mercoledì 2 febbraio 2022

Economia, altro che boom: cresce solo il lavoro precario. - Alessandro Bonetti e Roberto Rotunno

 

COSA DICONO I DATI SULLA RIPRESA - La grande stampa e il governo in estasi per il +6,5% del Pil nel 2021, ma resta sotto i livelli pre-Covid (e pre-2008). I tre quarti dei nuovi posti sono a tempo e i salari restano fermi.

“Scatto del Pil”, “crescita ai massimi”, “incremento mai così alto dal 1976”. A leggere i giornali, sembra che l’Italia stia vivendo un nuovo boom economico. Guardando i dati completi però – e soprattutto mettendoli in prospettiva – la situazione che emerge non è poi così rosea.

Partiamo dalla crescita economica. Secondo la stima preliminare rilasciata dall’Istat il 31 gennaio, nel 2021 il Pil è aumentato del 6,5% rispetto al 2020. La grande stampa, che vede la vie en rose, e diversi ministri non hanno trattenuto la propria “grande soddisfazione”. Un tasso di crescita così alto non lo si vedeva dagli anni Settanta. Un leitmotiv lanciato durante la conferenza stampa dell’Istat da Giovanni Savio (direttore centrale della contabilità nazionale) e subito finito sui titoli del Sole 24 Ore, del Corriere della Sera, della Stampa e di Repubblica. Ma concentrarsi solo sui tassi di crescita restituisce una prospettiva distorta. Per avere un punto di vista più equilibrato, basti pensare che era dalla Seconda guerra mondiale che non si vedeva una recessione come quella del 2020, come d’altronde ha puntualizzato lo stesso Savio. È l’altra faccia della medaglia, che però molti commentatori non considerano più di tanto. La crescita del Pil del 6,5% nel 2021, più che un vero “balzo”, è un rimbalzo. Infatti, nel 2020 l’economia italiana si era contratta del 9% ed è naturale che poi (con l’alleggerimento delle misure restrittive, la piena attivazione degli stabilizzatori automatici e la doverosa spesa pubblica anticiclica, cioè i sostegni) si sia ritornati a una maggiore attività. In altre parole, con la crisi siamo precipitati giù da una ripida montagna, e ora stiamo semplicemente risalendo la china.

Per rimettere le cose in prospettiva, basta un semplice esercizio. Prendiamo i dati trimestrali dell’Istat e completiamoli con una delle altre stime appena divulgate: +0,6% di crescita reale fra terzo e quarto trimestre 2021. Quello che si ottiene è il grafico a destra, in cui si osserva che non abbiamo ancora recuperato il Pil pre-Covid del 2019. Da parte sua, il governo si è posto l’obiettivo di “conseguire nel 2022 una crescita del Pil superiore al 4%”, come si legge in una nota del ministero dell’Economia (a bilancio la previsione è del 4,7%). Se l’Ocse nel suo ultimo Outlook ha addirittura stimato una crescita del 4,6% per il 2022, non sono dello stesso parere Banca d’Italia e Fondo Monetario Internazionale, le cui stime si fermano entrambe al 3,8%. Con questa ulteriore crescita il Pil finalmente recupererebbe il livello pre-pandemia, ma resterebbe comunque sotto la media della zona euro. È evidente che, in una situazione del genere, non basta tornare semplicemente a dove il Covid ci aveva colti di sorpresa. Vale la pena ricordare che prima della pandemia non avevamo ancora recuperato i livelli di attività economica precedenti alla crisi del 2008. I soldi del Pnrr continuano a essere invocati come una panacea, ma non basteranno a sanare le debolezze dell’economia italiana.

Anche dal lato dell’occupazione, i dati mostrano che dietro quella che appare come una crescita si nasconde in realtà un semplice recupero, molto parziale, del tonfo vissuto nel 2020. Tra l’altro, con una dose di precarietà ben più marcata di quella vista prima della pandemia. Un numero su tutti: a dicembre 2021 il totale di persone occupate in Italia risulta ancora inferiore di 286 mila unità rispetto a febbraio 2020, mese in cui il virus ha fatto irruzione. Ma è soprattutto se si guarda alla qualità delle nuove assunzioni che viene fuori tutta la debolezza di questa ripresa. Sempre nell’ultimo mese del 2021, i dipendenti a termine hanno raggiunto tre milioni e 77 mila unità. Siamo a un passo dal record storico di tre milioni e 97 mila ottenuto a maggio 2018, prima dell’arrivo del decreto Dignità (governo gialloverde). Nell’ultimo trimestre dell’anno appena trascorso, gli unici rapporti che mostrano un saldo positivo – più 92 mila – sono i precari mentre gli indeterminati sono scesi di 17 mila unità. Ma è una dinamica che riguarda tutto il 2021: su base annuale, tra dicembre 2020 e dicembre 2021 i posti di lavoro subordinati sono saliti di 590 mila unità, e di questi ben 434 mila – il 73,6% – sono a termine. Negli ultimi tempi la Confindustria ha spesso reclamato l’aiuto del governo sostenendo, a parole, di voler creare buona occupazione; questa volontà sembra finora essere stata trattenuta da una scarsa fiducia che le stesse imprese nutrono verso le prospettive di crescita o dalla volontà di comprimere i costi. Almeno per il momento, stanno arruolando per tre quarti con contratti a scadenza e part time per oltre un terzo del totale.

