domenica 10 gennaio 2021

Open, un altro no a Renzi: “Inchiesta rimane a Firenze”. - Antonio Massari e Valeria Pacelli

 

La Fondazione - Matteo accusato di finanziamento illecito. Le mail di Bianchi “Soldi di Toto schermati”.

L’inchiesta sulla Fondazione Open resta a Firenze. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione ai quali si erano rivolti anche i legali di Matteo Renzi, indagato nel capoluogo toscano per concorso in finanziamento illecito con gli ex ministri Luca Lotti e Maria Elena Boschi, con l’ex presidente della Fondazione Alberto Bianchi e con l’imprenditore Marco Carrai. Nei mesi scorsi i legali di Renzi e Boschi avevano sollevato la questione di competenza sostenendo che l’indagine dovesse essere trasferita a Roma o anche a Pistoia. La procura ha sostenuto che la compentenza fosse fiorentina e così anche la Cassazione.

Intanto un’altra novità arriva dal Tribunale del Riesame che ha confermato la legittimità della perquisizione e del sequestro di documenti a carico di Marco Carrai che la Cassazione aveva invece annullato con rinvio degli atti alla procura. Nell’ordinanza, depositata il 24 dicembre, i giudici del Riesame parlano anche del finanziamento alla Open da parte della “Toto costruzioni”. Contributo che definiscono “schermato” con un incarico all’avvocato Bianchi. L’incarico riguardava una accordo transattivo tra la Toto e la società Autostrade, finite in un contenzioso che si trascinava da anni. Nell’ordinanza dunque si fa riferimento a quanto ritrovato dalla Finanza durante la perquisizione a Bianchi del 26 novembre 2019. Si tratta di una dichiarazione dattiloscritta risalente al 4 aprile 2018, con la quale Bianchi comunica ai suoi colleghi di studio “le modalità con cui ha schermato l’operazione di finanziamento della ‘Toto costruzioni’ in favore della Open” e indica “la nuova procedura” che intende “seguire per schermare ulteriori finanziamenti in favore della Fondazione, provenienti ancora da ‘Toto Costruzioni’ e dalla srl ‘Utopia’”. Scrive Bianchi: “Come ricorderete, allo scopo di consentire a taluni soggetti lo svolgimento del loro desiderio di contribuire in una forma peculiare alle attività della Fondazione Open, convenimmo che figurasse un incarico di un nostro cliente direttamente a me senza ovviamente sottrarre alcunché allo studio, sia perché trattavasi di compenso ‘ulteriore’, sia perché il netto rilevato dal nostro commercialista Busi fu direttamente da me versato a Fondazione Open e al Comitato per il Sì al referendum (vi allego la scrittura che all’epoca firmammo, relativa ad un compenso lordo di euro 750.000 (…) e la copia dei due bonifici da me effettuati del relativo netto, pari a Euro 400.838 (…)”. Poi Bianchi spiega che “la questione si ripropone adesso” con “due soggetti”: “uno è lo stesso Toto, l’altro è la società romana ‘Utopia S.r.l.’”. E aggiunge: “Nel caso di Toto, mi ha espresso il desiderio di versare a Open (…) un importo pari al netto del 2% di quanto, a seguito della nostra attività professionale (attualmente in corso) sarà ricavato dai contenziosi/trattative con Anas s.p.a. relative a riserve presentate nel corso dell’appalto della variante SS Aurelia a La Spezia, e di corrispondere a noi 1% dello stesso ricavato. Trattasi di somme evidentemente incerte, visto che sia il contenzioso che le trattative sono in corso. Incerti sono anche i tempi, considerato che se definiamo un accordo con Anas è pensabile che esso si chiuda nel corrente anno, mentre se dobbiamo far conto sul contenzioso i tempi sono significativamente più lunghi”. Per quanto riguarda Utopia srl, Bianchi aggiunge che esistono “due fondamentali differenze: la prima è che la somma complessiva per due pareri (già redatti e inviati, ma si tratta di semplice rielaborazione lessicale di pareri già destinati ad altri clienti) è in questo caso già stata definita ed è complessivamente pari a 30.000 euro. La seconda è che in questo caso il ‘cliente’ vuole versare tutto (il netto) a Open, dunque come studio non c’è alcun incasso (così come non c’è stata nessuna prestazione, dato che ho semplicemente rielaborato mutatis mutandis pareri già esistenti)”. Il Riesame annota: “Emerge che Toto Costruzioni ha ritenuto di schermare il finanziamento in favore della Open per 400.838 euro mediante un incarico professionale a Bianchi”.

