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martedì 31 marzo 2020

Benzina sul fuoco. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 30 Marzo:

L'immagine può contenere: una o più persone

So già che quello che sto per scrivere verrà usato dal Partito Divanista Italiano per attribuirmi cose mai dette né pensate: e cioè che il governo Conte è infallibile e incriticabile perchè va tutto bene. Ma lo scrivo lo stesso. Quello che si sente e si legge in certi social, talk e giornali è benzina sul fuoco della rivolta popolare. E in questo momento di tutto abbiamo bisogno, fuorché di irresponsabili che soffino sulla cenere che cova nelle case di molti degli italiani ai domiciliari, senza lavoro nè stipendio, terrorizzati dal contagio e dal futuro, in cerca di un colpevole visibile su cui scaricare la rabbia, essendo il virus invisibile e inadatto alla bisogna. Chiedere un pizzico di responsabilità agli irresponsabili è forse fatica sprecata. Ma forse non tutti lo sono e comunque vale la pena tentare.
Caro Vittorio Feltri, titolare a tutta prima pagina “Assalto ai supermercati”. Il cibo c’è, mancano i soldi per comprarlo” per un paio di episodi circoscritti al Sud (enfatizzati anche da Maurizio Molinari su La Stampa) significa incoraggiare altri a provarci. E descrivere l’Italia come un lazzaretto di mendicanti fa a pugni con la tua teoria della “presunta povertà” che ti fece scrivere su Libero il 13.4.18: “Non è vero che siamo alla canna del gas, al contrario il nostro è uno dei Paesi più ricchi del mondo. Peccato che non ce ne accorgiamo perché ci descriviamo quali straccioni… I numeri della nostra economia, anche domestica, sono invidiabili. I risparmi privati sono mostruosamente alti…”. E il 12.5.19 aggiungevi con la consueta eleganza: “Probabilmente quelli che noi, semplificando, cataloghiamo alla voce pezzenti non sono altro che lavoratori in nero, in grado di guadagnare quanto basta onde sopravvivere. Non pagano le tasse e magari ottengono il reddito di cittadinanza… I poveri sono più finti che reali, e non abbocchiamo.
Chi è squattrinato muore di fame e al presente non si registrano decessi per inedia”. Possibile che, dopo un mese scarso di quarantena, siamo già tutti alla fame?
Caro Maurizio Belpietro, continua pure a raccontare ai lettori de La Verità che in Italia il problema non è il virus, ma Conte. Quella è una sciocchezza (secondo me), ma innocua. Però forse titolare sulla “Rabbia di esercito e polizia” e tradurre l’allarme dei Servizi sul Sud “Meridione affamato: tira aria di rivolta” potrebbe rivelarsi un tantino pericoloso. Dai un’occhiata al video postato su Facebook da una gentildonna beneventana che minaccia il sindaco Mastella di andarlo a prendere con 5mila squadristi armati di “mazze di ferro” e capirai cosa potrebbe uscire dal vaso di Pandora, se lo apriamo.
Caro Alessandro Sallusti, il tuo editoriale sullo statista di Rignano che vuole riaprire tutto e dovrebbe fare da cavia con tutta la famiglia, è perfetto. So che sei contro il reddito di cittadinanza, ma non credi che ora sia una benedizione dal cielo che mette al riparo 2,5 milioni di italiani dalla miseria (e da certe idee strane) e andrebbe allargato anziché abolito (come chiede il centrodestra e dunque l’Innominabile)? Persino B., in un lampo di saggezza, lo propose nel 2017. Se non a me, dài retta a lui.
Cari dirigenti dell’Unione sindacale di base, ma che vi dice il cervello quando postate su Fb “Reddito o rivolta”? Ma lo sapete che vuol dire “rivolta”? E contro chi?
Caro Cazzaro Verde, capisco che tu sia in lutto perchè Conte ti ha strappato di mano, anzi di bocca pure la bandiera della polemica contro quest’Europa di bottegai. Dunque continua pure a martellarlo su tutto lo scibile umano. Ma evita, se puoi, di impartirgli lezioni di matematica, tu che non riesci neppure a calcolare il Pil (sbagli di tre zeri), i metri quadri di casa tua (“un bilocale in periferia”: sì, buonanotte) e temo pure la tabellina del 2. Prendi nota: se il governo aggiunge per l’emergenza, cioè per questi giorni, 400 milioni al fondo semestrale di solidarietà di 4 miliardi per i Comuni (anche a quelli governati dalla Lega) affinchè aiutino i poveri a fare la spesa, non puoi dividerli per 60 milioni e ricavarne una mancia di “7 euro a testa”. Perchè i poveri non sono 60 milioni (altrimenti ci saresti pure tu), e neppure 5 milioni (grazie al Rdc votato anche da te e subito rinnegato come le altre poche cose buone fatte a tua insaputa). Sono molti meno: i 400 milioni aiutano le famiglie bisognose per 3 settimane con buoni pasto di 3-400 euro.
Caro (si fa per dire) Innominabile, continua pure a trafficare per buttar giù il governo che hai contribuito a creare. Ma, siccome fino all’altroieri volevi “Tutta l’Italia zona rossa”, piantala di chiedere di riaprire tutto dopo il 3 aprile (prima scadenza del “lockdown”). Non per coerenza, che per te è un vizio capitale insieme alla lealtà e alla correttezza, ma per motivi di ordine pubblico. I gruppi Facebook che minacciano rivolte, jacquerie, grand guignol, assalti ai forni e ai supermercati fissano tutti il D-Day al 3 aprile. Quindi evita, per il tuo e nostro bene, di alimentare quest’attesa messianica del 3 aprile. Si dice che chi gioca col fuoco fa la fine del pollo arrosto. Tu pollo già lo sei: vuoi pure finire arrosto?


