un vapore mesto di iodio usato per il dagherrotipo nel 1840. 4. Per la cronaca, il novello Che Guevara Mimmo Tinto Lucano ha difeso Oliverio. Non solo: Mimmo Tinto Lucano, a cui qualcuno vorrebbe pure dare il Nobel (sic) nonostante le accuse e le intercettazioni, nel frattempo ha trovato il tempo per dire che “non mi candido ma forse sì” e ha pure ricevuto non senza vanità civettuola la cittadinanza onoraria di Sutri per mano del noto filantropo Sgarbi. Daje Mimmo. Il fatto che la sinistra si sia ridotta a elevare uno così a mito contemporaneo la dice lunga su quanto sia alla canna del gas. Accontentatevi pure di questi vessilli posticci, compagni. Io, nel mio piccolo e spero col vostro permesso, mi tengo stretti i miti di Berlinguer e Pertini. 5. Questo punto lo salto perché non ho ancora smesso di farmi i complimenti da solo per avere imparato cosa sia il dagherrotipo. 6. Asserire che Sfera Ebbasta sia responsabile della tragedia di Corinaldo è come dire che Sfera Ebbasta sia un artista. 7. In una scuola di Gela è scoppiata una rissa durante la recita di Natale. Due mamme si sono picchiate perché stavano contendendosi il posto migliore per riprendere la recita dei figli con lo smartphone. Ne è nato un inaudito parapiglia. L’umanità è ormai così intrisa di deficienza che neanche si accorge di quanto ormai sia deficiente. 7 bis. La parola “parapiglia” mi ha sempre messo allegria. Mi ricorda chissà perché i tempi spensierati dell’adolescenza, quando con gli amici facevamo cose meravigliose. Correre, bere, picchiare Nardella col badile. Cose belle, ecco. 7 ter. Un ragazzo si è buttato da un grattacielo con un paracadute fatto alla cazzo. Il paracadute non si è aperto e lui è morto. Il ragazzo si è gettato nel vuoto, dopo qualche minuto di incertezza, per poi postare il video sui social. Prima di farlo, la folla lo ha esortato gioiosamente a buttarsi. E quella che più lo ha esortato è stata la madre. L’umanità è ormai così intrisa di deficienza che neanche si accorge di quanto ormai sia deficiente. 8. Il noto tifoso Salvini si è fatto fotografare con un intellettuale contemporaneo, ex spacciatore, picchiatore e derivati. Quando glielo hanno fatto notare, il noto tifoso oggi di stanza al Viminale ha minimizzato e detto che lui è solo “un indagato tra indagati”. La frase non è solo una delle tante pienamente avulse da qualsivoglia supporto neuronale. E’ pure un insulto a intelligenza, decenza e morale. 8 bis. Son tempi così. E non potrà che andar sempre peggio. Vamos. 9. Toninelli is the new Nardella. 9 bis. Castelli is the new Picierno. 9 ter. Marattin is the new Gasparri. 10. Quando l’Isis ha visto il video-candidatura di Giachetti e Ascani, ha pensato che neanche loro erano forse mai stati così esteticamente sadici coi loro ostaggi. Alla prossima, e non fate i bravi che tanto non serve. https://infosannio.wordpress.com/2018/12/19/andrea-scanzi-quando-vi-chiedete-perche-la-sinistra-non-risalga-nei-consensi-pensate-a-due-nomi-donna-murgia-e-mastro-oliverio/?fbclid=IwAR2-T0Xjk7P4vf-15oUVMgGf07In9oA9Lr8U3eb7yN1B3uMxXfAxPgfdjv4
Da Renzi seppe che il decreto sulle popolari sarebbe passato e al broker fece investire 5 milioni di euro. L'operazione gliene fruttò 600mila. Non sarà archiviata l'indagine per "ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (la Consob, ndr)" a carico di Gianluca Bolengo, il broker di Intermonte Sim spa a cui al telefono, il 16 gennaio 2015, Carlo De Benedetti disse che il decreto sulle banche popolari sarebbe passato per averlo saputo dall'allora premier Matteo Renzi e che investì per conto dello stesso imprenditore 5 milioni in azioni delle Popolari.
La riforma fu approvata quattro giorni dopo e, grazie a quella operazione, l'Ingegnere guadagnò circa 600mila euro.
L'accusa per Bolengo è di ostacolo alle funzioni di vigilanza. Con un provvedimento di 63 pagine, il gip Gaspare Sturzo ha respinto la richiesta di archiviazione avanzata dal pm Stefano Pesci ordinando che venga formulata l'imputazione coatta. La procura si era espressa per l'archiviazione del procedimento ritenendo che non vi fosse la prova che De Benedetti fosse venuto in possesso, nei giorni che precedettero la telefonata con Bolengo, di notizie price sensitive e non vi fosse la prova che queste notizie fossero state comunicate allo stesso broker. Per il giudice Sturzo, invece, dall'esame degli atti emergono "logici elementi" per ritenere Bolengo "consapevole di trovarsi innanzi all'obbligo di dover comunicare (l'operazione finanziaria, ndr) come sospetto alla Consob". Già lo scorso marzo il gip aveva respinto la richiesta di archiviazione per il broker di Intermonte Sim spa ordinando invece un supplemento di indagini.