Questa tipologia riguarda soprattutto le donne. Lo dice il Gender Policies Report diffuso poche settimane fa dall’Inapp: nel primo semestre 2021 sono stati attivati oltre 3,3 milioni di rapporti di lavoro, e di questi quasi 1,2 milioni sono a tempo parziale. L’incidenza arriva al 65% nel comparto Pubblica amministrazione, scuola e sanità, al 55% nelle attività immobiliari e al 42,6% nel settore commercio e turismo. Addirittura il 49,6% di donne assunte si è dovuto accontentare di contratti di poche ore. Si tratta di un dato generale sull’Italia nel quale, come sempre, si annida una situazione molto variegata tra diverse Regioni e tra città e periferia. In Calabria, per esempio, ben il 74,4% di contratti femminili è a tempo parziale. Poco più bassa è la percentuale nelle altre Regioni meridionali. Questa cospicua fetta di contrattini fa sì che il numero di ore lavorate complessive si mantenga costantemente al di sotto dei livelli pre-pandemici. Nel terzo trimestre del 2021 si sono fermate poco sotto i 10,5 miliardi. Nello stesso trimestre del 2019 superavano invece gli 11 miliardi. Rapporti di lavoro precari e fragili producono salari miseri. Il mix tra paghe basse e scarso numero di ore lavorate comprime i guadagni dei lavoratori. Nel 2021 le retribuzioni contrattuali orarie sono salite dello 0,6%, molto meno dell’inflazione. Come ha spiegato l’Istat, “alla luce della dinamica dei prezzi al consumo – in forte accelerazione nella seconda metà dell’anno e pari a circa tre volte quella retributiva – si registra anche una riduzione del potere d’acquisto”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/02/economia-altro-che-boom-cresce-solo-il-lavoro-precario/6477321/

MiniMario. - Marco Travaglio

 

Un anno fa, 2 febbraio 2021, Mattarella chiamò Draghi per sostituire Conte, dimissionario dopo aver avuto la fiducia di Camera e Senato, con un coso mai visto prima: “Un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica” con “tutte le forze politiche presenti in Parlamento”. Sfortunatamente abboccarono tutti i partiti tranne fortunatamente uno (sennò avremmo avuto un coso già visto prima, ma nelle dittature). Il progetto era chiaro: cancellare il popolarissimo premier che aveva gestito la pandemia e portato a casa 209 miliardi di Pnrr; raddrizzare le gambe agli elettori che avevano sbagliato a votare nel 2018 per un cambiamento radicale (ribattezzato dai gattopardi “populismo” e “sovranismo”); neutralizzare i partiti vincitori annegandoli in una maggioranza così ampia da renderli ininfluenti e infiltrando in ciascuno di essi un PdD (partito di Draghi) per scardinarne le leadership e riportarli a più miti consigli. Perciò i ministri politici furono scelti, con rare eccezioni, fra i più allineati al sistema: Di Maio per il M5S, gli antisalviniani Giorgetti, Garavaglia e Stefani per la Lega, i lettiani (nel senso di Gianni) Brunetta, Gelmini e Carfagna per FI, più i pidini già allineati per Dna. L’avvento di Letta (nel senso di Enrico) al vertice del Pd agevolò la restaurazione. Il cerchio si sarebbe chiuso se Grillo, dopo aver trascinato i 5S nel governo dei “grillini” Draghi e Cingolani, avesse buttato fuori Conte dopo avergli dato le chiavi: ma la congiura fallì per la rivolta dei militanti.

In ogni caso, chi aveva architettato questo bel progettino era certo che SuperMario avrebbe fatto tali miracoli da lasciare senza fiato gli italiani, regnando sull’Italia, l’Europa e l’orbe terracqueo per almeno 10 anni. Invece non ne azzeccò quasi nessuna, mentre la maionese della maggioranza impazziva. Allora tentò la fuga al Quirinale. Ma, malgrado le sue frenetiche manovre, non se lo filò nessuno (5 voti). Costringendo Mattarella a tagliarsi la faccia e a smentire mesi di “rielezione mai”, pur di salvare il salvabile del Piano Gattopardo. Risultato. Tutte le massime istituzioni sfregiate o screditate: il “nuovo” capo dello Stato che rinnega la parola data come un Napolitano qualsiasi; SuperMario sconfitto, umiliato e ridotto a MiniMario; la presidente del Senato ridicolizzata in diretta tv; la direttrice del Dis impallinata da Letta jr., Di Maio, FI e frattaglie varie (e screditata dalla foto con Giggino); la maggioranza in frantumi, con le coalizioni e i partiti in pezzi; l’“antipolitica” ai massimi storici, col nuovo boom dell’astensionismo; e un solo partito che ci lucra: l’unico che sta all’opposizione, il più “populista” e “sovranista” fra quelli che i gattopardi volevano radere al suolo. Bei pirla.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/02/minimario/6477311/

Più occupati: bene donne e under 50, male gli autonomi. - Claudio Tucci

 

A dicembre tasso di occupazione al 59%. Ma rispetto a febbraio 2020 ancora 286mila lavoratori in meno. A novembre e dicembre primi segnali di frenata.

