martedì 6 aprile 2021

Enrico “il tiepido” non riesce ancora a derenzizzare il Pd. - Andrea Scanzi

 

Come si sta comportando Enrico Letta da segretario del Pd? È presto per dare un giudizio definitivo, ma è abbastanza per farsi già un’idea. Così come la sua scelta giustificava applausi e perplessità, anche le sue prime mosse risultano ambivalenti.

Letta ha scelto Provenzano come vicesegretario del Pd, mossa dichiaratamente di sinistra e antirenziana. Bene. Ma ha dovuto subito bilanciare questo azzardo (per lui) con una seconda vicesegretaria ben meno divisiva come Tinagli. Il nuovo (?) segretario del Pd ha poi incontrato in rapida successione Conte, Fratoianni e Di Maio. Ovvero tre figure che puntano dritte verso quel “campo progressista” (cit. Bersani) che significherebbe chiudere per sempre con Renzi e con un’idea di centrosinistra poco sinistra e molto centro (tendente a destra). Tutti e tre si sono detti soddisfatti dell’incontro con Letta. Fin qui le cose buone.

Poi però ci sono le perplessità. Una delle prime è ciò che Michela Murgia ha giustamente chiamato “pink washing”, ovvero imporre due donne come capogruppo a Camera e Senato. Un maquillage imposto dall’alto e risolto alla maniera piddina: ovvero Marcucci che si oppone mestamente, per poi indicare un nome femminile (Malpezzi) che vuol dire ancora renzismo. E dunque nulla sposta in termini politici.

Enrico Letta, prima vittima illustre di quella tendenza allegramente traditrice di Renzi, sta facendo per ora pochissimo per attuare quella derenzizzazione totale di cui il Pd, per essere credibile e dunque votabile, ha bisogno come il pane. Il Partito democratico risulta ancora una forza oltremodo balcanizzata, devastata dalle correnti e atavicamente sorda a un rinnovamento reale. Per meglio dire: incapace di andare oltre quel “conservatorismo” genetico che da ormai dieci anni lo porta ad accettare qualsiasi governo “per senso dello Stato”: Monti, Alfano, Berlusconi, Renzi, Gentiloni, Conte, Salvini, Draghi. Praticamente tutti. Con buona pace di un’identità personale che ai più, infatti, sfugge. Certo il buon Enrico non poteva fare miracoli in poche settimane, ma ha ragione Cacciari quando afferma deluso che non si è ancora minimamente capito quale idea di partito abbia in testa Letta.

Vi è poi un aspetto che risulta forse il più fastidioso, ovvero una sorta di spocchia che non dovrebbe attecchire in una figura seria e sobria come Letta. È naturale, per quanto fastidioso, che Letta come Zingaretti attacchino – con toni davvero eccessivi – Virginia Raggi. Il Pd ha il suo (buon) candidato a Roma, Gualtieri, ed è da sempre convinto che Raggi incarni il Maligno. Bah. Romano Prodi insegna però come le alleanze su scala locale siano totalmente diverse da quelle su scala nazionale, e dunque scannarsi su Roma non vuol certo dire non poter unirsi alle prossime elezioni politiche. Il punto è un altro, e lo ha ben sottolineato due giorni fa su queste pagine Barbara Spinelli: mentre i 5 Stelle provano a “rifondarsi” con Conte, il Pd appare tiepido. Statico. E con un’aria insopportabile di superiorità morale (de che?). Lo stesso Letta ha detto che spetterà a Conte trasformare il M5S in una forza non identica al Pd, ma meritevole di dialogare col Pd. Ecco, qui è bene intendersi: se è innegabile che il M5S debba cambiare e maturare, è altrettanto acclarato che Letta (o chi per lui) dovrà attuare una rifondazione analogamente “brutale”. Detta ancora più dritta: se il M5S dovrà meritare di allearsi col Pd, anche il Pd dovrà meritare di allearsi con il M5S. E il Pd attuale, con troppi Marcucci e Malpezzi in prima fila, non può certo dare lezioni di bellezza e democrazia agli altri.