https://www.facebook.com/TutticonMarcoTravaglioForever/photos/a.438282739515247/3222996847710475/?type=3&theater

martedì 24 marzo 2020

Il virus e la pazzia dei soldi. - Tommaso Merlo



È anche per colpa dei soldi se il mondo ricco ha reagito tardi al virus. Le bombe biologiche come il resort austriaco di Ischgl o le spiagge della Florida o la partita Atalanta-Valencia a San Siro non si contano. Nient’altro che paura di perdere quegli stramaledetti soldi. Da settimane molte fabbriche insistono di voler restare aperte spalleggiate da Confindustria. Non vogliono perdere commesse e clienti che magari attendono i loro yatch superlusso in qualche torrido emirato. I soldi prima di tutto, anche della vita delle persone, anche del rischio di amplificare l’infezione. I soldi. Una pazzia. Che condiziona la nostra vita. Che condiziona la nostra società. Trump, Johnson ma anche Macron, marionette delle lobby che han perso tempo prezioso per arginare il contagio. Dovevano scegliere da che parte stare. O da quella dei soldi o da quella della salute pubblica. Ed hanno esitato. Perché se sono in quei palazzi lo devono ai soldi, lo devono ai potentati che hanno sponsorizzato le loro carriere. Soldi e uno spettacolo davvero epocale. Il virus ha mandato in coma il mondo ricco in pochi giorni. Anche se si sapeva benissimo che una nuova pandemia sarebbe arrivata prima o poi. Ma nessuno ha investito in un sistema per fronteggiare queste emergenze. Anzi. Si è progressivamente smantellando la sanità pubblica, trasformando la salute da diritto universale a costosa mercanzia. Soldi. Stramaledetti soldi. Che corrompono le anime ma anche il cervello. Produciamo mine antiuomo e pistole, non mascherine e guanti. Produciamo lusso superfluo quando gran parte del pianeta è in miseria. E poi ci lamentiamo pure se ci troviamo i disperati a casa nostra. Soldi. Una pazzia. Individuale e collettiva. Il virus bazzicava ancora per Codogno quando gli sciacalli delle borse scommettevano sul decesso di un’Italia infettata oltre che vecchia e con malattie pregresse. Poi il virus ha varcato le Alpi e il casinò finanziario è rimasto con ben poco su cui speculare ed è andato in tilt. Stramaledetti soldi. Alcuni senatori statunitensi son stati beccati a vendere azioni per milioni di dollari qualche ora prima del devastante crollo di Wall Street. Sapevano dell’imminente catastrofe grazie a un rapporto dell’intelligence. Nelle stesse ore negavano la pandemia, come il loro presidente. Motherfuckers. Money, money e ancora money. Scoppiata la pandemia negli Stati Uniti Amazon ha assunto subito 100 mila nuovi addetti al magazzino e alle consegne. Ed è solo l’inizio. Con un paese in lockdown prevedono un picco vertiginoso negli ordinativi. Come in ogni guerra, c’è sempre chi guadagnerà fortune. In cambio il signor Amazon e i suoi colleghi multimiliardari donano spiccioli e cioè milioni di dollari per mascherine e respiratori. Pubblicità ingannevole ma forse anche un dannato bisogno di sentirsi in pace con la propria coscienza. Sono vittime anche loro della pazzia di un mondo che rotea attorno ai soldi. Ma dalla parte giusta. Le saracinesche del mondo ricco sono abbassate e si preannuncia un’inondazione di soldi pubblici senza precedenti per salvare la baracca e ripartire. Furbi e parassiti si son già messi il tovagliolo attorno al collo per quella che si preannuncia come la mangiatoia del secolo. Trump twitta già che “la cura non può essere peggiore della malattia”. Non è ancora riuscito a garantire i tamponi e già vuole il business as usual. Segnali scoraggianti. Il rischio è che passata la pandemia nessuno si ricorderà più delle bombe biologiche, delle esitazioni dei governanti o della glaciale avidità delle fabbriche. Il rischio è che quelli che oggi tutti osannano come eroi torneranno ad essere dipendenti di un servizio sanitario pubblico da snobbare. La pazzia dei soldi svenduta come normalità.

https://infosannio.wordpress.com/2020/03/24/il-virus-e-la-pazzia-dei-soldi/

martedì 19 novembre 2019

Il miracolo dei conti della Raggi. - Gaetano Pedullà



Tra falsi scandali (il premier Giuseppe Conte che butta miliardi nel Fondo europeo Salvastati, ma non è stato firmato niente) e vergogne vere (l’ex ministra Elisabetta Trenta che non lascia l’alloggio di servizio) ai più è sfuggita una notizia davvero clamorosa. A Roma, paradigma nazionale dello sperpero della politica, della connivenza tra criminalità e colletti bianchi, delle tasse che salgono mentre i servizi scendono, ieri è stato approvato un progetto di bilancio con un miliardo e duecento milioni di investimenti nei prossimi tre anni.

Chi ricorda com’erano ridotte le casse pubbliche all’arrivo della sindaca Virginia Raggi può usare solo la parola: miracolo. Dal 2016 a oggi la città ha sofferto, e non è stato facile incidere chirurgicamente come si è fatto sull’azienda dei trasporti Atac (in concordato), sulla gestione dei rifiuti (l’ex monopolista Cerroni messo alla porta), sullo scandalo di una pletora di costose società partecipate da far invidia all’Iri dell’epoca in cui lo Stato Pantalone gonfiava il debito pubblico. Questi sacrifici non sono finiti e nessuno in buona fede può aver immaginato che la soluzione ai problemi di Roma arrivasse in poco tempo e senza sacrifici.