I punti chiave


Il 2021 si è chiuso con +540mila occupati, -184mila disoccupati e -653mila inattivi (tra cui moltissimi scoraggiati). Il tasso di occupazione è salito al 59% (+1,9% tendenziale), tornando ai livelli pre Covid. A dicembre c’è un miglioramento dell’occupazione femminile (+54mila unità in un mese), ma continua il crollo degli indipendenti (-51mila nel confronto su novembre, -50mila sull’anno), a testimonianza di come la ripartenza del lavoro si stia concentrando sul lavoro alle dipendenze: sull’anno, +157mila lavoratori a tempo indeterminato e +434mila a termine. Tra i giovani il tasso di disoccupazione è sceso al 26,8 per cento.

Tra nodi economici e mismatch.

Tutto bene così, quindi? La fotografia scattata dall’Istat su dicembre 2021 mostra luci e ombre. Negli ultimi due mesi dell’anno, novembre e dicembre, il numero di occupati è stabile (anzi in lieve calo) colpa di un clima di incertezza piuttosto generalizzato prodotto da un mix di fattori: il perdurare della pandemia con un elevato numero di contagi, il riaccendersi dell’inflazione, i rincari dei costi dell’energia (i prezzi di gas ed elettricità schizzati alle stelle), le difficoltà nelle forniture di materie prime e semilavorati, rigidità normative. La crescita del Pil è una buona notizia, ma sono urgenti misure ad hoc per non rallentare la ripresa occupazionale. Rispetto al periodo pre pandemia, poi, se il tasso di occupazione è tornato allo stesso livello (59%), il tasso di disoccupazione è ancora inferiore di 0,6 punti e quello di inattività è salito dal 34,6% al 35,1%. Senza considerare poi l’elevato valore del mismatch: una assunzione prevista su tre è difficile, specie nelle materie tecnico-scientifiche. È ormai urgentissimo rilanciare il link scuola-lavoro, massacrato dai precedenti governi.

Primeggiano i contratti a termine.

L’aumento dell’occupazione è trainato dai rapporti a termine: a dicembre, su novembre, i lavoratori temporanei crescono di 59mila unità (è l’unica tipologia contrattuale che aumenta). Sull’anno i lavoratori a tempo sono 434mila.
Il tasso di occupazione femminile sale al 50,5%.
Una buona notizia arriva dalle donne, il cui tasso di occupazione a dicembre sale al 50,5% (ma quello maschile è al 67,6%). In un anno ci sono 377mila occupate in più. Le donne, tuttavia, sono più soggette a lavori temporanei. In quest’ottica, bisogna subito migliorare nelle misure di conciliazione vita-lavoro, con incentivi più robusti. Le donne occupate sono 9 milioni 650mila le donne, gli uomini 13,1 milioni.

Migliora la fascia under 50, male gli autonomi.

Nei dati dell’Istat emerge un miglioramento dell’occupazione nella fascia 35-49 anni, quella centrale del lavoro (+8mila occupati sul mese). In generale, sale l’occupazione di tutta la fascia under50, +29mila tra i 25 e i 34 anni. Continua invece il crollo del lavoro autonomo, specie nei servizi, ancora in fortissimo affanno. Probabilmente, su tutto il lavoro indipendente, è tempo di iniziare a fare una profonda riflessione (e trovare maggiore attenzione nel Legislatore).

Bollette, azzerati gli oneri sulle imprese per il primo trimestre 2022. - Nicola Barone

 

Alla copertura economica (1,2 miliardi euro) si provvede attraverso l’utilizzo di parte dei proventi delle aste di CO2.

Per limitare l’impatto in bolletta degli straordinari rialzi dei prezzi dei prodotti energetici all’ingrosso l’Arera ha azzerato per il primo trimestre 2022 gli oneri generali di sistema per tutte le medio-grandi imprese con potenza pari o superiore a 16,5 kW. Il provvedimento, rende noto l’Autorità, applica quanto previsto con il decreto Sostegni-ter dello scorso 21 gennaio. Alla copertura economica (1,2 miliardi euro) si provvede attraverso l’utilizzo di parte dei proventi delle aste di CO2. Il Dl ha individuato come beneficiari le utenze oltre i 16,5 kW, in media, alta e altissima tensione, quelle degli usi di illuminazione pubblica di ricarica di veicoli elettrici in luoghi accessibili al pubblico.

Intervento analogo per clienti domestici e piccole imprese.

Analoga misura di azzeramento degli oneri generali di sistema nel primo trimestre 2022 per i clienti domestici e le piccole imprese in bassa tensione (sotto i 16,5 kW di potenza) era stata già prevista dall’Autorità in occasione dell’aggiornamento trimestrale delle condizioni di tutela dello scorso fine dicembre, attuando quanto previsto dalla legge bilancio 2022.

Conguaglio oneri se fatture già emesse.

