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giovedì 8 dicembre 2022

La Spazzaonesti. - Marco Travaglio

 

L’altroieri, mentre Meloni si proclamava “garantista durante le indagini e giustizialista dopo le condanne”, la sua maggioranza con ruota di scorta renziana incorporata depennava i reati contro la Pa da quelli “ostativi” ai benefici penitenziari. Traduzione: la Spazzacorrotti di Bonafede, il miglior Guardasigilli degli ultimi 30 anni, votata da 5Stelle e Lega nel 2019 (Conte-1), diventa Spazzaonesti. A furia d’inventare scappatoie svuotacarceri, sconti, benefici, permessi premio, liberazioni anticipate, semilibertà, servizi sociali, domiciliari e altre “alternative”, entrare in galera senza ammazzare qualcuno o iscriversi a una cosca o trafficare chili di droga o essere senza tetto, è difficilissimo: anche chi si impegna allo spasimo a delinquere viene respinto alle porte del penitenziario e rispedito a casa. Gli anni di reclusione scritti nella sentenza sono finti. Ma questo fa incazzare gli onesti. E i politici, per non perdere voti, si sono inventati una lista di “reati ostativi” ai benefici penitenziari, che aggiornano a ogni “emergenza” criminale. Sono partiti con mafia e terrorismo, poi hanno proseguito con altri reati di “allarme sociale”: violenze sessuali, sequestri di persona, traffico d’esseri umani e di droga, riduzione in schiavitù, violenza sessuale, prostituzione minorile, pedopornografia, persino contrabbando. E fin lì, trattandosi perlopiù di delitti da strada e non da colletti bianchi, nessuno ha mai eccepito nulla. Nemmeno sull’applicazione “retroattiva” della norma a chi aveva commesso il delitto prima che diventasse ostativo: i condannati restavano (e restano) dentro per il tempo stabilito dalla condanna.

Poi il M5S pensò ingenuamente che fossero un’emergenza anche corruzioni, concussioni, truffe, peculati e altre razzie di denaro pubblico. E aggiunsero alla lista i reati contro la Pa. Formigoni, condannato a 5 anni e 10 mesi ma convinto di non fare un giorno di galera perché aveva compiuto 70 anni, finì dentro. Apriti cielo. Un colletto bianco detenuto per scontare una pena detentiva: scandalo! Provvide la Consulta dell’apposita Cartabia a bocciare l’applicazione della norma ai reati contro la Pa (e solo quelli, of course) commessi prima che divenissero ostativi. Formigoni intanto era già uscito dopo 5 mesi (su 70) perché un giudice carino aveva anticipato la Corte. Restava un grosso problema per la Casta degli impuniti: chi ha svaligiato la Pa dopo la Spazzacorrotti o intende farlo in futuro rischia il carcere vero. Martedì FdI, Lega, FI e Iv (astenuto l’ottimo Pd) hanno ripristinato il carcere finto: quello vero resta per i contrabbandieri e gli altri, ma non per i corrotti e gli affini. È la certezza della pena modello Meloni&C.: se ti condannano per aver rapinato lo Stato, hai la certezza di farla franca.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/12/08/la-spazzaonesti/6898978/

martedì 31 marzo 2020

Benzina sul fuoco. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 30 Marzo:

L'immagine può contenere: una o più persone

So già che quello che sto per scrivere verrà usato dal Partito Divanista Italiano per attribuirmi cose mai dette né pensate: e cioè che il governo Conte è infallibile e incriticabile perchè va tutto bene. Ma lo scrivo lo stesso. Quello che si sente e si legge in certi social, talk e giornali è benzina sul fuoco della rivolta popolare. E in questo momento di tutto abbiamo bisogno, fuorché di irresponsabili che soffino sulla cenere che cova nelle case di molti degli italiani ai domiciliari, senza lavoro nè stipendio, terrorizzati dal contagio e dal futuro, in cerca di un colpevole visibile su cui scaricare la rabbia, essendo il virus invisibile e inadatto alla bisogna. Chiedere un pizzico di responsabilità agli irresponsabili è forse fatica sprecata. Ma forse non tutti lo sono e comunque vale la pena tentare.
Caro Vittorio Feltri, titolare a tutta prima pagina “Assalto ai supermercati”. Il cibo c’è, mancano i soldi per comprarlo” per un paio di episodi circoscritti al Sud (enfatizzati anche da Maurizio Molinari su La Stampa) significa incoraggiare altri a provarci. E descrivere l’Italia come un lazzaretto di mendicanti fa a pugni con la tua teoria della “presunta povertà” che ti fece scrivere su Libero il 13.4.18: “Non è vero che siamo alla canna del gas, al contrario il nostro è uno dei Paesi più ricchi del mondo. Peccato che non ce ne accorgiamo perché ci descriviamo quali straccioni… I numeri della nostra economia, anche domestica, sono invidiabili. I risparmi privati sono mostruosamente alti…”. E il 12.5.19 aggiungevi con la consueta eleganza: “Probabilmente quelli che noi, semplificando, cataloghiamo alla voce pezzenti non sono altro che lavoratori in nero, in grado di guadagnare quanto basta onde sopravvivere. Non pagano le tasse e magari ottengono il reddito di cittadinanza… I poveri sono più finti che reali, e non abbocchiamo.
Chi è squattrinato muore di fame e al presente non si registrano decessi per inedia”. Possibile che, dopo un mese scarso di quarantena, siamo già tutti alla fame?
Caro Maurizio Belpietro, continua pure a raccontare ai lettori de La Verità che in Italia il problema non è il virus, ma Conte. Quella è una sciocchezza (secondo me), ma innocua. Però forse titolare sulla “Rabbia di esercito e polizia” e tradurre l’allarme dei Servizi sul Sud “Meridione affamato: tira aria di rivolta” potrebbe rivelarsi un tantino pericoloso. Dai un’occhiata al video postato su Facebook da una gentildonna beneventana che minaccia il sindaco Mastella di andarlo a prendere con 5mila squadristi armati di “mazze di ferro” e capirai cosa potrebbe uscire dal vaso di Pandora, se lo apriamo.
Caro Alessandro Sallusti, il tuo editoriale sullo statista di Rignano che vuole riaprire tutto e dovrebbe fare da cavia con tutta la famiglia, è perfetto. So che sei contro il reddito di cittadinanza, ma non credi che ora sia una benedizione dal cielo che mette al riparo 2,5 milioni di italiani dalla miseria (e da certe idee strane) e andrebbe allargato anziché abolito (come chiede il centrodestra e dunque l’Innominabile)? Persino B., in un lampo di saggezza, lo propose nel 2017. Se non a me, dài retta a lui.
Cari dirigenti dell’Unione sindacale di base, ma che vi dice il cervello quando postate su Fb “Reddito o rivolta”? Ma lo sapete che vuol dire “rivolta”? E contro chi?
Caro Cazzaro Verde, capisco che tu sia in lutto perchè Conte ti ha strappato di mano, anzi di bocca pure la bandiera della polemica contro quest’Europa di bottegai. Dunque continua pure a martellarlo su tutto lo scibile umano. Ma evita, se puoi, di impartirgli lezioni di matematica, tu che non riesci neppure a calcolare il Pil (sbagli di tre zeri), i metri quadri di casa tua (“un bilocale in periferia”: sì, buonanotte) e temo pure la tabellina del 2. Prendi nota: se il governo aggiunge per l’emergenza, cioè per questi giorni, 400 milioni al fondo semestrale di solidarietà di 4 miliardi per i Comuni (anche a quelli governati dalla Lega) affinchè aiutino i poveri a fare la spesa, non puoi dividerli per 60 milioni e ricavarne una mancia di “7 euro a testa”. Perchè i poveri non sono 60 milioni (altrimenti ci saresti pure tu), e neppure 5 milioni (grazie al Rdc votato anche da te e subito rinnegato come le altre poche cose buone fatte a tua insaputa). Sono molti meno: i 400 milioni aiutano le famiglie bisognose per 3 settimane con buoni pasto di 3-400 euro.
Caro (si fa per dire) Innominabile, continua pure a trafficare per buttar giù il governo che hai contribuito a creare. Ma, siccome fino all’altroieri volevi “Tutta l’Italia zona rossa”, piantala di chiedere di riaprire tutto dopo il 3 aprile (prima scadenza del “lockdown”). Non per coerenza, che per te è un vizio capitale insieme alla lealtà e alla correttezza, ma per motivi di ordine pubblico. I gruppi Facebook che minacciano rivolte, jacquerie, grand guignol, assalti ai forni e ai supermercati fissano tutti il D-Day al 3 aprile. Quindi evita, per il tuo e nostro bene, di alimentare quest’attesa messianica del 3 aprile. Si dice che chi gioca col fuoco fa la fine del pollo arrosto. Tu pollo già lo sei: vuoi pure finire arrosto?


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venerdì 15 novembre 2019

La Salvinistra. - Marco Travaglio



L’ultima scemenza della sinistra salviniana da talk show, detta anche Salvinistra, è che “Salvini ha una narrazione, mentre il governo giallo-rosa non ce l’ha”. Cioè non racconta balle, visto che la “narrazione” salviniana è una raffica di panzane. Ma la circostanza non sfiora neppure questi geni del tafazzismo, che certificano le cazzate del Cazzaro ogni volta che aprono bocca. L’altroieri avevano un assist imperdibile: è finita sott’acqua Venezia, governata da un sindaco di centrodestra e da una Regione leghista da sempre, dopo trent’anni di annunci a vanvera, promesse mancate, miliardi (6 o 7) buttati nel Mose, con annessi sprechi, marchette, mazzette e retate che affratellano la Prima e la Seconda Repubblica. Naturalmente il Mose non funziona: non è mai stato completato (siamo al 95%, dicono), ma in compenso le strutture metalliche sono in acqua da tempo, ormai arrugginite e cadenti prim’ancora dell’inaugurazione, così ai costi dell’ultimo miglio andranno aggiunti quelli delle riparazioni. La prova per il varo, slittata dal 2011 al 2020, è rinviata al 2021 e forse è meglio così: nessuno sa se, dopo, il Mose proteggerà Venezia dall’acqua alta. Lo scopriremo solo vivendo, anzi spendendo. E molti esperti giurano che non servirà a niente. Del resto non si chiama così in onore di Mosè (se no era meglio Noè), ma del Modulo Sperimentale Elettromeccanico: cioè è un esperimento mai tentato al mondo, il più caro della storia, al buio.

Ora è tutto uno starnazzare di Zaia, Brunetta, Brugnaro, Salvini e altre facce da Mose: “Dateci il Mose! Dov’è il Mose?”. A noi, lo chiedono. Zaia potrebbe domandarlo a Galan, arrestato per tangenti sul Mose, di cui era il vice prima di prenderne il posto. Brunetta, oltreché a Galan, potrebbe chiederlo a se stesso e a B., che insieme a Lunardi, Matteoli, Costa, Lupi, Delrio e altri preclari ministri, hanno sponsorizzato la boiata pazzesca a spese nostre. E Salvini, anziché chiedere altri 100 milioni per il Mose, dovrebbe domandare ai suoi campioni del buon governo veneto che fine han fatto i 6 miliardi già spesi. Ma di queste facce da Mose la Salvinistra non parla, anche perché dovrebbe sconfessare Prodi&C.. L’altroieri, a Otto e mezzo, Sallusti incolpava gli ambientalisti, i pm e naturalmente i 5Stelle, cioè quelli che sul Mose avevano ragione, ma purtroppo non hanno mai governato né il Veneto né l’Italia quando il Partito Trasversale degli Affari buttava i nostri soldi. In studio c’era il solito esponente tascabile della Salvinistra. Poteva contrastare la narrazione sallustiana ricordando che in Veneto da 25 anni non muove foglia che la Lega e B. non vogliano.

