venerdì 19 aprile 2019

Siri indagato, la tela dell’ex deputato Arata per arrivare alle istituzioni: assessori, un ex ministro e Micciché. - Giovanna Trinchella

Siri indagato, la tela dell’ex deputato Arata per arrivare alle istituzioni: assessori, un ex ministro e Micciché

C'è un groviglio di corruzioni che ha portato gli investigatori della Dia fino al cuore del governo. Il "gruppo Arata/Nicastri", così lo definiscono gli inquirenti, quando l'imprenditore dell'eolico è finito nei guai, ha potuto far affidamento "sulla importante rete di rapporti istituzionali" di Arata "per trovare canali privilegiati di interlocuzione con organi politici regionali siciliani.

C’è un groviglio di corruzioni – svelate da una primigenia indagine antimafia della Procura di Palermo sull’imprenditore Francesco Isca – che ha portato gli investigatori della Dia fino al cuore del governo con la notifica al senatore leghista Armando Siri dell’informazione di garanzia per corruzione. Ma ci sono soprattutto nomi che parlano di una vecchia politica in dialogo con il malaffare e in alcuni casi anche indirettamente con la mafia: una tela, stando all’Antimafia, costruita da Franco Paolo Arata, ex deputato di Forza Italia. A scorrere le otto pagine del decreto di perquisizione della Dda di Palermo saltano agli occhi i nomi del boss latitante Matteo Messina Denaro, ma anche di un esponente politico di spicco come Gianfranco Miccichè, presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, già ministro e con responsabilità di governo con Berlusconi premier, di Alberto Dell’Utri, fratello gemello di Marcello ex senatore di Forza Italia, quest’ultimo ai domiciliari per scontare una condanna per concorso esterno, e Calogero Mannino, ex ministro democristiano, coinvolto e assolto nel processo sulla Trattativa.
Perché compaiono tutti questi nomi – nessuno di loro è indagato – nell’inchiesta di Palermo? Perché Franco Paolo Arata, già presidente del Comitato interparlamentare per lo sviluppo sostenibile, autore del programma di governo della Lega sull’Ambiente, l’uomo che – stando ai pm di Roma – avrebbe corrotto il sottosegretario leghista con la promessa o la consegna di 30mila euro, si attiva in modo da trovare ascolto e intercessioni per gli affari di Vito Nicastriimprenditore dell’eolico finito ai domiciliari con l’accusa di aver contribuito alla latitanza del boss di Castelvetrano. Senza contare le “bustarelle”, soldi e il lavoro per un figlio, andate a tre dipendenti pubblici per passare informazioni sulle pratiche e concedere una autorizzazione alla costruzione di impianti di produzione di energia alternativa delle società del duo Nicastri/Arata “soci” nel grande affare delle energie rinnovabili in Sicilia. Anche attraverso i loro figli, Manlio Nicastri e Paolo Francesco Arata, anche loro indagati.
Chi è l’imprenditore Vito Nicastri, i pm: “Spregiudicato e pregiudicato”. Partendo dagli affari di Francesco Isca, considerato vicino alle famiglie mafiose Musso e Crimi, i pm di Palermo svelano un primo legame economico tra Nicastri e Isca. Poi entra in scena Arata e gli investigatori scoprono “un reticolo di società” facenti capo alla famiglia Arata, “ma partecipate occultamente da Nicastri, vero regista delle strategie imprenditoriali” e definito dall’ex politico “la persona più brava dell’eolico in Italia”. Il re del vento “oltre ad aver un’indubbia competenza e abilità in tale settore – sottolineano gli inquirenti nell’informazione di garanzia – è un