lunedì 11 gennaio 2021

Recovery plan, ok di Renzi dopo la spinta del Colle: “Approviamo questo benedetto piano, ma spendiamo bene i soldi”.

 

L'ex premier, intervenuto a Rtl, non smentisce la telefonata del capo dello Stato, ma continua a minacciare la crisi: prima dice che la maggioranza deve "correre" su fondi Ue e ristori, poi insiste: "Non si buttino via i soldi che non torneranno mai più. O li spendiamo bene o spendeteli senza di noi". Orlando accoglie le sue parole come un via libera al Piano di ripresa. Gelo di Rosato: "Da quando il vice di Zingaretti è il nostro portavoce?"

Alla vigilia del decisivo Consiglio dei ministri sul Recovery plan, durante il quale Italia viva dovrebbe sciogliere le riserve sulla ventilata crisi di governo, Matteo Renzi sembra voler accogliere gli appelli arrivati da più parti per non mettere a rischio i 209 miliardi di fondi Ue destinati all’Italia. “Approviamo questo benedetto Recovery. Ma mettiamo questi soldi per le cose utili”, ha dichiarato in mattinata in un’intervista a Rtl. “A Conte diciamo: ‘Corri, presenta il Recovery, presenta i ristori“. Parole che suonano come un passo avanti nelle trattative con la maggioranza, o comunque come un congelamento della crisi per poter approvare in tempo il Piano di ripresa – che deve arrivare entro fine mese a Bruxelles – lo scostamento di bilancio e il nuovo decreto per gli indennizzi alle partite iva chiuse causa Covid. Cosa è cambiato nelle ultime 24 ore? Come riportano diversi quotidiani, tra cui RepubblicaCorriere e La Stampa, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha esercitato ancora una volta la sua moral suasion sui leader dei partiti. La spinta del Colle, ragiona il quirinalista di via Solferino, non va nella direzione di interferire nelle dinamiche politiche (anche perché non è tra le sue prerogative), ma nel dare precedenza alle vere priorità del Paese, spostando un po’ più in là l’eventuale caduta dell’esecutivo.

Renzi, interpellato sul punto, non smentisce la telefonata ricevuta dal capo dello Stato. Anzi: “Il presidente della Repubblica ha detto parole che condividiamo”, dice. Poi però rimarca l’indipendenza delle sue scelte: Mattarella “non va tirato per la giacchetta: in Italia il presidente è un arbitro, non dice a un dirigente politico quello che deve fare“. Il fondatore di Iv ribadisce quindi di non essere interessato alle “poltrone“: per lui l’importante è che “non si buttino via i soldi che non torneranno mai più. O li spendiamo bene o spendeteli senza di noi. Io voglio avere la coscienza a posto”. In sostanza tira un colpo al cerchio e uno alla botte, non escludendo fino all’ultimo l’opzione di far saltare il banco. “Una cosa sono i post, i tweet e le storie su Instagram”, dice, riferendosi al post pubblicato su Facebook dal presidente Conte nella serata di sabato. “Una cosa sono i documenti. Io non so dire se ci hanno dato ragione, lo saprò quando ci daranno i documenti“. Infine l’ennesimo attacco al portavoce del premier: “L’idea di essere “asfaltato” da Rocco Casalino era una cosa che non avevo considerato quando ho cominciato a fare politica, non mi preoccupa né mi esalta come prospettiva”, conclude, citando le parole che Repubblica ha attribuito allo stesso Casalino in un retroscena. “Smentisco categoricamente i virgolettati e le ricostruzioni che mi vengono attribuiti oggi in un articolo”, la reazione del portavoce.

Il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, venuto a sapere delle dichiarazioni di Renzi mentre è in diretta televisiva su Rai3, sembra leggerle come un primo via libera: “Sul Recovery siamo contenti che sia passata la nostra linea. Non è una cosa di questo governo e di questa maggioranza, è fondamentale che si metta in sicurezza e che non si intralci il percorso per portarlo in Parlamento”. L’ex ministro però avverte: “L’accordo in generale non lo darei per fatto, ci sono molte questioni aperte”. L’appuntamento decisivo è fissato per martedì, ma già in serata i partiti che sostengono il governo riceveranno il testo completo del Recovery plan, modificato secondo le loro stesse indicazioni. Già prima del Cdm, quindi, i renziani potrebbero far sapere quale sarà il loro orientamento. E che tutto sia ancora in forse lo sottolinea il presidente di Iv Ettore Rosato, che a sua volta replica piccato al vicesegretario dem: “Orlando è diventato il portavoce di Italia Viva? Ci faccia sapere quando gli dobbiamo dare la nostra tessera“.