Invece parlava d’altro: attaccava anche lui i 5Stelle (“il loro programma era contro il Mose”: cioè avevano ragione) e il governo Conte “ostaggio di una minoranza M5S sullo scudo a Mittal”. Un frittomisto di Mose e di Ilva con le solite balle sull’immunità abolita: come se Arcelor Mittal fuggisse da Taranto per quella (chiude pure le acciaierie in Polonia, Sudafrica e Usa: cazzo c’entra lo scudo?) e a doversi vergognare fosse chi l’ha tolta, non chi l’ha data. È la narrazione salviniana, a sua volta identica a quella berlusconiana e renziana. Il “partito del Pil e dei sì” che “sblocca i cantieri” delle grandi opere contro il “partito della decrescita e dei no”. Invano Cacciari si sgolava a ricordare che da un quarto di secolo il Mose prosciuga tutte le risorse di Venezia, rubandole alla manutenzione, alla pulizia dei fondali, al restauro dei ponti, al consolidamento delle fondamenta, ai progetti di barriere anti-acqua alta molto più efficaci ma molto meno costosi. E proprio questo era ed è sempre il problema: piccole opere = piccoli costi e piccole mazzette; grandi opere = grandi costi e grandi mazzette. Vale per il Mose, l’Expo, le Olimpiadi e il Tav che, se mai si farà dopo 30 anni di balle, sarà il Mose di domani (con costi tripli, però).

Questa è l’unica “narrazione” alternativa a quella dei salvinisti e della Salvinistra: quella del buonsenso, della legalità e dell’ambientalismo che, fra l’altro, ha il pregio di dire la verità. E impone di finirla con gli Sblocca-Italia: semmai serve un poderoso Blocca-Italia, inteso come blocca-grandi opere inutili e sblocca-piccole opere utili. Ma non è di moda, perché il Partito degli Affari allunga i suoi tentacoli da destra a sinistra, con i giornaloni (gli stessi che la menano con Greta) a fare il coro. E chi stecca in quel coro perde. Quando nacque il governo giallo-verde, il M5S impose di condizionare ogni opera pubblica da iniziare o appena iniziata (per il Mose il danno ormai era fatto) a una severa analisi costi-benefici. Ma bastò la prima, quella che bocciava il Tav per 8 miliardi di perdite, perché quel metodo fosse abbandonato. Per mesi il M5S, Toninelli in testa, fu lapidato da destra e da sinistra, dai trombettieri di Confindustria e dalle loro madamine, come il partito che bloccava l’Italia, mentre purtroppo non era riuscito a bloccare nulla. E ci perse le Europee. La scena del 7 agosto 2019 in Senato, vigilia della crisi del Papeete, è un reperto d’epoca: tutti i partiti, dai “fascisti” della Lega ai loro alleati FI&FdI agli “antifascisti” del Pd, che votano tutti insieme appassionatamente per il Tav. E i 5Stelle soli con un pezzo di LeU che votano contro, cioè pro ambiente, pro risparmio, pro Val di Susa. Se i giallorosa vogliono essere alternativi al salvinismo, lascino starnazzare la destra e la Salvinistra e tirino dritto su una vera green economy e una dura lotta all’evasione, alla corruzione e alla prescrizione. Avranno contro l’Italia dei prenditori, dei magnager e dei loro giornaloni, e a favore l’Italia dei cittadini onesti. Tra le due Italie non c’è compromesso che tenga. O si sceglie la seconda, o tanto vale lasciare subito il campo a Salvini: la prima preferisce lui.

