lunedì 12 ottobre 2020

La bugia da cui è nato il razzismo. - John Biewen

 

Sono un giornalista, documentarista e insegnante, per molto tempo il razzismo è stato un grande rompicapo per me: Perché esiste ancora, se è così chiaramente sbagliato? Da dove è nato?

La scienza è chiara. Siamo un’unica razza. Siamo tutti collegati, discendenti di un antenato in Africa. Alcune persone hanno lasciato l’Africa per luoghi più freddi e bui e hanno perso molta melanina, alcuni di noi più di altri. Ma geneticamente, siamo tutti uguali al 99,9%. C’è più diversità genetica all’interno di quelli che chiamiamo “gruppi razziali” che tra gruppi razziali diversi. Non c’è gene per essere bianco, nero, asiatico o di qualsiasi altra razza.

Allora, cosa è successo? Come è iniziato il razzismo?

Innanzitutto, la razza è un’invenzione recente, vecchia di poche centinaia di anni. Prima di allora, le persone erano divise per religione, gruppo tribale, lingua. Ma per la maggior parte della storia umana, la gente non aveva alcuna nozione di razza.

Nell’antica Grecia, per esempio, come mi ha riferito la storica Nell Irvin Painter, i greci pensavano di essere migliori degli altri, ma non per una qualche idea di superiorità innata. Pensavano solo di aver sviluppato una cultura più avanzata. Così guardarono gli etiopi, i persiani e i celti e dissero: “Sono tutti per metà barbari rispetto a noi. Culturalmente, semplicemente non sono greci”.

E nel mondo antico c’era molta schiavitù, ma la gente schiavizzava quelli che non gli assomigliavano. Lo sapevate che la parola inglese slave” (schiavo) deriva da “slav”? Perché gli slavi sono stati schiavizzati per secoli da ogni sorta di popoli, compresi gli europei occidentali. La schiavitù non era nemmeno una questione di razza, perché nessuno ci aveva ancora pensato.

Chi ci aveva pensato allora? L’ho chiesto a un altro storico importante, Ibram X. Kendi. Sembra impossibile ma mi rispose con un nome e una data, come se si trattasse dell’invenzione della lampada.

Mi disse che nella sua esauriente ricerca (pubblicata nel libro) ha trovato quella che, a suo avviso, era la prima articolazione delle idee razziste. E fece il nome del colpevole: Gomes Eanes de Zurara, uno scrittore portoghese. Scrisse un libro nel 1450 in cui, secondo Kendi, fece qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima. Riunì tutti i popoli dell’Africa, un continente vasto ed eterogeneo, descrivendoli come un gruppo diverso, inferiore e bestiale. Non importa che in quel periodo pre-coloniale alcune delle culture più sofisticate del mondo fossero in Africa.

Ma perché questo tizio disse tutto ciò?

Per rispondere dobbiamo seguire la strada dei soldi. Prima di tutto, Zurara fu assunto dal re portoghese per scrivere quel libro, (Cronaca della scoperta e della conquista della Guinea) e solo pochi anni prima, i mercanti di schiavi legati alla corona portoghese erano stati effettivamente pionieri della tratta degli schiavi dell’Atlantico. Furono i primi europei a navigare direttamente verso l’Africa sub-sahariana per rapire e schiavizzare gli africani. Così è stato improvvisamente molto utile avere una storia sull’inferiorità degli africani per giustificare questo nuovo commercio, ad altre persone, alla chiesa, a se stessi. E con la scrittura, Zurara inventò sia il nero che il bianco, perché fondamentalmente creò il concetto di nero attraverso questa descrizione degli africani, come dice Ibram Kendi: “il nero non ha senso senza il bianco”. Zurara disse che gli africani catturati e venduti come schiavi erano pagani e avevano bisogno di salvezza religiosa e civile. Altri paesi europei seguirono l’esempio portoghese nel cercare in Africa beni umani adottando questa bugia sull’inferiorità delle persone africane.

Il razzismo non è iniziato con un malinteso, ma con una bugia.

Nel frattempo, qui negli Stati Uniti coloniali, le persone che si definivano bianche adottarono queste idee razziste trasformandole in leggi, privando tutti i diritti umani delle persone che chiamavano nere.

Posso immaginare che possiate pensare: “Questa è storia antica”. Che importanza ha? Le cose sono cambiate. Non possiamo superarlo e andare avanti?”. Per me imparare questa storia ha portato un vero cambiamento nel modo in cui oggi comprendo il razzismo.

La razza non è qualcosa di biologico, è una storia che alcuni hanno deciso di raccontare. La gente ha raccontato questa storia per giustificare il brutale sfruttamento degli esseri umani a scopo di lucro. Non ho imparato questi due fatti a scuola, credo che la maggior parte delle persone non l’abbia fatto. Dopo aver appreso ciò, diventa chiaro che il razzismo non è essenzialmente un problema di atteggiamenti, di intolleranza individuale. No, è uno strumento per dividerci e sostenere sistemi economici, politici e sociali che vanno a beneficio di alcuni e prevalgono su altri. Ed è uno strumento per convincere molti bianchi, che possono o meno guadagnare molto da una società altamente stratificata, a sostenere lo status quo. “Potrebbe essere peggio. Almeno sono bianco”.

Persone potenti lavorano ogni giorno approfittando e rinforzando questa vecchia arma nei corridoi del potere. E non dobbiamo preoccuparci se queste persone credono a quello che dicono, se sono davvero razziste. Non si tratta di questo, ma di soldi e di potere.