Ma i primi effetti della pulizia nei bilanci si vedono e ora ci sono 310 milioni per i municipi e le manutenzioni, 500 milioni per il sociale e risorse per la crescita. Chi crede alle fantasmagoriche promesse del Papeete adesso farà spallucce. Cosa vuoi che siano i risparmi della Raggi di fronte ai miliardi garantiti per fare la Flat Tax? Nulla se non fosse che i soldi di Virginia sono veri e quelli di Matteo del Monopoli.

https://infosannio.wordpress.com/2019/11/19/il-miracolo-dei-conti-della-raggi/?fbclid=IwAR0h-EH67ubUkNy97UJnp_2S1byrohSQwCx8NL5iL_bmsgBSWDNmW3gmwew

venerdì 15 novembre 2019

La Salvinistra. - Marco Travaglio



L’ultima scemenza della sinistra salviniana da talk show, detta anche Salvinistra, è che “Salvini ha una narrazione, mentre il governo giallo-rosa non ce l’ha”. Cioè non racconta balle, visto che la “narrazione” salviniana è una raffica di panzane. Ma la circostanza non sfiora neppure questi geni del tafazzismo, che certificano le cazzate del Cazzaro ogni volta che aprono bocca. L’altroieri avevano un assist imperdibile: è finita sott’acqua Venezia, governata da un sindaco di centrodestra e da una Regione leghista da sempre, dopo trent’anni di annunci a vanvera, promesse mancate, miliardi (6 o 7) buttati nel Mose, con annessi sprechi, marchette, mazzette e retate che affratellano la Prima e la Seconda Repubblica. Naturalmente il Mose non funziona: non è mai stato completato (siamo al 95%, dicono), ma in compenso le strutture metalliche sono in acqua da tempo, ormai arrugginite e cadenti prim’ancora dell’inaugurazione, così ai costi dell’ultimo miglio andranno aggiunti quelli delle riparazioni. La prova per il varo, slittata dal 2011 al 2020, è rinviata al 2021 e forse è meglio così: nessuno sa se, dopo, il Mose proteggerà Venezia dall’acqua alta. Lo scopriremo solo vivendo, anzi spendendo. E molti esperti giurano che non servirà a niente. Del resto non si chiama così in onore di Mosè (se no era meglio Noè), ma del Modulo Sperimentale Elettromeccanico: cioè è un esperimento mai tentato al mondo, il più caro della storia, al buio.

Ora è tutto uno starnazzare di Zaia, Brunetta, Brugnaro, Salvini e altre facce da Mose: “Dateci il Mose! Dov’è il Mose?”. A noi, lo chiedono. Zaia potrebbe domandarlo a Galan, arrestato per tangenti sul Mose, di cui era il vice prima di prenderne il posto. Brunetta, oltreché a Galan, potrebbe chiederlo a se stesso e a B., che insieme a Lunardi, Matteoli, Costa, Lupi, Delrio e altri preclari ministri, hanno sponsorizzato la boiata pazzesca a spese nostre. E Salvini, anziché chiedere altri 100 milioni per il Mose, dovrebbe domandare ai suoi campioni del buon governo veneto che fine han fatto i 6 miliardi già spesi. Ma di queste facce da Mose la Salvinistra non parla, anche perché dovrebbe sconfessare Prodi&C.. L’altroieri, a Otto e mezzo, Sallusti incolpava gli ambientalisti, i pm e naturalmente i 5Stelle, cioè quelli che sul Mose avevano ragione, ma purtroppo non hanno mai governato né il Veneto né l’Italia quando il Partito Trasversale degli Affari buttava i nostri soldi. In studio c’era il solito esponente tascabile della Salvinistra. Poteva contrastare la narrazione sallustiana ricordando che in Veneto da 25 anni non muove foglia che la Lega e B. non vogliano.

Invece parlava d’altro: attaccava anche lui i 5Stelle (“il loro programma era contro il Mose”: cioè avevano ragione) e il governo Conte “ostaggio di una minoranza M5S sullo scudo a Mittal”. Un frittomisto di Mose e di Ilva con le solite balle sull’immunità abolita: come se Arcelor Mittal fuggisse da Taranto per quella (chiude pure le acciaierie in Polonia, Sudafrica e Usa: cazzo c’entra lo scudo?) e a doversi vergognare fosse chi l’ha tolta, non chi l’ha data. È la narrazione salviniana, a sua volta identica a quella berlusconiana e renziana. Il “partito del Pil e dei sì” che “sblocca i cantieri” delle grandi opere contro il “partito della decrescita e dei no”. Invano Cacciari si sgolava a ricordare che da un quarto di secolo il Mose prosciuga tutte le risorse di Venezia, rubandole alla manutenzione, alla pulizia dei fondali, al restauro dei ponti, al consolidamento delle fondamenta, ai progetti di barriere anti-acqua alta molto più efficaci ma molto meno costosi. E proprio questo era ed è sempre il problema: piccole opere = piccoli costi e piccole mazzette; grandi opere = grandi costi e grandi mazzette. Vale per il Mose, l’Expo, le Olimpiadi e il Tav che, se mai si farà dopo 30 anni di balle, sarà il Mose di domani (con costi tripli, però).

Questa è l’unica “narrazione” alternativa a quella dei salvinisti e della Salvinistra: quella del buonsenso, della legalità e dell’ambientalismo che, fra l’altro, ha il pregio di dire la verità. E impone di finirla con gli Sblocca-Italia: semmai serve un poderoso Blocca-Italia, inteso come blocca-grandi opere inutili e sblocca-piccole opere utili. Ma non è di moda, perché il Partito degli Affari allunga i suoi tentacoli da destra a sinistra, con i giornaloni (gli stessi che la menano con Greta) a fare il coro. E chi stecca in quel coro perde. Quando nacque il governo giallo-verde, il M5S impose di condizionare ogni opera pubblica da iniziare o appena iniziata (per il Mose il danno ormai era fatto) a una severa analisi costi-benefici. Ma bastò la prima, quella che bocciava il Tav per 8 miliardi di perdite, perché quel metodo fosse abbandonato. Per mesi il M5S, Toninelli in testa, fu lapidato da destra e da sinistra, dai trombettieri di Confindustria e dalle loro madamine, come il partito che bloccava l’Italia, mentre purtroppo non era riuscito a bloccare nulla. E ci perse le Europee. La scena del 7 agosto 2019 in Senato, vigilia della crisi del Papeete, è un reperto d’epoca: tutti i partiti, dai “fascisti” della Lega ai loro alleati FI&FdI agli “antifascisti” del Pd, che votano tutti insieme appassionatamente per il Tav. E i 5Stelle soli con un pezzo di LeU che votano contro, cioè pro ambiente, pro risparmio, pro Val di Susa. Se i giallorosa vogliono essere alternativi al salvinismo, lascino starnazzare la destra e la Salvinistra e tirino dritto su una vera green economy e una dura lotta all’evasione, alla corruzione e alla prescrizione. Avranno contro l’Italia dei prenditori, dei magnager e dei loro giornaloni, e a favore l’Italia dei cittadini onesti. Tra le due Italie non c’è compromesso che tenga. O si sceglie la seconda, o tanto vale lasciare subito il campo a Salvini: la prima preferisce lui.