https://infosannio.wordpress.com/2019/11/15/la-salvinistra/

mercoledì 30 ottobre 2019

PULVIS ET UMBRIA. - Marco Travaglio 29 ottobre 2019



Se le elezioni regionali in Umbria fossero un test nazionale – e lo sono per il 2% dell’elettorato – andrebbero confrontate con le europee del 26 maggio: si scoprirebbe che l’unico partito che guadagna voti è FdI, a spese di FI, mentre ne perde 17 mila persino la Lega trionfante, malgrado la candidata del centrodestra sia una leghista di ferro. Salvini non ha espugnato l’Umbria l’altroieri: l’aveva già conquistata a maggio, anzi addirittura nei due anni precedenti, con le vittorie in quasi tutti i comuni. E il Pd aveva perso ogni speranza, dopo 49 anni di governo ininterrotto, il 12 aprile, con la retata che s’era portata via mezza giunta e mezzo vertice locale. I 5Stelle, in quei giorni, erano ancora al governo con la Lega ed era anche grazie ai loro esposti in Regione che l’inchiesta era partita: eppure, alle Europee, avevano quasi dimezzato i voti delle Politiche di un anno prima. Già allora le dinamiche nazionali c’entravano poco: la maggioranza degli umbri, impoveriti e indignati da una lunga crisi industriale e morale, aveva già scelto di cambiare tutto dopo mezzo secolo buttandosi sul partitone che dava più garanzie di vittoria e aveva già un candidato forte, la sindaca di Montefalco Donatella Tesei. L’effetto “carro del vincitore” ha fatto il resto: lo sfondamento di domenica. Che ha penalizzato soprattutto i 5Stelle, cioè il vaso di coccio della coalizione civica giallo-rosa, e molto meno il Pd, vaso di ferro ammaccato ma ancora dotato di una sua rete di potere territoriale in grado di fargli conservare, malgrado tutto, i voti delle Europee.
Quando si perde con 20 punti di distacco, ogni recriminazione è tempo perso. Neppure candidando Napoleone si sarebbe arrestata la valanga: figurarsi con Vincenzo Bianconi, scovato all’ultimo giorno utile e costretto a rimontare in un mese il trio Salvini-Meloni-Tesei che batteva l’Umbria palmo a palmo da un pezzo. Col senno di poi, 5Stelle e Pd sono stati poco furbi: potevano dare per persa l’Umbria e andare separati al macello, per strappare ciascuno un paio di punticini in più e poi raccontare che la sconfitta è figlia della separazione e bisogna unirsi nelle regioni contendibili. Invece Di Maio, Zinga e Conte si sono pure fatti fotografare insieme e ora se lo sentono rinfacciare da Renzi, il re degli sciacalli, così esperto in vittorie da non aver neppure una lista. Sì, potevano fare i furbi come lui: fuggire dalla campagna elettorale per poi dare la colpa a qualcun altro. Ma con le furbizie si salva magari la faccia, però si perde l’anima. Ora Di Maio, con la precipitazione della paura, rinnega i patti civici dopo il primo flop, peraltro scontato e inevitabile.
E dice che “i 5Stelle da soli vanno meglio”. In Umbria, col Pd sputtanato dalle inchieste, certamente sì. Ma non tutte le regioni e i comuni sono uguali, anche perché i 5Stelle avranno pure qualche buon sindaco o governatore da proporre. In ogni caso, in dieci anni di Regionali, erano sempre andati da soli e avevano sempre perso lo stesso. Prima di tornarsene sulla torre d’avorio a gridare vaffanculo a tutti, dovrebbero forse pensare meno agli alleati e più a se stessi. Chi avrebbero candidato in Umbria senza il civico Bianconi? E su quale progetto politico? E con quali forze territoriali? Vagheggiare il “ritorno allo spirito delle origini” non ha alcun senso: l’Italia di oggi non è più quella del 2009 grazie soprattutto a loro, che hanno contaminato e migliorato tutta la politica. Inclusi se stessi. Ma, a furia di dare agli altri, si sono svuotati. La spinta dal basso dei meetup s’è esaurita perché gli attivisti sono stati eletti, lasciando il deserto sui territori: il che dovrebbe spingerli ad accelerare la mille volte annunciata e rinviata riorganizzazione, con la nomina di responsabili regionali e tematici che riprendano a pensare e a proporre e inizino a reclutare e formare una classe dirigente (gente come Bianconi andrebbe coinvolta, valorizzata, non gettata via).
L’Umbria, non essendo l’Ohio, passerà: tra due giorni nessuno si ricorderà più di quel voto. E chi oggi prevede un’imminente crisi di governo si accorgerà che il Conte 2 esce non indebolito, ma paradossalmente rafforzato: sia perché nessuno ha interesse a regalare altro spazio alla volgare arroganza di Salvini e Renzi; sia perché ci sono una manovra di Bilancio da approvare e importanti riforme da varare; e sia, soprattutto, perché il governo è nato appena 50 giorni fa, e gli esecutivi si valutano dopo anni, non dopo due mesi (così come le alleanze inedite non si giudicano da un primo, frettoloso e disperato esperimento). Poi però, oltre a fare cose utili, sarà importante raccontarle nel modo giusto, lasciando i due Mattei a latrare alla luna e mostrando ai cittadini che chi sostiene il governo lo fa con orgoglio ed entusiasmo. La tanto bistrattata “foto di Narni”, se aveva un difetto, era quello di tradire troppo imbarazzo e scarsa convinzione. Ora andrebbe replicata e riempita di contenuti. Un governo non regge se discute ogni giorno di quanto dura o di quando cade. Il Conte 2, fino a prova contraria, è il migliore possibile su piazza: ma, se non ci credono le forze che lo compongono, non possono pretendere che ci credano i cittadini.
Ps. L’altra sera, alla MaratonaMentana, il direttore del Verano Illustrato è riuscito a paragonare – restando serio – il parere pro veritate dato da Conte quand’era avvocato a una società (che poi non ebbe alcun favore dal suo governo, che decise sul punto in sua assenza) alla sceneggiata di B. che esce dal Consiglio dei ministri mentre i suoi impiegati varano il decreto salva-Rete4 per neutralizzare due sentenze della Consulta che impongono il passaggio della tv su satellite e fargli guadagnare centinaia di milioni. Ecco: in questo momento si sentiva giusto la mancanza di un po’ di salvinismo di sinistra.


https://www.facebook.com/giberto.gnisci/posts/2980787981938057

Il Mitile Ignoto. - Marco Travaglio



Non è vero che Italia Viva sia inutile. Anche Renzi, nel suo piccolo, svolge una funzione vitale per l’ecosistema. Uno di quei lavori sporchi che qualcuno deve pur fare.

L’ex rottamatore, dopo aver rottamato il suo partito per fondarne un altro, si dedica alacremente al riciclaggio dei rottami. Sta alla malapolitica come la cozza (Mytilus galloprovincialis) sta alle acque marce. Anche il mollusco di Rignano sull’Arno, infatti, beve l’acqua sporca e la rimette in circolo depurata, trattenendo nei propri tessuti tutte le schifezze. Risultato: il microrganismo detto Italia Viva è appena nato e già il Pd appare ripulito e rigenerato. In Umbria, per dire, gli elettori dem indignati per la retata di Sanitopoli ad aprile, dopo la batosta alle Europee di maggio l’hanno risparmiato da ulteriori castighi. E il motivo di tanta indulgenza è nell’unica novità registrata da allora nel centrosinistra: la scissione dell’atomo renziano, suggellata dalla provvidenziale assenza di Matteo La Cozza dall’ormai celebre foto di Narni. Così Iv si candida a essere per il Pd ciò che fu l’Ncd per FI: la bad company. Che assorbe inquisiti, imputati, pregiudicati, ex galeotti, prescritti, lobbisti, portatori di conflitti d’interessi, voltagabbana, impresentabili di varia natura, sui quali Renzi esercita un’attrazione fatale.