Il governatore dem della Calabria colpito dall'obbligo di dimora in un'inchiesta della procura di Catanzaro. L'accusa è abuso d'ufficio: secondo gli investigatori, sbloccò 4,2 milioni di euro legati ai lavori sugli impianti di sci a Lorica in maniera "anomala". E ci fu una "controprestazione": la stessa ditta stava svolgendo i lavori in una piazza a Cosenza e gli fu chiesto di fermarsi per danneggiare il sindaco di centrodestra. Il gip: "Rapporto di scambio può ben sconfinare nel terreno della corruzione". Lui: "Accuse infamanti, sciopero della fame".
Una “lotta politica deteriore” giocata con i soldi pubblici, erogati anche senza giustificazione, e le ‘pressioni’ per rallentare lavori affidati alla stessa impresa a Cosenza, all’epoca amministrata da avversari politici, che a loro volta si erano interessati per fermare tutto evitando che a inaugurare le opere non fossero loro. Tanto che i funzionari pubblici, ‘venduti’ agli interessi degli imprenditori il cui unico obiettivo era “rastrellare quanto più denaro pubblico possibile”, la spiegavano così, riferendosi a politici e rappresentanti istituzionali: “Sono come i delinquenti, ti ricattano, tu ci chiedi un favore a loro e loro subito ti ricattano”. A rimetterci, tra ritardi e infrastrutture incomplete o inutilizzabili perché non in sicurezza, era la “disgraziata Calabria”, come la definiscono alcuni degli indagati in un’intercettazione telefonica.
Barbieri, il mattatore degli appalti vicino alla cosca. È questo il quadro che emerge dall’inchiesta della Guardia di finanza, coordinata dal procuratore Nicola Gratteri, dagli aggiunti Vincenzo Capomolla e Vincenzo Luberto e dal pm Alessandro Prontera, che ha portato in carcere l’imprenditore Giorgio Ottavio Barbieri, ritenuto la testa di legno del boss Franco Muto di Cetraro, e ai domiciliari altre sette persone, compresi dirigenti pubblici. Era Barbieri il mattatore degli appalti, finanziati con i fondi comunitari, e gestiti dalla Regione Calabria. In particolare gli impianti sciistici Lorica-Camigliatello, il cuore dell’inchiesta che è arrivata a colpire il presidente della Regione, Mario Oliverio, esponente del Partito Democratico, per il quale è stato disposto dal gip l’obbligo di dimora.
Calabria, misura cautelare per Oliverio. La conferenza stampa di Gratteri
di Lucio Musolino
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La decisione di Oliverio e il “contributo” di Adamo e Bruno Bossio. Secondo gli inquirenti, nonostante fosse a conoscenza della situazione finanziaria deteriorata della sua azienda, era comunque intervenuto in favore di Barbieri garantendo “l’indebita percezione di capitale pubblico a fronte di opere ineseguite o comunque non funzionali”, scrive il gip Pietro Carè nell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari, con un finanziamento aggiuntivo di 4,2 milioni di euro, deliberato dalla Giunta regionale il 13 maggio 2016. Come “controprestazione”, secondo gli inquirenti, aveva chiesto di rallentare i lavori in piazza Belotti a Cosenza, dove governava la giunta di centrodestra presieduta dal sindaco Mario Occhiuto, grazie anche al “contributo causale” degli esponenti del Pd Nicola Adamo ed Enza Bruno Bossio, rispettivamente ex ed attuale parlamentare, entrambi non indagati.
L’accusa di abuso d’ufficio. Il gip: “Può ben sconfinare in corruzione”.Oliverio è accusato di abuso d’ufficio e per lui i pm avevano chiesto i domiciliari. Richiesta respinta dal gip che ha disposto l’obbligo di dimora nel suo comune di residenza. Allo stesso tempo, però, il giudice usa parole durissime nei suoi confronti. Spiegando che il fine primo del governatore sarebbe stato quello della “lotta politica sebbene di quella più deteriore che si possa immaginare provenire da parlamentari o ex parlamentari della Repubblica”, ad avviso di Carè, “non si può trascurare come essa si inserisca in un rapporto di scambio” con Barbieri che “appare riduttivo definire clientelare, potendo ben sconfinare nel terreno della corruzione“.
La replica: “Sciopero della fame, io sono sempre trasparente”. Il governatore ha definito le accuse “infamanti”annunciando lo sciopero della fame: “La mia vita e il mio impegno politico e istituzionale sono stati sempre improntati al massimo di trasparenza, di concreta lotta alla criminalità, di onestà e rispettosa gestione della cosa pubblica. I polveroni sono il vero regalo alla mafia – fa sapere Oliverio – Tra l’altro l’opera oggetto della indagine non è stata appaltata nel corso della mia responsabilità alla guida della Regione. Quanto si sta verificando è assurdo. Non posso accettare in nessun modo che si infanghi la mia persona e la mia condotta di pubblico amministratore”.