https://infosannio.wordpress.com/2019/11/15/la-salvinistra/

martedì 12 novembre 2019

L’alleato di Salvini è omertoso. - Tommaso Merlo



L’alleato di Salvini attraversa l’aula bunker dell’Ucciardone di Palermo. Come hanno fatto centinaia di mafiosi nella sanguinaria storia malavitosa italiana. Si vedono solo le gambe. Sono storte e il passo è incerto. L’alleato di Salvini non ha voluto si vedesse il suo volto. Forse per vergogna o forse per evitare di finire carne da macello social. Mossa boomerang. L’autocensura rende ancora più drammatica la scena. L’Italia intera guarda le gambe di quel vecchio prendere posto davanti ai giudici. Non sono gambe qualunque, sono le gambe del tre volte presidente del consiglio che dovrebbe testimoniare sulla trattativa stato-mafia, una delle pagine più inquietanti della nostra storia e che lo vede assoluto protagonista. Mafia e politica che cooperano per spartirsi l’Italia. L’alleato di Salvini recita poche e striminzite parole. Si avvale della facoltà di non rispondere. E cioè tiene la bocca chiusa. E cioè sceglie l’omertà. Ancora una volta. Invece di mettersi a disposizione della Giustizia, invece di cogliere l’occasione per dimostrare la propria estraneità, invece di scandalizzarsi per essere ingiustamente tirato in ballo, invece di prendersela per essere anche solo accostato ad un mafioso qualsiasi, l’alleato di Salvini sceglie di non collaborare, sceglie di portarsi i suoi indicibili segreti nella tomba. Un silenzio che echeggia per tutto il paese. Un silenzio che vale più di mille bugie che sarebbero comunque uscite dalla sua bocca. Perché se davvero non aveva nulla da nascondere, l’alleato di Salvini avrebbe parlato eccome, avrebbe sfoderato la sua logorroica parlantina predicando per ore ed ore la sua totale estraneità alla vicenda. Ed invece neanche una parola. Muto. Evidentemente non può parlare. Troppo rischioso. Confessare tutta la verità su quegli anni bui, per l’alleato di Salvini significherebbe ammettere che la propria intera esistenza è stata buttata via inseguendo spaventosi disegni di potere. Significherebbe venir sommerso dai rimorsi e dai sensi di colpa fino ad essere costretto a togliersi finalmente la maschera e guardare i propri cari e i milioni di cittadini che hanno creduto in lui negli occhi. Davvero troppo. Meglio recitare la propria parte fino all’ultimo, meglio evitare l’incontro con la propria coscienza fino a quando il destino deciderà di abbassare il sipario. La scena dell’aula bunker dura pochi istanti ma è molto intensa. I giudici prendono atto. L’alleato di Salvini è omertoso e se ne torna a Roma col suo jet privato. È indagato anche a Firenze per le stragi del 1993 e altri processi lo tormentano. È inseguito dai giudici. È inseguito dai suoi incubi. Da una vita intera. È questa la sua vera condanna. La fuga perenne. Dal suo passato, da se stesso. Anche la politica è una condanna per lui. Ne ha bisogno. Gli serve per continuare la sua fuga. Ormai perde colpi e il suo partito è ridotto all’osso, ma non si può fermare. Ci sono nuove regionali a breve e poi forse le politiche e poi forse un posto di rilievo nel nuovo governo tutto di centrodestra. Magari quello di padre nobile. Coi suoi avvocati ed inservienti sulle poltrone strategiche. In una democrazia sana ad un personaggio del genere non sarebbe concesso nemmeno di avvicinarsi alle istituzioni. In Italia invece, dopo aver varcato l’aula bunker, per lui si potrebbero riaprire le porte del potere nella nuova veste di alleato di Salvini.

https://infosannio.wordpress.com/2019/11/11/lalleato-di-salvini-e-omertoso/

lunedì 11 novembre 2019

Il gesto di verità di Giuseppe Conte merita rispetto. - Antonio Padellaro



Ci vuole del fegato per affrontare una folla esasperata di operai che ti circondano, ti strattonano, ti insultano, ti scaricano addosso tutte le colpe, anche quelle di chi ha le colpe ma lì non c’è, non si è fatto vedere. Niente auto sgommanti o riunioni riservate in prefettura per poi scappare via di corsa, tanto un titolo nei tg e sui giornali è comunque assicurato. Nei tg vediamo invece un uomo, il presidente del Consiglio, un potente senza scorta e con il colletto della camicia slacciato, che risponde a brutto muso a un tipo col cappuccio che gli grida in faccia: “Sei un paraculo”. Forse l’incappucciato si aspetta che il “paraculo” se la fili via con la coda tra le gambe (gliele ho cantate), ma la scena ha uno scarto improvviso perché il potente con la camicia slacciata lo affronta (“togliti il cappuccio”) e gli chiede ragione dell’insulto. Sa di essere accerchiato da una pressione che è quella dei corpi agitati, ma anche della disperazione, dell’angoscia, della paura perché se finisce la fabbrica finisce tutto. I toni si abbassano. Se fossi un paraculo direi di avere in tasca la soluzione, spiega il potente e mostra la tasca vuota della giacca che è una dimostrazione di impotenza davanti alla complessità del problema. E anche di verità. Per questo ho provato rispetto per Giuseppe Conte, ieri sera a Taranto, davanti ai cancelli dell’ex Ilva. Ci ha messo la faccia.


https://infosannio.wordpress.com/2019/11/09/il-gesto-di-verita-di-giuseppe-conte-merita-rispetto/
Grande Conte, Grande Padellaro.
Tra Uomini ci si capisce.