“La decisione del Riesame (…) ripete gli argomenti della prima ordinanza che era già stata oggetto di annullamento da parte della Cassazione. Verrà di nuovo proposto ricorso”, spiegano i legali di Carrai.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/10/open-un-altro-no-a-renzi-inchiesta-rimane-a-firenze/6060815/

Assalto al Congresso Usa, il ‘bivacco di manipoli’ è una farsa che non fa ridere per nulla. - Massimo Cavallini

 

Trümperdämmerung. Così, in articolo il cui titolo sarcasticamente richiamava quello dell’atto finale di Der Ring des Nibelungen – il Götterdämmerung, o “crepuscolo degli dei”, per l’appunto – Susan B. Glasser aveva raccontato sul New Yorker, mentre il 2020 stava uscendo di scena, gli ultimi giorni della presidenza di Donald J. Trump. E non pochi sono stati i commentatori che hanno ripreso questa molto teutonica espressione mercoledì sera, mentre sugli schermi televisivi scorrevano le immagini “dell’ultimo atto di quest’ultimo atto”. Vale a dire: le sequenze – storicamente inedite, ma più che prevedibili alla luce delle più recenti cronache politiche – dell’assalto delle orde trumpiane alla monumentale sede del Congresso. Scene tragiche, non v’è dubbio. Tragiche in sé e, allo stesso tempo, tragica (ed ancora non finale) parte d’una più grande tragedia: quella della crisi della “più antica democrazia del mondo”.

Davvero difficile è, tuttavia, trovare qualcosa di realmente wagneriano, o “nibelungico”, in questo molto particolare crepuscolo della presidenza di Donald J. Trump. Come in tutti i giorni che si sono susseguiti dopo il voto del 3 novembre – e come, per molti aspetti, lungo tutti i quattro anni della presidenza Trump – a prevalere, pur sullo sfondo d’una indiscutibile tragedia, sono infatti sempre stati (e gli eventi di mercoledì sera non hanno fatto eccezione) i toni ed i crescendo della peggior opera buffa.

O, ancor più spesso – evitando il rischio di coinvolgere Mozart e Rossini in tanta bruttura – della più sgangherata commedia degli equivoci, quella che, in ogni sua parte, si nutre di flatulenze e di grevi doppi sensi sessuali. Il tipo di commedia – se state pensando al Pierino di Alvaro Vitali siete sulla strada giusta – che, a tutti gli effetti, più assomiglia a Donald J. Trump.

L’ormai ex presidente lo ha ribadito anche ieri – “We had an election that was stolen from us” queste elezioni ci sono state rubate – , mentre ridicolmente invitava a “tornare pacificamente a casa” le folle che lui stesso aveva mobilitato. Prima però di quest’ultima, inalterata (ed inalteratamente ridicola) denuncia di frode – e prima della “insurrection”, dell’insurrezione come viene troppo benignamente chiamata la truce pagliacciata sovversiva di mercoledì – molte altre ridicole cose erano accadute.

C’erano stati gli oltre 60 esposti – un paio arrivati fino alla Corte Suprema – presentati di fronte alla Giustizia dal team legale di Donald Trump, guidato da uno dei più visibili ed esilaranti protagonisti della rappresentazione: l’ex sindaco di New York, Rudy Giuliani. Oltre sessanta e tutti – con una sola ed ininfluente eccezione – respinti dalle più varie corti (molte presiedute da giudici che lo stesso Trump aveva nominato) con le più varie motivazioni. Varie, ma tutte facilmente riassumibili nella seguente frase: non fateci perder tempo con queste buffonate.

Tutta la campagna anti-frode di Trump-Giuliani ha avuto, in clownesco crescendo, un semplicissimo e grottesco meccanismo “circolare”, basato, in prima istanza, su denunce di frode che, per la loro totale assenza di merito (o perché già ampiamente dimostrate false), neppure potevano essere esaminate dalla giustizia. E in seconda istanza sulla indignata lamentela per il fatto che la giustizia, parte d’una cosmica congiura, quelle denunce si fosse rifiutata di giudicare nel merito. Questo è stato il canovaccio, il comico tormentone seguendo il quale si è giunti, infine, al gran finale dell’assalto al Congresso. E davvero splendidi sono stati – in termini di sceneggiatura, ambientazione e recitazione – i siparietti lungo i quali s’è dipanata la tragicommedia.

Molti ricorderanno. Tutto era cominciato con una conferenza stampa convocata per errore, non nei lussuosi saloni del Four Season Hotel di Filadelfia, ma alla periferia della città, giusto tra un porno-shop ed una impresa di pompe funebri, nel parcheggio del Four Season Total Landscaping, un negozio di giardinaggio. E tutto, frottola dopo frottola, disfatta legale dopo disfatta legale, era finito (o era ricominciato, dato che, per l’appunto, tutto in questa vicenda è “circolare”) con un un’altra conferenza stampa dalle cronache subito ferocemente archiviata come “la conferenza dello scioglimento (melt down) di Rudy Giuliani”. Perché scioglimento? Perché nel momento cruciale della sua filippica anti-frode, Giuliani era davvero parso liquefarsi di fronte alle telecamere, allorquando un rivolo nerastro – presumibilmente la tintura per capelli – aveva cominciato, discendendo implacabile dalle basette, a rigargli le due guance.