Sullo sfondo restano le trattative sotterranee portate avanti da pezzi del Pd per ricucire lo strappo. Tra i principali registi c’è sempre il braccio destro di Zingaretti Goffredo Bettini, a cui lo stesso Renzi il giorno dell’Epifania ha mandato una nota in 30 punti sulle “questioni politiche aperte” in maggioranza. In un’intervista rilasciata oggi al Corriere, l’esponente dem ribadisce che “si deve andare presto al sodo: decidere, lavorare, rinunciare alle ripicche e alle tattiche estenuanti. Si deve dare una guida serena e solida agli italiani”. Per Bettini “si sono compiuti passi in avanti decisivi sul Recovery plan. Approvato questo provvedimento importantissimo per la vita degli italiani, si tratta di stabilire un accordo solenne, vincolante e chiaro circa le priorità di un programma di fine legislaturaAltro che rimpastino. Stiamo parlando di cose da fare, non di qualche ministero da distribuire”. Argomento che comunque resta sul tavolo. E Bettini, che nel settembre 2019 ha contribuito alla nascita dell’esecutivo giallorosso, indica ancora una volta qual è la strada da seguire: “Un governo più politico è una garanzia per la stabilità dello stesso Conte”, dice, riferendosi alla possibilità che i leader di partito entrino a far parte della squadra di governo.

Alcuni big dei 5 stelle, escluso il reggente Vito Crimi, hanno già ruoli di peso, come Luigi Di Maio alla casella degli Esteri e Alfonso Bonafede alla giustizia. Stessa cosa per la sinistra, dal momento che Roberto Speranza è saldamente alla guida del ministero della Salute. Per i renziani si ventila l’ipotesi che lo stesso Renzi o il suo braccio destro Maria Elena Boschi possano strappare un ministero. Poi c’è il Pd: tra i suoi capi-corrente l’esecutivo può contare solo su Dario Franceschini, che è anche capodelegazione del partito a Palazzo Chigi. Lo scenario di un ingresso di Nicola Zingaretti sembra escluso, visto che in tal caso dovrebbe lasciare la guida della Regione Lazio, mentre resta in piedi l’opzione Orlando. Il diretto interessato, posto di fronte alla questione ad Agorà su Rai3, risponde sibillino: “Secondo gli accordi iniziali io nel Governo in carica dovevo fare il ministro degli Esteri. Se dico se sto bene dove sto potreste crederci…”, dice, escludendo l’ipotesi. Poi però aggiunge: “Ne discuteremo, ma la mia propensione è questa”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/11/recovery-plan-dopo-il-pressing-del-quirinale-renzi-dice-si-approviamo-questo-benedetto-piano-ma-spendiamo-bene-i-soldi/6061488/

Recovery, Ponte, Mes e Servizi: ogni giorno un penultimatum di Iv. - Giacomo Salvini

 

Telenovela - È dall’8 dicembre che l’ex premier minaccia di far cadere il governo con vari pretesti: dal Cashback al Covid, dal turismo a Barr, alla “visione”.

All’inizio il problema erano la governance e la task force del Recovery Fund. Poi i soldi da spendere su Sanità e Turismo, le chiusure per le feste e perfino il cashback. E ancora, alla vigilia di Natale, il Mes, a Capodanno il ponte sullo Stretto di Messina, la mancanza di “visione” del governo e la legge di Bilancio approvata in quattro e quattr’otto da una sola Camera.

Il 2021 ha portato il sereno? Macché, giù di nuovo missili: la campagna vaccinale in ritardo, gli insegnanti da vaccinare in una settimana, la delega ai servizi segreti da cedere e poi di nuovo il Mes. Queste, a prima vista, sembrerebbero le critiche di un partito di opposizione al governo Conte. Invece no: sono i tantissimi fronti aperti, nell’ultimo mese, da Matteo Renzi e dal suo partito Italia Viva che ha deciso di aprire (quasi) la crisi di governo. Dall’8 dicembre a oggi il partito renziano ogni giorno ha incalzato il premier Conte con un nuovo motivo di dissenso, sempre condito dalle minacce di ritirare le due ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti e aprire formalmente la crisi. “La nostra è una battaglia di idee e non di contenuti” continua a ripetere Renzi, ma nel frattempo proseguono le trattative sotterranee per ottenere qualche ministero e, se possibile, far uscire Conte da Palazzo Chigi.

Per questo, e per i continui rilanci dell’ex premier su argomenti diversi, in molti ormai ritengono le critiche di IV solo strumentali. Obiettivo: voler aprire una crisi a tutti i costi. Tutto era iniziato l’8 dicembre quando, in un’intervista a Repubblica, l’ex premier aveva anticipato qualche dettaglio del suo discorso in Senato durante il dibattito sul Mes: “Serve un governo che funzioni, non 300 consulenti” diceva riferendosi alla task force, chiesta dall’Ue, per supervisionare la gestione dei 209 miliardi del Recovery Fund. Il giorno dopo, lo show a Palazzo Madama in cui Renzi aveva aggiunto critiche sul piano: “Nove miliardi per la Sanità sono troppo pochi, ce ne vuole il quadruplo. Vi sembra normale che ci siano 3 miliardi sul turismo?”. Poi era arrivato il primo penultimatum sulle dimissioni delle ministre: “Noi non vogliamo qualche poltrona, se vuole ce ne sono tre a sua disposizione in più”. E giù applausi dal centrodestra.

