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martedì 11 febbraio 2020

Al Maggiore primo intervento al mondo di asportazione di colon e fegato eseguito con robot „Al Maggiore primo intervento al mondo di asportazione di colon e fegato eseguito con robot.“


Risultato immagini per ospedale maggiore bologna

Al Maggiore primo intervento al mondo di asportazione di colon e fegato eseguito con robot
Ad eseguirlo, Elio Jovine -direttore del Dipartimento Chirurgico dell’Azienda Usl di Bologna- e la sua equipe.
Al Maggiore primo intervento al mondo di asportazione di colon e fegato eseguito con robot

il primo caso al mondo di intervento chirurgico eseguito interamente con il robot, di asportazione contemporanea di colon e fegato con tecnica alpps, ovvero di rimozione della parte malata e ripristino della completa circolazione epatica. Ad eseguirlo, all’Ospedale Maggiore di BolognaElio Jovine, direttore del Dipartimento Chirurgico dell’Azienda Usl di Bologna, e la sua equipe.  
La vicenda ha riguardato una donna di 61 anni con tumore del colon sinistro e metastasi epatiche multiple nella parte destra del fegato, resistenti ai trattamenti chemioterapici. Per evitare l’asportazione di ampie parti di tessuto epatico, compromettendo così la vita della paziente, Jovine e la sua equipe hanno proceduto, invece, con tecniche chirurgiche che consentono la ricrescita del fegato rimanente. Si tratta di tecniche complesse che vanno eseguite con particolare tempestività. Utilizzando il robot, è stato asportato il colon sinistro e separato il lato destro del fegato da quello sinistro, per consentire la più rapida ricrescita possibile del fegato. 
Dopo 5 giorni di degenza post operatoria, la signora è rientrata a casa in buone condizioni di salute per un periodo di circa 2 settimane, necessarie per la ricrescita e il funzionamento del fegato, testimoniate da particolare indagini diagnostiche, radiologiche e scintigrafiche, d’avanguardia.
Rientrata al Maggiore, sempre con tecnica robotica, la signora è stata quindi sottoposta alla asportazione di tutta la parte malata del fegato, la destra. La ricrescita ed il ripreso funzionamento della parte sinistra del fegato hanno scongiurato il rischio di insufficienza epatica post operatoria. 
"Rapido il decorso post operatorio. La signora è rientrata a casa, infatti, dopo soli cinque giorni di ricovero all’Ospedale Maggiore", fanno sapere dal nosocomio, aggiungendo che "si tratta del primo intervento documentato al mondo di questo tipo, eseguito interamente con il robot. In precedenza Jovine e la sua equipe lo avevano già effettuato per via laparoscopica". 


mercoledì 19 settembre 2018

E' di Putignano il più giovane neurochirurgo in grado di intervenire sulle vertebre cervicali per via endonasale. - Patrizio Pulvento

Dott. Giulio Cecchini
dott. Giulio Cecchini

L’operazione di decompressione midollare cervicale mininvasiva è stata eseguita con successo dal Dott. Giulio Cecchini, su una donna lucana di 57 anni che rischiava la paralisi.

Putignano Ba - Rischiava di rimanere paralizzata per via di una malformazione congenita alle vertebre cervicali, complicata dall’artrosi, una donna di 57 anni, inizialmente ritenuta quasi inoperabile. Ora sta bene grazie ad una raffinatissima tecnica chirurgica di decompressione midollare cervicale mediante odontoidectomia dell'epistrofeo per via endoscopica endonasale mininvasiva.
A portare a termine con successo il delicato intervento è stato un neurochirurgo nato e residente a Putignano, il Dott. Giulio Cecchini, 33 anni, probabilmente il più giovane neurochirurgo al mondo ad eseguire tale procedura, in collaborazione con il collega e amico Dott. Francesco Di Biase.
L’operazione è stata eseguita nell’ospedale San Carlo di Potenza con la supervisione del Direttore del reparto di Neurochirurgia, Dott. Giovanni Vitale. Va infatti precisato che questo intervento viene eseguito in pochi centri esclusivi ultraspecializzati in neurochirurgia mininvasiva. La signora era affetta da una malformazione congenita della giunzione vertebrale tra testa e collo (Epistrofeo).
Tale malformazione, inizialmente di grado lieve, si era aggravata negli anni con la comparsa dell’osteoartrosi, al punto di procurale addirittura una compressione del midollo al livello occipitale.
«Questa compressione del midollo era principalmente dovuta al dente dell’epistrofeo (seconda vertebra cervicale) che si proiettava all’interno della parte bassa del cranio e che, da circa sei anni – spiega il Dott. Cecchini - aveva cominciato a causarle cefalee, piccole apnee notturne, disturbi del movimento, fino alla tetraparesi.»
Come lo stesso neurochirurgo putignanese ha spiegato, per rimuovere questo dente dell’epistrofeo le metodiche a disposizione sono pochissime e dipendono dalla complessità del caso in esame. Si tratta di un’aera chirurgica rischiosa per la presenza del centro del respiro, del battito, ecc.. Molte strutture infatti, nelle circostanze più gravi, pare si limitino ad un trattamento di tipo fisiatrico e ad una trazione della testa del paziente. 
Le opzioni più diffuse per la rimozione del dente della vertebra epistrofeo, prevedono prevalentemente l’accesso chirurgico dalla bocca (transorale), con il rischio di alcune complicanze legate alla deglutizione a alla fonazione. Nel caso della 57enne è stato invece possibile intervenire passando dal naso con la tecnica endoscopica mininvasiva endonasale meno soggetta a infezioni e che non prevede alcuna incisione cutanea. Infatti la paziente non presenta alcuna ferita chirurgica né punti di sutura.
La signora ora sta bene, ha già ricominciato ad alimentarsi autonomamente, ha sospeso la terapia antibiotica ed è stata dimessa dall’ospedale. La paziente ha altresì manifestato un progressivo aumento della forza e della mobilità degli arti, cammina meglio e presto saranno anche superate le apnee notturne e le cefalee.
Dopo  la rimozione del dente dell’epistrofeo, si procederà dopo qualche settimana ad una nuova operazione di consolidamento delle prime due vertebre cervicali finalizzata ad agevolare il movimento della testa (la mobilità è assicurata temporaneamente da un collare).
«Fondamentale è tuttavia la diagnosi tempestiva di questo tipo di patologie - conclude il neurochirurgo -  Poiché potrebbe non essere più possibile ottenere il pieno recupero in soggetti con diagnosi tardiva e già troppo compromessi fisicamente.»