Per quanto del tutto correttamente descritto – riecheggiando quel che Franklin Delano Roosevelt disse dopo Pearl Harbour – come “a day that will live in infamy”, un giorno destinato ad esser ricordato come un’infamia, l’assalto al Congresso non è stato, in fondo, che l’ultima scena, in ordine di tempo, di questa farsesca rappresentazione. Uno spettacolo, in realtà, molto più volgare che sovversivo del quale nella memoria storica probabilmente resteranno – come nel caso del “melt down” di Giuliani – soltanto le immagini più triviali.

Nel caso specifico: quella di Richard Barnett, il sessantenne miliziano trumpista fotografato spaparanzato nell’ufficio della presidente della House of Representatives, la democratica Nancy Pelosi, mentre, con gli stivaloni poggiati sulla scrivania, mostra al mondo un biglietto (da lui vergato) che elegantemente dice: “Nancy, Bigo (il proprio soprannome, nda) was here, you bitch”. Bigo è stato qui, cagna.

Bigo è stato qui. E qui resterà, perché tra due settimane, su questo non ci piove, Donald Trump lascerà la Casa Bianca, ma il trumpismo – un virus le cui origini sono molto più antiche di Trump – continuerà a scorrere nelle vene d’una democrazia in crisi. Pressoché l’intero partito repubblicano ha, fino al “bivacco di manipoli” consumatosi ieri, accompagnato Trump nel suo grottesco assalto alla democrazia. E i sondaggi dicono che il 39 per cento degli americani (e l’80 per cento della base repubblicana) credono alla storia della frode.

Tutto è ridicolo in questa storia. E, proprio per questo, non c’è assolutamente nulla da ridere.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/08/assalto-al-congresso-usa-il-bivacco-di-manipoli-e-una-farsa-che-non-fa-ridere-per-nulla/6058582/?fbclid=IwAR10OQjdABOngIK7qcElddRry2QLh5cc4yRfqIbeU4ezFiekgA-9f7eKAL8

Rapporto sulle rinnovabili nell’UE tra promossi e bocciati. Obiettivo sfumato nel settore dei trasporti. - Gianluca Martucci

 

Gli Stati membri accrescono la loro dipendenza dalle fonti alternative, ma è frammentato il quadro sul raggiungimento degli risultati prefissati.

Bruxelles – In linea con l’obiettivo del 20 per cento da raggiungere entro il 2020. Secondo gli ultimi dati statistici raccolti da Eurostat, nel 2019 l’Unione Europea ha ricavato il 19,7 per cento del consumo totale di energia da fonti rinnovabili, una percentuale molto vicina alla soglia minima prefissata per l’inizio del decennio in corso e che raddoppia il 9,6 per cento registrato nel 2004.

La soddisfazione per il dato complessivo europeo convive tuttavia con il mancato conseguimento da parte di alcuni Paesi della quota obiettivo fissata a livello nazionale. Tra i casi di maggiore rilievo i dati bocciano la Francia, che rispetto al valore di riferimento del 23 per cento fissato per il 2020 si attesta al 17,2 per cento, l’Irlanda, ferma al 12 per cento rispetto al target del 16 per cento, e i Paesi Bassi, il cui 8,8 per cento si collocano lontano dall’obiettivo del 14 per cento.

In generale la maggior parte dei 27 membri dell’UE ha dimostrato di tener fede agli impegni presi (vale anche per l’Italia, sebbene i dati del Bel Paese siano ancora preliminari). Superano abbondantemente le aspettative i membri scandinavi dell’UE, la Croazia e la Bulgaria.

Quota di energia totale consumata ricavata da fonti rinnovabili per ciascuno Stato membro nel 2019. Fonte Eurostat

Quanto all’impiego delle fonti rinnovabili nella produzione di elettricità, l’andamento sempre più positivo, dice Eurostat, si deve in particolare al contributo dell’energia eolica e dell’energia idroelettrica e al crescente ricorso all’energia solare mostrato negli ultimi anni. Nel 2019 il 34 per cento del fabbisogno di energia elettrica nell’UE è stato coperto principalmente da queste tre fonti di energia rinnovabile.

Tra gli esempi virtuosi di Paesi che dipendono fortemente dalle fonti alternative per la produzione di energia elettrica ci sono l’Austria e la Svezia, che superano il 70 per cento del consumo totale. A parte Malta, Lussemburgo e Cipro, che non superano il 10 per cento, sono lontani dalla media europea anche i Paesi del blocco di Visegrad (Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria tra tutti), e i Paesi del Benelux (in Lussemburgo le energie rinnovabili non producono più del 10 per cento del totale dell’energia elettrica consumata). L’Italia “imita” la media europea con una percentuale pari al 35 per cento.

Appare più ottimistico il quadro dell’impiego delle fonti rinnovabili per gli impianti domestici di riscaldamento e climatizzazione: si collocano sotto la media europea del 22 per cento “solo” dieci Stati Membri (tra cui l’Italia con il 19,8 per cento e la Germania con il 14,6 per cento). È più uniforme, ma deludente rispetto ai propositi, il dato sulle fonti rinnovabili nel campo dei trasporti. L’obiettivo del 10 per cento del totale del consumo fissato per tutti i 27 Stati membri è stato superato solo da Svezia (30 per cento), Finlandia (21) e Paesi Bassi (12). Nessuna missione compiuta per gli altri 24 Paesi dell’UE.