Il 15 dicembre nella sua e-news Renzi attaccava la maggioranza per la presunta contraddizione tra il cashback (invogliando agli acquisti natalizi) e le chiusure sotto le feste parlando di “indecisione costante” del governo: “Bisogna avere una posizione e mantenerla, non cambiarla ogni tre giorni” scriveva il senatore di Scandicci. Poi, prima il 21 dicembre con un video su Facebook e il 23 a L’Aria che Tira, Renzi rilanciava sul Mes, sapendo di spaccare la maggioranza perché il M5S è da sempre contrario: “Bisogna prendere il Mes, sono 36 miliardi per i nostri ospedali – diceva l’ex premier – Il M5S dice no perché sono populisti antieuropei”. Peccato che un anno fa, durante la ratifica del trattato Mes, Renzi disertò il vertice di maggioranza perché “se la vedessero loro” (Pd e M5S). Non solo, Renzi all’epoca criticava quel trattato: “Aiuta le banche tedesche”. Oggi invece vuole farvi ricorso a tutti i costi.

A ridosso di Capodanno poi, durante la conferenza stampa per presentare il suo piano Ciao, l’ex premier ritirava fuori dal cilindro il ponte sullo Stretto di Messina (“va fatto”) anche se non si può finanziare coi soldi del Recovery – rilanciato venerdì sera da Davide Faraone – ma anche la mancanza di “anima” del piano del governo. Nel discorso di due giorni dopo in Senato Renzi denunciava lo “svuotamento del Parlamento” perché la legge di bilancio approvata dalla Camera era arrivata in Senato già bloccata. Lui che nel 2016 voleva abolire il bicameralismo perfetto.

Il 2021 non ha portato un rasserenamento degli animi tra i giallorosa, anzi. Il 2 gennaio sul Corriere l’ex premier attaccava sul ritardo del governo sulla campagna vaccinale (“Bisogna correre”), poi giovedì scorso, il giorno dopo i fatti di Capitol Hill, coglieva l’occasione per chiedere al premier di cedere la delega sui servizi segreti: “È una questione di sicurezza nazionale” prima di ripescare il “caso Barr”, in cui non c’è alcuna prova del coinvolgimento del governo italiano nel Russiagate. Nelle ultime ore il muro alzato dall’ex premier è il Mes: “Senza di quello non c’è accordo”. Sono finiti gli argomenti possibili, si ricomincia da capo. La chiusura la lasciamo alle parole dello stesso Renzi ieri alla Stampa: “Ora basta con questa telenovela”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/11/recovery-ponte-mes-e-servizi-ogni-giorno-un-penultimatum-di-iv/6061417/

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio

 

Lo stratega. “Gli ultrà di Trump accusano l’Italia: ‘Avete rubato le elezioni a Donald’. Per i complottisti l’incontro Obama-Renzi del 2016 servì a preparare il piano. Complici in ambasciata e satelliti Leonardo per assegnare il voto a Biden” (Stampa, 10.1). Tranquilli, ragazzi: quello non riesce nemmeno a far prendere il 2% a Scalfarotto in Puglia.

Lo sciamano. “Salvini grida: ‘Ora basta, andiamo in piazza’” (Libero, 7.1). Avete visto qualcuno?

Congiuntivite. “Conte nel pallone. Da una parte, pensa che sia l’uomo della Provvidenza. Dall’altra, ha paura che lo fottono” (Dagospia, 10.1). Fantocci, batti lei.

Censura buona. “Twitter silenzia Donald: non chiamatela censura” (Gianni Riotta, Stampa,10.1). Giusto: chiamatela Johnny.

L’amico dei clochard. “Mi autodenuncio. Se la scelta del governo sarà che il giorno di Natale non si può neanche portare una coperta o un piatto caldo a chi dorme in strada e ha freddo, io lo farò lo stesso, come da anni sono abituato a fare: portare dei doni ai bambini, pranzare insieme ai clochard. Non potete chiudere in casa il cuore degli italiani” (Matteo Salvini, Lega, Facebook, 25. 12). “Alessandra Locatelli, salviniana di ferro, è il nuovo assessore lombardo alle Politiche sociali. Nota per le posizioni intransigenti contro migranti e senzatetto, fece parlare di sé per l’ordinanza che proibiva di dar da mangiare ai clochard” (Fanpage, 8.1). È la volta buona che Salvini finisce dentro.