Dunque se alla data di entrata in vigore del provvedimento di azzeramento degli oneri per le imprese oltre i 16,5 kW di potenza per il primo trimestre 2022, deciso con il Dl Sostegni ter, fossero state già emesse fatture relative alla fornitura di elettricità riferite al periodo primo gennaio-31 marzo 2022, i conguagli spettanti dovranno essere effettuati entro la seconda bolletta successiva. Secondo quanto previsto dall’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, se l’offerta commerciale sottoscritta dal cliente non prevedesse l’applicazione diretta delle componenti degli oneri generali (ASOS e ARIM), ciascun venditore dovrà garantire al cliente una riduzione della spesa pari alla differenza tra i valori delle aliquote degli oneri senza e con azzeramento.

Da extra-profitti delle rinnovabili incassi per 1,5 miliardi.

Ammonta a 1,5 miliardi l’incasso stimato dalla Ragioneria generale dello Stato dalla ’restituzione’ introdotta nel decreto Sostegni-ter dei cosiddetti “extraprofitti” delle rinnovabili. Lo si legge nella relazione tecnica al provvedimento. La norma, viene spiegato, “intende stabilizzare il trattamento” degli impianti di rinnovabili finora incentivati (con l’esclusione di quelli considerati piccoli, ovvero fino a 20 kW), “vincolando gli operatori a restituire gli extraprofitti guardando alla vendita dell’energia rispetto ad un prezzo ’equo’ ante-crisi”. La stima viene definita “ragionevolmente conservativa”.

https://www.ilsole24ore.com/art/bollette-azzerati-oneri-imprese-il-primo-trimestre-AEuQAVBB?cmpid=nl_24plus

Ora nel Movimento il tema centrale è il terzo mandato. - Peter Gomez

 

Il Movimento 5 Stelle ha un problema molto più grande dello scontro tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte: l’indecisione. Da più di tre anni il Movimento non affronta la questione centrale per il suo eventuale futuro: la regola dei due mandati. Oggi questo principio, che è da considerare fondante per i pentastellati, è ancora in vigore. Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo lo avevano introdotto per garantire un continuo ricambio degli eletti; per consentire alla società civile di aspirare a entrare in Parlamento non per cooptazione come avviene in tutti gli altri partiti e per evitare che all’interno delle Camere si formassero cordate interessate solo alla propria sopravvivenza. Gruppi di potere che gli elettori da sempre non amano e liquidano con una brutta, ma adeguata parola: poltronari. Un termine dispregiativo che però non tiene conto di un altro aspetto della questione: tra tante persone che dopo dieci anni sono disposte a fare di tutto pur di non perdere lavoro, poltrona e stipendio vi può sempre essere chi ha invece maturato esperienze e competenze molto utili alla forza politica che rappresenta.

Attualmente, in base alla regola, alle prossime elezioni non dovrebbero essere ripresentati 67 su 230 parlamentari. Molti di loro sanno già che se anche la norma fosse abolita le loro chance di rielezione sarebbero molto basse. I consensi sono in calo e il numero di posti a disposizione è per tutti diminuito proprio in base a una riforma costituzionale voluta dal Movimento. Ma avere pochissime possibilità è diverso dal non poter partecipare alla competizione elettorale. Sopratutto se la tua figura pesa nella breve storia grillina. Tra i 67 figurano nomi come quelli di Luigi Di Maio, Paola Taverna, Roberto Fico, Federico D’Incà, Danilo Toninelli, Laura Castelli, Giulia Sarti, Stefano Patuanelli e Vito Crimi. È ovvio e scontato insomma che indipendentemente dallo scontro tra dimaiani e contiani (tra i 67 vi sono esponenti di entrambi i fronti) la tensione salga e che anzi in qualche caso sia proprio la causa dello scontro.

Beppe Grillo ha già fatto sapere mesi fa di essere fieramente contrario a modificare la regola. Se lo fate, ha detto, io me ne vado. E si è limitato ad approvare l’introduzione di un terzo mandato (ipocritamente chiamato zero) per i consigli comunali. Un’innovazione utile, tra l’altro, per permettere a Virginia Raggi di correre di nuovo a Roma.

Conte, invece, non si è mai espresso chiaramente. Al netto del necessario assenso di Grillo e del voto vincolante da parte degli iscritti, le soluzioni possibili sono quattro: non cambiare niente; abolire la regola; introdurre un ulteriore mandato, ma solo per quanto riguarda i consigli regionali oltre che comunali; consentire delle deroghe. Cioè dare a Conte, o chi per lui, il potere di stabilire chi sono i meritevoli che però, per essere ripresentati, dovranno prima essere votati dagli aderenti ai 5Stelle. Ogni scelta ha dei pro e dei contro. Fatti chiari li esaminerà in una prossima rubrica. Una cosa però è certa. Rimandare non può che peggiorare le cose in un movimento in cui Di Maio può aspirare ad avere dalla sua parte molti parlamentari, ma al contrario di Conte pochi iscritti. Per questo l’ex premier, per il bene suo e della forza politica che rappresenta (e quindi anche di Di Maio), dovrebbe rileggere una frase del ventiseiesimo presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt: “Quando devi decidere, la migliore scelta che puoi fare è quella giusta, la seconda migliore è quella sbagliata, la peggiore di tutte è non decidere”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/02/ora-nel-movimento-il-tema-centrale-e-il-terzo-mandato/6477360/?utm_content=marcotravaglio&utm_medium=social&utm_campaign=Echobox2021&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR0BFg3CuLS1Dn1jt7yV-ZcrsL8HtJCaGwbr1IjOEIhgWy7tYT_XEIR_JDk#Echobox=1643791808

martedì 1 febbraio 2022

Spende, spande, ma chiede gli aiuti di Stato: lo spudorato “chiagni e fotti” della Serie A offende chi è stato rovinato dal Covid (e ha continuato a pagare le tasse). - Lorenzo Vendemiale

 

FATTO FOOTBALL CLUB - Sia chiaro: nessuno critica le operazioni di calciomercato, quasi tutte molto intelligenti. Ma è inconcepibile che gli stessi club che spendono centinaia di milioni per acquistare nuovi calciatori poi chiedano al governo ristori e favori fiscali, in barba ai sacrifici di chi è stato davvero devastato economicamente dalla pandemia.