Impiego delle energie rinnovabili nel settore dei trasporti nell’UE nel 2019. Fonte Eurostat

https://www.eunews.it/2021/01/08/rapporto-sulle-rinnovabili-nellue-promossi-bocciati-obiettivo-sfumato-nel-settore-dei-trasporti/140208

Cinque anni senza David Bowie, un genio caduto sulla Terra. - Paolo Baiamonte

 

Camaleontico e rivoluzionario, annullò i confini tra arte e vita.

Il 10 gennaio di cinque anni fa moriva David Bowie. L'8 aveva compiuto 69 anni, lo stesso giorno era uscito "Black Star", il suo testamento artistico.

Per i fan quella successione è stata uno shock: pochi sapevano che uno dei geni più rivoluzionari della storia del rock era da qualche tempo un malato senza speranze, ma in quel triste giorno del 2016 tutti capirono che quell'addio era stato preparato come l'ultimo atto di un'avventura artistica che ha cambiato il mondo. E, per certi aspetti, lo shock fu ancora più grande, quando, ascoltando le note di "Black Star", un album di una profondità lacerante, ci si trovò di fronte al capolavoro di un uomo che ha deciso di raccontare la propria fine annullando nel modo più definitivo il confine tra arte e vita.

David Robert Jones, il nome con cui era iscritto all'anagrafe di Brixton, nel Sud di Londra, ha dimostrato che una rockstar può essere molto di più di un rocker e qualcosa di diverso da una star. Per esempio un alieno caduto sulla Terra chiamato Ziggy Stardust che fece scoprire al mondo l'idea che un musicista poteva essere contemporaneamente una figura che, molto in anticipo sui tempi, metteva in gioco un'ambiguità sessuale sfrontata e al tempo stesso mescolata con il Cabaret berlinese, il teatro Kabuki, il Mimo di Lindsay Kemp.

Un artista che non fosse Bowie probabilmente avrebbe campato tutta la vita sugli allori di Ziggy, ma lui decise di liberarsi da quell'alter ego così ingombrante per assumere prima l'identità del Thin White Duke, il Duca Bianco lanciato alla conquista dell'America ma schiavo della cocaina per poi immergersi nella Berlino della metà degli anni '70 per produrre la celeberrima Trilogia Berlinese con una delle tante scioccanti svolte stilistiche. E' impressionante pensare quante cose sia stato David Bowie, quello di "Let's Dance" e quello del rock durissimo e fallimentare sul piano commerciale dei Tin Machine, un crooner dal carisma impareggiabile, un autore geniale, un'icona di stile, un esploratore di suoni, un attore, un artista che tutto sommato si è curato poco del mercato ma ha guadagnato montagne di soldi grazie ai Bowie Bond, un'operazione finanziaria senza precedenti, un pittore legato all'Espressionismo tedesco, un attore dal curriculum importante composto da film come "L'uomo che cadde sulla Terra", "L'ultima tentazione di Cristo", "Miriam si sveglia a mezzanotte", "Furyo", "Tutto in una notte", "Labirinth" e che si è concesso un autoironico cameo in "Zoolander" e un'apparizione in "The Prestige" di Christopher Nolan.

Un personaggio unico, illuminato, spinto da una curiosità inestinguibile e da un inarrestabile desiderio di conoscenza, quasi a voler comunicare che il cambiamento e la scoperta del nuovo sono un metodo per mettere ordine nel caos. David Bowie è stato e continua ad essere uno degli artisti più influenti della storia della cultura popolare, come ha dimostrato la Mostra realizzata dal Victoria and Albert Museum di Londra. Uno dei primi a capire che il Rock'n'Roll poteva essere molto di più della musica che annunciava al mondo la nascita dei giovani come categoria sociale, a intuire che si poteva andare al di là di confini e convenzioni, che attorno alla musica si poteva costruire un vero e proprio universo di segni. Perfino la morte è stata trasformata in qualcosa che andava oltre la sua ineluttabile verità. Quando, di fronte all'ultimo atto, David Duncan Jones e David Bowie sono tornati ad essere la stessa persona.

https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/musica/2021/01/08/cinque-anni-senza-bowie-genio-caduto-sulla-terra_d58b4379-647e-4a7d-b048-5dffec77ca9e.html?fbclid=IwAR3UpsgqMZm-KCqAHGO9hp566FlATeR6btgPaBDONCOiJj_EK0oXjrVOE68

Governo: Ultima chiamata di Conte a Renzi. Leader Iv: 'Basta immobilismo'. - Serenella Mattera

 

Il premier prova stringere sul Recovery e richiama alla coesione. Franceschini: 'Buon senso per evitare crisi in piena pandemia'. Di Maio: 'Non sono ammessi rallentamenti'.


