Il vero problema politico di Giorgia Meloni, oltre a un tristissimo (per lei) appiattimento sui temi del mal sopportato alleato Salvini, è la classe dirigente. Al netto di esponenti preparati e amministratori capaci, Fratelli d’Italia – che continua a salire nei sondaggi – appare troppo spesso un coacervo di nostalgici fascisti, capibastone improponibili e personaggi diversamente immacolati. Per capire la penuria di figure credibili interne al partito, basta poi pensare ai volti che la Meloni deve diuturnamente mandare in tivù quando non può – o non vuole – andarci lei. Chi sono (al mattino e al pomeriggio: quasi mai in prima serata) gli onnipresenti catodici meloniani? Facile: Ignazio La Russa e Daniela Santanchè. E già questo, oltre a essere malinconico (per la Meloni), è tremendo (per noi): se la “nuova destra” deve convincere nel 2020 gli elettori con carampane (politicamente parlando) di tal levatura, tanto vale darsi fuoco tutti con la Diavolina.
Ignazio & Daniela sono da sempre legati, avendo la seconda esordito in politica come collaboratrice personale del primo. Daniela, nata (nel 1961) Garnero e ancora Santanchè sebbene divorziata da tempo, è ai margini del dibattito da sempre. Perfino quando – ebbene sì, lo è stata! – era sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio. Vantava però al tempo un cipiglio da guerrigliera del piccolo schermo: sorta di Ghedini al femminile, andava da Santoro come una Giovanna d’Arco disposta a tutto pur di difendere il Capo. Quel Capo che criticava per i modi machisti, al punto da contattare Di Pietro e ipotizzare di scendere in campo con l’ex pm, salvo poi divenire una delle più esaltate Farinacci del Caimano. Mai granché preparata e men che meno coerente, la sua “carriera” politica l’ha vista membra del Msi e poi di Alleanza Nazionale. Quindi La Destra e poi Mpl (che nessuno sa cosa sia stato). Poi Partito della Libertà e Forza Italia (dal 2010 al 2017). Tre anni fa l’approdo alla Meloni, dove ha ritrovato il suo ‘Gnazio e quel bell’ambiente fascio-nostalgico che tanto la inebria. Sotto il lockdown, la signora Garnero da Cuneo è uscita dai radar: avevamo già abbastanza disgrazie, verosimilmente. Poi, quando è arrivata l’estate, è stata una delle prime a minimizzare i rischi di un riacutizzarsi del contagio. Amica ed ex socia di Briatore, ne ha condiviso le intemerate per la “liberalizzazione delle discoteche”, che in tempi normali sono luoghi saturi di musica orrenda e che dentro una pandemia assurgono ad Armageddon Totale. Vestita di un imprecisato verde ramarro shocking, Garnero ha pure imbastito un sensualissimo balletto anti-Conte, la cui valenza erotica è parsa prossima (per difetto) a quella della Gegia in ciabatte e bigodini nei film anni 80. Quindi, in tivù, ha attaccato Crisanti sul Covid (?!?) e condiviso Calenda (che diceva l’esatto opposto di quel che asseriva lei). Poi, d’improvviso, il colpo di coda della Pitonessa che fu. Riporto testualmente il suo tweet: “Da madre mi terrorizza l’idea che se le discoteche vengono chiuse mio figlio possa rinchiudersi in case di amici senza distanziamento, senza mascherine e senza controlli. Basta prendersela con i locali dove ci si diverte in sicurezza!”. Capolavoro puro. Un po’ supercazzola, un po’ delirio, un po’ paraculata. E nel mezzo, sparsi a terra, i neuroni vilipesi sul selciato. Proprio come ai bei tempi (i suoi: i nostri no). Daje Garnero: il tramonto politico è prossimo, per non dire già in atto, ma c’è forse ancora spazio per qualche altro scampolo d’arrogante evanescenza. Ti sia dunque lieve quest’ultimo giro di valzer.