Spendono, spandono, ma poi i presidenti piangono miseria. Dopo Vlahovic e Gosens, ma anche Sergio Oliveira, Zakaria, Boga, Ricci, un calciomercato faraonico, le richieste di ristori da parte della Serie A sono semplicemente indecenti. Non siamo più neppure alla favola della cicala che passa l’estate a cantare e poi si ritrova in inverno senza cibo, perché l’inverno è arrivato da un pezzo e i club lo sanno perfettamente. Qui siamo al “chiagni e fotti” più spudorato.

Oggi si conclude un calciomercato ricco, a livelli pre-Covid. Dalla grande Juventus che è tornata a fare la Juventus, alla piccola Salernitana che ha cambiato mezza squadra, si sono mossi tutti senza badare troppo al portafoglio. Ma in questo non c’è nulla di male. Chi crede che certe cifre siano immorali sbaglia, la retorica del pauperismo fine a se stesso lascia il tempo che trova. È giusto che una società di calcio (che è un’azienda con un fatturato milionario) investa in quelli che sono i suoi asset, se ritiene di poterlo fare. Tanto più che parliamo di operazioni intelligentia partire da Vlahovic, un affare indiscutibile da ogni punto di vista; ma in generale tutte le squadre si sono mosse con lungimiranza, guardando alla prossima stagione, investendo sul futuro. Il problema non è il calciomercato. Il problema è come un comparto che nell’ultimo mese ha speso complessivamente 150 milioni di euro (impegnandone almeno un’altra cinquantina in obblighi di riscatto) possa poi pretendere di non pagare le tasse, oppure ricevere aiuti dallo Stato. Con che faccia si presentino al governo con certe richieste.

Bisognerebbe chiederlo al presidente della Serie A, Paolo Dal Pino, che ha inviato una lettera a Palazzo Chigi per invocare il sostegno del governo (forse nemmeno lui mentre la firmava si è reso conto del clamoroso autogol). Oppure al n.1 della Figc, Gabriele Gravina, che ha appena dichiarato una cosa sacrosanta: “Tra quello che chiediamo e i comportamenti del calcio a volte non c’è coerenza”. Però intanto si è fatto promotore di un tavolo “per la definizione di ristori al mondo del calcio”, che non ha motivo di esistere. E in fondo una risposta chiara dovrebbe darla anche la sottosegretaria allo Sport, Valentina Vezzali, che in un’intervista al Sole 24 Ore ha parlato di “riforme in cambio di aiuti”, ma non si capiva bene se fosse più carota o bastone, un’apertura ai possibile ristori o un richiamo alle colpe del pallone.

Il calcio è ovviamente stato colpito dal Covid, nessuno lo nega, ma non come sostiene (parliamo di un sistema squilibrato che viveva ben oltre le sue possibilità già da anni) e comunque non più di altri settori. A differenza di attività che sono state davvero stroncate dalla pandemia, il pallone non si è praticamente mai fermato se non per quei primi due mesi di lockdown. Ha potuto salvare buona parte dei suoi ricavi (diritti tv, sponsor, ecc.), rinunciando di fatto solo agli incassi da stadio che in media valgono solo il 10% del bilancio di un club. Ha appena ricevuto una sospensione fiscale di quattro mesi, privilegio che ad altri comparti non è stato concesso. C’è in ballo la cancellazione del divieto di pubblicità dalle scommesse, che è un tema politico. Tutto il resto sono pretese irricevibili.

Non perché il calcio non meriti considerazione dallo Stato, ma perché il problema è appunto la coerenza. Se un’attività è in crisi, tira la cinghia e non si imbarca in impegnativi progetti di ristrutturazione. Se la Serie A è “un sistema sull’orlo del baratro, con margini di resistenza assottigliati al minimo” (parole di Beppe Marotta, amministratore delegato dell’Inter), dovrebbe pensare più alle riforme che al calciomercato. Invece di format ridotto del campionatosalary cap, norme contro le commissioni degli agenti non c’è traccia, mentre si vedono colpi da 90 milioni di euro. Tanto poi arrivano i ristori pubblici. Da settimane è in corso un battage mediatico sempre più esasperato per convincere Palazzo Chigi. “Il governo – ha detto minaccioso il patron del Napoli, Aurelio De Laurentiis – deve capire che 25 milioni di tifosi sono 25 milioni di elettori”. Sono anche 25 milioni di persone che pagano regolarmente le tasse.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/01/31/spende-spande-ma-chiede-gli-aiuti-di-stato-lo-spudorato-chiagni-e-fotti-della-serie-a-offende-chi-e-stato-rovinato-dal-covid-e-ha-continuato-a-pagare-le-tasse/6474564/

Autopsia della fu stampa. - Marco Travaglio

 

Pubblichiamo in esclusiva il referto autoptico dell’informazione italiana, venuta a mancare all’affetto dei suoi cari, ma ancora attivissima a piangere la “morte della politica” per nascondere la propria.