Alla Leopolda c’era persino Lele Mora, venuto – non si sa se invitato o insalutato ospite – a omaggiare “il galoppino di Berlusconi”, augurandogli di diventarne “l’erede”. Intanto Renzi invitava i “delusi di Forza Italia”, cioè chi non riconosce più il vecchio B., ormai incapace di delinquere con la costanza e il ritmo dei bei tempi, a “darci una mano”. O una manetta. Ora Dell’Utri, abbandonato ai domiciliari dall’amico Silvio, potrebbe uscire anzitempo e portare il suo contributo (7 anni definitivi per mafia e 12 anni provvisori per la Trattativa). Nell’attesa, il Messaggero informa che “Catiuscia Marini, ex governatrice dell’Umbria coinvolta nell’inchiesta sulla sanità che ha fatto saltare la giunta, è pronta a passare con Iv con diversi esponenti locali del Pd che si stanno muovendo verso Renzi”.

Ecco, a noi questo “muoversi” della Marini e dei suoi coindagati che sciamano in pellegrinaggio verso Iv strazia il cuore. Anche perché Renzi attribuisce la débâcle umbra di Pd e M5S non a Catiuscia &C., ma alla foto di Conte, Di Maio, Zinga e Speranza, tutti vergognosamente incensurati. Il che rende poco credibile un retroscena de La Verità: “Renzi vuole la Carfagna premier al posto di Conte”. A parte il fatto che è una donna troppo seria per prenderlo sul serio, Mara ha un handicap insormontabile: non è mai stata neppure indagata.

https://infosannio.wordpress.com/2019/10/30/il-mitile-ignoto/

domenica 27 ottobre 2019

Il Cazzaro Rosé. - Marco Travaglio



Uno fa di tutto per dimenticare, rimuovere, archiviare, poi apre Repubblica e trova un titolone a caratteri di scatola, manco fosse scoppiata la terza guerra mondiale: “Migranti, io accuso il Pd”. Perbacco, sarà rinato Emile Zola e avrà lanciato un nuovo J’accuse? No, è Renzi che manda una lettera. E propone -udite udite- “dieci piccoli spunti di riflessione”. Non un paio. Dieci, come i piccoli indiani. Voi direte: avrà scritto per spiegare come mai proprio l’altroieri è stato condannato dalla Corte dei Conti a risarcire 15mila euro al Comune di Firenze per un danno erariale di 125mila a furia di assunzioni inutili? Per darci la giusta lettura di quelle strane frasi di Lotti, intercettato con Palamara, sulla sua spedizione in Qatar per vendere la Roma agli emiri? Per raccontarci che fine han fatto i 6,6 milioni di dollari sottratti ai bambini africani da suo cognato e dai di lui fratelli appena rinviati a giudizio per un mega-furto ai danni di Unicef e altri enti benefici, malgrado la sua legge salva-appropriazione indebita che nel frattempo ha salvato pure Bossi? Per soddisfare la curiosità di grandi e piccini sul vero mestiere dell’amico Lotti, fra spedizioni a Londra per il business dei diritti sportivi, traffici con Palamara sulle Procure di Roma e Firenze, e convegni di corrente nel partito da cui si sarebbe “autosospeso”? Per scusarsi di aver candidato Cosimo Ferri, il pm berlusconiano, anche lui pizzicato nello scandalo Csm? O di averci insultati chiamandoci “Falso quotidiano” perchè osavamo raccontare l’incontro fra il babbo e Romeo, poi accertato dagli stessi pm romani che han chiesto di archiviare papà Tiziano?

Macchè, ha scritto per farci sapere che “non possiamo arrenderci allo tsunami sovranista”. E vabbè. E che “resistere e rilanciare si può”. Mo’ me lo segno. Ma anche per il solito mea culpa battuto sul petto altrui. Il vestra culpa. Di chi? Di Gentiloni e Minniti, premier e ministro dell’Interno del Pd sostenuti dal partito che aveva come segretario lui, Renzi. Che han fatto, i due manigoldi? Nel “funesto 2017” (funesto perchè il premier non era più lui) hanno “sopravvalutato la questione immigrazione”, che a suo dire si riduceva a “qualche decina di barche”. In effetti nel 2016 e nel 2017, grazie a Renzi, sbarcarono in Italia 181.436 e 119.369 migranti, mentre la cura Minniti li fece calare nel 2018 a 23.370. Ma, si sa, Minniti li sopravvalutava, mentre Renzi se ne fregava. Infatti al Viminale non aveva messo nessuno (Alfano) e si occupava dei veri problemi del Paese. Abolire le elezioni per il Senato, rimpinzarlo di sindaci e consiglieri regionali. Far rimpiangere il Porcellum con l’Italicum.