Infine, la più grande lezione di tutte, e mi rivolgerò in particolare ai bianchi. Quando capiamo che le persone che ci assomigliano hanno inventato il concetto stesso di razza per ottenere un vantaggio, non è più facile capire che è un nostro problema da risolvere? E’ un problema dell’uomo bianco. Mi vergogno di dire che per molto tempo ho pensato al razzismo principalmente come a una lotta per le persone di colore.  Ci siamo tutti dentro.  Siamo implicati.  E se non mi unisco alla lotta per smantellare un sistema  che mi avvantaggia,  sono complice.

Non si tratta di vergogna o di senso di colpa. La storia non è colpa mia o vostra. Quello che sento è un maggiore senso di responsabilità nel fare qualcosa.

Tutto questo ha modificato il mio modo di pensare e di avvicinarmi al mio lavoro di documentarista e di insegnante. Ma oltre a questo, cosa significa? Cosa significa per ognuno di noi? Significa che sosteniamo i leader che vogliono risolvere la situazione? Nelle nostre comunità, troviamo persone che lavorano per trasformare istituzioni ingiuste? Nel mio lavoro, sono io la persona bianca che sta cercando di capire come essere un vero complice dei miei colleghi di colore o il contrario? Ovunque ci presentiamo, dobbiamo farlo con umiltà e vulnerabilità e con la volontà di mettere via questo potere che non ci siamo guadagnati.

Possiamo trarre tutti beneficio se riusciamo a creare una società che non sia basata sullo sfruttamento o sull’oppressione di nessuno. Ma dobbiamo farlo, capire come agire. Perché è la cosa più giusta da fare.

(Photo Di Shutterstock Edited by happygrafic.com)

(Traduzione e adattamento del Tedx di John Biewen)

https://www.beppegrillo.it/la-bugia-da-cui-e-nato-il-razzismo/

Covid, restiamo umani. Pazienti dimenticati, visite negate. “Mai usciti dalla prima ondata”. - Selvaggia Lucarelli

 

Morire di quarantena: 87 anni, negativo, se ne va senza la moglie

Cara Selvaggia, sono assistente sociale in un piccolo comune, vicino Verona. Seguo gli anziani e vorrei mostrarle un’altra faccia dell’emergenza Covid, raccontando una vicenda davvero triste, che mi ha toccato molto dal punto di vista professionale e soprattutto umano. Una coppia di anziani, lui 80 anni, lei 87. Insieme da una vita, niente figli, niente nipoti, niente parenti prossimi. Si sono arrangiati finché hanno potuto, poi li ho affiancati per consentire loro una vita dignitosa nella propria casa. Fino a quando bussa la bestia nera, il Covid. Loro due terrorizzati, barricati in casa. Certo non lasciati soli, ma comunque soli. Con l’isolamento arriva anche la demenza senile di lui, prepotente, velocissima. Spaventosa per lei, che non sa più a un certo punto come gestire il marito, che ogni tre per due si mette in testa di fare cose assurde e lei non riesce a dissuaderlo; lui si mette in pericolo e cade spesso. Di notte non si dorme. Arriva settembre e lei è esausta, nonostante gli aiuti domiciliari. Serve un periodo di sollievo in una struttura protetta (in questo caso è una casa di riposo), per consentire a lei di recuperare le forze e a lui di essere curato. Arriva il giorno del ricovero (dopo il tampone negativo): li accompagna la nostra ragazza di Servizio civile. L’accoglienza è traumatica, prendono lui e lo portano subito nella sua stanza. Non li fanno nemmeno salutare. Lei torna a casa, spaesata, inizia subito a telefonare in struttura per sapere come sta il marito, se ha mangiato, se ha dormito. Non hanno cellulari e gli operatori non glielo passano al telefono. A lui fanno un altro tampone appena arrivato, anche questo negativo: ma deve stare in isolamento, ancora, per 15 giorni. A tratti è lucido, ma in generale non sa bene dove si trova. Non può vedere nessuno. Lei insiste (e anche io) perché glielo facciano vedere anche per 5 minuti, da dietro un vetro, per mostrargli che sua moglie c’è ancora, non l’ha abbandonato. Impossibile, prima visita consentita dopo 3 settimane (15 giorni più il tempo dell’esito del 3º tampone). Ecco, lui non ci è mai arrivato a rivederla: dopo 13 giorni di “prigionia” si è semplicemente lasciato andare. Senza avere nessuna patologia tale da causare un decesso. Lo comunicano a lei quella notte alle 2, era sola. E disperata. È stato protetto eccellentemente dal Covid, ma è stato ucciso dalla mancanza di umanità. Forse stiamo perdendo di vista qualcosa. Grazie per l’attenzione.

Silvia

“No-mask irresponsabili, e io che speravo dopo il lockdown…”

Ciao Selvaggia, sono un’infermiera e durante la prima ondata di pandemia ho lavorato nel reparto Covid della mia clinica (un istituto del gruppo ospedaliero San Donato). Io, infermiera di cardiochirurgia da anni, di colpo sono stata catapultata in una realtà nuova! Ho pianto tanto: vedevo ammalarsi colleghi medici, infermieri e operatori socio sanitari, senza sapere se ce l’avrebbero fatta. Ho pianto con gli anestesisti quando abbiamo dovuto scegliere chi attaccare al respiratore (che erano sempre molto pochi) e chi accompagnare verso la fine. Ho pianto con i pazienti, che mi guardavano negli occhi chiedendomi se ce l’avrebbero fatta! Ho pianto da sola perché avevo sempre paura di infettare mio marito, ho pianto per i mesi trascorsi lontana da genitori e affetti. Quando la situazione è migliorata ho davvero sperato che fossimo tutti consapevoli della gravità della pandemia, e che si riuscisse (per una volta) a seguire le regole! Ma ora per colpa dei negazionisti, dei “no mask” e di tutti quelli che se ne fregano, non posso più fare il mio lavoro, il lavoro che amo. Nella mia clinica (100 posti letto circa) ci sono 6 pazienti positivi, ed io sono obbligata in casa per via di un branco di irresponsabili! E per fortuna sono una di quelle che non ha mai pensato che “andrà tutto bene”. Almeno, sono rimasta sorpresa a metà.