imprenditore pregiudicato e spregiudicato“. Condannato in via definitiva per corruzione e truffa aggravata a Nicastri, prima di finire ai domiciliari, nel 2012 era stata applicata la misura di prevenzione personale e nei suoi confronti era stato emesso anche un provvedimento di confisca. Nonostante questo e nonostante Nicastri – da oggi in carcere – fosse finito ai domiciliari per l’appoggio “all’amico di Castelvetrano”, i legami con Arata non si sono spezzati. L’ex deputato e suo figlio “non hanno avuto alcuna esitazione a proseguire un rapporto societario di fatto con il detenuto Nicastri, architettando molteplici escamotage per consentire una continua, e  a volte anche diretta, interlocuzione con il ‘re dell’eolico’ nonostante le prescrizioni imposte a Nicastri, ripetutamente e gravemente violate” per “portare avanti i molteplici progetti imprenditoriali e le connesse azioni delittuose”.
Il “gruppo Arata/Nicastri” e i contatti con i politici.
Scrivono poi i pm: “Gli Arata, attraverso la società Alqantara… hanno acquisito partecipazioni nella Etnea srl (operante nel settore del mini-eolico, con dieci turbine già produttive), nella Solcara srl (titolare di sei torri mini-eoliche già produttive), nella Solgesta srl (partecipata, prima al 50%, poi interamente, da Solcara srl, impegnata in due progetti di costruzione di impianti di produzione di bio-metano), nella Bion srl (fotovoltaico) e nell’Ambra Energia srl (fotovoltaico)”. Tutte società che “appaiono partecipate occultamente” da Nicastri. Ma non solo la Solgesta, come emerge da alcune intercettazioni, “è da considerarsi partecipata occultamente anche da Francesco Isca“.
Il “gruppo Arata/Nicastri”, così lo definiscono gli inquirenti, quando quest’ultimo è finito nuovamente nei guai, ha potuto far affidamento “sulla importante rete di rapporti istituzionali” di Arata “per trovare canali privilegiati di interlocuzione con organi politici regionali siciliani ed essere introdotto negli uffici tecnici incaricati di valutare, in particolare, i progetti relativi al ‘bio-metano'”. Ed è così che inizia l’elenco delle personalità contattate – ma che risultano estranee alle indagini – da Arata come l’assessore regionale alle Energie “Alberto Pierobon  grazie all’intervento di Gianfranco Micciché, a sua volta contattato da Alberto Dell’Utri“. Poi, quando “l’epicentro della fase amministrativa” è diventato l’assessorato al Territorio e Ambiente (per la verifica di assoggettabilità del progetto alla VIA, valutazione di impatto ambientale) “Arata è riuscito ad interloquire direttamente con l’assessore regionale Territorio e Ambiente Salvatore Cordaro” e  “tramite questi, con gli uffici amministrativi di detto Assessorato, dopo aver chiesto un’intercessione per tale fine a Calogero Mannino”. La Dia sentirà come persone informate sui fatti Miccichè, Pierobon e Cordaro.
Nell’assessorato alle Energie Arata e Nicastri trovano in due dipendenti che si “prodigano” a fornire informazioni sulle pratiche per loro in cambio di bustarelle. Un’altra sponda arriva in un dipendente del Comune di Calatafimi che stando, agli inquirenti ha incassato 115mila euro sul proprio conto nel corso di tre anni bonifici provenienti dalla Quantas (riconducibile a Nicastri) per aver rilasciato le autorizzazioni per la costruzione delle torri mini-eoliche della Etnea, società che nel dicembre 2015 aveva acquistato la Quantas. Ma al “gruppo” non bastava ed è per questo che a un certo punto probabilmente hanno puntato su Roma.