Fabbricare altri precari col Jobs Act. Leccare Marchionne e Boccia. Premiare gli evasori. Inciuciare con B. & Verdini. E tante altre belle cose. Invece Minniti sopravvalutò gli sbarchi e impose alle Ong di darsi una regolata, lavorò per stabilizzare la Libia e guardacaso gli sbarchi si ridussero a un quinto. Ma sentite quest’altra: “Il crollo nei sondaggi del Pd comincia quando si esaspera il tema arrivi dal Mediterraneo e allo stesso tempo si discute lo Ius soli senza avere il coraggio di mettere la fiducia… Il successo di Salvini inizia da lì”. Ora, a parte il dettaglio che il segretario del Pd era lui, il tapino dimentica che il primo boom di Salvini nei sondaggi (dal 5% a oltre il 10) si registrò quando il suo governo non faceva nulla contro l’immigrazione selvaggia, anzi mercanteggiava flessibilità dall’Europa per le sue mancette elettorali in cambio dell’impegno a prendersi e tenersi tutti gli sbarcati (Bonino dixit), mentre la Lega calò un po’ quando al Viminale si vide finalmente qualcuno. E il Pd precipitò definitivamente grazie al suo geniale RefeRenzum (lui dice che furono le “fake news”: ciao core). Quanto allo Ius Soli, Salvini sperò che il Pd lo approvasse a fine legislatura, regalandogli una campagna elettorale che l’avrebbe portato non al 17, ma al 30%. Ma fu un bel pezzo del Pd renziano, con gli ottimi alfaniani, a non volerne sapere. E, con l’aria che già tirava, fu una scelta azzeccata, altrimenti il 4 marzo il Pd non sarebbe finito al 18, ma al 10%.

Il bello è che, mentre Minniti e Gentiloni “sopravvalutavano” i migranti, il segretario Renzi li applaudiva a scena aperta. “Dobbiamo uscire dalla logica buonista e terzomondista per cui noi abbiamo il dovere di accogliere tutti quelli che stanno peggio di noi. Se qualcuno rischia di affogare in mare, è ovvio che abbiamo il dovere di salvarlo. Ma non possiamo accoglierli tutti noi… Vorrei che ci liberassimo da una sorta di senso di colpa. Noi non abbiamo il dovere morale di accogliere in Italia tutte le persone che stanno peggio. Se ciò avvenisse sarebbe un disastro etico, politico, sociale e alla fine anche economico… Abbiamo il dovere morale di aiutarli davvero a casa loro… L’immigrazione indiscriminata è un rischio che non possiamo correre. Sostenere la necessità di controllare le frontiere non è un atto razzista, ma un dovere politico… Un eccesso di immigrazione non fa bene a nessuno”, “Ci dev’essere un numero chiuso di arrivi… Nel 2018 si discuterà del bilancio, se altri paesi che si sono impegnati ad accogliere non lo fanno, l’Italia dica che non contribuirà a pagare 20 miliardi al bilancio Ue”. “Si è fatto bene a bloccare gli sbarchi. Non c’è divisione nel Pd su questo”. Frasi che sembrano uscite dalle fauci del Cazzaro Verde, invece sono di Renzi, il Cazzaro Rosé, nel suo libro Avanti (7.7.2017) e nel suo discorso alla Festa dell’Unità di Bologna (1.9.17). Ora, a un occhio superficiale, Renzi potrebbe apparire il solito incoerente. Errore: da quando giurò di lasciare la politica in caso di sconfitta referendaria e invece restò perchè “solo il vigliacco scappa”, è la coerenza fatta persona. Il suo guaio è un altro: ormai sta sulle palle a tutti, ma soprattutto a se stesso.

https://infosannio.wordpress.com/2019/07/06/il-cazzaro-rose/

mercoledì 21 gennaio 2015

Cassazione, “Travaglio non deve risarcire Berlusconi”: aveva chiesto 10 milioni.

Cassazione, “Travaglio non deve risarcire Berlusconi”: aveva chiesto 10 milioni

L'ex Cavaliere si era ritenuto diffamato dall'intervista rilasciata dal condirettore del Fatto Quotidiano a Daniele Luttazzi nel corso di 'Satyricon' nel 2001. La Suprema Corte: "Si è trattato di cronaca, critica politica e satira legittime."

Marco Travaglio non deve versare alcun risarcimento a Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia aveva chiesto al condirettore del Fatto Quotidiano 10 milioni di euro come risarcimento danni da diffamazione per l’intervista che aveva rilasciato a Daniele Luttazzi il 14 marzo 2001 su Rai2 nel corso della trasmissione Satyricon. Al centro il libro ‘L’odore dei soldi’, sulla storia dell’ex Cavaliere e delle inchieste che lo hanno coinvolto. Per la Suprema Corte, che ha confermato la correttezza del verdetto emesso dalla Corte di Appello di Roma il 18 ottobre del 2006, si è trattato di cronaca, critica politica e satira legittime.
In modo conforme alle regole del diritto di cronaca e critica, è da escludere che Travaglio – sottolinea la Terza sezione civile della Suprema Corte – avesse “inteso accusare in modo subdolo l’onorevole Berlusconi di biechi interessi privati, di illeciti societari e di collusione con la mafia” avendo invece voluto “stigmatizzare, sicuramente con toni forti, sarcastici e sdegnati” il comportamento del candidato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che “non aveva ritenuto necessario chiarire nelle opportune sedi… alcune vicende della sua attività imprenditoriale oggetto di indagini penali”.
Alle ulteriori obiezioni del leader di Forza Italia che ha insistito nel ricorso in Cassazione a sostenere che la trasmissione aveva “scopo non satirico ma politico”, la Suprema Corte replica che “l’uno scopo, di per sé, non esclude l’altro, potendo convergere entrambi a definire l’ambito della satira politica” quale è quello di una trasmissione come Satyricon “caratterizzata dall’intento di porre all’attenzione del telespettatore alcuni momenti della vita sociale e politica italiana, sottolineandone le contraddizioni e gli aspetti a volte anche negativi”.
Ad avviso della Cassazione, il verdetto di appello non ha “affatto trascurato il necessario bilanciamento dell’interesse individuale con quello sotteso alla libera manifestazione del pensiero attraverso la critica politica, effettuato correttamente sotto la lente dell’interesse pubblico alla conoscenza dell’interpretazione di fatti di cronaca”, risultati “documentati e per la maggior parte notori”, senza trasmodare “in attacchi personali volti a colpire la figura morale del soggetto criticato”.
Corretto e ‘conforme’ ai canoni della satira è stato ritenuto anche il comportamento di Luttazzi che “nel dirigere l’intervista, si è avvalso degli strumenti tipici” di questo genere, compresa la mimica. Il ricorso dell’ex premier era rivolto anche contro la RaiCarlo Freccero, ‘Ballandi entertainment‘ e Luttazzi che, poi, insieme a Michele Santoro e Enzo Biagi, fu cacciato dalla televisione pubblica dopo l’’editto bulgaro’ di Berlusconi. Ora il leader di Forza Italia deve pagare in favore della Rai 10mila e 200 euro per le spese legali del giudizio di Cassazione.