Record cioè flop. “Un Arcuri è per sempre.Il super commissario all’emergenza infinita che riesce a sempre a evitare ogni responsabilità dei flop” (Domani, 10.1). Tipo il flop dell’Italia al primo posto in Europa per le vaccinazioni.

Senza parole. “Arcuri ha commissariato il deep state americano. La spiegazione del golpe” (Fabio Vassallo, autore, Domani, 8.1). Questi non stanno per niente bene.

Compagni che inciuciano. “Il centrodestra disposto a un ‘esecutivo di scopo’” (Giornale, 10.1). “Pisapia: ‘Un governo di scopo con un presidente del Consiglio diverso. Così si può uscire dalla crisi. Ci sono molte persone che possono avere la fiducia di una maggioranza molto più ampia’” (Corriere della sera, 19.1). Riuscirà il compagno Pisapia a riportare al governo B. e Salvini? Vai, Giuliano, sei tutti loro!

Il poliglotta. “Boris è fuori dall’Europa: ‘Salutame a soreta’” (Pietro Senaldi, Libero, 2.1). Mi sa che Senaldi è madrelingua.

Paesi normali. “Christine Aschbacher, ministra austriaca del Lavoro, si è dimessa: è accusata di avere copiato parti della sua tesi di master e di quella di dottorato” (Corriere della sera, 10.1). Mica si chiama Marianna Madia.

I morti a galla. “Il premier ha tardato ad agire, se avesse assunto l’iniziativa quando noi lo chiedemmo e quando Iv non aveva posto questioni, i problemi avrebbero potuto essere risolti in modo meno traumatico” (Andrea Orlando, vicesegretario Pd,Stampa, 10.1). È un peccato che Conte non abbia l’argento vivo e lo sfrenato dinamismo di un Orlando.

Chi conosce i fatti. “Alla storia della cosiddetta Trattativa non crede nessuno e nessuno che conosce i fatti può credervi. Si era incaricato di smentirla Giovanni Falcone” (Alfonso Giordano, giudice del maxiprocesso,Riformista, 9.1). Diavolo d’un Falcone: la trattativa Stato-mafia partì subito dopo la strage di Capaci, ma lui riuscì a smentirla anche da morto: forse apparendo in sogno al collega Giordano, forse in una seduta spiritica.

Giorgio Covid. “Bergamo, inchiesta Covid. Il sindaco Gori: ‘Il Comune è parte civile’” (Giornale, 29.12). Si chiede i danni da solo.

Il virus dei Pollari/1. “Merkel ha parlato alla nazione. Giuseppi molto cauto: perché?” (Claudia Fusani, Riformista, 8.1). Chiedilo a Pio Pompa.

Il virus dei Pollari/2. “Dopo aver perso la sponda degli Usa il premier saluta l’ombrello tedesco” (Claudio Antonelli, Verità, 9.1). Te l’ha detto Pio Pompa?

Il virus dei Pollari/3. “Adesso il Russiagate rischia di mettere Conte nei guai” (Luca Fazzo, Giornale, 8.1). L’hai saputo da Pio Pompa?

Nostalgia canaglia. “Trump, ecco cosa succede quando si uccidono i partiti” (Fabrizio Cicchitto, Riformista, 8.1). E ci si iscrive alla P2.

Paga Pantalone. “Intanto le mie offese non sono gratuite: mi pagano per farle” (F.F. a Rocco Casalino, Libero, 7.1). Trattandosi di Libero, le pagano i contribuenti, soprattutto quelli che non leggono Libero.

Formidabili quei danni. “Ufficiale, Davigo fuori dal Csm. Ora va a fare danni sul ‘Fatto’” (Verità, 8.1). Paura, eh?

Il titolo della settimana/1. “Per usare i fondi Ue il governo ricicla i piani di Monti” (Roberto Formigoni, pregiudicato per corruzione, Libero, 3.1). Invece di darli direttamente a lui.

Il titolo della settimana/2. “Muccioli dava fastidio a due chiese: quella cattolica e quella comunista” (Red Ronnie, Verità, 9.1). Alle porcilaie e alle macellerie, invece, un po’ meno.

Il titolo della settimana/3. “Renzi: ‘Basta con questa telenovela’” (Stampa, 10.1). Lo dice lui a noi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/11/ma-mi-faccia-il-piacere-215/6061416/

domenica 10 gennaio 2021

Open, un altro no a Renzi: “Inchiesta rimane a Firenze”. - Antonio Massari e Valeria Pacelli

 

La Fondazione - Matteo accusato di finanziamento illecito. Le mail di Bianchi “Soldi di Toto schermati”.