L.

“Io, malato di cancro, un numero nella fredda macchina sanitaria”

Cara Selvaggia, col Covid l’Italia si è dimenticata di chi i problemi di salute li affronta ogni giorno. Io, tumore a 22 anni, infarto e problemi cardiorespiratori (provocati dalle radioterapie), ora ho 35 anni. Mi sono costruito una famiglia, un lavoro impegnativo, affetti, desideri, gioie, dolori, piccoli successi e molti insuccessi. Nonostante tutto. Ho vissuto. In questo periodo, accedere in ospedale per le mie piccole emergenze o per i controlli di routine è divenuto un’impresa. La macchina sanitaria avanza in modo sbrigativo perché c’è il Covid: da paziente cronico mi sento sempre più un numero, un codice di un esame, un “ci rivediamo al prossimo controllo” e via. Non va. Persone senza mascherina ti tossiscono accanto, ti arrivano addosso; ragazzini ti guardano con atteggiamento di sfida senza indossare la mascherina. Questo, è tanto altro. Ho sempre desiderato vivere, oltre i miei problemi. Oggi voglio solo sopravvivere per i miei figli.

M.

Queste tre lettere indicano con chiarezza che al di là dei numeri, delle statistiche, della situazione ad oggi (poco) più rassicurante che in altri Paesi europei, nulla è finito. E che forse non si può parlare di seconda ondata. La verità è che sia da un punto di vista psicologico che sanitario, non siamo mai usciti dalla prima.

Selvaggia Lucarelli

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/12/covid-restiamo-umani-pazienti-dimenticati-visite-negate-mai-usciti-dalla-prima-ondata/5962639/

La sai l’ultima? - Tommaso Rodari

 

Notizie sconfortanti. L’analisi raffinata del leghista Ciocca, uomini che ingoiano spazzolini da denti, furti che portano jella, spacciatori sfortunati e bimbi senza astuccio.

Il leghista Ciocca “In Germania, Francia
e Spagna più contagi perché non hanno il bidet”. 

L’eurodeputato della Lega Angelo Ciocca, alla faccia delle astruse argomentazioni di scienziati e virologi, ha ben chiaro il motivo per cui in Italia (per ora) i contagi sono meno numerosi che negli altri principali Paesi europei. In sintesi: il merito è del bidet. Gli italiani sono un popolo pulito; spagnoli, inglesi e francesi invece sono zozzoni, e la prova più evidente è che nei loro bagni c’è un accessorio in meno che nei nostri. Ciocca potrà sembrare un cretino qualsiasi invece è uno dei leghisti con il numero più alto di followers sui social network ed è un recordman di preferenze a Bruxelles (90mila nelle elezioni del 2019 nella circoscrizione Nord Ovest). Insomma, è un salviniano di rango. E infatti dice cose così: “Il popolo italiano è uno dei più puliti. Gli altri popoli hanno un’attenzione alla pulizia dei locali e della persona diverse. Non so se siete stati in Francia o in Spagna. Se uno entra in un bagno italiano trova un pezzo in più, un sanitario in più”. Il bidet. L’unico vero vaccino anti Covid.

Sassuolo Ladri rubano un furgone, viene ritrovato
grazie al Gps, ma il giorno dopo lo rubano di nuovo.
Struggenti notizie da Sassuolo, in Emilia. Il furgone dell’emporio sociale “Il Melograno” è stato rubato due volte in 48 ore. Potrebbe essere un record. Il mezzo è stato portato via dai ladri, subito ritrovato grazie al Gps ma immediatamente sottratto ai suoi sbigottiti proprietari ancora una volta. “Nella notte tra domenica 4 e lunedì 5 ottobre – si legge sul sito Modena 2000 – ignoti si sono introdotti all’interno dell’emporio della solidarietà ‘Il Melograno’ ed hanno sottratto il furgone. Grazie alla localizzazione GPS applicata al mezzo e alla collaborazione delle forze dell’ordine, il furgone è stato ritrovato nella mattinata di lunedì 5 ottobre a Modena e prontamente restituito. Tuttavia, nella notte tra lunedì 5 e martedì 6 ottobre l’episodio si è ripetuto: ignoti hanno nuovamente sottratto il mezzo, questa volta rendendolo non raggiungibile a causa della rimozione del sistema di tracciamento Gps”. Si chiama accanimento.