Martedì il Recovery plan, poi il tavolo per il patto di legislatura e un corposo rimpasto. Ecco l'offerta finale a Matteo Renzi.

Giuseppe Conte, in asse con il Pd, la mette sul tavolo. Se Iv la respingerà - è il sottotesto - è pronta la sfida in Aula, in nome del "bene comune" e del servizio al Paese. Il messaggio di Conte è "di apertura", assicurano dal governo. Ma i renziani lo leggono come una chiamata ai "responsabili", più che a Iv. E a sera quando Renzi riunisce i suoi parlamentari per compattarli nelle ore decisive, le parole restano dure, lo scenario della crisi aperto.

Esclude le elezioni anticipate e assicura che Iv non darà mai il suo sostegno a un governo di centrodestra. Ma aggiunge che così, "nell'immobilismo" dell'esecutivo, non si può andare avanti e ribadisce che Iv è pronta all'opposizione se non vedrà accolta le sue proposte. Finora - afferma - da Giuseppe Conte non sono arrivate risposte alle richieste di Italia viva. Così Matteo Renzi chiude dopo più di quattro ore, a quanto si apprende da alcuni dei presenti, l'assemblea in videoconferenza con i parlamentari di Italia viva. Nel corso dell'assemblea, racconta più di un partecipante, è intervenuta la gran parte dei 48 parlamentari di Iv (31 deputati e 17 senatori). Con toni e accenti diversi, assicurano, avrebbero tutti confermato il sostegno all'azione di Renzi e non ci sarebbe stato nessuno smarcamento, anche se alcuni si sarebbero mostrati più prudenti sulle scelte che ci saranno da compiere nelle prossime ore, nella consapevolezza che da qui a martedì si capirà se è ancora possibile un accordo nella maggioranza o ci sarà la rottura con l'apertura della crisi di governo.

Tra i dirigenti renziani più d'uno è convinto che non ci siano più molti spiragli per ricomporre. Le dimissioni delle ministre sono sul tavolo - dice Renzi - e Iv è pronta ad andare all'opposizione, se non c'è una vistosa virata e accelerazione del governo. Cioè, almeno un Conte ter. Il voto è un "bluff" e Iv non aprirà la crisi per consegnare il governo alla destra, dice Renzi ai suoi per rassicurarli. Il gruppo è "compatto", dicono da Iv a smentire defezioni. I renziani invocano "risposte" e il testo del Recovery in fretta, perché si vada in Cdm e in Aula. Sugli altri temi, un documento di trenta punti sarebbe stato consegnato nei giorni scorsi dal Dem Goffredo Bettini al premier Conte per conto di Renzi, con indicati nodi che andrebbero dal fisco alla revisione del reddito di cittadinanza, dalla giustizia ai cantieri.

Il Pd, ma anche il M5s e Leu, spingono per l'accordo, senza più rinvii. Ma soprattutto provano a spuntare le armi al logoramento di Renzi: l'apertura sui contenuti, assicurano, è amplissima. Tanto che c'è chi non esclude una discussione anche sulla richiesta di almeno una parte del Mes. E' l'ultima chiamata, sembra avvertire il premier in un lungo post su Facebook. Al centro Conte pone il piano vaccini ("Siamo primi in Europa") per un Paese "sfibrato" e la cui "tenuta" è "a rischio". Arriverà già la prossima settimana in Cdm, annuncia, non solo un Recovery plan che è patrimonio "di tutto il Paese" ma anche un nuovo scostamento di bilancio - che dovrà essere votato a maggioranza assoluta in Parlamento - per finanziare un altro decreto ristori. La mano tesa è nel lavoro in corso per recepire le richieste dei partiti sul Recovery, con un rafforzamento del capitolo sanità (per 'sminare' il Mes), ma anche di quelli scuola e digitalizzazione delle imprese. Ed è nella volontà dichiarata di "rafforzare la coesione delle forze di maggioranza e la solidità della squadra di governo" (i partiti leggono: rimpasto). Sulla base del "contributo di tutti" i partiti il premier annuncia che sta preparando "una lista di priorità" per il prosieguo della legislatura. Ma poi c'è l'avvertimento sgradito ai renziani: a chi gli chiede "pazienza", il premier dice di essere "impaziente" di lavorare "per il Paese". Se la condizione di Renzi è che il premier si dimetta per dar vita a un Conte ter, è una condizione finora respinta.