Luigi Di Maio -



Buongiorno, anche oggi la Lega minaccia di far cadere il governo. Lo aveva già fatto con la Tav. Sembra ci siano persino contatti in corso con Berlusconi per fare un altro esecutivo. Sono pieni i giornali di queste ricostruzioni e lo trovo gravissimo. Sono davvero sbalordito. 
Trovo grave che si prenda sempre la palla al balzo per minacciare di buttare via tutto. Ma dov’è il senso di responsabilità verso i cittadini? Dove è la voglia di cambiare davvero le cose, di continuare un percorso, di migliorare il Paese come abbiamo scritto nel contratto?
L’Italia non è mica un gioco, l’Italia siamo noi e milioni di famiglie in difficoltà che vogliono un segnale. L’Italia non è un trofeo e trovo gravissimo che la Lega con così tanta superficialità ogni volta che gli gira minacci di far cadere il governo. Ma poi per cosa? Per non mettere in panchina un loro sottosegretario indagato per corruzione (che potrà poi rientrare nel governo laddove, mi auguro, si risolvesse positivamente la questione) sono pronti a far saltare tutto e a tornare con Berlusconi? Questo è il valore che danno all’Italia?
Scusatemi, ma è stato proprio il MoVimento 5 Stelle a bloccare i tentativi del sottosegretario leghista Siri di introdurre alcune misure diciamo un po’ controverse. E anche i giornali oggi ne danno conto. Noi ce le ricordiamo: quando arrivarono sui nostri tavoli ci sembrarono strane e le bloccammo. Questo dimostra che gli anticorpi del Movimento ci sono e sono ancora forti. Senza di noi chissà cosa sarebbe accaduto.
Abbiamo sempre agito rispettando un punto, un principio: la legalità! Siamo sempre stati coerenti su questo. Lo abbiamo dimostrato anche recentemente a Roma. Siamo nati sulla questione morale e gli indagati per corruzione o per aver preso mazzette e tangenti no, non possiamo accettarli. Siamo entrati per cambiare le cose, non per lasciarle così come sono.
Mi auguro che la Lega lo abbia capito. Perché quella di ieri su Virginia Raggi è stata una vera e propria sceneggiata mediatica. Tra l’altro, sempre ieri sera, a pochi giorni dallo scandalo sulla sanità che ha travolto il Pd in Umbria, ho avuto la fortuna di ascoltare il nuovo segretario del Pd dire che quando un politico è indagato, deve dare delle spiegazioni ai cittadini. Sono più che d’accordo, peccato però che ancora stiamo aspettando le sue di spiegazioni...
Vedete, la legalità, l’etica, la questione morale in politica hanno anche un prezzo, a volte, e un peso. Noi, questo peso, sappiamo sostenerlo. Noi questi valori li abbiamo sempre difesi. E continueremo a farlo. A testa alta e con orgoglio.


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giovedì 18 aprile 2019

Pagavano fino a 15 mila euro per un diploma falso che aprisse le porte della scuola pubblica. - Jacopo Ricca

Pagavano fino a 15 mila euro per un diploma falso che aprisse le porte della scuola pubblica
Inchiesta a Torino: nel mirino 150 tra segretari e bidelli.
Pagavano fino a 15mila euro per avere un diploma falso, ma anche per lavorare nella scuola privata e ottenere così un punteggio alto per avere un contratto nelle scuole pubbliche come bidelli, tecnici o segretari. I racconti fatti ai sindacati dai lavoratori, licenziati in questi mesi dalle scuole del Torinese che – su invito dell'Ufficio scolastico provinciale – hanno avviato i controlli sulle certificazioni, confermano come dietro all'intera vicenda ci sia un'organizzazione.
Sul caso - rivelato da Repubblica Torino oggi in edicola - arriva una condanna unanime da parte dei sindacati: “Quanto è accaduto è inaccettabile. Va tutelato il diritto di chi si è comportato in modo onesto e condannato chi porta avanti pratiche truffaldine – tuona Luisa Limone, segretaria regionale della Flc Cgil - Il numero dei posti disponibili e delle assunzioni a tempo indeterminato è molto più basso di quanto servirebbe e deve però far riflettere che si sia arrivati a questa situazione. Mi sembra molto preoccupante per il sistema. Va apprezzato l'atteggiamento degli uffici scolastici regionale e provinciale. Il passo successivo però deve guardare verso una stabilizzazione dei precari”. Durissima anche la segretaria torinese della Cisl Scuola, Teresa Olivieri: “I falsi e chi li ha fatti vanno condannati – ragiona – Trovo che sia inquietante anche la disponibilità alla truffa di queste persone che sapevano, nella maggior parte dei casi, che i diplomi erano falsi e si sono piegati a pagare cifre importanti”.
Da ottobre a oggi almeno 110 persone sono state licenziate e la posizione di 146 è al vaglio della procura di Torino dopo che l'Usp ha segnalato il caso ai magistrati. Le false attestazioni e i lavoratori arrivano tutti da Campania, Calabria e Sicilia: “Dopo alcune segnalazioni da parte delle scuole abbiamo ritenuto opportuno un intervento sulla tematica – racconta il direttore dell'USp Stefano Suraniti - L'inserimento di numerosi aspiranti con età molto giovane con punteggio molto alti, sia per i titoli che per i servizi svolti era sospetto anche perché i titoli spesso erano conseguiti in scuole paritarie di altre regioni e il servizio era svolto, spesso per poche ore, in scuole paritarie di altre regioni; pertanto abbiamo chiesto alle scuole di verificare il versamento dei contributi presso l’Inps ed è spesso risultato che tale versamento era assente”.
La cosa è stata confermata anche dai sindacati che hanno raccolto le lamentele di queste persone: “Per lavorare un'ora o due a settimana e avere il massimo punteggio a fine anno pagavano somme importanti, dai 5 ai 15mila euro a seconda del periodo e delle attività – raccontano i sindacalisti – C'è chi ha rinunciato a un lavoro al Sud per trasferirsi qua e ora ha perso tutto”.

