L’irresistibile ascesa Il nuovo “divo” Giulio autore di gaffe e disastri Covid è sempre stato un mister preferenze, dai tempi del liceo Vittorio Veneto.
Era dal mezzo pollo di Trilussa che non si sentiva un così sofisticato elogio della scienza statistica. Il milanese Giulio Gallera ha battuto il poeta romano: “Se l’indice di contagio è 0,5 servono due persone infette allo stesso momento per infettare me”. Come dire che per contrarre l’Aids (indice di contagio 0,1) bisogna fare l’amore contemporaneamente con 10 uomini, o 10 donne. Sono gli effetti collaterali del Covid-19: in poche settimane, imbolsito da un’indigestione di dichiarazioni, conferenze stampa, interviste, dirette Facebook, il più visibile e mediatico degli assessori regionali, pronto alla candidatura a sindaco di Milano, è precipitato nella Geenna dei reietti. Il centrosinistra chiede le sue dimissioni, la Lega lo vorrebbe cacciare. Prima delle illuminazioni statistiche, c’erano state la mancata chiusura in zona rossa di Alzano Lombardo, l’abbandono dei medici di base, i tamponi con il contagocce, il trasferimento degli infetti nelle residenze per anziani, i test sierologici prima rifiutati e poi liberalizzati, il flop dell’ospedale in Fiera. E prima ancora? Chi era Gallera, prima di diventare Gallera?
Era il figlio del Cavalier Eugenio, il padrone delle Ferriere. Quando Giulio nasce, nel 1969, la Ferriera di Caronno Pertusella, cresciuta negli anni del boom a metà strada tra Milano e Varese e a un passo dalla più nota acciaieria dei Riva, è diventata fornitrice dell’Alfa Romeo e fa utili d’oro. Poi la crisi dell’auto e la dismissione dell’Alfa di Arese fa chiudere anche la Ferriera di Caronno. Intanto Giulio si è iscritto al liceo scientifico Vittorio Veneto di Milano. Si professa liberale, come il padre, che oltre a essere Cavaliere del lavoro è anche “governatore” di quella forma moderata di loggia che è il Lions Club. Negli anni dei paninari, Giulio è un bravo ragazzo con le gote rosse che va vestito elegantino, giacchetta invece del bomber, non è proprio un fulmine con le ragazze, cerca di diffondere il verbo liberale, si scontra (a parole) con i ragazzi di sinistra e, benché non sia proprio quello che si dice un leader carismatico, riesce a farsi eleggere nel consiglio d’istituto. Dopo la maturità si iscrive a Giurisprudenza alla Statale di Milano, fa pratica presso lo studio di Marco Rocchini, il sindaco forzista di Arcore, e diventa avvocato. Ma a esercitare davvero la professione è solo suo fratello Massimo, perché Giulio è il politico della famiglia.
Comincia presto, facendosi eleggere due volte, nel 1990 e nel 1993, in consiglio di zona 19, San Siro, nelle liste del Partito liberale. Poi aderisce a Forza Italia, ala laica, non quella formigoniana di Cl, e nel 1997 viene eletto per la prima volta in Consiglio comunale. Dimostra subito una buona capacità di raccogliere voti. Tanto che, rieletto nel 2001, ottavo per preferenze, lo fanno assessore: al Decentramento e ai servizi funebri e cimiteriali, tanto per cominciare. Presagio del futuro? Con il suo sindaco, Gabriele Albertini, non va sempre d’accordo: da liberale, Gallera non approva per esempio la recinzione e la chiusura notturna di piazza Vetra, blindata in nome della sicurezza e della guerra agli spacciatori di fumo; e nel 2003 non si unisce al coro della destra che vuole proibire il concerto a Milano di Marilyn Manson. Cresce, in politica, elezione dopo elezione. Due piccoli incidenti, tra il 2010 e il 2011, non fermano la sua corsa. Il nome del fratello Massimo compare nell’elenco di Affittopoli, perché ha lo studio legale in un appartamento di Porta Romana di proprietà del Pio Albergo Trivulzio. Il nome di Giulio è scritto invece in qualche carta dell’antimafia di Ilda Boccassini, perché gli amici degli amici della ’ndrangheta lo nominano nelle loro telefonate come un possibile interlocutore a cui portare voti. Ma qui il terreno è minato: mai indagato, Gallera ha querelato il Fatto, che aveva raccontato la vicenda, ha vinto e ora chiede molti soldi perché gli avremmo rovinato la carriera. In realtà la sua carriera è stata finora tutta in ascesa. Consigliere di zona, consigliere comunale, capogruppo di Forza Italia, assessore comunale, poi consigliere regionale, infine assessore al Welfare, sanità e assistenza, nell’assessorato con il budget più ricco (19,2 miliardi) nella regione più ricca d’Italia.
Giulio Gallera è uomo fortunato, che trasforma le cadute (altrui) in balzi (propri). Entra in consiglio regionale, per dire, perché nel 2012 sostituisce, come primo dei non eletti, Domenico Zambetti, arrestato perché comprava i voti della ’ndrangheta a 50 euro l’uno. L’anno dopo entra al Pirellone per la porta principale, 11° nella classifica delle preferenze. Conquista la poltrona più ambita della giunta lombarda nel 2016, dopo che il suo predecessore alla Sanità, il ras di Forza Italia Mario Mantovani, atteso una mattina a Palazzo Lombardia per aprire i lavori della Giornata della Trasparenza, viene arrestato per corruzione e concussione. I leghisti cercano di approfittarne per impossessarsi della gestione della sanità lombarda, ma la coordinatrice di Forza Italia, Mariastella Gelmini, non molla la presa e impone Gallera. Poi è tutto un susseguirsi di manovre per contenerlo, mettendogli a fianco uomini di valore, come l’ex rettore Gianluca Vago e l’ex direttore generale della Statale Walter Bergamaschi. Niente da fare. Li fa fuori. Del resto, ha i voti: alle Regionali del 2018 è primo assoluto con 11.722 preferenze. Viene comunque controllato a vista da due leghisti che ne limitano le deleghe e controllano le scelte: Davide Caparini, assessore al Bilancio, e Giulia Martinelli, la Papessa, ex moglie di Matteo Salvini, capo di gabinetto del presidente regionale Attilio Fontana. Non bastano. Poi arriva Covid-19 e Gallera diventa incontenibile. Show quotidiani e gaffe. Ma ora forse la ruota della fortuna è girata.