L’amuleto. “Per un Draghi al Quirinale. Cinque mesi sono tanti, ma è ora di costruire un whatever it takes per spedire Draghi al Colle” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 24.8).

Buona questa. “Draghi al Quirinale e Franco premier: la strategia M5S” (Stampa, 28.10).

Ne avesse azzeccato uno. “Salvini, Meloni e Conte: lo strano trio che vuole Draghi al Quirinale” (Repubblica, 2.11).

Logica cartesiana/1. “Il timore dei partiti: governo al capolinea se Draghi non va al Colle” (Stefano Cappellini, Repubblica.it, 12.11).

Tutto normale. “Draghi al Quirinale serve per tornare alla normalità” (Marco Damilano, Espresso, 21.11).

Al primo colpo. “Draghi eletto al primo scrutinio, Cartabia premier e poi presidente dopo il settennato di Draghi” (Paolo Mieli, Tagadà, La7, 25.11).

Wanna Marchi. “Draghi al Colle conviene a tutti, anche a chi non lo vuole” (Domani, 3.12).

Il Grandissimo Elettore. “Il premier al Colle: la scelta di Bonomi” (Francesco Verderami, Corriere, 18.12).

È fatta. “‘Cartabia premier e Draghi al Colle’. C’è il patto per convincere le Camere” (Stampa, 22.12).

Adotta un nonno/1. “Il cambio di stagione da SuperMario a ‘nonno d’Italia’. Ha trovato un nome che rimanda al valore nazionale, la famiglia come patria, con echi da Manzoni a Banfi… L’implicita prossima uscita di scena da Palazzo Chigi e il ritmo dell’entrata in scena del nonno d’Italia al Quirinale in una strana atmosfera da grande futuro dietro le spalle… Delegittimarlo… sarà difficile. Si possono delegittimare i padri, mai i nonni” (Francesco Merlo, Repubblica, 23.12).

L’angelo del focolare. “‘Io, un nonno al servizio del Paese’: dalla Bce al focolare degli italiani” (Mario Ajello, Messaggero, 23.12).

Effetto dominus. “Draghi è il solo dominus dei partiti, quindi può andare al Quirinale” (Salvatore Vassallo, Domani, 23.12).

Senza di lui il diluvio. “O la maggioranza manda Draghi al Quirinale oppure salta tutto” (Domani, 23.12).

Adotta un nonno/2. “Draghi disegna il suo Quirinale: nasce il ‘nonnopresidenzialismo’” (Foglio, 23.12).

Adotta un nonno/3. “Non mandate nonno Draghi ai giardinetti… Dopo la sua quasi subliminale ‘discesa in campo’, al momento è il candidato più credibile per il Colle” (Massimo Giannini, Stampa, 24.12).

Ecco il nuovo governo. “Totopremier. Con Draghi al Quirinale… in pole Cartabia, Franco, Franceschini, Giorgetti e Carfagna” (Stampa, 24.12).

Non avrai altro dio/1. “Verrà l’ora in cui a tutti sarà chiaro che per il Colle c’è solo il premier” (rag. Cerasa, Foglio, 28.12).

Non avrai altro dio/2. “Solo Draghi può farcela” (Antonio Polito, Corriere, 28.12).

San Mario Incoronato. “Il ritorno della politica. Draghi ha cambiato schema e frenato il dominio dell’economia. L’elezione al Colle il coronamento” (Guido Maria Brera, Stampa, 29.12).

Il portafortuna. “SuperMario verso il Colle. Anche Renzi lo spinge” (Claudia Fusani, Riformista, 29.12).

Eran 300, eran giovani e forti. “Sondaggio: sono 300 i parlamentari che vogliono Draghi al Colle” (Foglio, 31.12).

Tutti per uno. “Il patto per eleggere Draghi. L’asse M5S-Pd-LeU si allarga ai leghisti fedeli a Giorgetti e ai centristi Renzi e Toti. Meloni spera che col premier al Quirinale si vada al voto” (Stampa, 5.1).

Quello giusto. “Il Cav. può passare alla storia spianando la strada al migliore, Draghi” (Franco Debenedetti, Foglio, 5.1).

Quelli giusti. “Intesa Salvini-Meloni: prima Silvio, poi Mario” (Pietro Senaldi, Libero, 6.1).

Tovarish Mariov. “In Italia la sinistra c’è: si chiama SuperMario” (Michele Prospero, 6.1).

Come s’offre. “Draghi ai partiti: io ci sono, tocca a voi” (Cuzzocrea, Stampa, 14.1).

Spingitori. “Alleanza per Draghi. La settimana prossima incontro Pd-M5S-LeU per spingere SuperMario” (Annalisa Cuzzocrea, Stampa, 16.1).

Patto ricco mi ci ficco. “Il patto di legislatura: meno tecnici al governo con Draghi al Quirinale” (Messaggero, 17.1).