IlFattoQuotidiano

Il terzo tragico Fantozzi. - Marco Travaglio


È vero che il nostro è uno sporco mestiere e che le notizie si danno tutte. Però Repubblica poteva risparmiarci, almeno nel giorno di Pasqua, lo straziante grido di dolore di Antonella Camerana, “villeggiante a Portofino” e ivi “prigioniera in casa”, dopo una rocambolesca “fuga dalla tristezza” di Milano. Immaginare quel viaggio di stenti dalle favelas di via Montenapoleone alle bidonville di Portofino, dove la povera senzatetto “ha raggiunto il borgo ben prima dei divieti” con mezzi di fortuna, forse su un carro bestiame o nel cassone di un camion, ci ha funestato la letizia tipica del dì di festa. Neanche un’anima pia che l’accogliesse al suo arrivo in piazzetta, poi. Per fortuna, giunta nel nuovo lazzaretto, la sventurata ha trovato un po’ di conforto sulle pagine di Rep che, quando si tratta di soccorrere i bisognosi, non si tira mai indietro. Il cronista Massimo Minnella s’è preso cura di lei, cercando di alleviarne la solitudine: “Si è sentita ben accolta quando è arrivata?”, le domanda premuroso. E lei: “E chi mai potrebbe accogliermi? Qui non si vede nessuno, c’è il deserto”. Ma dove sono la Caritas, Sant’Egidio, i servizi sociali? E il reddito di cittadinanza, d’emergenza, d’urgenza? Niente. Non resta che rovistare nei cassonetti a caccia di un tozzo di pane raffermo. Dalla baracca di latta, la sventurata in lacrime nota “una calma innaturale”. “Una piazzetta spettrale, come non era mai accaduto prima”, rincara il cronista. Tant’è che alla fine è lei a rincuorare lui: “Ma è pur sempre Portofino, c’è il mare e poi c’è la natura”. “Ma non è certo come le altre volte”, osserva lui. Lei torna a incupirsi: “Esattamente così. Mi piace molto di più la Portofino normale, amo la gente, i bar aperti… Questo vuoto è molto deprimente. Mi alzo e non vado nemmeno in piazzetta. Non l’ho mai vista così, è incredibile, non me l’aspettavo”. Già: “a Milano tutto chiuso” e pure a Portofino, chi l’avrebbe mai detto. “Prigioniera” nello slum vista mare, la signora non ha neppure i soldi per comprare un giornale, o una tv, o una radiolina a transistor che l’avvertisse della terza ondata di Covid. Un supplizio.

Ieri, dopo aver trascorso il giorno di Pasqua a struggerci per la sua triste sorte, abbiamo appreso dal web ciò che Rep s’era scordata di dirci: la “prigioniera” è la contessa Antonella Carnelli De Micheli Camerana, seconda moglie del defunto conte Carlo Camerana (pronipote di Giovanni Agnelli fondatore della Fiat e cugino primo di Gianni, Umberto &C.) nonché azionista di Exor-Fca (ergo di Rep), che parla dalla sua villa a Portofino, forse in attesa di rimpiazzare la parigrado Pia Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare nel varo della nuova nave Repubblica: “Ri-ri-vadi, contessa! Ma un po’ più a destra!”.

IlFattoQuotidiano

La mia lettera al direttore Massimo Giannini pubblicata questa mattina su "La Stampa" . - Giuseppe Conte

 

"Gentile Direttore,

da alcune settimane sono impegnato nel compito di rifondare il Movimento 5 Stelle, in modo da rilanciarne la carica innovativa e renderlo pienamente idoneo a interpretare una nuova stagione politica. Anche per questa ragione sto evitando di rilasciare dichiarazioni e di intervenire nell’attualità politica. Ritengo prioritario preparare al meglio una nuova agenda politica, da condividere con la massima ampiezza, che sappia esprimere un progetto di società rispondente ai bisogni più urgenti dei cittadini, ma fortemente proiettata su un modello di sviluppo che coinvolga anche le generazioni future. Ma sono costretto a intervenire per correggere alcune falsità riportate nel lungo editoriale, che Lei ha offerto ai lettori del suo giornale il giorno di Pasqua, dedicato ai vecchi e ai nuovi scenari di politica estera del nostro Paese, con particolare riguardo al conflitto libico, dal titolo “Italia e Libia. Un atlante occidentale”.