martedì 6 agosto 2013

Il marcio su Roma. - Marco Travaglio



Si racconta che il leader della sinistra storica Agostino Depretis, inventore del trasformismo, noto per la diabolica arte del rimpasto, del galleggiamento e dell'equilibrismo, quando tirava aria di crisi di governo si presentasse in Parlamento pallido ed emaciato, intabarrato in abiti trasandati e lisi, la barba lunga e bianca, l'andatura claudicante per l'eterna gotta, quasi avesse un piede nella fossa. Si rivolgeva all'assemblea con voce malferma e tossicchiante, con intercalari del tipo: "Sono mezzo malato, e pure di malumore, abbiate un po' di pazienza". Dinanzi a quel cadavere ambulante, anche i più strenui oppositori si muovevano a compassione e lasciavano passare la fiducia. Tanto, pensavano tra sé e sé, dura poco.

E invece durò parecchio, fino alla morte vera. La tecnica del "chiagni e fotti" fu poi perfezionata e sublimata dal cavalier Banana, che da vent'anni alterna ostentazioni di virilismo e giovanilismo a sceneggiate che lasciano presagire l'imminente dipartita, perlomeno politica. Alla prima difficoltà, accenna al "passo indietro" a favore di qualcun altro, poi regolarmente eliminato a maggior gloria di Lui. Nel '96 Gad Lerner chiese per lui la grazia in cambio del ritiro a vita privata (i successori designati allora erano Antonio Fazio e Monti). E un anno fa annunciò ufficialmente che passava la mano ad Alfano o al vincitore delle mitiche primarie Pdl, salvo poi rimangiarsi tutto e ricicciare più ribaldo che pria. Ora ci risiamo, con un'aggiunta. Se prima il "chiagni e fotti" si manifestava simbolicamente col vittimismo delle parole, ora è validato da lacrime vere sul volto imbalsamato dal fard marron a presa rapida resistente alla canicola (ma non sarà un tatuaggio?). Vere, poi, si fa per dire.

Il 30 marzo '97 - governo Prodi - B. lacrimò al porto di Brindisi dove la Marina Militare italiana aveva speronato una nave di profughi albanesi provocando decine di vittime, e promise ai superstiti di alloggiarli nella villa di Arcore. "Anche quando finge una commozione che non sente - scrisse Indro Montanelli - quella commozione a un certo punto diventa vera perché finisce per commuoversi di sé stessa. Le lacrime di Berlusconi possono essere un inganno per chiunque, meno che per Berlusconi. A quello che dice e fa, anche se lo dice e lo fa per calcolo, Berlusconi ci crede... La scena sa tenerla da grande attore: se gli dessero da recitare l'Otello, sarebbe capace, per dare più verisimiglianza al cruento finale, di sbudellarsi veramente, e non per finta, sul corpo esanime di Desdemona... Nella parte della vittima, quella che i napoletani chiamano del 'chiagne e fotte', è imbattibile. Forse qualcuno capace di 'fottere' come lui ci sarà. Ma nel 'chiagnere' non c'è chi lo valga".

Dunque domenica il frodatore pregiudicato ha pianto: per la condanna dell'Innocente, che poi sarebbe Lui. E la sceneggiata ha funzionato un'altra volta. Quella lacrima sul fard è bastata a far dimenticare l'ennesimo attacco eversivo ai magistrati (hanno "vinto un concorso", mentre a suo avviso dovevano perderlo), sferrato dal palco abusivo dietro cui campeggiava la scritta simbolica "Via del Plebiscito" e sotto cui una piccola folla di comparse a pagamento, perlopiù sue coetanee, scandivano "duce duce". Intanto l'Agenzia delle Entrate, alle dipendenze del governo da lui sostenuto, perlustrava le località balneari a caccia di evasori suoi discepoli, per quanto dilettanti (roba di scontrini non battuti, non certo di 64 società offshore e fondi neri per decine di milioni).

Seguiva il vivo compiacimento del premier Nipote per il discorso moderato e soprattutto perché il delinquente resta al governo. E il premio speciale del Quirinale, ormai ridotto a ufficio reclami per Vip imputati o condannati (da Mancino a B.), con l'udienza-pellegrinaggio del duo Schifani-Brunetta (il primo indagato per mafia) per impetrare la Grazia Regia. Denominata pudicamente "agibilità di B.". Manco fosse un fabbricato. Abusivo, ci mancherebbe. 