L’inchiesta sulla Fondazione Open resta a Firenze. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione ai quali si erano rivolti anche i legali di Matteo Renzi, indagato nel capoluogo toscano per concorso in finanziamento illecito con gli ex ministri Luca Lotti e Maria Elena Boschi, con l’ex presidente della Fondazione Alberto Bianchi e con l’imprenditore Marco Carrai. Nei mesi scorsi i legali di Renzi e Boschi avevano sollevato la questione di competenza sostenendo che l’indagine dovesse essere trasferita a Roma o anche a Pistoia. La procura ha sostenuto che la compentenza fosse fiorentina e così anche la Cassazione.

Intanto un’altra novità arriva dal Tribunale del Riesame che ha confermato la legittimità della perquisizione e del sequestro di documenti a carico di Marco Carrai che la Cassazione aveva invece annullato con rinvio degli atti alla procura. Nell’ordinanza, depositata il 24 dicembre, i giudici del Riesame parlano anche del finanziamento alla Open da parte della “Toto costruzioni”. Contributo che definiscono “schermato” con un incarico all’avvocato Bianchi. L’incarico riguardava una accordo transattivo tra la Toto e la società Autostrade, finite in un contenzioso che si trascinava da anni. Nell’ordinanza dunque si fa riferimento a quanto ritrovato dalla Finanza durante la perquisizione a Bianchi del 26 novembre 2019. Si tratta di una dichiarazione dattiloscritta risalente al 4 aprile 2018, con la quale Bianchi comunica ai suoi colleghi di studio “le modalità con cui ha schermato l’operazione di finanziamento della ‘Toto costruzioni’ in favore della Open” e indica “la nuova procedura” che intende “seguire per schermare ulteriori finanziamenti in favore della Fondazione, provenienti ancora da ‘Toto Costruzioni’ e dalla srl ‘Utopia’”. Scrive Bianchi: “Come ricorderete, allo scopo di consentire a taluni soggetti lo svolgimento del loro desiderio di contribuire in una forma peculiare alle attività della Fondazione Open, convenimmo che figurasse un incarico di un nostro cliente direttamente a me senza ovviamente sottrarre alcunché allo studio, sia perché trattavasi di compenso ‘ulteriore’, sia perché il netto rilevato dal nostro commercialista Busi fu direttamente da me versato a Fondazione Open e al Comitato per il Sì al referendum (vi allego la scrittura che all’epoca firmammo, relativa ad un compenso lordo di euro 750.000 (…) e la copia dei due bonifici da me effettuati del relativo netto, pari a Euro 400.838 (…)”. Poi Bianchi spiega che “la questione si ripropone adesso” con “due soggetti”: “uno è lo stesso Toto, l’altro è la società romana ‘Utopia S.r.l.’”. E aggiunge: “Nel caso di Toto, mi ha espresso il desiderio di versare a Open (…) un importo pari al netto del 2% di quanto, a seguito della nostra attività professionale (attualmente in corso) sarà ricavato dai contenziosi/trattative con Anas s.p.a. relative a riserve presentate nel corso dell’appalto della variante SS Aurelia a La Spezia, e di corrispondere a noi 1% dello stesso ricavato. Trattasi di somme evidentemente incerte, visto che sia il contenzioso che le trattative sono in corso. Incerti sono anche i tempi, considerato che se definiamo un accordo con Anas è pensabile che esso si chiuda nel corrente anno, mentre se dobbiamo far conto sul contenzioso i tempi sono significativamente più lunghi”. Per quanto riguarda Utopia srl, Bianchi aggiunge che esistono “due fondamentali differenze: la prima è che la somma complessiva per due pareri (già redatti e inviati, ma si tratta di semplice rielaborazione lessicale di pareri già destinati ad altri clienti) è in questo caso già stata definita ed è complessivamente pari a 30.000 euro. La seconda è che in questo caso il ‘cliente’ vuole versare tutto (il netto) a Open, dunque come studio non c’è alcun incasso (così come non c’è stata nessuna prestazione, dato che ho semplicemente rielaborato mutatis mutandis pareri già esistenti)”. Il Riesame annota: “Emerge che Toto Costruzioni ha ritenuto di schermare il finanziamento in favore della Open per 400.838 euro mediante un incarico professionale a Bianchi”.