“4,2 milioni di euro una vistosa anomalia”. Di tutt’altro avviso è il giudice per le indagini preliminari nel ricostruire la genesi di quella delibera di Giunta proposta da Oliverio che ha portato a stanziare 4,2 milioni di euro a Barbieri per opere complementari legate agli impianti sciistici di Lorica-Camigliatello. Una “vistosa anomalia” perché quell’investimento viene ammesso nonostante sia stato richiesto fuori dai termini e “neppure ancora formalmente ammessi”. Nonostante, annota il gip, diversi mesi prima il presidente della Regione avesse effettuato un sopralluogo sul cantiere di Lorica, “circostanza nella quale prende personalmente contezza (ove mai non l’avesse fatto in precedenza) del ritardo dei lavori e della minima contribuzione del privato”. Stando alle intercettazioni, infatti, l’impresa di Barbieri aveva sborsato “circa 28mila euro su oltre 13 milioni” e comunque Oliverio “promette” nuovi “corposi finanziamenti pubblici” per la costruzione di un albergo-rifugio che voleva simile a una struttura che aveva visto sul lago di Garda.
La “piena disponibilità del presidente” e la “controprestazione”. Non ci sono intercettazioni che lo riguardano, ma secondo il gip il quadro delineato dai dialoghi degli altri indagati e quanto risulti negli atti predisposti dalla sua Giunta è inequivocabile. Il giudice cita, tra le altre conversazioni ascoltate dai finanzieri, quella del 2 marzo di due anni fa. Dopo un incontro con Oliverio, uno degli indagati parla a Barbieri di “miracoli grossissimi” grazie al faccia a faccia. “Trova conferma – si legge nell’ordinanza – la piena disponibilità del presidente a portare avanti a “tambur battente” i progetti presentati dal concessionario privato (senza neppure considerare la necessità di dover espletare una gara pubblica e la possibilità che se l’aggiudichi un’altra impresa) ma emerge per la prima volta la necessità di una “controprestazione”, ovvero il rallentamento dei lavori del cantiere di piazza Bilotti a Cosenza”.
“Ti devi fermare su piazza Bilotti”. E le “interferenze incrociate”. La necessità, si evince dalle carte, è quella di non permettere al sindaco uscente del capoluogo di provincia, Mario Occhiuto, di inaugurarla. Si tratta di una delle opere più importanti volute dal sindaco-architetto che sta portando avanti proprio l’impresa di Barbieri. L’imprenditore finito in carcere e un dirigente pubblico parlano di “ordine di scuderia” e “tassativo”. “Io ho avuto una riunione con il presidente ed il presidente m’ha detto ‘Ti devi fermare su piazza Bilotti’“. E l’indagato “confida di sentirsi pressato, quasi “costretto” ad assecondare la richiesta “bipartisan” della politica (“ti ricattano, tu ci chiedi un favore a loro e loro subito ti ricattano”) per non subire ritorsioni”.
Le richieste “bipartisan”: “Così sono tutti felici e contenti”. Bipartisan perché alla fine – stando alla ricostruzione degli inquirenti – le presunte “pressioni” sono arrivate anche da Occhiuto, che nel frattempo era stato sfiduciato e non voleva che a inaugurare l’opera fosse il commissario prefettizio. Così Barbieri e l’altro indagato discutono della “necessità di chiedere una proroga del termine finale dei lavori” rispetto “al quale erano già in ritardo”. Una richiesta, scrive il gip, “che già andava incontro ai desiderata di Occhiuto e di Oliverio (“Però già tenendo questo ritmo sono tutti felici e contenti…”) e che allo stesso tempo “sarebbe stata utile per poter intercettare i finanziamenti promessi da Oliverio”. “Una parentesi di 3 mesi, 4 mesi che ci serve ad hoc per quello che dobbiamo fare naturalmente”, si dicono al telefono.
E gli impianti di Lorica alla fine avevano “problemi di sicurezza”. Ovvero i lavori a Lorica, il cuore dell’inchiesta, che stando alle intercettazioni degli indagati il governatore voleva pronti “entro gennaio”. Così si “assiste ad una vera e propria corsa al collaudo” degli impianti, caratterizzata “da continue sollecitazioni ed interferenze della parte politica” per “accelerare le operazioni”. Durante le verifiche del collaudatore esterno ed il collaudo tecnico da parte dell’Ufficio speciale trasporti e impianti fissi, unità periferica del ministero delle Infrastrutture, emergono “gravi problematiche di sicurezza” che “si manifestano all’atto di mettere in funzione gli impianti”. Una conseguenza “inevitabile”, secondo il giudice, “dell’approssimazione e della fretta che avevano connotato l’intervento sin dalla sua progettazione”.