Non posso tacere perché queste notizie false, essendo attinenti alla politica estera perseguita dall’Italia negli ultimi anni, non riguardano solo la mia persona, ma anche un buon numero di nostri professionisti, della filiera diplomatica e dell’intelligence, che hanno condiviso gli sforzi e profuso grande impegno in questa direzione.

Non entro, peraltro, nel merito delle varie considerazioni da Lei formulate. Sono sue, opinabili valutazioni. Non Le scrivo per aprire una discussione sui complessi scenari di geo-politica. Ma trovo palesemente fuorviante riassumere tutte le iniziative di politica estera poste in essere dai due governi da me presieduti con l’immagine di un’“Italietta che finalmente si risveglia dalla sbornia nichilista, sovranista e anti-occidentale di questi ultimi tre anni”.

Sono rimasto colpito dall’incipit del Suo editoriale. Con un accorto espediente retorico ha messo in relazione tre notizie: la prima vera, la seconda e la terza completamente false.

La prima notizia, vera, è che “Dopodomani [oggi per chi legge, n.d.r.] Mario Draghi volerà in Libia”. Questa notizia è seguita da un suo commento, pienamente legittimo: “è una missione cruciale, non solo per la difesa del nostro interesse nazionale, ma in parte anche per la ridefinizione del nuovo Ordine Mondiale, la riaffermazione dei valori dell’Occidente, la ricostruzione del ruolo dell’Europa”.

Subito dopo ci sono due notizie false, che non riguardano solo me personalmente quanto la politica estera perseguita dall’Italia. Queste due falsità sono precedute da un suo commento molto malevolo: “Le ultime pezze a colori improvvisate da Giuseppe Conte nel Corno d’Africa e nella Penisola Arabica hanno portato più malefici che benefici”.

La prima falsità: “I due incontri ad Abu Dhabi con Mohammed bin Zayed, tra il novembre 2018 e il marzo 2019, furono talmente inutili sul dossier libico che lo sceicco emiratino diede ordine ai suoi diplomatici di non organizzargli mai più altri colloqui con l’Avvocato del Popolo”.

La seconda falsità: “Il blitz a Bengasi del 17 dicembre 2020, organizzato come uno spot di bassa propaganda solo per riportare a casa i pescatori mazaresi previa photo-opportunity con Haftar, è stato ancora più imbarazzante”.

La prima notizia è smentita dal fatto che dopo le date che Lei ricorda ho avuto ulteriori colloqui con lo sceicco Mohammed bin Zayed, che hanno confermato non solo l’eccellente rapporto personale instaurato, ma anche le ottime relazioni tra i nostri due Paesi. Mi permetta poi di sottolineare che la sua falsità suona davvero ingenua: in pratica ha tentato di convincere i Suoi lettori che lo sceicco emiratino avrebbe informato solo lei che non avrebbe più accettato colloqui con il sottoscritto, quando invece abbiamo sempre operato, anche a tutti i livelli della filiera diplomatica e di intelligence, nella reciproca consapevolezza che i nostri rapporti fossero molto buoni.

La seconda falsità è non meno sorprendente, in quanto già all’epoca dei fatti chiarii che volai in Libia non per piacere, ma perché fu l’unica condizione per ottenere il rilascio dei diciotto pescatori. L’ho fatto. Lo rifarei. Dopo un lungo negoziato e dopo avere respinto altre richieste che giudicai non accoglibili, atterrai all’aeroporto di Bengasi, dove Haftar mi accolse e firmò in mia presenza il decreto di liberazione dei diciotto pescatori. Quanto alla photo opportunity, caro Direttore, la informo che ho ricevuto più volte Haftar a Roma, anche nel pieno di quest’ultimo conflitto libico. Aggiungo che non troverà in giro nessuna mia foto con i pescatori: a loro e a tutti i cittadini di Mazara ho mandato un saluto a distanza. Ho evitato di incontrarli proprio per non dare adito a speculazioni inopportune. Ma vedo che con Lei questa premura, ancora a distanza di tempo, non è servita.