Palermo, i quadri di Modigliani erano falsi: sequestro dopo la mostra a Palazzo Bonocore. - Romina Marceca

Palermo, i quadri di Modigliani erano falsi: sequestro dopo la mostra a Palazzo Bonocore

Indagati a Roma e a Spoleto l'organizzatore della mostra e il presidente dell'istituto Amedeo Modigliani. Le due opere avrebbero fruttato 9 milioni.

Erano stati esposti a Palazzo Bonocore per una mostra su Modigliani inaugurata nel novembre scorso. "Donna col capello" e "Hannelore", due volti di donna, erano in realtà  due dipinti falsi. Lo hanno scoperto i carabinieri del comando Tutela patrimonio culturale che hanno sequestrato i due dipinti falsamente attribuiti al maestro Amedeo Modigliani.

Le indagini dei militari del reparto operativo - sezione falsificazione ed arte contemporanea – si sono concentrate sulle poche opere reali esposte all’interno della mostra che proponeva principalmente un percorso artistico basato su proiezioni fotografiche multimediali di alcuni capolavori del maestro livornese.

I due quadri sono stati reputati falsi secondo alcuni pareri preliminari rilasciati da esperti d’arte di rinomata professionalità. Gli accertamenti sulla documentazione (certificati di autenticità e provenienza) hanno accertato che si trattava di fogli privi di autorevolezza dal punto di vista scientifico e pieni di passaggi contraddittori.

La procura di Palermo ha così chiesto e ottenuto il sequestro dei due dipinti: dipinto olio su tela cm 65x70 titolato “Hannelore”, provenienza eredità giacente del Tribunale Civile di La Spezia; dipinto olio su tela cm 62,5 x 40 titolato “Donna con cappello”, provenienza proprietà privata di una famiglia di Reggio Emilia.

Nel frattempo a Roma e a Spoleto sono state perquisite le abitazioni e gli studi del presidente dell’istituto Amedeo Modigliani di Spoleto (procacciatore delle due opere) e del curatore della mostra (autore anche delle certificazioni di autenticità). Entrambi sono indagati per il reato di contraffazione di opere d’arte.

Nel corso delle perquisizioni sono state trovate anche la documentazione relativa all’organizzazione della mostra e alla provenienza delle opere sequestrate. Sotto sequestro sono finiti anche materiale informatico e 27 beni d’arte di pregio verosimilmente contraffatti (di cui 3 opere grafiche di Modigliani e 24 dipinti di Picasso, Chagall, De Nittis, Boldini, Dalì e Guttuso) nascosti all’interno di una macchina di uno degli indagati, su cui sono in corso ulteriori accertamenti.