Pompei Portano via dei reperti dagli scavi archeologici
ma dopo anni consegnano la refurtiva: “Tenetela, porta sfiga”.
Con la scaramanzia non si scherza. Anni fa alcuni ladri anonimi avevano rubato dei reperti archeologici dagli scavi di Pompei, ma di recente, all’improvviso, hanno deciso di restituire il maltolto. Come mai? Parole loro: “porta sfiga”. I reperti erano stati sottratti nel lontano 2005: due tessere di mosaico, un pezzo di ceramica e due pezzi di anfora. Solo che da quel momento la vita degli autori del furto era stata martoriata da una serie impressionante di eventi negativi. I malviventi quindi, dopo anni di sfortune senza soluzione di continuità, hanno preso la decisione irrevocabile di rispedire la refurtiva in Italia. “Questi reperti portano sfiga, riprendeteveli” era il contenuto inequivocabile di due lettere in inglese finite sulla scrivania del titolare di un’agenzia di viaggio di Pompei. Il quale, dopo qualche attimo di comprensibile smarrimento, ha consegnato i pacchetti ai carabinieri che hanno il presidio nel parco archeologico.

Riccione Arrestato per spaccio, mentre i carabinieri
lo portano in commissariato gli entrano i ladri in casa.
Il premio amarezza della settimana lo vince uno spacciatore di Catanzaro, residente a Riccione, che si è fatto beccare dalle forze dell’ordine mentre vendeva cocaina sotto casa. All’arresto è seguita una fruttuosa perquisizione domiciliare: i carabinieri hanno trovato 18 grammi di polvere bianca, un bilancino di precisione e un rotolo di contanti. Lo spacciatore è stato quindi portato in caserma. E qui avviene il passaggio dal dramma alla farsa: mentre era assente, i ladri gli sono entrati in casa e gli hanno rubato il poco che non fosse già stato sequestrato. Dopo il passaggio in commissariato il calabrese è stato è tornato alla sua abitazione per iniziare a scontare gli arresti domiciliari, in attesa del processo. Varcata la soglia ha trovato tutto sottosopra, casa sua trasformata nel classico scenario di un furto. Una giornata davvero indimenticabile. Se non altro lo spacciatore non ha dovuto chiamare le forze dell’ordine per un sopralluogo: erano già lì con lui.

Bologna Apre il primo “ristorante a tempo”: il conto
dipende da quanto a lungo si rimane seduti a tavola.
Il principio è rivoluzionario: ingozzatevi e vi faremo uno sconto. A Bologna infatti ha appena aperto il primo ristorante dove il conto non dipende da cosa si è mangiato ma da quanto si è rimasti seduti a tavola. É la prima “osteria a tempo”, come hanno raccontato con un certo orgoglio a Today.it i due titolari Antonella De Sanctis e Mirco Carati. “Per sopravvivere agli effetti del coronavirus abbiamo meditato una vera e propria trasformazione – raccontano –. Ci hanno parlato di un vecchio locale di via del Pratello in cui si mangiavano solo fagioli. Più si stava, più si mangiava e si pagava appunto proporzionalmente al tempo trascorso. La lampadina si è accesa e senza tradire la nostra natura e la nostra cucina, abbiamo deciso di provare una strada senza dubbio originale che consentirà a più persone (con lo stesso budget, la stessa qualità e le stesse porzioni) di cenare da noi prenotando una fascia oraria e consumando a volontà in quel lasso di tempo”. È un’idea geniale o una boiata pazzesca?

Il titolo della settimana Tgcom24: “Bimbo dimentica
l’astuccio e resta fermo 5 ore per le norme anti-Covid”.
Il titolo della settimana ce lo regala Tgcom.24, il notiziario online di Mediaset: “Bimbo dimentica l’astuccio, nessuno può prestargli la matita per le norme anti-Covid: resta fermo 5 ore”. Una roba che sembra un po’ uno sketch comico dei Simpson e un po’ un editoriale provocatorio di Mario Giordano contro il governo. Sarà andata davvero così? Ci concediamo il beneficio del dubbio. Intanto vi riportiamo l’articoletto di Mediaset: “Cinque ore in classe senza mai scrivere. É successo in una scuola primaria di Sassari, dove un bambino di 10 anni di quinta elementare ha dimenticato l’astuccio. E, a causa delle norme anti-Covid, è rimasto fermo per tutta la giornata scolastica. Nessuno, infatti, ha potuto prestargli una penna o una matita. Il regolamento, che vieta lo scambio di materiale didattico tra studenti, ma anche tra alunni e insegnanti, è stato applicato alla lettera. Una storia analoga arriva da Trieste, dove un bimbo di 7 anni è stato asciato a fissare il vuoto per otto ore perché sprovvisto dell’astuccio, dimenticato a casa”.

India Un uomo ingoia il suo spazzolino di 19 centimetri:
viene operato d’urgenza e salvato per un pelo.
Rischiare la pelle per lavarsi i denti: è successo in India, dove un uomo è stato operato d’urgenza dopo aver ingoiato il suo spazzolino. L’intervento chirurgico di per sé non è particolarmente complesso ma le immagini pubblicate da Metro.uk sono piuttosto impressionanti: i medici hanno inciso l’addome del 39enne indiano e hanno tirato fuori uno spazzolino lungo 19 centimetri, completamente ricoperto di sangue e liquido ematico. L’incidente non è difficile da ricostruire: l’uomo si stava lavando i denti quando l’oggetto gli è sfuggito dalle mani e si è infilato in gola. Il mago delle abluzioni mattutine è riuscito in qualche modo a ingoiare l’intero spazzolino, ma deve essersi reso conto che la digestione non sarebbe stata indolore. Quindi il pronto soccorso, poi l’ospedale (a 100 km di distanza). La radiografia e le prime indagini non hanno individuato lo spazzolino, i medici hanno concluso che dovesse essere già nello stomaco e sono intervenuti subito. Altrimenti l’incidente sarebbe potuto diventare letale.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/12/la-sai-lultima-17/5962634/