Concludo. Ci auguriamo tutti che il viaggio del premier Mario Draghi in Libia possa rivelarsi utile. Il dossier libico rimane strategico per gli interessi italiani ed europei ed è estremamente rilevante negli equilibri geo-politici mondiali. Non credo che nessuno abbia difficoltà ad aderire al suo auspicio che questa possa essere la svolta che l’intero mondo occidentale attende da anni.Ma non serve e non vale a rafforzare questi auspici la denigrazione di chi è venuto prima.

Gentile Direttore, Lei e l’intero gruppo editoriale a cui il Suo giornale fa riferimento avete abbracciato convintamente una causa. Ora, non dico che debba fidarsi di me. Ma dia retta almeno a un raffinato stratega quale Talleyrand, che ai suoi collaboratori raccomandava sempre: “𝘚𝘶𝘳𝘵𝘰𝘶𝘵 𝘱𝘢𝘴 𝘵𝘳𝘰𝘱 𝘥𝘦 𝘻𝘦̀𝘭𝘦” (“Soprattutto non troppo zelo”). Quando si eccede in fervore si rischia di servire male la causa.

Cordialmente,
Giuseppe Conte" (FB)

lunedì 5 aprile 2021

Alfano, Minniti & C. I ministri di Renzi, casta che lavora. - Lorenzo Giarelli

 

La sintesi più efficace viene da Giovanni Paglia, componente della segreteria nazionale di Sinistra Italiana: “Alfano è a capo del primo gruppo della sanità privata, Padoan si appresta a presiedere Unicredit, Minniti fa il promoter di Leonardo e ora De Vincenti va a lavorare per i Benetton. Tutti ex ministri o sottosegretari: viene quasi da pensare che il governo Renzi sia stato un ufficio di collocamento”.

La metafora funziona perché in effetti, quattro anni e mezzo dopo il referendum che mise fine all’esecutivo di Matteo Renzi, non è solo il senatore semplice di Rignano ad aver trovato fortuna fuori dai Palazzi della politica – in cui però l’ex premier tiene ancora un piede e mezzo dentro – ma anche parecchi dei suoi vecchi compagni di strada. Certo, nessun altro ha un posto come membro stipendiato di un board saudita benedetto dal principe Bin Salman, ma sono comunque tutti ben piazzati, anche grazie alle competenze e alle relazioni personali maturate durante quegli anni di governo.

Affari Banche, aerei e ospedali lombardi.

L’ultimo caso è quello di Claudio De Vincenti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Matteo poi promosso ministro alla Coesione territoriale da Paolo Gentiloni, che prenderà il posto del defunto Antonio Catricalà come presidente di Aeroporti di Roma (Adr), la società controllata dalla famiglia Benetton che gestisce gli scali di Ciampino e Fiumicino.

Nel 2018 De Vincenti aveva fallito il ritorno in Parlamento, sconfitto in malo modo nel collegio uninominale di Sassuolo, dove il centrosinistra arrivò terzo dietro sia al centrodestra che al Movimento 5 Stelle. Occupandosi di aeroporti, per l’esponente del Pd sarà anche un ritorno all’antico: quando Massimo D’Alema era a Palazzo Chigi – parliamo della fine del secolo scorso – De Vincenti coordinava il Nars, la struttura del ministero del Tesoro che regola i servizi di pubblica utilità. Tutti motivi per cui adesso potrà mettersi alle spalle l’ultima delusione elettorale, come per altro avevano già fatto altri colleghi dell’epopea renziana.

A indicare la via ci pensò Angelino Alfano. Già nel luglio 2019, l’ex ministro dell’Interno (con Gentiloni sarebbe passato agli Esteri) si fece convincere dall’allettante proposta del Gruppo San Donato, il colosso della famiglia Rotelli che domina la sanità privata lombarda e che gli offrì la presidenza della holding. Anche Alfano, come De Vincenti, era fuori da Montecitorio dal 2018, quando decise di non ricandidarsi.