"Fino all'ultimo lavorerò per il bene comune", scrive il presidente del Consiglio fissando il suo limite. Ma sono le ore dei "pontieri", dei mediatori. Dario Franceschini e Graziano Delrio, in asse con il segretario Pd Nicola Zingaretti, inviano all'ex segretario un messaggio: con "buonsenso e buona volontà" è possibile "evitare una crisi in piena pandemia". Altrimenti, avvertono i Dem, Iv dovrà assumersi la responsabilità di bloccare Recovery e ristori. C'è tempo fino a lunedì sera (il Cdm potrebbe essere anticipato) o martedì per trovare l'intesa o Renzi sancirà la rottura. Non impedirebbe, secondo alcune fonti, di approvare il Recovery in Cdm e voterebbe anche lo scostamento di bilancio per dimostrare che non si vuole danneggiare il Paese, ma con le dimissioni di Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, aprirebbe la crisi. Non ci sarebbero stati contatti diretti tra il leader di Iv e il premier negli ultimi giorni. I due si sarebbero sentiti, a quanto viene riferito, solo via messaggio per gli auguri di Natale e Capodanno. Poi a Renzi, sempre via messaggio, Conte avrebbe annunciato il 6 gennaio l'arrivo della proposta aggiornata di Recovery da parte di Roberto Gualtieri. Fine delle comunicazioni. Ma gli ambasciatori sono al lavoro e non si escludono contatti nelle prossime ore. Gli spazi per il rimpasto, dicono gli ambasciatori, ci sono tutti: si tratterebbe su due ministeri di peso a Iv con Ettore Rosato (Difesa, con Guerini al Viminale) e Maria Elena Boschi e per il Pd l'ipotesi di Bettini sottosegretario alla presidenza del Consiglio e la delega al Recovery ad Andrea Orlando.

Ma i renziani spiegano che non può essere un rimpasto la soluzione. Scommettono che si arriverà alla conta in Aula e che dalla crisi potrebbero nascere un governo con stessa maggioranza a guida Pd (i Dem ma anche i 5s negano) o un esecutivo di larghe intese con un premier come Mario Draghi o Marta Cartabia. Intanto i renziani denunciano la caccia (a dir loro fallita) ai responsabili da parte del premier, che sarebbe testimoniata dall'intervista in cui Ugo Grassi, senatore ex M5s ora leghista, racconta che Conte gli avrebbe offerto un incarico per non lasciare la maggioranza. Da Palazzo Chigi la smentita è secca e indignata: parole "false" e "diffamatorie" su un incontro risalente al novembre 2019.

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2021/01/09/recovery-di-maio-non-sono-ammessi-rallentamenti-_5d8d536c-5a04-4962-bf06-23bc2fb86741.html

“Se chiedi rispetto, devi darlo”. “Abbiamo solo perso tempo”. - Tommaso Rodano

 

Ieri notte - Dai porti al numero di pagine: lite totale.

Il vertice di maggioranza sul Recovery Fund è un incontro strano, con un’atmosfera da fine campionato. La squadra di Matteo Renzi, nonostante i sondaggi da retrocessione, gioca a perdere. Lo spettacolo – specie per il pubblico pagante, stremato da un anno di pandemia – è davvero modesto.

Riscaldamento. Il fischio d’inizio è venerdì sera alle 18 e 30. Si gioca a porte chiuse, in videoconferenza. A Palazzo Chigi solo alcuni ministri e la delegazione di Liberi e Uguali (Federico Fornaro e Loredana De Petris). Italia Viva diserta in blocco la trasferta: Teresa Bellanova, Maria Elena Boschi e Davide Faraone sono a casa su Zoom. Con Giuseppe Conte ci sono i ministri Roberto Gualtieri, Stefano Patuanelli, Enzo Amendola, Peppe Provenzano e i capi delegazione Dario Franceschini (Pd), Alfonso Bonafede (M5S) e Roberto Speranza (Leu). C’era una volta una maggioranza, ora due squadre: Pd, M5S e Leu in una metà campo, i renziani nell’altra. Ma la partita è condizionata dall’unico assente. Matteo Renzi controlla i suoi giocatori come alla Playstation. Tutti in difesa, si gioca per non far giocare l’altro: prima tocca a Faraone, poi Boschi e Bellanova.

Primo tempo. Il calcio d’inizio è di Conte. Il governo ha distribuito un documento di sintesi sul Recovery Fund di 13 pagine, lo introduce il premier e poi lo illustra punto per punto Gualtieri. Faraone si inserisce come un terzino di altri tempi. Non gli interessa prendere la palla o la caviglia. Mette in mezzo il solito Mes, la cybersecurity, poi i fondi per l’agricoltura e per la famiglia (i due ministeri renziani). Tutto fa legna. Il senatore siciliano lamenta ancora un problema di metodo: “Nel Consiglio dei ministri del 7 dicembre c’era un testo di 130 pagine, perché ora sono diventate 13?”. Risponde Gualtieri: “Non è questa la sede per discutere del testo definitivo. Eravamo tutti d’accordo su una riunione politica, per confrontarci sulle spese e sui saldi finali”.

Faraone continua a picchiare e stavolta butta la palla direttamente fuori dallo stadio: “Dove sono i fondi per il Ponte sullo Stretto?”. Gualtieri: “Non ci sono. È un’opera incompatibile col Recovery Fund e con i tempi certi che pretende l’Europa”.

Ma Italia Viva ha un altro problema, forse più grosso: nel frattempo Renzi è in televisione e dice di non aver mai chiesto il ponte di Messina. Però la scivolata di Faraone è filtrata dal vertice ai giornalisti, escono le prime agenzie di stampa. La partita si innervosisce definitivamente.