“La decisione del Riesame (…) ripete gli argomenti della prima ordinanza che era già stata oggetto di annullamento da parte della Cassazione. Verrà di nuovo proposto ricorso”, spiegano i legali di Carrai.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/10/open-un-altro-no-a-renzi-inchiesta-rimane-a-firenze/6060815/

Assalto al Congresso Usa, il ‘bivacco di manipoli’ è una farsa che non fa ridere per nulla. - Massimo Cavallini

 

Trümperdämmerung. Così, in articolo il cui titolo sarcasticamente richiamava quello dell’atto finale di Der Ring des Nibelungen – il Götterdämmerung, o “crepuscolo degli dei”, per l’appunto – Susan B. Glasser aveva raccontato sul New Yorker, mentre il 2020 stava uscendo di scena, gli ultimi giorni della presidenza di Donald J. Trump. E non pochi sono stati i commentatori che hanno ripreso questa molto teutonica espressione mercoledì sera, mentre sugli schermi televisivi scorrevano le immagini “dell’ultimo atto di quest’ultimo atto”. Vale a dire: le sequenze – storicamente inedite, ma più che prevedibili alla luce delle più recenti cronache politiche – dell’assalto delle orde trumpiane alla monumentale sede del Congresso. Scene tragiche, non v’è dubbio. Tragiche in sé e, allo stesso tempo, tragica (ed ancora non finale) parte d’una più grande tragedia: quella della crisi della “più antica democrazia del mondo”.

Davvero difficile è, tuttavia, trovare qualcosa di realmente wagneriano, o “nibelungico”, in questo molto particolare crepuscolo della presidenza di Donald J. Trump. Come in tutti i giorni che si sono susseguiti dopo il voto del 3 novembre – e come, per molti aspetti, lungo tutti i quattro anni della presidenza Trump – a prevalere, pur sullo sfondo d’una indiscutibile tragedia, sono infatti sempre stati (e gli eventi di mercoledì sera non hanno fatto eccezione) i toni ed i crescendo della peggior opera buffa.

O, ancor più spesso – evitando il rischio di coinvolgere Mozart e Rossini in tanta bruttura – della più sgangherata commedia degli equivoci, quella che, in ogni sua parte, si nutre di flatulenze e di grevi doppi sensi sessuali. Il tipo di commedia – se state pensando al Pierino di Alvaro Vitali siete sulla strada giusta – che, a tutti gli effetti, più assomiglia a Donald J. Trump.

L’ormai ex presidente lo ha ribadito anche ieri – “We had an election that was stolen from us” queste elezioni ci sono state rubate – , mentre ridicolmente invitava a “tornare pacificamente a casa” le folle che lui stesso aveva mobilitato. Prima però di quest’ultima, inalterata (ed inalteratamente ridicola) denuncia di frode – e prima della “insurrection”, dell’insurrezione come viene troppo benignamente chiamata la truce pagliacciata sovversiva di mercoledì – molte altre ridicole cose erano accadute.

C’erano stati gli oltre 60 esposti – un paio arrivati fino alla Corte Suprema – presentati di fronte alla Giustizia dal team legale di Donald Trump, guidato da uno dei più visibili ed esilaranti protagonisti della rappresentazione: l’ex sindaco di New York, Rudy Giuliani. Oltre sessanta e tutti – con una sola ed ininfluente eccezione – respinti dalle più varie corti (molte presiedute da giudici che lo stesso Trump aveva nominato) con le più varie motivazioni. Varie, ma tutte facilmente riassumibili nella seguente frase: non fateci perder tempo con queste buffonate.

Tutta la campagna anti-frode di Trump-Giuliani ha avuto, in clownesco crescendo, un semplicissimo e grottesco meccanismo “circolare”, basato, in prima istanza, su denunce di frode che, per la loro totale assenza di merito (o perché già ampiamente dimostrate false), neppure potevano essere esaminate dalla giustizia. E in seconda istanza sulla indignata lamentela per il fatto che la giustizia, parte d’una cosmica congiura, quelle denunce si fosse rifiutata di giudicare nel merito. Questo è stato il canovaccio, il comico tormentone seguendo il quale si è giunti, infine, al gran finale dell’assalto al Congresso. E davvero splendidi sono stati – in termini di sceneggiatura, ambientazione e recitazione – i siparietti lungo i quali s’è dipanata la tragicommedia.

Molti ricorderanno. Tutto era cominciato con una conferenza stampa convocata per errore, non nei lussuosi saloni del Four Season Hotel di Filadelfia, ma alla periferia della città, giusto tra un porno-shop ed una impresa di pompe funebri, nel parcheggio del Four Season Total Landscaping, un negozio di giardinaggio. E tutto, frottola dopo frottola, disfatta legale dopo disfatta legale, era finito (o era ricominciato, dato che, per l’appunto, tutto in questa vicenda è “circolare”) con un un’altra conferenza stampa dalle cronache subito ferocemente archiviata come “la conferenza dello scioglimento (melt down) di Rudy Giuliani”. Perché scioglimento? Perché nel momento cruciale della sua filippica anti-frode, Giuliani era davvero parso liquefarsi di fronte alle telecamere, allorquando un rivolo nerastro – presumibilmente la tintura per capelli – aveva cominciato, discendendo implacabile dalle basette, a rigargli le due guance.