La stessa cosa non si può dire per due ex ministri renziani approdati di recente ad altre carriere, scelte a scapito del posto in Parlamento. Pier Carlo Padoan ha infatti lasciato il seggio in quota Pd: a ottobre Unicredit lo ha designato componente del Consiglio di amministrazione e presto verrà formalizzata la sua nomina a presidente dell’Istituto. Un incarico per cui gli torneranno parecchio utili gli anni di esperienza da ministro dell’Economia, ben quattro tra il 2014 e il 2018, prima con Renzi e poi con Gentiloni. In Unicredit infatti potrebbe trovarsi a gestire la fusione con il Montepaschi, la banca che da ministro ha nazionalizzato nel 2017 e a cui il suo ex ministero garantirà una cospicua dote pubblica.

Allo stesso modo, l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti farà tesoro del periodo al governo ora che dovrà dirigere la fondazione Med-Or, creatura del gigante della difesa e dell’aerospazio Leonardo (la ex Finmeccanica). E se di Minniti si ricordano soprattutto le fatiche nel contrasto all’immigrazione dal Nord Africa e nelle relazioni con la Libia, parte di quei temi torneranno centrali nella sua attività, dato che l’obiettivo di Med-Or è quello di costruire “un ponte” attraverso cui “far circolare idee, programmi e progetti concreti” nel settore della difesa e della tecnologia con i Paesi esteri “dal Mediterraneo allargato fin sotto il Sahara, fino al Medio ed Estremo Oriente”.

Se poi Minniti dovesse aver nostalgia degli anni al governo, potrà sempre farsi un giro nei corridoi di Leonardo, dove potrebbe incrociare una sua vecchia conoscenza dei Consigli dei ministri renziani. Da maggio 2020 infatti Federica Guidi fa parte del cda dell’azienda, dove è giunta quattro anni dopo aver lasciato lo Sviluppo Economico a causa dell’inchiesta sul progetto Tempa Rossa: non indagata, l’ex ministra fu intercettata mentre parlava con il compagno (archiviato dopo l’inchiesta) di un imminente emendamento che avrebbe riguardato anche gli interessi industriali dell’uomo. Finita l’esperienza al ministero, la Guidi ha anche potuto recuperare il posto in Ducati Energie (dove è vice-presidente esecutivo) e in Gmg Group, dove siede nel Consiglio di amministrazione.

Onu Agricoltura e scuola tra Nazioni Unite ed Europa.

Un po’ diversi, ma certo non meno prestigiosi, i percorsi di Maurizio Martina e Stefania Giannini. Il primo, dopo quattro anni trascorsi alle Politiche Agricole e uno, particolarmente travagliato, da segretario reggente del Pd, a gennaio di quest’anno è stato nominato vicedirettore generale aggiunto della Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di alimentazione e agricoltura.

E all’Onu lavora da un pezzo anche Stefania Giannini, che con Renzi fu ministra dell’Istruzione fino al 2016. Dopo una lunga carriera universitaria e gli anni al governo, oggi la Giannini è vicedirettrice dell’Unesco, la nota agenzia che promuove “la pace e la comprensione” tra le Nazioni, ente in cui l’ex ministra ha la delega all’Istruzione.

Posizione da cui, anche in virtù dei mesi fianco a fianco al governo, potrà forse dare qualche consiglio a Federica Mogherini, ministra degli Esteri con Renzi e da settembre 2020 rettrice del Collegio d’Europa, l’Istituto di alta formazione in studi europei con sede a Bruges e a Varsavia e finanziato dall’Unione.

IlFattoQuotidiano

Il nipote dello zio…. - Gianfranco Zucchelli

 