Secondo tempo. Faraone va in panchina, tocca alla Boschi. C’è un dettaglio nelle 13 pagine del governo che proprio non le va giù: “Non ci sono risorse per i porti del Sud”. Replica Conte, ironico: “Nel documento di sole 13 pagine vi è sfuggito il passaggio sull’incremento degli investimenti sui porti del Sud”. È a pagina 10.

È duello tra i due, l’ex ministra si inalbera, si ingarbuglia, pretende “rispetto”. Ancora il premier: “Chi chiede rispetto deve dare rispetto”. Tempo di recupero, chiude Bellanova: “Abbiamo solo perso tempo, vogliamo leggere un documento completo, è inutile convocare un’altra riunione”. Franceschini garantisce: “Trasmetteremo il testo ai ministri almeno 24 ore prima del prossimo consiglio”.

Post partita. Di fatto non vince nessuno. Italia Viva prosegue la strategia del logoramento, tutto è fermo. Negli spogliatoi non c’è terzo tempo, nessuna sportività. Il primo pensiero della Bellanova è twittare contro un blogger del Fatto Quotidiano. Renzi ha ottenuto il suo triste zero a zero.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/10/se-chiedi-rispetto-devi-darlo-abbiamo-solo-perso-tempo/6060807/

Consip, nuovi accertamenti sui contatti P. Chigi-Romeo. - Marco Lillo e Valeria Pacelli

 

Intanto l’imprenditore campano smentisce se stesso e Tiziano Renzi: ci vedemmo in un bar, ma non si parlò di gare.

Riparte nei tempi supplementari l’inchiesta Consip. Dopo l’avviso chiusura indagini contro Alfredo Romeo, Tiziano Renzi, Carlo Russo e Italo Bocchino per la presunta turbativa d’asta e il presunto traffico di influenze sulla gara FM4 da 2,7 miliardi, i pm Paolo Ielo e Mario Palazzi hanno acquisito l’informativa depositata nel procedimento napoletano su Romeo per altri fatti. L’informativa riguardava i messaggi trovati nel telefonino di Carlo Russo. Dopo averla letta i magistrati romani hanno deciso di dare nuove deleghe di indagine ai Carabinieri. Poiché l’inchiesta era stata già chiusa però nelle indagini integrative non possono essere ri-interrogati gli indagati per chiedere conto dei nuovi elementi. Per esempio i pm non potranno chiedere conto a Domenico Casalino dell’incontro con Tiziano Renzi e Carlo Russo avvenuto il 22 aprile 2015 alle 15 in un bar dell’Eur a Roma raccontato da Casalino al Fatto nell’articolo “L’incontro ignorato dai pm fra Tiziano Renzi e l’ex Ad” del 30 ottobre 2020. Non potranno nemmeno chiedere di nuovo a Tiziano Renzi dell’incontro con Alfredo Romeo raccontato, sempre al Fatto e non ai pm, da Romeo.

Cosa potranno fare allora i magistrati romani? Potrebbero convocare Eleonora Chierichetti, completamente estranea alle indagini. Perché i pm potrebbero sentire a sommarie informazioni la ex collaboratrice storica di Matteo Renzi nell’inchiesta in cui è indagato il padre dell’ex premier? Nell’informativa i carabinieri napoletani ricostruiscono cosa sia avvenuto ad aprile 2015. Il 10 aprile di quell’anno pochi minuti dopo le 9 del mattino, Tiziano Renzi “comunicava a Russo il numero del cellulare di Eleonora Chierichetti”. Già collaboratrice di Matteo Renzi ai tempi in cui era presidente della Provincia e poi sindaco a Firenze, la Chierichetti in quel momento è nella segreteria di Palazzo Chigi, impegnata alle dipendenze del sottosegretario Luca Lotti. Due ore dopo aver ricevuto il contatto da Tiziano Renzi, Russo scrive: “Eleonora buongiorno, scusa se ti disturbo. Posso chiamarti? Grazie, Carlo Russo”. Dall’informativa non emerge il motivo di questo contatto. Tre giorni dopo, però, il 13 aprile 2015, alle 14.52, Paola Grittani, collaboratrice fidata di Alfredo Romeo, invia a Russo il numero della Romeo Gestioni. “Dr. Ecco il numero della segreteria dell’avvocato. Si preoccuperanno di passare la telefonata n. 081******* saluti”. Appena due minuti dopo Russo invia quel numero al cellulare della Chierichetti: “081******* avv Romeo”.

Che cosa è successo dopo? Ci sono stati contatti tra Palazzo Chigi e ‘l’avv Romeo’? Quando Il Fatto si occupò della vicenda, l’ex ministro Lotti spiegò di non aver mai incontrato Romeo e di non averlo mai contattato telefonicamente. Romeo su questa circostanza ha precisato di non aver parlato con Matteo Renzi e ha spiegato così la ragione di quello scambio di messaggi: “Avrei avuto piacere che a concludere (un convegno a Roma poi tenutosi nel novembre 2015, Ndr) fosse il presidente del Consiglio (…) mi aveva chiamato in aprile anche una signora della Segreteria di Palazzo Chigi. Mi aveva dato assicurazioni ma non se ne fece niente”.