I dragogrilli. “I 5Stelle inchiodano Conte su Draghi” (Giornale, 17.1).

Colao Meravigliao. “L’ipotesi di Colao premier con Draghi al Colle” (Messaggero, 19.1).

Fattore Metsola. “Il partito di Draghi lavora alla stessa larghissima maggioranza che ha spinto Metsola alla guida del Parlamento europeo” (rag. Cerasa, Foglio, 19.1).

Ripartenza. “Si riparte da Draghi” (Stampa, 19.1).

L’Invariabile. “Ci sarebbe una invariabile che rende oziosi i giri di valzer e di parole intorno alla scelta del prossimo presidente. L’invariabile si chiama Mario Draghi” (Carlo Verdelli, Corriere, 20.1).

The Mario After. “Palazzo Chigi: è già dopo Draghi?” (Stampa, 20.1).

M5D. “Ecco il Movimento 5Draghi” (Foglio, 20.1).

È ufficiale. “Berlusconi ha già deciso: il centrodestra voterà Draghi” (Paolo Mieli, Tagadà, La7, 20.1).

Tandem. “Il piano B.: salgono le quote del tandem Draghi-Cartabia” (Libero, 20.1).

Petaloso. “Petalo dopo petalo, l’ultimo sarà quello di Draghi” (Alessandro De Angelis, Huffington Post, 21.1).

Mai più senza. “L’Italia non può rinunciare a Draghi” (Ajello, Messaggero, 21.1).

La somma che fa il totale. “La somma delle percentuali di chi vorrebbe Draghi al Quirinale e di chi lo vorrebbe a Palazzo Chigi è probabilmente 100… Una ragione in più per mandare Draghi al Quirinale alla prima votazione” (Franco Debenedetti, Foglio, 21.1).

Todo Mario. “Tutte le strade che portano a Draghi”, “Il negoziatore Draghi”, “Il partito di Draghi”, “Chigi dopo Draghi” (Foglio, 21.1).

Rassegnatevi. “I partiti si stanno rassegnando a mandare Draghi al Quirinale” (Daniela Preziosi, Domani, 21.1).

Soccorso nano/1. “Il Cav. punta su Draghi” (Claudia Fusani, Riformista, 21.1).

Ci siamo. “I dubbiosi tra i dem ora virano sull’ex capo della Bce” (Maria Teresa Meli, Corriere, 21.1). “Le grandi manovre su Palazzo Chigi. Spinta per una squadra in stile Draghi. I nomi di Cartabia e Colao” (Corriere, 21.1.).

Ha già traslocato. “Passi avanti su Draghi, si cerca il sostituto” (Cuzzocrea, Stampa, 21.1). “Si rafforza l’ipotesi Draghi: anche i deputati M5S convinti ad appoggiarlo” (Stampa, 21.1).

Soccorso nano/2. “Berlusconi: voci di un passo indietro, con indicazione per Draghi” (Verderami, Corriere, 21.1).

Favorito. “Quirinale, ora il favorito è Draghi” (Stefano Cappellini, Repubblica, 21.1).

Incastro. “L’incastro degli incarichi. L’ipotesi di Casini come alternativa a Draghi” (Verderami, Corriere, 22.1).

Avanzi. “Partiti in tilt, avanza Draghi” (Repubblica, 22.1).

Nonno in fuga. “Credo che la Senectus ciceroniana, fatta di sapienza e autorità, sia adatta al ruolo di neutralità e garanzia che la Costituzione assegna al ‘nonno d’Italia’, come ha detto Mario Draghi… nonno lucido e saggio che lunedì eleggeremo” (Merlo, Repubblica, 22.1).

Schema Oronzo Canà. “Quando Berlusconi si convincerà che… il Colle resta precluso, è ragionevole immaginare una larga convergenza su Draghi. È lo schema a cui sta lavorando Enrico Letta” (Francesco Bei, Repubblica, 22.1).

Un bel guadagno. “Chi ci guadagna con Draghi al Colle (tutti): Meloni, Letta, Renzi, Salvini, Conte, il Cav. Perché il reset draghiano conviene a ogni leader” (rag. Cerasa, Foglio, 22.1).

Allucinazioni. “Gli italiani vedono Draghi sul Colle” (Stampa, 22.1).

Come no. “Grillo gela Conte e apre a Draghi” (Repubblica, 23.1).

Tomba. “Lo slalom del premier tra i veti dei partiti” (Repubblica, 23.1).

Lo vota pure lo Spirito Santo. “Il ‘Creator Spiritus’ che manca alla politica… Tutto si può permettere l’Italia di oggi, meno che di lasciare in panchina l’uomo che le sta ridando credibilità e fiducia, dopo averla rappresentata ai più alti livelli alla Bce” (Giannini, Stampa, 23.1).

Caos creativo. “Il rischio caos che potrebbe portare al premier” (Verderami, Corriere, 23.1).

Ha capito tutto. “Belloni premier: la trattativa che può aprire la via a Draghi” (Tommaso Ciriaco, Repubblica, 24.1).

DeBenedixit. “PERCHÉ DRAGHI” (Domani, 24.1).