Vaccini: a Big Pharma i miliardi, ai governi rischi e risarcimenti. - Nicola Borzi

 

La corsa per creare vaccini contro il Covid-19 accelera grazie agli iter privilegiati concessi dalle autorità sanitarie, spinte dalla necessità di frenare la seconda ondata della pandemia. Con la fretta, però, aumentano i pericoli che eventuali effetti indesiderati emergano solo dopo la distribuzione di massa. Intanto, grazie al suo enorme potere negoziale, Big Pharma prima si è fatta finanziare la ricerca dai contribuenti e poi di fatto ha scaricato i rischi sui governi.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, al 2 ottobre erano 42 i vaccini candidati in fase di valutazione clinica. Di questi, 9 sono al terzo e ultimo stadio dei test, già in prevendita a molti Paesi. Uno viene sviluppato da AstraZeneca in collaborazione con l’Università di Oxford e la Irbm di Pomezia (Roma). Tre arrivano dalle società Usa Johnson & Johnson, Moderna, Pfizer insieme alla tedesca BioNTech. Quattro sono elaborati in Cina da Sinovac, CanSino e Sinopharm, che ne ha due. L’ultimo è della russa Gamaleya. Altri 151 prodotti sono in fase di valutazione pre-clinica.

I produttori rischiano ben poco. Dal punto di vista industriale, molti governi li stanno finanziando a piene mani. Gli Usa hanno già distribuito a una quarantina di aziende più di 9,35 miliardi di euro dell’Operazione Warp Speed, l’iniziativa voluta dal presidente Donald Trump per accelerare lo sviluppo di vaccini, sistemi diagnostici e terapie contro il Covid. Al medesimo scopo la Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen ha già versato 1,01 miliardi, impegnandone per il futuro altri 3,41, 1,56 miliardi in proprio e 1,85 tramite la Banca europea degli investimenti. Il solo vaccino di AstraZeneca ha raccolto fondi pubblici per 1,35 miliardi dagli Usa e dalla fondazione sanitaria globale Cepi.

A livello commerciale, Bruxelles ha già firmato due contratti commerciali con Sanofi-Gsk e AstraZeneca, alla quale Italia, Francia, Germania e Olanda hanno assegnato una commessa per 400 milioni di dosi. Inoltre altri colloqui esplorativi si sono chiusi in modo positivo tra la Ue e Johnson & Johnson, CureVac, Moderna e BioNTech. Ma i contenuti legali di tutti gli accordi, come spiega Bruxelles, resteranno segreti. Sul fronte dei prezzi, la stessa AstraZeneca si è impegnata a vendere il suo futuro vaccino a prezzo di costo sino a quando la pandemia non sarà “finita”: ma, in base a un documento esaminato dal Financial Times, si è riservata in esclusiva il diritto di dichiarare finita l’epidemia già dal primo luglio 2021. Da quella data potrebbe vendere le dosi a prezzi di mercato, con profitti immensi.

Non basta. Nei mesi scorsi la lobby Vaccines Europe ha fatto pressione su Bruxelles perché i suoi prodotti fossero esentati dal rispetto della direttiva sui diritti dei consumatori, cancellando i rischi legali. Il 24 settembre la Commissione Ue ha sì ribadito che i vaccini non saranno esentati, ma ha passato il cerino ai governi nazionali. In base agli accordi di acquisto comunitari, se i cittadini faranno causa per chiedere i danni dovuti a eventuali reazioni avverse, i produttori potranno girare il conto ai singoli Paesi.

Così la fiducia dell’opinione pubblica, già traballante, è sempre più scossa. Negli Stati Uniti, che viaggiano verso gli 8 milioni di casi di Covid con oltre 200mila vittime, un sondaggio Axios/Ipsos del 22 settembre ha rivelato che sei intervistati su 10 preferiranno aspettare di prendere il vaccino da qualche settimana a un anno invece di assumerlo appena sarà disponibile. Ad agosto il dato era al 53%. C’è poi un 23% che non intende affatto vaccinarsi. Il rischio reale è che non si raggiunga l’immunità di gregge, facendo fallire l’obiettivo della campagna vaccinale. L’effetto paradossale garantirebbe a Big Pharma di continuare a incassare profitti per anni dai vaccini anti-Covid.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/12/vaccini-a-big-pharma-i-miliardi-ai-governi-rischi-e-risarcimenti/5962620/

Il grande imbroglio del gas: il fossile venduto come “verde”. - Maria Maggiore

 

Il più ambizioso è il progetto di Oygarden, in Norvegia: fino a 5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno saranno infilate in un pozzo profondo 2.500 metri, vicino a Bergen e lì rinchiusi, nel profondo del mare, si spera per sempre. Lo Stato norvegese ha promesso 1,6 miliardi alle società Equinor, Shell, Total e a un’industria di cemento, che costruiranno il mega sito di stoccaggio del carbonio (Ccs).

Un po’ più a sud, in Germania, sulla foce dell’Elba, ci sarà un terminal di gas liquido. Porterà gas liquefatto e raffreddato dagli Stati Uniti o dal Qatar. Un sogno per il responsabile del distretto: “La Germania si renderà neutrale dal punto di vista climatico, il gas naturale è più pulito del petrolio”. Meno contenti sono gli abitanti del posto che vedranno presto costruire un carro armato alto come un grattacielo per accogliere le petroliere del gas liquido.