Secondo un calcolo, le due opere false se messe in commercio come autentiche avrebbero fruttato 9 milioni l'una mentre gli altri falsi avrebbero potuto far guadagnare ai due indagati fino a 5 milioni.


https://palermo.repubblica.it/cronaca/2019/04/18/news/palermo_i_quadri_di_modigliani_erano_falsi_sequestro_a_palazzo_bonocore-224361952/?fbclid=IwAR2oscNj8BFzogKUHzHP2hdi9l4SrS_jSJYv2UHRv7kYQVvihh2h6bLAvzw

mercoledì 17 aprile 2019

Lago Matheson, Nuova Zelanda






ALT! COSA C'È DIETRO L'INDAGINE SU SANDRO GOZI E SULLA PRESIDENTE DELLA BANCA CENTRALE DI SAN MARINO CATIA TOMASETTI?

Alt! Cosa c'è dietro l'indagine della magistratura – anzi di un magistrato – di San Marino sull'ex sottosegretario agli esteri Sandro Gozi e sulla presidente della Banca Centrale Catia Tomasetti? Davvero si tratta solo di una "consulenza fittizia" da 120mila euro in un anno, concessa dall'istituzione a Gozi, oppure c'è in ballo un gioco molto più grande da cui dipende il futuro e la sopravvivenza stessa del micro-stato che si professa indipendente dal 301 dopo Cristo? Cosa c'entra l'inverosimile visita ufficiale del ministro degli esteri russo Lavrov dello scorso 21 marzo?

giulio tremonti (2)GIULIO TREMONTI (2)
Facciamo un passo indietro fino alla storia recente. San Marino ha vissuto trent'anni di sfrenata crescita economica sostenuta solo dal suo mercato finanziario: dalle quattro banche che aveva all'inizio degli anni '80, altri istituti sono spuntati come funghi per approfittare di un grande e fiorente mercato: quello del riciclaggio del denaro. Il pil passa dagli 1,1 miliardi del 2000 ai 2,7 del 2008. Tutto è pubblico: mense, farmacie, ospedali. Il tenore di vita e il reddito pro-capite fanno impallidire gli italiani che vivono a pochi chilometri di distanza e attraggono migliaia di frontalieri.

Tutto fila liscio finché nel 2009 Giulio Tremonti, all'epoca ministro del Tesoro, non inserisce quel ''neo'' incastonato tra la Romagna e le Marche nella black list dei paradisi fiscali. Di fatto è un embargo finanziario per gli imprenditori italiani: chi fa affari con San Marino, si aspetti di ricevere la visita della Guardia di Finanza. Praticamente una condanna a morte.

Da lì, complice anche la crisi dei mutui subprime e il clima di grande sfiducia nei confronti delle istituzioni finanziarie, tutto inizia ad andare a rotoli, anche perché nessuno nel frattempo ha pensato a un piano B né investito in altri settori.

MONTE TITANO - SAN MARINOMONTE TITANO - SAN MARINO
Senza entrare nei dettagli, il seguito è noto: partono inchieste sui soldi della criminalità organizzata che passano per San Marino, politici e banchieri vengono arrestati, e i ricchi romagnoli che tenevano le loro fortune nelle banche del Titano iniziano a portare via i soldi perché annusano la mala parata.

Più o meno quello che succede allo Ior: le istituzioni internazionali come Commissione Europea, Moneyval (Consiglio d'Europa) e OECD cominciano a menare duro sui paesi che lucrano sull'opacità finanziaria. Se volete fare affari con i nostri paesi membri, dovete rinunciare al segreto bancario e ai traffici loschi.

catia tomasettiCATIA TOMASETTI
Passano gli anni e i conti di San Marino finiscono in pezzi, il welfare al collasso, le banche cadono come mosche. L'unica strada, sembra, è quella di fare pace con l'Unione Europea, che nel 2013 si dice pronta a offrire un ''Accordo di Associazione'' anche ad Andorra e Monaco. I tre campioncini dell'offshore non diventerebbero stati membri né farebbero parte dell'Area Economica Europea (in cui troviamo Islanda, Liechtenstein e Norvegia), ma se accettano l'aquis, la mole di legislazione comunitaria (inclusa la trasparenza fiscale), potranno ricominciare a fare affari con i loro vicini di casa.