mercoledì 30 ottobre 2019

PULVIS ET UMBRIA. - Marco Travaglio 29 ottobre 2019



Se le elezioni regionali in Umbria fossero un test nazionale – e lo sono per il 2% dell’elettorato – andrebbero confrontate con le europee del 26 maggio: si scoprirebbe che l’unico partito che guadagna voti è FdI, a spese di FI, mentre ne perde 17 mila persino la Lega trionfante, malgrado la candidata del centrodestra sia una leghista di ferro. Salvini non ha espugnato l’Umbria l’altroieri: l’aveva già conquistata a maggio, anzi addirittura nei due anni precedenti, con le vittorie in quasi tutti i comuni. E il Pd aveva perso ogni speranza, dopo 49 anni di governo ininterrotto, il 12 aprile, con la retata che s’era portata via mezza giunta e mezzo vertice locale. I 5Stelle, in quei giorni, erano ancora al governo con la Lega ed era anche grazie ai loro esposti in Regione che l’inchiesta era partita: eppure, alle Europee, avevano quasi dimezzato i voti delle Politiche di un anno prima. Già allora le dinamiche nazionali c’entravano poco: la maggioranza degli umbri, impoveriti e indignati da una lunga crisi industriale e morale, aveva già scelto di cambiare tutto dopo mezzo secolo buttandosi sul partitone che dava più garanzie di vittoria e aveva già un candidato forte, la sindaca di Montefalco Donatella Tesei. L’effetto “carro del vincitore” ha fatto il resto: lo sfondamento di domenica. Che ha penalizzato soprattutto i 5Stelle, cioè il vaso di coccio della coalizione civica giallo-rosa, e molto meno il Pd, vaso di ferro ammaccato ma ancora dotato di una sua rete di potere territoriale in grado di fargli conservare, malgrado tutto, i voti delle Europee.
Quando si perde con 20 punti di distacco, ogni recriminazione è tempo perso. Neppure candidando Napoleone si sarebbe arrestata la valanga: figurarsi con Vincenzo Bianconi, scovato all’ultimo giorno utile e costretto a rimontare in un mese il trio Salvini-Meloni-Tesei che batteva l’Umbria palmo a palmo da un pezzo. Col senno di poi, 5Stelle e Pd sono stati poco furbi: potevano dare per persa l’Umbria e andare separati al macello, per strappare ciascuno un paio di punticini in più e poi raccontare che la sconfitta è figlia della separazione e bisogna unirsi nelle regioni contendibili. Invece Di Maio, Zinga e Conte si sono pure fatti fotografare insieme e ora se lo sentono rinfacciare da Renzi, il re degli sciacalli, così esperto in vittorie da non aver neppure una lista. Sì, potevano fare i furbi come lui: fuggire dalla campagna elettorale per poi dare la colpa a qualcun altro. Ma con le furbizie si salva magari la faccia, però si perde l’anima. Ora Di Maio, con la precipitazione della paura, rinnega i patti civici dopo il primo flop, peraltro scontato e inevitabile.
E dice che “i 5Stelle da soli vanno meglio”. In Umbria, col Pd sputtanato dalle inchieste, certamente sì. Ma non tutte le regioni e i comuni sono uguali, anche perché i 5Stelle avranno pure qualche buon sindaco o governatore da proporre. In ogni caso, in dieci anni di Regionali, erano sempre andati da soli e avevano sempre perso lo stesso. Prima di tornarsene sulla torre d’avorio a gridare vaffanculo a tutti, dovrebbero forse pensare meno agli alleati e più a se stessi. Chi avrebbero candidato in Umbria senza il civico Bianconi? E su quale progetto politico? E con quali forze territoriali? Vagheggiare il “ritorno allo spirito delle origini” non ha alcun senso: l’Italia di oggi non è più quella del 2009 grazie soprattutto a loro, che hanno contaminato e migliorato tutta la politica. Inclusi se stessi. Ma, a furia di dare agli altri, si sono svuotati. La spinta dal basso dei meetup s’è esaurita perché gli attivisti sono stati eletti, lasciando il deserto sui territori: il che dovrebbe spingerli ad accelerare la mille volte annunciata e rinviata riorganizzazione, con la nomina di responsabili regionali e tematici che riprendano a pensare e a proporre e inizino a reclutare e formare una classe dirigente (gente come Bianconi andrebbe coinvolta, valorizzata, non gettata via).
L’Umbria, non essendo l’Ohio, passerà: tra due giorni nessuno si ricorderà più di quel voto. E chi oggi prevede un’imminente crisi di governo si accorgerà che il Conte 2 esce non indebolito, ma paradossalmente rafforzato: sia perché nessuno ha interesse a regalare altro spazio alla volgare arroganza di Salvini e Renzi; sia perché ci sono una manovra di Bilancio da approvare e importanti riforme da varare; e sia, soprattutto, perché il governo è nato appena 50 giorni fa, e gli esecutivi si valutano dopo anni, non dopo due mesi (così come le alleanze inedite non si giudicano da un primo, frettoloso e disperato esperimento). Poi però, oltre a fare cose utili, sarà importante raccontarle nel modo giusto, lasciando i due Mattei a latrare alla luna e mostrando ai cittadini che chi sostiene il governo lo fa con orgoglio ed entusiasmo. La tanto bistrattata “foto di Narni”, se aveva un difetto, era quello di tradire troppo imbarazzo e scarsa convinzione. Ora andrebbe replicata e riempita di contenuti. Un governo non regge se discute ogni giorno di quanto dura o di quando cade. Il Conte 2, fino a prova contraria, è il migliore possibile su piazza: ma, se non ci credono le forze che lo compongono, non possono pretendere che ci credano i cittadini.
Ps. L’altra sera, alla MaratonaMentana, il direttore del Verano Illustrato è riuscito a paragonare – restando serio – il parere pro veritate dato da Conte quand’era avvocato a una società (che poi non ebbe alcun favore dal suo governo, che decise sul punto in sua assenza) alla sceneggiata di B. che esce dal Consiglio dei ministri mentre i suoi impiegati varano il decreto salva-Rete4 per neutralizzare due sentenze della Consulta che impongono il passaggio della tv su satellite e fargli guadagnare centinaia di milioni. Ecco: in questo momento si sentiva giusto la mancanza di un po’ di salvinismo di sinistra.