Il nipote dello zio….ovvero colui che ha detto che la Raggi è un problema per Roma.
Il nipote dello zio, ha fondato nel 2005, insieme a Angelino ALFANO la fondazione Vedrò, dal nome di una ridente cittadina trentina chiamata DRO, vicina al lago di Garda. Ne facevano parte diversi politici tra i quali: RENZI, LORENZIN, ORLANDO, De GIROLAMO, ma anche magistrati, imprenditori, artisti.
La fondazione godeva di finanziamenti annuali pari a 800 (ottocento) mila euro. Chi finanziava la fondazione? Tra gli altri, Autostrade per l’Italia (BENETTON), Lottomatica/Sisal (gioco d’azzardo) e Giovanni MAZZACURATI (Consorzio Venezia Nuova, quella del MO.S.E. e lo sperpero miliardario) e poi SKY, NESTLE’, GOOGLE, ENI, ENEL, FINMECCANICA.
In data 18 luglio 2013, il senatore 5 stelle MORRA, in Parlamento chiede trasparenza sui fondi ricevuti dalla fondazione.
Il nipote dello zio, prima ancora di diventare presidente del consiglio, andava predicando che bisognava ampliare le privatizzazioni soprattutto con ENI, ENEL, FINMECCANICA, riducendo la proprietà pubblica.
E’ diventato presidente del consiglio, poi sappiamo quello che è successo. Ha dovuto lasciare il governo e la politica perché l’attuale 2%, che allora veleggiava con un consenso popolare bulgaro, gli ha detto “stai, sereno, perché andrò al governo solo tramite elezioni”. Poi invece……
Questo signore s’è trasferito a Parigi, dove ha insegnato fino a qualche giorno fa.
E' stato chiamato d’urgenza da un P.D. in difficoltà.
Adesso il messia del P.D. (in questo periodo vanno di moda coloro che sanno camminare sulle acque, vedi DRAGHI, chiamato per “salvare l’Italia, CONTE, chiamato al capezzale dei 5 stelle) vuol dialogare non solo con CONTE, FRATOIANNI, ma anche con colui che lo ha silurato, e con quell’altro 3% che ancora non ho capito che mestiere faccia e cosa vuol fare da grande, anche se si è candidato a sindaco di ROMA, contro la RAGGI.
Dicevo questo fenomeno venuto d’oltralpe, dialoga con tutti, ma non con colei che ha smantellato un sistema di corruzione che ha strangolato la città di Roma e i suoi cittadini, che ha rimesso i conti pubblici in ordine, che ha fronteggiato a viso aperto i clan sinti Casamonica/Spada, oltre a fare pulizia nelle cooperative che gestivano i migranti, con a capo BUZZI/CARMINATI, che foraggiavano politici di ogni ordine e grado esclusi i 5 stelle.
Se questo è il genio col quale il prof. CONTE dovrà confrontarsi per trovare un’alleanza politica, beh……no grazie. Mai con chi farà accordi con il 2%, col 3 % e soprattutto denigra lo scricciolo romano.
Non so quali materie abbia insegnato in quel di Parigi il nuovo fenomeno piddino, ma molto probabilmente dovrebbe andare a lezione da un avvocato di nome Virginia RAGGI, per capire come si amministra una cosa pubblica con competenza, trasparenza e onestà.
Naturalmente le lezioni dello scricciolo romano, sono “a gratis”…..forse è il caso di approfittarne. E’ un’occasione irripetibile.

Gianfranco Zucchelli su fb

Oltre 70 morti nelle inondazioni in Indonesia.

 

I dispersi sono circa 42.

Oltre 70 persone sono morte e dozzine sono ancora disperse dopo che inondazioni improvvise e frane hanno colpito l'Indonesia e il vicino Timor orientale.
"Ci sono 55 morti, ma questo numero è del tutto provvisorio e cambierà sicuramente, mentre circa 42 persone sono ancora disperse", ha detto all'emittente MetroTV Raditya Djati, portavoce dell'agenzia indonesiana per la gestione dei disastri.

Altri 16 corpi erano già stati trovati.

ANSA
La terra si ribella, ma se la prende con i più deboli.

Mafia: 'tradito' da pranzo di Pasqua, fermato boss. -

 

In cella nuovo capo clan Pagliarelli,era scappato in Brasile.


(ANSA) - PALERMO, 05 APR - Il pranzo di Pasqua con la famiglia è stato fatale a Giuseppe Calvaruso, ritenuto capo del mandamento mafioso palermitano di Pagliarelli che da tempo si era trasferito in Brasile e che era tornato a Palermo per i giorni di festa per poi partire per l'America. I carabinieri del comando provinciale, nel corso dell'operazione Brevis, lo hanno fermato mentre era con la sua famiglia per festeggiare la Pasqua.