Poi ci sono i tubi del North-Stream 2 tra la Russia e la Germania; i gasdotti in costruzione in Romania per portare gas fossile dal Mar Nero e ridurre la dipendenza dalla Russia; il nuovo mega progetto East-Med, 1.870 km di tubi da Israele verso la Grecia e l’Europa, per i quali è quasi scoppiata una guerra quest’estate tra Grecia e Turchia. E naturalmente il Tap, ormai quasi finito, 3.500 km di tubi per portare 10 miliardi di metri cubi di gas dall’Azerbaijan in Europa (dalla Russia ne importiamo nell’Ue 200 miliardi all’anno).

Secondo i dati del Global Energy Monitor e dell’associazione industriale “Gas Infrastructure Europe”, che Investigate-Europe ha potuto elaborare, stiamo per spendere 104 miliardi di euro in nuovi progetti di gas fossile, per costruire 12.842 km di nuovi tubi, un aumento del 54% di impianti di gas liquido e del 22% di centrali a gas fossile classiche, con una spesa di 29 miliardi di euro. Ma perché tutto questo spreco di denaro pubblico per un’energia fossile, che libera nell’atmosfera il metano, 86 volte più nocivo del CO2? E poi, perché costruire nuovi impianti se, come ci dice Eurostat, l’Europa consuma solo la metà del gas che potrebbe già importare e addirittura il 20% del gas liquido a disposizione? Persino la Commissione europea, dal 2018 scrive che il consumo di gas naturale diminuirà del 21% entro il 2030 e addirittura del 85% nel 2050.

Che senso ha investire in nuovi impianti che hanno una durata di vita di almeno 20-25 anni, quando gli scienziati del clima ci dicono che dobbiamo smettere di estrarre energie fossili per evitare di riscaldare il pianeta di oltre 1,5 gradi? Mentre i nostri governi continuano a parlare di emergenza climatica, il gas viene presentato come l’energia del futuro che ci porterà verso un’economia a zero emissioni. La Commissione nel suo Green Deal ha scritto “abbiamo bisogno del gas” e il “gas può essere decarbonizzato”.

Lo scorso 12 febbraio l’Europarlamento ha approvato la nuova lista di Progetti di interesse comune (Pci) in mezzo alle polemiche. Tra i 149 progetti prioritari scelti per ricevere finanziamenti europei, ce n’erano ben 32 di gas naturale. Uno scandalo per le Ong del clima. Inevitabile per la Commissione europea che per due anni aveva negoziato quel pacchetto con gli Stati membri: se cadevano alcuni progetti, si ricominicava da zero. La commissaria all’Energia Kadri Simson promise allora agli eurodeputati che “la prossima lista non avrà progetti di gas naturale”.

Ora però il vice capo della Dg Energia, Klaus-Dieter Borchardt, ammette, in un’intervista a Investigate-Europe, che non sarà così: saranno forse costretti a inserire nuovi progetti di gas nella lista prevista per il 2021, perché “abbiamo degli impegni legali con le compagnie”. Borchardt spiega come la “Commissione europea sia nelle mani degli operatori del gas che decidono quali progetti finanziare”.

Quando nel 2009 si volle creare un mercato unico dell’energia per renderlo col tempo indipendente dalla Russia, i governi si affidarono alle grandi società dei gasdotti – l’italiana Snam, la spagnola Enagas, la francese Grtgas, la tedesca Thyssengas, l’olandese Gasunie – che posseggono tutti i dati sensibili sulla salute dei “tubi” e sulla sicurezza della fornitura. Venne creata EntsoG, una lobby presente a Bruxelles in un elegante palazzo del quartiere europeo, regolarmente iscritta nel registro delle lobby, il cui compito è, secondo il regolamento TEN-E, fornire scenari sulla domanda di gas in Europa e, in base a questi, proporre una lista di nuove infrastrutture.

Così da dieci anni va avanti a Bruxelles un conflitto d’interessi sancito per legge. Global Witness ha pubblicato in giugno un rapporto su EntsoG, calcolando che i suoi membri hanno ricevuto dal 2013 al 2019, il 75% dei fondi per gas naturale, circa 4 miliardi di euro. Spesso per progetti inutili. Lo ha ammesso lo stesso Borchardt: “East-Med per esempio è sovradimensionato. Posso capire che ci sia molto gas nel Mediterraneo, ma avrebbe più senso utilizzare gli impianti regionali di gas liquido, piuttosto che portare il gas naturale in un lungo gasdotto da Israele verso la Grecia”.

Anche Midcat, voluto da Francia e Spagna, si è rivelato un progetto inutile: doveva trasportare gas fossile dall’Africa in Francia, è rimasto nelle liste PCI per 6 anni, ricevendo 1,3 miliardi di fondi Ue, prima di venir ritirato l’anno scorso. I regolatori dei due Paesi hanno scritto: “MidCat non contribuisce in alcun modo alla sicurezza dell’approvvigionamento in Francia, i gasdotti esistenti tra Francia e Spagna non sono sovraccarichi”. Oggi restano 80 chilometri di tubi a un’ora di auto da Barcellona, abbandonati nella natura.

Frida Kieninger, di Food & Water Europe, partecipa da anni come osservatrice alle riunioni per i progetti prioritari del gas. La sua analisi è inquietante: “Il processo per arrivare a nuovi progetti è opaco, i governi e le parti interessate s’incontrano in ‘gruppi regionali’ coi promotori dei progetti, spesso seduti accanto ai rappresentanti del ministero. In alcuni incontri sembrava che un paese fosse rappresentato solo da una società del gas. Non ci sono verbali, non ci sono liste di partecipanti. Ed EntsoG si siede sempre sul podio accanto alla Commissione, rispondendo alla maggior parte delle domande e accompagnando tutte le fasi del processo”.