Logica cartesiana/2. “Se Draghi non trasloca al Colle, a rischio anche il governo” (Alessandra Sardoni, Foglio, 24.1).

Chiamami, Mario. “SuperMario si può salvare se fa almeno tre telefonate” (De Angelis, Stampa, 24.1).

Decide lui. “Solo con Mattarella o Amato, Draghi può restare premier” (Stampa, 24.1).

Così schivo. “Draghi resiste al pressing di chi lo invita a ‘trattare’” (Corriere, 24.1).

È un bel Presidente! “Il nome favorito resta, fin qui, quello del premier, per caratura internazionale, indipendenza, sondaggi, curriculum, ma gli gioca contro giusto l’importanza del ruolo di skipper Pnrr” (Gianni Riotta, Stampa, 24.1).

Partita doppia. “Il bivio Casini-Draghi tra 4° e 7° voto” (Verderami, Corriere, 24.1).

Ah saperlo. “Si può rinunciare a Draghi?” (Foglio, 25.1).

Manca poco. “Per convinzione o per consunzione: 24 ore per capire come si arriverà a Draghi al Colle” (De Angelis, Huffington, 25.1).

Referendum. “Il Quirinale ora è un referendum su Draghi” (rag. Cerasa, Foglio, 25.1).

Logica cartesiana/3. “Se Draghi non va al Quirinale rischia di cadere il governo” (Massimo Giannini, Otto e mezzo, La7, 25.1).

Venghino belle signore! “I mercati votano Draghi” (Stampa, 25.1).

Povera stella. “Draghi si affida a Letta, è l’ultima speranza per tentare la scalata al Quirinale. Salvini non chiude del tutto. I tentativi di un colloquio telefonico con Berlusconi” (Stampa, 26.1).

Assassini. “Perché è ancora possibile una prova di maturità per Salvini”, “Chi avrà l’onore di appuntarsi il draghicidio sul CV politico? Le possibilità che Draghi faccia il passo da Palazzo Chigi al Colle sono ancora alte” (rag. Cerasa, Foglio, 26.1).

Buona la quinta. “Ora il premier si muove sottotraccia per rientrare in gioco al 5° scrutinio” (Ciriaco, Repubblica, 26.1).

L’oracolo Giggino. “Rabbia 5S su Conte, si muove Di Maio: calma, si arriverà a Draghi per inerzia” (Giornale, 26.1).

L’ideona. “Draghi per vincere minacci di mollare” (Vittorio Feltri, Libero, 26.1).

Respira ancora. “La candidatura Draghi non è ancora morta: se parte, nessuno la ferma” (Dubbio, 27.1).

La guerra mondiale. “Draghi è comunque una figura centrale e difficilmente sacrificabile senza provocare contraccolpi anche sul piano internazionale” (Massimo Franco, Corriere, 27.1).

Che carino. “È deciso ad andare avanti chiunque venga eletto” (Corriere, 27.1).

Inutile votare. “L’esito è scontato: sarà Mario Draghi il prossimo capo dello Stato” (Paolo Mieli, Piazzapulita, La7, 27.1).

Il Divino Rutelma. “Io dico Draghi” (Francesco Rutelli, Repubblica, 27.1).

En plein. “Ora la sfida è tra Draghi e Casini” (Stampa, 27.1).

E le risalite. “Risale Draghi” (Stampa, 28.1).

Inconsolabili. “Perché Salvini vince solo con Draghi” (rag. Cerasa, Foglio, 28.1). “L’unico modo per uscire dallo stallo alla messicana è Draghi” (Giuliano Ferrara, ibidem).

Dai che ce la fa. “La telefonata di Draghi a Berlusconi: prove di disgelo con FI. La speranza che si aggiunga a Meloni” (Ciriaco, Repubblica, 28.1).

Il jolly. “Ma sul tavolo restano le carte Casini e Draghi” (Verderami, Corriere, 28.1).

Tonno Inevitabile. “L’alternativa al meno peggio. L’inevitabile Draghi” (Nadia Urbinati, Domani, 28.1).

Mi ha cercato nessuno? “Lo stupore di Draghi: ‘Mi atterrò alla decisione del Parlamento, salvo che qualcuno faccia una mossa decisiva’” (Stampa, 29.1).

Ultima speme/1. “Colle, l’accordo è più vicino. Ancora in campo Draghi e Casini” (Messaggero, 29.1).

Ultima speme/2. “È probabile che Draghi la spunti sui concorrenti e si insedi sul Colle, l’unico non politico più bravo dei politici” (Feltri, Libero, 29.1).

Ultima speme/3. “Le carte di Draghi: resta in corsa”, “Forza Draghi, un elogio di chi ci ha provato”, “Draghi è il ‘portone di sicurezza’ di Salvini” (rag. Cerasa, Foglio, 29.1).

Cerrrto che è lui! “Secondo me sarà Draghi” (rag. Cerasa, Damilano e De Angelis, MaratonaMentana La7, 29.1, tardo pomeriggio).

Roberto Fico (presidente della Camera, 30.1): “Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 983, astenuti nessuno, hanno ottenuto voti Mattarella 759, Nordio 90, Di Matteo 37, Berlusconi 9, Belloni 6, Casini 5, Draghi 5”..

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/01/autopsia-della-fu-stampa/6475787/