Per quanto del tutto correttamente descritto – riecheggiando quel che Franklin Delano Roosevelt disse dopo Pearl Harbour – come “a day that will live in infamy”, un giorno destinato ad esser ricordato come un’infamia, l’assalto al Congresso non è stato, in fondo, che l’ultima scena, in ordine di tempo, di questa farsesca rappresentazione. Uno spettacolo, in realtà, molto più volgare che sovversivo del quale nella memoria storica probabilmente resteranno – come nel caso del “melt down” di Giuliani – soltanto le immagini più triviali.

Nel caso specifico: quella di Richard Barnett, il sessantenne miliziano trumpista fotografato spaparanzato nell’ufficio della presidente della House of Representatives, la democratica Nancy Pelosi, mentre, con gli stivaloni poggiati sulla scrivania, mostra al mondo un biglietto (da lui vergato) che elegantemente dice: “Nancy, Bigo (il proprio soprannome, nda) was here, you bitch”. Bigo è stato qui, cagna.

Bigo è stato qui. E qui resterà, perché tra due settimane, su questo non ci piove, Donald Trump lascerà la Casa Bianca, ma il trumpismo – un virus le cui origini sono molto più antiche di Trump – continuerà a scorrere nelle vene d’una democrazia in crisi. Pressoché l’intero partito repubblicano ha, fino al “bivacco di manipoli” consumatosi ieri, accompagnato Trump nel suo grottesco assalto alla democrazia. E i sondaggi dicono che il 39 per cento degli americani (e l’80 per cento della base repubblicana) credono alla storia della frode.

Tutto è ridicolo in questa storia. E, proprio per questo, non c’è assolutamente nulla da ridere.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/08/assalto-al-congresso-usa-il-bivacco-di-manipoli-e-una-farsa-che-non-fa-ridere-per-nulla/6058582/?fbclid=IwAR10OQjdABOngIK7qcElddRry2QLh5cc4yRfqIbeU4ezFiekgA-9f7eKAL8

Rapporto sulle rinnovabili nell’UE tra promossi e bocciati. Obiettivo sfumato nel settore dei trasporti. - Gianluca Martucci

 

Gli Stati membri accrescono la loro dipendenza dalle fonti alternative, ma è frammentato il quadro sul raggiungimento degli risultati prefissati.

Bruxelles – In linea con l’obiettivo del 20 per cento da raggiungere entro il 2020. Secondo gli ultimi dati statistici raccolti da Eurostat, nel 2019 l’Unione Europea ha ricavato il 19,7 per cento del consumo totale di energia da fonti rinnovabili, una percentuale molto vicina alla soglia minima prefissata per l’inizio del decennio in corso e che raddoppia il 9,6 per cento registrato nel 2004.

La soddisfazione per il dato complessivo europeo convive tuttavia con il mancato conseguimento da parte di alcuni Paesi della quota obiettivo fissata a livello nazionale. Tra i casi di maggiore rilievo i dati bocciano la Francia, che rispetto al valore di riferimento del 23 per cento fissato per il 2020 si attesta al 17,2 per cento, l’Irlanda, ferma al 12 per cento rispetto al target del 16 per cento, e i Paesi Bassi, il cui 8,8 per cento si collocano lontano dall’obiettivo del 14 per cento.

In generale la maggior parte dei 27 membri dell’UE ha dimostrato di tener fede agli impegni presi (vale anche per l’Italia, sebbene i dati del Bel Paese siano ancora preliminari). Superano abbondantemente le aspettative i membri scandinavi dell’UE, la Croazia e la Bulgaria.

Quota di energia totale consumata ricavata da fonti rinnovabili per ciascuno Stato membro nel 2019. Fonte Eurostat

Quanto all’impiego delle fonti rinnovabili nella produzione di elettricità, l’andamento sempre più positivo, dice Eurostat, si deve in particolare al contributo dell’energia eolica e dell’energia idroelettrica e al crescente ricorso all’energia solare mostrato negli ultimi anni. Nel 2019 il 34 per cento del fabbisogno di energia elettrica nell’UE è stato coperto principalmente da queste tre fonti di energia rinnovabile.

Tra gli esempi virtuosi di Paesi che dipendono fortemente dalle fonti alternative per la produzione di energia elettrica ci sono l’Austria e la Svezia, che superano il 70 per cento del consumo totale. A parte Malta, Lussemburgo e Cipro, che non superano il 10 per cento, sono lontani dalla media europea anche i Paesi del blocco di Visegrad (Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria tra tutti), e i Paesi del Benelux (in Lussemburgo le energie rinnovabili non producono più del 10 per cento del totale dell’energia elettrica consumata). L’Italia “imita” la media europea con una percentuale pari al 35 per cento.