Con lui sono finiti in manette Giovanni Caruso, 50 anni, Silvestre Maniscalco, 41 anni, Francesco Paolo Bagnasco, 44 anni, Giovanni Spanò, 59 anni, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, lesioni personali, sequestro di persona, fittizia intestazione di beni, tutti reati aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose.

Il provvedimento è stato emesso dai pm Federica La Chioma e Dario Scaletta, coordinati dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. 

Per i carabinieri, Calvaruso sarebbe diventato il reggente del "mandamento" mafioso di Pagliarelli dopo l'arresto del boss Settimo Mineo, finito in cella due anni fa. Calvaruso da qualche tempo si era trasferito in Brasile delegando ai suoi fedelissimi la gestione gli affari delle "famiglie" a lui subordinate. Il suo diretto referente, durante la permanenza in Brasile, sarebbe stato Giovanni Caruso.

Prima di lasciare l'Italia, il capomafia avrebbe mantenuto, attraverso riunioni e incontri anche in luoghi riservati, un costante collegamento con i vertici dei mandamenti mafiosi di Porta Nuova, Noce, Villabate, Belmonte Mezzagno per la trattazione di affari. Nel ruolo di capo avrebbe risolto le controversie fra gli "affiliati", assicurato "l'ordine pubblico" sul territorio, ad esempio prendendo parte a un violento pestaggio agli autori di alcune rapine non autorizzate da Cosa nostra. Come emerso in un dialogo intercettato con Caruso, Calvaruso avrebbe assicurato il mantenimento in carcere dei detenuti appartenenti alle famiglie mafiose del mandamento e gestito, grazie a prestanomi, il controllo di attività economiche dentro e fuori il territorio di sua competenza.

Commercianti e imprenditori si rivolgevano a Cosa nostra per ottenere autorizzazioni per l'apertura di attività commerciali o per risolvere liti e controversie: l'organizzazione mafiosa, secondo gli investigatori, avrebbe assunto, secondo una consolidata tradizione, una patologica funzione supplente rispetto alle istituzioni dello Stato. Emerge dall'inchiesta della dda di Palermo che oggi ha portato al fermo di boss e gregari della famiglia mafiosa di Pagliarelli. Al clan sarebbe stato chiesto di individuare e punire gli autori di rapine commesse senza il benestare del clan, trovare e restituire ai proprietari un'auto rubata, autorizzare l'apertura di nuovi esercizi commerciali.

Le indagini hanno ricostruito il pestaggio di un rapinatore che avrebbe commesso due colpi non autorizzati dalla famiglia mafiosa. Il titolare di una rivendita di detersivi, dopo due rapine subite nell'arco di 5 giorni, si sarebbe rivolto agli uomini di Cosa nostra per identificare i responsabili e tornare in possesso dei soldi rubati. L'imprenditore avrebbe chiesto l'intervento di Giovanni Caruso, tra i fermati, a cui avrebbe consegnato le immagini girate dal sistema di video-sorveglianza durante le rapine subite il 29 agosto e il 3 settembre del 2019. I rapinatori sono stati individuati dalla cosca e l'ideatore dei colpi è stato attirato in un garage, e pestato a sangue anche alla presenza del boss Giuseppe Calvaruso. Caruso, inoltre sarebbe stato contattato da un altro commerciante per ritrovare una Lancia Y rubata.

Calvaruso avrebbe accumulato ingenti capitali che avrebbe reinvestito nel settore edile e della ristorazione. Per evitare il sequestro dei beni avrebbe creato una fitta rete di prestanomi a lui fedeli per cercare di tutelare il suo patrimonio. I militari parlano di "notevole abitudine imprenditoriale del capo mandamento" che andava a caccia di flussi di capitali provenienti da investitori esteri. In particolare Calvaruso avrebbe fatto affari con un cittadino di Singapore interessato a investire grossi capitali nel settore edile e turistico-alberghiero in Sicilia. L'inchiesta ha svelato anche una serie di estorsioni finalizzate a costringere i proprietari di immobili in ristrutturazione a rivolgersi per i lavori alle ditte edili di fatto di proprietà di Calvaruso.

ANSA