Ma non è tutto. EntsoG, forte del suo monopolio sui dati, negli ultimi dieci anni ha sempre previsto una domanda di gas molto superiore alla realtà del mercato. Così è anche per l’ultimo scenario, fino al 2050. Gli operatori del gas prevedono una diminuzione della domanda massimo del 41% nei prossimi trent’anni (contro l’85% della Commissione). E soprattutto promettono che quasi tutto il gas fossile diventerà verde, le emissioni nocive verranno catturate sotto terra, con il CCS, per produrre idrogeno, ma non forniscono dettagli su dove sarà “pulito” il gas (in Russia, in Azerbaijan?), quali sono i costi per queste operazioni e quanta la perdita di metano nell’atmosfera. Ci ha detto il dg di EntsoG, Jan Ingwersen: “I gasodotti ci saranno, e non è un costo marginale. Quindi, meglio usarli. Per il periodo di transizione, nei nostri scenari, troverete molti progetti di transizione con l’idrogeno”.

L’idrogeno è il nuovo obiettivo della lobby del gas a Bruxelles e la Commissione sta cadendo nella trappola. Consigliata dalla lobby industriale Hydrogen Europe, a cui l’esecutivo Ue ha chiesto di scrivere un draft della strategia per l’idrogeno, a luglio è stata inaugurata la “Clean Hydrogen Alliance”, una piattaforma di industrie che dovrà suggerire alla Ue quali infrastrutture costruire nei prossimi anni. La segreteria la assicura Hydrogen Europe e tra i membri ci sono solo industrie dell’oil&gas, nessuna Ong (eccetto la norvegese Bellona, favorevole al Ccs) e nessuna compagnia di energia rinnovabile, quando l’idrogeno verde dovrebbe venire solo dal surplus delle rinnovabili. L’idrogeno è il nuovo eldorado della lobby del gas: l’obiettivo è attingere ai soldi del Recovery Fund.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/12/il-grande-imbroglio-del-gas-il-fossile-venduto-come-verde/5962646/

domenica 11 ottobre 2020

Aldo, Giorgio e gli altri. Una nuova Spoon River. - Vincenzo Bisbiglia, Paolo Frosina, Giuseppe Pietrobelli e Andrea Sparaciari 10 OTTOBRE 2020

 

Vite spezzate. Storie di donne e uomini uccisi dalla nuova offensiva.

Di Covid-19 si muore ancora e, anche se i numeri giornalieri dei decessi in questa seconda ondata sono ancora relativamente bassi rispetto ai giorni drammatici di marzo e aprile, stanno progressivamente aumentando nel bollettino. Storie di uomini e donne, vite che si spezzano. L’età media rimane intorno agli ottant’anni e, salvo eccezioni che comunque ci sono, questi casi hanno patologie pregresse. In memoria di queste vittime ecco una sintetica Spoon river.

Aldo (il nome è di fantasia), 71 anni, era un grande devoto di Padre Pio. Per questo il 16 settembre, con 40 compaesani, era salito sul bus che da Mirabella Eclano (Avellino) lo ha portato al santuario di San Giovanni Rotondo. Già la sera stessa aveva avvertito i primi sintomi del coronavirus. Un malessere che il 3 ottobre lo ha costretto all’ospedale Moscati (Avellino) e che il 7 ottobre lo ha ucciso. Per quel tributo a Padre Pio sono 22 i pellegrini positivi ai tamponi. I quali hanno infettato parenti e amici: alla fine l’Asl certificherà che il focolaio di Mirabella Eclano ha registrato 34 contagiati. Sono ancora chiusi scuola e municipio.

Francesco era un uomo sano. È morto perché è stato contagiato mentre svolgeva il suo lavoro sull’ambulanza”. Rosanna è sconvolta. Francesco, 58 anni, era un suo collega dell’ospedale San Giovanni Addolorata di Roma, è deceduto il 3 ottobre. “Era uno sportivo, un rockettaro, una persona piena di vita”, raccontano i colleghi. Era un infermiere sempre in prima linea. Anni passati all’unità di terapia intensiva cardiaca, aveva lavorato a tu per tu con il virus per tutto il periodo del lockdown. Giovedì mattina a Savona è morto don Giorgio, 80 anni, direttore delle scuole salesiane di Alassio. L’11 settembre scriveva così ai suoi ragazzi che tornavano tra i banchi: “Viviamo un momento sociale non facile, un senso di paura, l’incertezza sul futuro. Non possiamo impostare l’anno come se non ci fosse il Covid, ma cerchiamo di essere fonti di energia contenta, allegra”. Dopo pochi giorni i primi sintomi, il ricovero e infine la scomparsa. Un altro religioso, il cappuccino Jean Laurent, è morto a soli 49 anni: padre guardiano del convento di Sorso, vicino Sassari, ha passato oltre 15 giorni in terapia intensiva prima del decesso. Si era scoperto positivo al rientro da una vacanza in Francia.