Appare più ottimistico il quadro dell’impiego delle fonti rinnovabili per gli impianti domestici di riscaldamento e climatizzazione: si collocano sotto la media europea del 22 per cento “solo” dieci Stati Membri (tra cui l’Italia con il 19,8 per cento e la Germania con il 14,6 per cento). È più uniforme, ma deludente rispetto ai propositi, il dato sulle fonti rinnovabili nel campo dei trasporti. L’obiettivo del 10 per cento del totale del consumo fissato per tutti i 27 Stati membri è stato superato solo da Svezia (30 per cento), Finlandia (21) e Paesi Bassi (12). Nessuna missione compiuta per gli altri 24 Paesi dell’UE.

Impiego delle energie rinnovabili nel settore dei trasporti nell’UE nel 2019. Fonte Eurostat

https://www.eunews.it/2021/01/08/rapporto-sulle-rinnovabili-nellue-promossi-bocciati-obiettivo-sfumato-nel-settore-dei-trasporti/140208

Cinque anni senza David Bowie, un genio caduto sulla Terra. - Paolo Baiamonte

 

Camaleontico e rivoluzionario, annullò i confini tra arte e vita.

Il 10 gennaio di cinque anni fa moriva David Bowie. L'8 aveva compiuto 69 anni, lo stesso giorno era uscito "Black Star", il suo testamento artistico.

Per i fan quella successione è stata uno shock: pochi sapevano che uno dei geni più rivoluzionari della storia del rock era da qualche tempo un malato senza speranze, ma in quel triste giorno del 2016 tutti capirono che quell'addio era stato preparato come l'ultimo atto di un'avventura artistica che ha cambiato il mondo. E, per certi aspetti, lo shock fu ancora più grande, quando, ascoltando le note di "Black Star", un album di una profondità lacerante, ci si trovò di fronte al capolavoro di un uomo che ha deciso di raccontare la propria fine annullando nel modo più definitivo il confine tra arte e vita.

David Robert Jones, il nome con cui era iscritto all'anagrafe di Brixton, nel Sud di Londra, ha dimostrato che una rockstar può essere molto di più di un rocker e qualcosa di diverso da una star. Per esempio un alieno caduto sulla Terra chiamato Ziggy Stardust che fece scoprire al mondo l'idea che un musicista poteva essere contemporaneamente una figura che, molto in anticipo sui tempi, metteva in gioco un'ambiguità sessuale sfrontata e al tempo stesso mescolata con il Cabaret berlinese, il teatro Kabuki, il Mimo di Lindsay Kemp.

Un artista che non fosse Bowie probabilmente avrebbe campato tutta la vita sugli allori di Ziggy, ma lui decise di liberarsi da quell'alter ego così ingombrante per assumere prima l'identità del Thin White Duke, il Duca Bianco lanciato alla conquista dell'America ma schiavo della cocaina per poi immergersi nella Berlino della metà degli anni '70 per produrre la celeberrima Trilogia Berlinese con una delle tante scioccanti svolte stilistiche. E' impressionante pensare quante cose sia stato David Bowie, quello di "Let's Dance" e quello del rock durissimo e fallimentare sul piano commerciale dei Tin Machine, un crooner dal carisma impareggiabile, un autore geniale, un'icona di stile, un esploratore di suoni, un attore, un artista che tutto sommato si è curato poco del mercato ma ha guadagnato montagne di soldi grazie ai Bowie Bond, un'operazione finanziaria senza precedenti, un pittore legato all'Espressionismo tedesco, un attore dal curriculum importante composto da film come "L'uomo che cadde sulla Terra", "L'ultima tentazione di Cristo", "Miriam si sveglia a mezzanotte", "Furyo", "Tutto in una notte", "Labirinth" e che si è concesso un autoironico cameo in "Zoolander" e un'apparizione in "The Prestige" di Christopher Nolan.

Un personaggio unico, illuminato, spinto da una curiosità inestinguibile e da un inarrestabile desiderio di conoscenza, quasi a voler comunicare che il cambiamento e la scoperta del nuovo sono un metodo per mettere ordine nel caos. David Bowie è stato e continua ad essere uno degli artisti più influenti della storia della cultura popolare, come ha dimostrato la Mostra realizzata dal Victoria and Albert Museum di Londra. Uno dei primi a capire che il Rock'n'Roll poteva essere molto di più della musica che annunciava al mondo la nascita dei giovani come categoria sociale, a intuire che si poteva andare al di là di confini e convenzioni, che attorno alla musica si poteva costruire un vero e proprio universo di segni. Perfino la morte è stata trasformata in qualcosa che andava oltre la sua ineluttabile verità. Quando, di fronte all'ultimo atto, David Duncan Jones e David Bowie sono tornati ad essere la stessa persona.

https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/musica/2021/01/08/cinque-anni-senza-bowie-genio-caduto-sulla-terra_d58b4379-647e-4a7d-b048-5dffec77ca9e.html?fbclid=IwAR3UpsgqMZm-KCqAHGO9hp566FlATeR6btgPaBDONCOiJj_EK0oXjrVOE68