Il processo va avanti ma molto lentamente, e una parte della politica locale, quella che vuole portare lo staterello nelle white list, decide che bisogna dare una sterzata, almeno di facciata.

Nell'aprile 2018 Catia Tomasetti, già partner dello studio legale Bonelli Erede, viene nominata presidente della Banca Centrale di San Marino (Bcsm), e due mesi dopo arriva la consulenza a Sandro Gozi. Lei ha il compito di ripulire le finanze del Titano e di studiare un futuro senza riciclaggio, magari puntando sulle agevolazioni fiscali. Se di questo campano Irlanda, Paesi Bassi e Lussemburgo, perché non può farlo San Marino?
Sandro Gozi Romano ProdiSANDRO GOZI ROMANO PRODI

Lui deve invece trattare con le istituzioni europee la definizione dell'Accordo di Associazione: non rieletto in Parlamento e con molti agganci e conoscenze a Bruxelles visto che è stato per 10 anni il braccio destro di Romano Prodi, aveva il profilo giusto per occuparsi ai negoziati che languono.

Da qui nasce l'inchiesta, o meglio nasce sulla base di un esposto anonimo che ''appare'' a dicembre sulla scrivania del magistrato Alberto Buriani, che accusa la Tomasetti di aver ''indotto il consiglio direttivo di Bcsm a stipulare un contratto di consulenza fittizia con Gozi, di cui aveva nascosto l'amicizia''. Lei replica al Resto del Carlino: ''Il consiglio direttivo era perfettamente al corrente della consulenza'', tanto che lei stessa aveva fatto pubblicare sul sito (la legge di San Marino non lo prevedeva) l'entità e la durata dell'ingaggio, e il loro rapporto era noto a tutti.

Poi aggiunge: ''Abbiamo commissariato un istituto (Banca Cis) e chi ci va intorno finisce sempre indagato''. E in effetti basta fare una rapida ricerca su Google per scoprire cosa succede a chi tocca questa banca.

Gli ultimi che avevano provato a riformare il sistema bancario di San Marino, firmando un Memorandum of Understanding con Bankitalia, sono stati condannati in primo grado e hanno perso il lavoro alla Bcsm, finché non sono stati assolti in appello e ri-assunti dall'attuale dirigenza.

Lui invece sostiene che la consulenza non sia affatto fittizia: si è recato molte volte a Bruxelles per trattare con la delegazione ufficiale di San Marino (ci sono i verbali), ha prodotto diversi report per la banca e lo stesso magistrato gli ha sequestrato 2800 email di lavoro attinenti all'incarico, che dunque in qualche modo è stato svolto.

Ma ora bisogna tornare alla visita di Lavrov a San Marino lo scorso 21 marzo, quando il ministro degli esteri russo è stato accolto trionfalmente dal Segretario di Stato per gli Affari Esteri Nicola Renzi (solo omonimo) e ai due Capitani (capi di Stato) Tomassoni e Santolini.

lavrov e nicola renziLAVROV E NICOLA RENZI
"Apprezziamo il fatto che San Marino, nonostante le pressioni esercitate sulla Repubblica dall'esterno, non abbia aderito alla spirale sanzionatoria antirussa promossa da Bruxelles, su dirette istruzioni di Washington. Questo approccio autonomo e pragmatico del vostro Paese, che favorisce lo sviluppo ulteriore dei nostri legami economico-commerciali e finanziari, merita il più profondo rispetto", ha dichiarato Lavrov.