https://www.facebook.com/giberto.gnisci/posts/2980787981938057

La resurrezione del Movimento. - Tommaso Merlo



Da dopo il 4 marzo, per il Movimento è iniziata una via crucis di dolorose sconfitte elettorali. Se continua così l’Italia finirà nelle mani neofasciste di Salvini e della Meloni. La peggiore destra mai vista in Italia. Burina e antistorica. Chissà cosa diranno a quel punto tutti coloro che da anni fanno di tutto per distruggere il Movimento 5 Stelle. Se va avanti così riusciranno nel loro intento e si ritroveranno in Ungheria col filo spinato in Friuli e il blocco navale del Mediterraneo. Blindati dentro a sorbirsi i rutti di Salvini mentre il mondo corre via. E se va avanti così il Movimento rischia di dissolversi con la stessa velocità con cui si è imposto sulla scena politica. Una dissoluzione accettabile se il Movimento avesse rubato o fallito la prova di governo non riuscendo a mantenere le promesse. Ma tutto si può dire contro il Movimento 5 Stelle tranne che non abbia lavorato sodo e onestamente ed abbia realizzato molte delle sue storiche bandiere. Nessun partito politico degli ultimi decenni è stato così fattivo e coerente come il Movimento 5 Stelle che certo ha subito alcune dure sconfitte come sulla TAV, ma le cui vittorie sono state molto più numerose e clamorose. Alcune riforme come il taglio dei vitalizi o dei parlamentari latitavano da decenni così come una legge decente contro la corruzione per non parlare di una misura epocale di contrasto alla povertà e all’emarginazione come il reddito di cittadinanza e molti altri sacrosanti provvedimenti. Vittorie che il Movimento ha ottenuto in pochi mesi mentre Salvini era in giro a masturbare il proprio ego e le sinistre si lagnavano come al solito sul nulla. Di tutto si può dire contro il Movimento 5 Stelle tranne che non abbia agito in buona fede e al servizio dei cittadini e dei suoi ideali. Eppure, dal 4 marzo in poi, per il Movimento è iniziata una via crucis di dolorose sconfitte. Amministrative, europee e certo, alle politiche sarà tutta un’altra storia, ma sarebbe assurdo negare che qualcosa si è rotto tra il Movimento e il suo popolo. I militanti non se ne sono mai andati, ma mancano all’appello milioni di cittadini. Milioni. Ed è comprensibile che un Movimento di protesta paghi il passaggio dall’opposizione al governo. È comprensibile che un Movimento che ha sempre lottato da solo paghi alleanze coi vecchi partiti sia di destra che di sinistra. Ma l’emorragia di voti è davvero impressionante rispetto ai fatti realizzati e ai comportamenti tenuti dai portavoce nei palazzi. Qualcosa di più profondo sembra essersi rotto. È come se quei milioni di cittadini che chiedevano un cambiamento radicale e che hanno creduto nel Movimento il 4 marzo, fossero rimasti delusi nelle proprie aspettative “rivoluzionarie”, come se il Movimento non riuscisse più a rappresentare la loro frustrazione, le loro paure e le loro speranze. In molti avevano forse aspettative eccessive, altri si sono fatti forse fuorviare dal giornalume, altri si sono forse scoperti post-ideologici solo a chiacchiere, altri si sono accodati ai greggi di pecore ansiose di un nuovo pastore in camicia nera, ma sono davvero troppi i cittadini che mancano all’appello. Talmente tanti che il Movimento rischia di venire crocifisso dal vecchio regime se non coglierà nemmeno la batosta umbra per reagire. Certo, alla lunga i fatti potrebbero pagare, ma forse e soprattutto alla lunga. Nella politica italiana hanno sempre contato solo le panzane elettorali. La rivoluzione culturale ha tempi lunghi, la politica cortissimi e il Movimento non ha tempo da perdere. La sua via crucis ormai dura da così a lungo che tutto deve essere rimesso in discussione. La dirigenza, la comunicazione, le stelle da aggiornare, l’organizzazione, la gestione dei malpancisti e dei guerrieri accantonati, le alleanze, le strategie. Tutto e in fretta. Quello che conta è il progetto collettivo, quello che conta è che il Movimento ritrovi l’empatia col suo popolo e risorga. Se invece il suo destino fosse quello di perire, che lo faccia almeno a testa alta. Lottando fino all’ultimo.

https://infosannio.wordpress.com/2019/10/28/la-resurrezione-del-movimento/?fbclid=IwAR2QjAKG1NbGSVdQrYZaLjXjVME4KblKkfYrtbsPf5vs5RKNjcvuqC65t7g

Il Mitile Ignoto. - Marco Travaglio



Non è vero che Italia Viva sia inutile. Anche Renzi, nel suo piccolo, svolge una funzione vitale per l’ecosistema. Uno di quei lavori sporchi che qualcuno deve pur fare.

L’ex rottamatore, dopo aver rottamato il suo partito per fondarne un altro, si dedica alacremente al riciclaggio dei rottami. Sta alla malapolitica come la cozza (Mytilus galloprovincialis) sta alle acque marce. Anche il mollusco di Rignano sull’Arno, infatti, beve l’acqua sporca e la rimette in circolo depurata, trattenendo nei propri tessuti tutte le schifezze. Risultato: il microrganismo detto Italia Viva è appena nato e già il Pd appare ripulito e rigenerato. In Umbria, per dire, gli elettori dem indignati per la retata di Sanitopoli ad aprile, dopo la batosta alle Europee di maggio l’hanno risparmiato da ulteriori castighi. E il motivo di tanta indulgenza è nell’unica novità registrata da allora nel centrosinistra: la scissione dell’atomo renziano, suggellata dalla provvidenziale assenza di Matteo La Cozza dall’ormai celebre foto di Narni. Così Iv si candida a essere per il Pd ciò che fu l’Ncd per FI: la bad company. Che assorbe inquisiti, imputati, pregiudicati, ex galeotti, prescritti, lobbisti, portatori di conflitti d’interessi, voltagabbana, impresentabili di varia natura, sui quali Renzi esercita un’attrazione fatale.