Renzo , 61 anni, era un imprenditore di Bastia Umbra, titolare di un’azienda di sistemi per la refrigerazione, è morto il 18 settembre dopo venti giorni di terapia intensiva. Amante del modernariato e delle auto d’epoca, era molto conosciuto in città. Il ghanese Joseph, invece, di anni ne aveva 51: in Italia dagli Anni 90, è spirato il 19 settembre all’ospedale di Udine. È morto la sera prima di compiere 74 anni Alberto. Faceva da sempre il macellaio a Santo Stefano, nel Bellunese. Soffriva di patologie cardiache e quindi si è ritrovato senza difese di fronte al morbo. “Aveva parlato con noi poche ore prima di morire – raccontano alcuni parenti – era affaticato, ma nessuno avrebbe pensato che sarebbe accaduto il peggio”. La sua macelleria sta per festeggiare i 50 anni di attività.

“Abbiamo fatto cinquant’anni di matrimonio a febbraio e ora non posso nemmeno dirgli addio”. Così si tormentava Maria, moglie di Salvatore, 78 anni, che in ospedale a Belluno è morto di Covid. Erano sposati dal 1960. La sua agonia è durata dieci giorni. Soffriva di Alzheimer. E c’è anche chi muore lontano dall’Italia, come Elda, 87 anni, deceduta a Olavarria, in Argentina, senza poter realizzare il sogno di ritornare almeno una volta a Fonzaso, piccolo comune vicino a Feltre.

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Manifestazione ‘no mask’ a Roma: tensioni con la polizia. E gli organizzatori dal palco: “Rispettare regole, tenete su le mascherine”.

 

Gli agenti osservano a distanza il sit-in: allontanata una persona tra le proteste della piazza. Scambi di opinione anche tra manifestanti e staff, che dice: "Siamo obbligati a mettere le mascherine anche se alcuni di noi non condividono"

I manifestanti no mask si sono radunati in piazza, a Roma, per il sit-in contro l’uso della mascherina in funzione anti-Covid e in generale contro la gestione governativa della pandemia. Un migliaio i partecipanti alla ‘Marcia per la Liberazione’, voluta dagli organizzatori contro “l’utilizzo politico del Coronavirus”. Qualche tensione con cori quando i poliziotti hanno invitato i manifestanti senza mascherina a indossarla. Gli agenti hanno anche allontanato una persona e dalla piazza si sono levati altri cori di proteste. E non sono mancanti nemmeno gli scambi di opinione con lo staff. Dal palco infatti gli organizzatori hanno invitato al rispetto delle regole anti-Covid. “Siamo obbligati a mettere le mascherine anche se alcuni di noi non condividono”. E ancora: “Invitiamo a rispettare le regole“. Diversi i manifestanti che non indossano la mascherina. A quanto apprende l’Adnkronos dalla questura di Roma, alcune persone trovate senza la protezione su naso e bocca sono state identificate e saranno sanzionate in base a quanto previsto dalla misure di contenimento del Covid-19. Inoltre chi avesse violato le norme che regolano le manifestazioni pubbliche sarà denunciato all’autorità giudiziaria.

“Non ho la mascherina perché è sinonimo della sudditanza – dice uno dei partecipanti – L’unica paura che ho è la perdita della libertà. Non sono no vax, sono per la libertà di scelta perché senza libertà di scelta è una dittatura”. Tra bandiere tricolore e calamite sovraniste c’è chi, sempre senza mascherina, sottolinea: “Siamo qui a difendere la costituzione. Stanno distruggendo la nazione. Ci costringono a mettere le mascherine”. E chi sostiene: “Sappiamo che il virus è usato a fini socioeconomici. Sono convinto che questo schifo sia manovrato da politica, economia per imporre nuovo totalitarismo“. In piazza anche uno scheletro di plastica con la mascherina con su scritto “Non sono morto di coronavirus ma di fame” e bandiere del Fronte sovranista italiano. Tra i cartelli esposti “Non sono negazionista. Sono qui perché non voglio la dittatura” e “L come libertà optional mask”.

“La mascherina è dannosa, ci fa respirare la nostra anidride carbonica – afferma un dirigente sportivo venuto da Frosinone – Vogliamo un Comitato tecnico scientifico aperto anche ad autorevoli professori che la pensano diversamente e che nessuno ascolta. Perché non alzo la mascherina? C’è una legge che vieta il travisamento del volto. Se vogliamo rispettare le leggi rispettiamole tutte”. Tra i manifestanti è diffusa l’idea che il Covid non sia affatto così letale come si pensa e nessuno di loro sembra avere neppure un conoscente che si sia ammalato. “Tamponatevi il c…” è un cartello che spicca nel gruppetto. Un altro recita in inglese “la paura viene usata per controllarvi”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/10/10/flop-della-manifestazione-no-mask-a-roma-tensioni-con-la-polizia-e-gli-organizzatori-dal-palco-rispettare-regole-su-le-mascherine/5961637/

Dite: “Sappiamo che il virus è usato a fini socioeconomici. Sono convinto che questo schifo sia manovrato da politica, economia per imporre nuovo totalitarismo”.
Quindi, pur essendo contrari al governo che manovra questo schifo per imporre totalitarismo, voi lo assecondate non indossando le mascherine?
Fate il suo gioco?
Non avete ancora capito che più il contagio aumenta, più restrizioni ci saranno?
Più voi manifestate per far valere la vostra volontà e, scusate lo sfogo, la vostra dabbenaggine, più io, che non credo alle vostre scempiaggini e rispetto le regole, dovrò sopportare un altro lock down!
Siete la contraddizione personificata delle vostre elucubrazioni mentali!
Siete stupide insulse marionette manovrate da personaggi di scarso peso morale che vi usano per scopi reconditi che neanche conoscete, pedine utili per creare disordine e fare il gioco di chi vi comanda.
cetta.