Perché un uomo così potente si è prestato a un viaggio ufficiale in un micro-stato, per giunta nel pieno delle trattative di accordo con l'Unione Europea, a parlare male di Bruxelles e Washington? È presto detto: a San Marino molti non vogliono affatto abbandonare lo stile di vita da vitelloni di cui hanno goduto per decenni. Rinunciare al riciclaggio, attività in cui si erano specializzati senza necessità di chissà che titoli di studio, vuol dire imparare un mestiere e mettersi a lavorare per stipendi decisamente meno esorbitanti.
CATIA TOMASETTICATIA TOMASETTI

E allora, per mantenere lo status quo, non resta che l'alleanza con la Russia, vendere il debito a Mosca e garantire in cambio uno sbocco finanziario ''protetto'' per oligarchi in cerca di paradisi. Magari facendo passare per San Marino un po' di merci italiane, così da sfuggire all'embargo sull'export verso il puzzone Putin. A Lavrov non pare vero di mettere un'altra spina nel cuore dell'Europa.

Per farlo però, le trattative di Gozi con Bruxelles devono saltare, e il processo di pulizia della Tomasetti deve fermarsi. Lui si è appena candidato all'Europarlamento con la Renaissance macroniana, e dunque la sua collaborazione era già stata interrotta.

Mentre per costringere alle dimissioni lei, e rimettere al suo posto qualcuno più compiacente, niente di meglio di una bella inchiesta con grande rilancio sulla stampa italiana, interessata più a menare su Gozi (in quanto euro-macronista, un nemico perfetto per i sovranisti) che alle sorti delle finanze del Titano.

SANDRO GOZI EMMANUEL MACRONSANDRO GOZI EMMANUEL MACRON
Insomma San Marino è al bivio: mollare le vecchie abitudini per un futuro incerto ma ''inserito'' nel contesto europeo, o tenere in piedi i vecchi sistemi sperando nella protezione russa per tirare a campare. Quale strada sceglierà?

Ps: pochi minuti fa i dipendenti ''di ogni ordine e grado'' della Banca centrale di San Marino hanno emesso un comunicato a sostegno di Catia Tomasetti:

I dipendenti di ogni ordine e grado della Banca Centrale della Repubblica di San Marino, venuti a conoscenza tramite i media della notizia di un'indagine avviata dal Tribunale di San Marino che coinvolge l'Avv. Catia Tomasetti Presidente di Banca Centrale, esprimono la loro piena solidarietà alla stessa che, sin dal suo insediamento, si è impegnata con determinazione per il rilancio e consolidamento del sistema bancario e finanziario ed a difesa dell'autorevolezza dell'istituzione e delle professionalità dei dipendenti della Banca Centrale.

I dipendenti della BCSM, nell'esprimere la loro fiducia nell'operato della magistratura, auspicano che quanto emerso possa essere chiarito in tempi celeri, a tutela degli interessati, di BCSM e nel superiore interesse del Paese.


https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/alt-cosa-39-dietro-39-indagine-sandro-gozi-201270.htm

Mondo di mezzo, 13 a giudizio per falsa testimonianza. Anche Micaela Campana: al processo pronunciò 39 “non ricordo”.

Mondo di mezzo, 13 a giudizio per falsa testimonianza. Anche Micaela Campana: al processo pronunciò 39 “non ricordo”

Con la deputata del Pd, per decisione del gup Costantino De Robbio, andranno a processo altre 12 persone tra le quali Antonio Lucarelli, ex braccio destro del sindaco Gianni Alemanno, e l’ex direttore del Dipartimento promozione dei servizi sociali del Comune di Roma, Angelo Scozzafava. Il processo è stato fissato al 13 novembre.