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martedì 14 maggio 2013

Fate schifo. - Marco Travaglio


Siccome non c’è limite alla vergogna, ieri il Coniglio Superiore della Magistratura, già organo di autogoverno della medesima e ora manganello politico per mettere in riga i “divisivi” che disturbano l’inciucio, ha condannato alla “censura” il pm minorile di Milano Anna Maria Fiorillo. Ha insabbiato un’indagine? È andata a cena con un inquisito? È stata beccata al telefono con un politico che le chiedeva un favore? No, altrimenti l’avrebbero promossa: ha raccontato la verità sulla notte del 27 maggio 2010 alla Questura di Milano, quando Karima el Marough in arte Ruby, minorenne marocchina senza documenti né fissa dimora fu fermata per furto e trattenuta per accertamenti.
Quella notte, per sua somma sfortuna, era di turno la Fiorillo che, per sua somma sfortuna, è un pm rigoroso che osserva la Costituzione, dunque non è malleabile né manovrabile. 
Al telefono con l’agente che ha fermato la ragazza, dice di identificarla e poi affidarla a una comunità di accoglienza, come prevede la legge. 
Mentre l’agente la identifica e cerca una comunità (ce n’erano parecchie con molti posti liberi), viene chiamato dal commissario capo Giorgia Iafrate, a sua volta chiamata dal capo di gabinetto Pietro Ostuni, a sua volta chiamato dal premier Berlusconi direttamente da Parigi. 
L’ordine è di “lasciar andare” subito la ragazza perché è “nipote di Mubarak” e si rischia l’incidente diplomatico con l’Egitto. Così la Questura informa la pm che Ruby è stata affidata a tale Nicole Minetti, “di professione Consigliere Ministeriale Regionale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri” (supercazzola testuale). “Ciò – annoterà la Fiorillo nella sua relazione – suscitò in me notevoli perplessità che esternai con chiarezza, sottolineando in modo assertivo l’inopportunità di un affidamento a persona estranea alla famiglia senza l’intervento dei servizi sociali. 
Non ricordo di aver autorizzato l’affidamento della minore alla Minetti”. Cioè, spiegherà la pm, “ricordo di non averlo autorizzato”. 
Appena la cosa finisce sui giornali, il procuratore Bruti Liberati si precipita a difendere gli agenti con una nota molto curiale, anzi quirinalesca: “La fase conclusiva della procedura d’identificazione, fotosegnalazione e affidamento della minore è stata operata correttamente”. 
Cioè anticipa l’esito di un’indagine in corso. Il Pdl esulta: visto? Il caso Ruby non esiste. Il ministro dell’Interno Maroni si presenta in Parlamento e mente spudoratamente: che Ruby fu affidata alla Minetti “sulla base delle indicazioni del magistrato”. 
La Fiorillo, sbugiardata dal bugiardo su tutti i giornali e tv senza che nessun superiore la intervenga, si difende da sola e dichiara: “Le parole del ministro che sembrano in accordo con quelle del procuratore non corrispondono alla mia diretta e personale conoscenza del caso. Non ho mai dato alcuna autorizzazione all’affido della minore“. Poi chiede al Csm di aprire una “pratica a tutela” non solo sua, ma della magistratura tutta, contro le menzogne del governo. 
Ma il Csm archivia la pratica in tutta fretta senza neppure ascoltarla: non sia mai che, con le sue verità “divisive”, turbi il clima di pacificazione nazionale. 
Al processo Ruby, forse per non smentire il procuratore, né l’accusa né la difesa chiedono di sentirla come teste. 
Provvede il Tribunale. 
Ma intanto il Pg della Cassazione Gianfranco Ciani, lo stesso che convocò il procuratore nazionale Grasso su richiesta di Napolitano e Mancino per far avocare l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, avvia contro di lei l’azione disciplinare per aver “violato il dovere di riserbo”. Cioè per aver osato dire la verità. Ieri infatti il Pg Betta Cesqui che sosteneva l’accusa e ha chiesto la sua condanna non ha potuto esimersi dal dire che “la verità sulla condotta del magistrato è stata stabilita ed è stata data piena ragione alla sua ricostruzione dei fatti”. Dunque il plotone di esecuzione del Csm l’ha punita con la censura. 
Guai a chi dice la verità, in questo paese di merda.

sabato 6 aprile 2013

Emma Bonino - Marco Travaglio



Oggi, 6 aprile, su "il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio analizza, ripercorrendola, la carriera politica di Emma Bonino, in vista di una possibile candidatura al Quirinale. Riportiamo di seguito alcuni estratti: 

Da sempre radicale, si è poi candidata nel '94 con Forza Italia fondata da Berlusconi, Dell'Utri, Previti & C., e col centrodestra berlusconiano è rimasta alleata, fra alti e bassi, fino alla rottura del 2006, quando è passata al centrosinistra. Ha ricoperto le più svariate cariche: deputata, senatrice, europarlamentare, commissario europeo, vicepresidente del Senato, ministro per gli Affari europei nel governo Prodi.

Nel '94, quando si candidò per la prima volta con B., partecipò con lui e la Parenti a un comizio a Palermo contro le indagini su mafia e politica. Poi, appena eletta, fu indicata dal Cavaliere assieme a Monti come commissario europeo. Il che non le impedì di seguitare l'attività politica in Italia, nelle varie reincarnazioni dei radicali: Lista Sgarbi-Pannella, Riformatori, Lista Pannella, Lista Bonino. Nel '99 B. la sponsorizzò per il Quirinale, anche se poi confluì su Ciampi. Ancora nel 2005, alla vigilia della rottura, la Bonino dichiarava di "apprezzare ciò che Berlusconi sta facendo come premier" (una legge ad personam dopo l'altra, dalla Gasparri alla Frattini, dal lodo Schifani al falso in bilancio, dalla Cirami alle rogatorie alla Cirielli) e cercava disperatamente un accordo con lui.

Alle meritorie campagne contro il finanziamento pubblico dei partiti, fa da contrappunto la contraddizione dei soldi pubblici sempre chiesti e incassati per Radio Radicale. Nel 2010 poi la Bonino fece da sponda all'editto di B. contro Annozero : il voto radicale in Vigilanza fu decisivo per chiudere i talk e abolire l'informazione tv prima delle elezioni. Con tutto il rispetto per la persona, di questi errori politici è forse il caso di tenere e chiedere conto. 


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