Alla Leopolda c’era persino Lele Mora, venuto – non si sa se invitato o insalutato ospite – a omaggiare “il galoppino di Berlusconi”, augurandogli di diventarne “l’erede”. Intanto Renzi invitava i “delusi di Forza Italia”, cioè chi non riconosce più il vecchio B., ormai incapace di delinquere con la costanza e il ritmo dei bei tempi, a “darci una mano”. O una manetta. Ora Dell’Utri, abbandonato ai domiciliari dall’amico Silvio, potrebbe uscire anzitempo e portare il suo contributo (7 anni definitivi per mafia e 12 anni provvisori per la Trattativa). Nell’attesa, il Messaggero informa che “Catiuscia Marini, ex governatrice dell’Umbria coinvolta nell’inchiesta sulla sanità che ha fatto saltare la giunta, è pronta a passare con Iv con diversi esponenti locali del Pd che si stanno muovendo verso Renzi”.

Ecco, a noi questo “muoversi” della Marini e dei suoi coindagati che sciamano in pellegrinaggio verso Iv strazia il cuore. Anche perché Renzi attribuisce la débâcle umbra di Pd e M5S non a Catiuscia &C., ma alla foto di Conte, Di Maio, Zinga e Speranza, tutti vergognosamente incensurati. Il che rende poco credibile un retroscena de La Verità: “Renzi vuole la Carfagna premier al posto di Conte”. A parte il fatto che è una donna troppo seria per prenderlo sul serio, Mara ha un handicap insormontabile: non è mai stata neppure indagata.

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domenica 27 ottobre 2019

Il Cazzaro Rosé. - Marco Travaglio



Uno fa di tutto per dimenticare, rimuovere, archiviare, poi apre Repubblica e trova un titolone a caratteri di scatola, manco fosse scoppiata la terza guerra mondiale: “Migranti, io accuso il Pd”. Perbacco, sarà rinato Emile Zola e avrà lanciato un nuovo J’accuse? No, è Renzi che manda una lettera. E propone -udite udite- “dieci piccoli spunti di riflessione”. Non un paio. Dieci, come i piccoli indiani. Voi direte: avrà scritto per spiegare come mai proprio l’altroieri è stato condannato dalla Corte dei Conti a risarcire 15mila euro al Comune di Firenze per un danno erariale di 125mila a furia di assunzioni inutili? Per darci la giusta lettura di quelle strane frasi di Lotti, intercettato con Palamara, sulla sua spedizione in Qatar per vendere la Roma agli emiri? Per raccontarci che fine han fatto i 6,6 milioni di dollari sottratti ai bambini africani da suo cognato e dai di lui fratelli appena rinviati a giudizio per un mega-furto ai danni di Unicef e altri enti benefici, malgrado la sua legge salva-appropriazione indebita che nel frattempo ha salvato pure Bossi? Per soddisfare la curiosità di grandi e piccini sul vero mestiere dell’amico Lotti, fra spedizioni a Londra per il business dei diritti sportivi, traffici con Palamara sulle Procure di Roma e Firenze, e convegni di corrente nel partito da cui si sarebbe “autosospeso”? Per scusarsi di aver candidato Cosimo Ferri, il pm berlusconiano, anche lui pizzicato nello scandalo Csm? O di averci insultati chiamandoci “Falso quotidiano” perchè osavamo raccontare l’incontro fra il babbo e Romeo, poi accertato dagli stessi pm romani che han chiesto di archiviare papà Tiziano?

Macchè, ha scritto per farci sapere che “non possiamo arrenderci allo tsunami sovranista”. E vabbè. E che “resistere e rilanciare si può”. Mo’ me lo segno. Ma anche per il solito mea culpa battuto sul petto altrui. Il vestra culpa. Di chi? Di Gentiloni e Minniti, premier e ministro dell’Interno del Pd sostenuti dal partito che aveva come segretario lui, Renzi. Che han fatto, i due manigoldi? Nel “funesto 2017” (funesto perchè il premier non era più lui) hanno “sopravvalutato la questione immigrazione”, che a suo dire si riduceva a “qualche decina di barche”. In effetti nel 2016 e nel 2017, grazie a Renzi, sbarcarono in Italia 181.436 e 119.369 migranti, mentre la cura Minniti li fece calare nel 2018 a 23.370. Ma, si sa, Minniti li sopravvalutava, mentre Renzi se ne fregava. Infatti al Viminale non aveva messo nessuno (Alfano) e si occupava dei veri problemi del Paese. Abolire le elezioni per il Senato, rimpinzarlo di sindaci e consiglieri regionali. Far rimpiangere il Porcellum con l’Italicum.

Fabbricare altri precari col Jobs Act. Leccare Marchionne e Boccia. Premiare gli evasori. Inciuciare con B. & Verdini. E tante altre belle cose. Invece Minniti sopravvalutò gli sbarchi e impose alle Ong di darsi una regolata, lavorò per stabilizzare la Libia e guardacaso gli sbarchi si ridussero a un quinto. Ma sentite quest’altra: “Il crollo nei sondaggi del Pd comincia quando si esaspera il tema arrivi dal Mediterraneo e allo stesso tempo si discute lo Ius soli senza avere il coraggio di mettere la fiducia… Il successo di Salvini inizia da lì”. Ora, a parte il dettaglio che il segretario del Pd era lui, il tapino dimentica che il primo boom di Salvini nei sondaggi (dal 5% a oltre il 10) si registrò quando il suo governo non faceva nulla contro l’immigrazione selvaggia, anzi mercanteggiava flessibilità dall’Europa per le sue mancette elettorali in cambio dell’impegno a prendersi e tenersi tutti gli sbarcati (Bonino dixit), mentre la Lega calò un po’ quando al Viminale si vide finalmente qualcuno. E il Pd precipitò definitivamente grazie al suo geniale RefeRenzum (lui dice che furono le “fake news”: ciao core). Quanto allo Ius Soli, Salvini sperò che il Pd lo approvasse a fine legislatura, regalandogli una campagna elettorale che l’avrebbe portato non al 17, ma al 30%. Ma fu un bel pezzo del Pd renziano, con gli ottimi alfaniani, a non volerne sapere. E, con l’aria che già tirava, fu una scelta azzeccata, altrimenti il 4 marzo il Pd non sarebbe finito al 18, ma al 10%.