giovedì 5 luglio 2018

Straordinario intervento al pancreas: 19enne salvato al Civile.


L'équipe medica degli Spedali Civili di Brescia - © www.giornaledibrescia.it

È stato eseguito con successo un auto-trapianto di isole del pancreas nel fegato di un giovane di 19 anni che, a seguito di un incidente in moto, aveva subito l'asportazione di alcune porzioni del pancreas. L'intervento è stato possibile grazie agli esperti degli Spedali Civili di Brescia e del Diabetes Research Institute dell'Ospedale San Raffaele di Milano, che hanno lavorato in squadra.
Tutto è iniziato quando il ragazzo, a causa dell'incidente, ha riportato una lacerazione del pancreas che ha reso necessaria l'asportazione per via laparoscopica di alcune porzioni dell'organo, dove si trovano buona parte delle cellule che producono insulina. «In casi come questo - dicono gli specialisti - il rischio di sviluppare il diabete poco tempo dopo l'intervento è pari al 10-20%. Nel lungo termine, però, la percentuale si alza fino al 50%, influenzando radicalmente la qualità di vita del paziente». Per scongiurare questo rischio gli esperti di Brescia hanno contattato quelli di Milano, e hanno inviato al San Raffaele le parti dell'organo asportate. I ricercatori milanesi hanno salvato le cellule che producono insulina, isolandole e purificandole in laboratorio.
L'infografica dell'intervento
L'infografica dell'intervento
Quindi le hanno reinviate a Brescia, dove i medici le hanno iniettate nel fegato del ragazzo. «Una volta immesse nel fegato - proseguono gli specialisti - le cellule attecchiscono nel giro di qualche settimana e riprendono la produzione di insulina, scongiurando il rischio di sviluppare il diabete. A distanza di tre settimane dal grave incidente il paziente è stato dimesso in eccellenti condizioni generali».
Fino ad ora, concludono, «sono stati descritti meno di dieci i casi al mondo in cui è stato utilizzato questo approccio. Inoltre l'asportazione del pancreas con tecnica mini-invasiva e la preparazione dei tessuti per il trapianto in un luogo diverso rispetto a quello del ricovero costituiscono una combinazione unica, che non si è mai verificata in nessuno dei casi finora descritti».

lunedì 15 maggio 2017

Ricerca italiana: impiantata la prima retina artificiale organica, test sugli animali.

Ricerca italiana: impiantata la prima retina artificiale organica, test sugli animali

La protesi è in grado di trasformare gli stimoli luminosi in impulsi elettrici per i neuroni.


Un gruppo di ricercatori italiani dell'Iit di Genova ha realizzato la prima retina artificiale organica altamente biocompatibile. La protesi, descritta sulla rivista Nature Materials, si è dimostrata in grado di rimpiazzare i fotorecettori degenerati in animali portatori di mutazione spontanea di uno dei geni implicati nella retinite pigmentosa umana. La retina bio-tech è formata da due strati di polimeri organici capaci di convertire gli stimoli luminosi nell'attivazione elettrica dei neuroni.

Efficace per 10 mesi - I test hanno evidenziato il "ripristino" di riflesso pupillare, risposte corticali elettriche e metaboliche agli stimoli luminosi, acuità visiva e orientamento nell'ambiente guidato dalla luce. Questo importante recupero funzionale è rimasto efficace per oltre 10 mesi dopo l'impianto della retina artificiale, senza causare l'infiammazione dei tessuti o la degradazione dei materiali che compongono il dispositivo.

I polimeri organici, alternativamente semiconduttore e conduttore, sono stratificati su una base di fibroina, la cosiddetta proteina della seta. La stimolazione luminosa dell'interfaccia provoca l'attivazione della retina priva di fotorecettori, mimando il processo a cui sono deputati i coni e bastoncelli presenti nella retina sana.

I vantaggi della retina artificiale - "Questo approccio - ha precisato Fabio Benfenati, direttore del Centro Iit-Nsyn di Genova - rappresenta un'importante alternativa ai metodi utilizzati fino ad oggi per ripristinare la capacità fotorecettiva dei neuroni. Rispetto ai due modelli di retina artificiale attualmente disponibili, basati sulla tecnologia del silicio, il nostro prototipo presenta vantaggi quali la tollerabilità, la lunga durata e la totale autonomia di funzionamento, senza avere la necessità di una sorgente esterna di energia".

Test sull'uomo entro quest'anno - L'obiettivo della ricerca è quello di ripristinare parzialmente la vista in pazienti resi ciechi dalla degenerazione dei fotorecettori, che si verifica in numerose malattie genetiche della retina (come ad esempio la retinite pigmentosa). La prima sperimentazione sull'uomo potrebbe essere inaugurata nella seconda metà del 2017. L'impianto potrebbe rappresentare una svolta nel trattamento di patologie retiniche estremamente invalidanti.


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