Molti “non so“, moltissimi “non ricordo“. Trentanove in tutto, tutti pronunciati in aula. Troppi per i magistrati capitolini, che per tutte le amnesie inanellate il 17 ottobre 2016 hanno rinviato a giudizio per falsa testimonianza deputata la del Partito Democratico Micaela Campana. Con lei, per decisione del gup Costantino De Robbio, andranno a processo altre 12 persone tra le quali Antonio Lucarelli, ex braccio destro del sindaco Gianni Alemanno, e l’ex direttore del Dipartimento promozione dei servizi sociali del Comune di Roma, Angelo Scozzafava. L’accusa: nel corso del processo di primo grado al Mondo di mezzo mentirono davanti ai giudici della X sezione penale del Tribunale di Roma. Il processo è stato fissato al prossimo 13 novembre davanti alla settima sezione penale.



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I pm di piazzale Clodio, che il 26 ottobre 2018 avevano chiesto il rinvio a giudizio, contestavano alla Campana di “aver negato reiteratamente numerose circostanze della sua vita politica e personale”, fra le quali “la richiesta rivolta a Salvatore Buzzi di curare il trasloco per il cognato Nicolò Corrado, le ragioni dell’incontro del 4 aprile 2014 con Buzzi presso la sua abitazione, i collegamenti diretti di Buzzi con l’ex viceministro dell’Interno Filippo Bubbico e l’interessamento di quest’ultimo alle vicende inerenti alla gara per la gestione del Cara di Castelnuovo di Porto“. Secondo i pubblici ministeri campana aveva “affermato il falso, ovvero taceva, in tutto o in parte, ciò che sapeva intorno ai fatti sui quali era interrogata”.
Ex moglie di Daniele Ozzimo, assessore alla casa della giunta Marino (condannato in appello a 2 anni e due mesi per corruzione), Campana aveva pronunciato la prima raffica di “non ricordo” proprio a proposito dell’incontro tra Buzzi e Bubbico: la deputata aveva riferito di non ricordare, negando circostanze ben definite nelle intercettazioni telefoniche. “Non ricordo se Buzzi mi indicò le motivazioni per cui mi chiese quell’incontro”, affermava la Campana, che, di fronte all’incalzare delle domande del difensore del presidente della Cooperativa 29 giugno, aveva motivato l’amnesia con il fatto che erano passati diversi mesi.
All’ennesima dichiarazione approssimativa la presidente della Corte, Rossana Ianniello, l’aveva redarguita: “Lei non può rispondere dicendo ‘Probabilmente sì’. Lei è una componente della Commissione Giustizia e dovrebbe sapere che il testimone risponde sui fatti di cui è a conoscenza. E qui non facciamo giudizi sulla base di probabilità”. All’ennesimo “non ricordo” Ianniello era costretta a ricordarle la gravità di una testimonianza falsa in un processo e rincarava: “Lei è anche una persona giovane, quindi questo “non ricordo” continuo come ce lo spiega?“. “Faccio anche altre cose“, era stata la risposta lapidaria della parlamentare Pd.
Nonostante il rinvio a giudizio che pendeva sulla sua testa, il Pd aveva deciso di ricandidarla e con il voto del 4 marzo la Campana era tornata in Parlamento anche nella diciottesima legislatura: ancora una volta alla Camera, dove è membro della commissione Affari sociali. Durante il mandato precedente aveva tenuto per tre anni il proprio assistente con contratti a progetto da 1500 euro lordi al mese. Davanti al giudice  aveva poi accettati di pagarne 16mila, ma in cambio dall’ex collaboratore aveva preteso un impegno al silenzio tombale.

Per la Procura, poi, Lucarelli aveva detto il falso nell’aula bunker di Rebibbia quando aveva affermato “di non conoscere Massimo Carminati, di non essere mai stato contattato dallo stesso nel periodo in cui ha svolto le mansioni di capo segreteria di Alemanno, di non aver subito da Carminati alcuna intimidazione e di aver avuto rapporti conflittuali con Buzzi che, poi, ridimensionava nella rilevanza”.
Il giudice De Robbio ha disposto il proscioglimento per Biagio Campanale, Maurizio Mattei, Maurizio Franchini e Angelo Chiorazzo.