Il bello è che, mentre Minniti e Gentiloni “sopravvalutavano” i migranti, il segretario Renzi li applaudiva a scena aperta. “Dobbiamo uscire dalla logica buonista e terzomondista per cui noi abbiamo il dovere di accogliere tutti quelli che stanno peggio di noi. Se qualcuno rischia di affogare in mare, è ovvio che abbiamo il dovere di salvarlo. Ma non possiamo accoglierli tutti noi… Vorrei che ci liberassimo da una sorta di senso di colpa. Noi non abbiamo il dovere morale di accogliere in Italia tutte le persone che stanno peggio. Se ciò avvenisse sarebbe un disastro etico, politico, sociale e alla fine anche economico… Abbiamo il dovere morale di aiutarli davvero a casa loro… L’immigrazione indiscriminata è un rischio che non possiamo correre. Sostenere la necessità di controllare le frontiere non è un atto razzista, ma un dovere politico… Un eccesso di immigrazione non fa bene a nessuno”, “Ci dev’essere un numero chiuso di arrivi… Nel 2018 si discuterà del bilancio, se altri paesi che si sono impegnati ad accogliere non lo fanno, l’Italia dica che non contribuirà a pagare 20 miliardi al bilancio Ue”. “Si è fatto bene a bloccare gli sbarchi. Non c’è divisione nel Pd su questo”. Frasi che sembrano uscite dalle fauci del Cazzaro Verde, invece sono di Renzi, il Cazzaro Rosé, nel suo libro Avanti (7.7.2017) e nel suo discorso alla Festa dell’Unità di Bologna (1.9.17). Ora, a un occhio superficiale, Renzi potrebbe apparire il solito incoerente. Errore: da quando giurò di lasciare la politica in caso di sconfitta referendaria e invece restò perchè “solo il vigliacco scappa”, è la coerenza fatta persona. Il suo guaio è un altro: ormai sta sulle palle a tutti, ma soprattutto a se stesso.

https://infosannio.wordpress.com/2019/07/06/il-cazzaro-rose/

sabato 26 ottobre 2019

SALVINI CONTRO LA RAGGI. Tommaso Merlo.


Salvini si è unito ai gabbiani che svolazzano su Roma. Come una pantegana del cielo qualunque. Vuole ficcare il becco nella carcassa del Campidoglio, chiede la testa della sindaca Raggi. Quella cocciuta cittadina che si è messa in testa di ripulire la sua città. Ma invece di farlo alla vecchia maniera, lo fa nel rispetto della legalità e della trasparenza. Intollerabili sacrilegi. Bestemmie. A Roma giravano cifre folli senza neanche una gara d’appalto. Tutto sulla fiducia. Criminale. Montagne di debiti. Saccheggi. Cricche di pantegane. Robaccia che qualche azzeccagarbugli non vuole chiamare mafia ma chissenefrega. Era una indegna cloaca e questo basta ed avanza. Con la politica in cima ad ingrassare alle spalle dei contribuenti e a dirigere il traffico dei sorci di terra e di cielo. La sindaca Raggi ha smesso di far debiti, si è messa a rispettare leggi e regolamenti ed ha avuto perfino il fegato di sfidare le mafie che per decenni la vecchia politica ha tollerato e perfino invitato a cena. Per paura, per convenienza, per interesse, per abitudine. Perché la cloaca faceva comodo a tutti. Per questo la sindaca Raggi sta pagando un prezzo carissimo. Perché ha avuto il coraggio di alzare la testa là dove nessuno aveva osato farlo. Perché si è schierata senza esitazioni dalla parte della legge, dei cittadini e dell’istituzione che rappresenta. E facendolo, ogni santo giorno denuncia coi suoi comportamenti lo schifo che l’ha preceduta e dimostra come sia possibile anche da noi governare onestamente. Possibile ma molto più difficile. Perché rispettare le leggi è più complesso, ci vogliono competenze, ci vuole più tempo. Nella vecchia cloaca romana bastava una telefonata tra pantegane per sistemare tutto e i soldi non finivano mai. Una pacchia sorcina. Non come oggi che una città sul lastrico e martoriata tenta di risollevarsi nell’unico modo serio e cioè a piccoli passi, col lavoro e la fatica quotidiana di tutti i cittadini di buona volontà. Perché il cambiamento vero è così. Lento e faticoso. Il resto sono sole balle che qualche politicante svende sotto elezioni. Solo solo dolorose illusioni. Garriti. Le vecchie pantegane scacciate nelle urne oggi tramando nell’oscurità rendendo il lavoro della sindaca ancora più arduo e sperano di tornare a sguazzare presto nei sotterranei del Campidoglio. Il cambiamento è una lotta che non finisce mai. In un paese sano, una sindaca come la Raggi sarebbe stata protetta e sostenuta e forse anche premiata per il suo coraggio e la sua determinazione nel servire lo stato e il bene comune esponendosi in prima persona. In Italia è stata invece massacrata fin dal suo insediamento solo perché appartenente ad una forza politica estranea al vecchio regime. Pantegane politiche, giornalistiche, affaristiche. Tutti contro quella donna cocciuta che ha deciso di rimboccarsi le maniche e non cedere ai suoi principi. Se la sindaca Raggi si fosse venduta, se la Raggi si fosse piegata avrebbe trovato molti meno ostacoli sul suo cammino, l’avrebbero lasciata in pace e oggi passerebbe per essere un ottimo sindaco come i suoi celeberrimi predecessori. Già, quelli che hanno massacrato Roma e oggi fanno i finti tonti e predicano senza dignità. Oggi Salvini si è unito a loro. Si è unito ai gabbiani che svolazzano su Roma. Come una pantegana del cielo qualunque.

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