Il 18 dicembre scorso la Procura di Roma ha chiesto il processo per Tiziano Renzi, il suo amico Carlo Russo e l’imprenditore Romeo con altri perché, nell’impostazione dei pm, Russo si faceva promettere denaro per sé e per Tiziano Renzi (che ha sempre negato di conoscere le interlocuzioni tra Russo e Romeo) in cambio della propria mediazione sull’ex ad di Consip, Luigi Marroni (estraneo alle indagini) affinché favorisse le società dell’imprenditore campano nella gara Fm4.

Tiziano Renzi ha negato nell’interrogatorio di marzo 2017 con i pm di Roma di avere incontrato Alfredo Romeo. Nel maggio del 2017 però nel libro “Di padre in figlio” (edito da PaperFirst) pubblicammo la trascrizione di una telefonata tra Matteo e Tiziano Renzi alla vigilia di quell’ interrogatorio. Tiziano, mentre era intercettato dai pm di Napoli, escludeva con poca convinzione al figlio che lo incalzava di aver fatto incontri al ristorante con Romeo ma diceva di “non ricordare i bar”. Matteo Renzi dopo la pubblicazione difese il padre e chiese persino le scuse pubbliche ai giornalisti che rilanciavano la notizia del possibile incontro con Romeo, senza fare verifiche, a suo dire. Il Fatto svelò però nell’estate 2017 un’altra conversazione intercettata sempre nel 2016 in cui Russo e Romeo parlavano di un incontro in un ‘barettino’. Ipotizzammo fosse proprio ‘il bar’ dimenticato da Tiziano nella telefonata con Matteo. Allora Romeo si fece intervistare da Repubblica il 18 agosto 2017 e negò l’incontro. Però gli investigatori guardarono meglio i tabulati telefonici in loro possesso individuando la sovrapposizione delle celle agganciate dai tre cellulari il 16 luglio 2015, a Firenze. La linea di Russo, Romeo e Tiziano però restò la stessa. Il primo marzo del 2019 a Repubblica che gli chiedeva “È proprio sicuro di non aver mai incontrato Renzi Senior?”, Romeo tronfio e sicuro rispondeva: “Mai. L’ho detto e l’ho ripetuto non è il caso di tornarci”.

Si arriva così al dicembre 2020. Il Fatto chiede a Romeo un’intervista e l’imprenditore ritrova la memoria: “L’incontro col papà di Renzi lo ho avuto nel luglio del 2015. Ci siamo visti per dieci minuti al banco di un bar, senza neanche sederci. Abbiamo parlato solo del convegno che stavo organizzando con l’Osservatorio Risorsa Patrimonio (…) avrei avuto piacere che a concludere fosse il presidente del Consiglio. (…) Nessuna relazione con Consip”.

Il Gip Gaspare Sturzo la vede diversamente e nota che pochi giorni dopo quell’incontro Tiziano Renzi contatta l’amministratore delegato di Consip appena nominato, Luigi Marroni, e gli chiede un incontro a Firenze. Nelle risposte scritte di Romeo alle nostre domande a dicembre (che non abbiamo pubblicato perché Romeo pretendeva fossero messe in pagina integralmente comprese, oltre alle mezze ammissioni sull’incontro fiorentino, anche alcune balle da noi restituite al mittente) c’erano altri elementi interessanti come le chat sopra riportate per organizzare la telefonata Romeo-Palazzo Chigi. Per esempio c’era la rivelazione di un fatto: Carlo Russo arrivò al cospetto di Romeo nel 2015 grazie all’allora Ad di Consip. “Casalino – ci ha scritto Romeo – mi chiese attraverso Italo Bocchino di incontrare Russo”. Dunque ricapitolando: Russo incontra Casalino, Ad di Consip da solo a febbraio 2015. Sempre Casalino – a detta di Romeo – manda Russo da Romeo tramite Bocchino. Poi Casalino, da Ad in carica di Consip, incontra Russo con Tiziano Renzi al bar dell’Eur. Infine, dopo la sostituzione di Casalino con Marroni al vertice di Consip ecco che Tiziano Renzi e Russo incontrano Romeo il 16 luglio 2015 a Firenze. Il 20 luglio 2015 poi Tiziano contatta l’Ad in carica di Consip, Luigi Marroni, nominato dal governo Renzi, per incontrarlo a Firenze e poi aggiorna sul possibile futuro incontro Russo.

Però – secondo la deposizione di Luigi Marroni, ritenuta attendibile dai pm romani – quando finalmente Russo incontra, su input di Tiziano, Marroni non gli raccomanda Romeo ma un’altra società. Quale? Mistero. Marroni non ricorda. Questa è la matassa che dovrà essere sbrogliata nell’udienza preliminare.

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