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mercoledì 5 febbraio 2014

Boldrini, l’arbitro fa il tifo in curva. - Andrea Scanzi

Laura Boldrini non si può criticare. Mai. Se lo si fa, arriva puntuale la crivella già usata tanto dalla Fornero quanto dalla Madia: “Sessisti”, “maschilisti”. Questo femminismo caricaturale è peraltro a singhiozzo. Vale per la Boldrini, ma non per la Carfagna o per la 5 Stelle Lupo, che si è presa uno schiaffone da un uomo ma che – secondo gli ultrà boldriniani – in fondo se lo meritava. L’esaltazione della Boldrini non è sfumata neanche dopo la sua decisione di applicare, prima volta nella storia repubblicana, la tagliola o ghigliottina. Un istituto, oltretutto, previsto soltanto a Palazzo Madama. Stava per essere sdoganato nel 2009, durante la discussione sullo scudo fiscale, ma allora il Pd (che poi fece passare lo scudo fiscale grazie all’assenza decisiva di alcuni parlamentari) si oppose: come cambiano i tempi.
La sua elezione alla Presidenza della Camera aveva legittimamente alimentato speranze. Per quanto pressoché nuda di esperienza politica, il curriculum era nobile. Quattordici anni come portavoce dell’Alto commissariato delle Nazione Unite per i rifugiati. Più nominata che eletta, come è uso in Italia, la sua ascesa fu comunque letta come simbolo di cambiamento. Di miglioramento. Che non è arrivato. Dopo neanche un anno, la Boldrini è già una delle più grandi delusioni nella storia recente della politica italiana. Per quel gioco eterno della pagliuzza e della trave, l’informazione ama usare il napalm con l’errore grillino e suole abbondare in buffetti se a sbagliare è Laura. E gli errori 5 Stelle sono pure troppi, dal “boia chi molla” ai “pompini”, dai post su “cosa faresti in macchina con Laura” ai commenti orrendamente violenti e (quelli sì) sessisti comparsi in Rete e poi cancellati.
Facile sparare sui 5 Stelle, e in non rari casi giusto. Solo che, dall’altra parte, la Boldrini è nel frattempo diventata colei che ha ammazzato l’opposizione. Contrappasso spietato, per una donna eletta con Sel e teoricamente vicina alle forze minoritarie. Non appena eletta, forse per celare l’emozione o piuttosto l’inadeguatezza, è scattato in lei il virus doppio della Preside-Macchinista. “Preside”, per giunta con voce monocorde robotica da Super Vicky, perché l’approccio è esattamente lo stesso. E “macchinista”, perché la Boldrini suole limitarsi acriticamente ad applicare regole (talora inesistenti). Mai un po’ di elasticità, mai un briciolo di moral suasionmai la capacità di comprendere il momento. Credeva, evidentemente, che per essere brave bastasse il consenso demagogico. Nulla a che vedere con Pertini, ma neanche – in quel ruolo – con Casini e Fini. Inconsapevolmente innamorata dello sbaglio, più ha errato e più si è trincerata dietro un’arroganza piccata. Con vette di umorismo raro, tipo quando bloccò i 5 Stelle (la sua kryptonite) per avere nominato il Presidente della Repubblica. Voleva essere la nuova Nilde Iotti, ma la Boldrini sta ormai a Napolitano come la Biancofiore a Berlusconi.
Domenica, per difendere l’indifendibile (se stessa), ha invaso i palinsesti Rai. Prima Rai 1 da Giletti, poi Rai 3, da Fazio. Parlando e straparlando, tra un balbettio e l’altro, ha esplicitato la sua incapacità di essere arbitro super partes: puoi essere partigiano come deputata, non come Presidente della Camera.Boldrini ha usato toni durissimi: “(Quello dei 5 Stelle) è un attacco eversivo contro le istituzioni che deve essere respinto da tutte le forze democratiche”; “M5S non sa utilizzare gli strumenti democratici, messi a disposizione dell’opposizione dalla Costituzione (…) Ho visto tanta rabbia e odio invece che la voglia di confrontarsi. Queste cose si sono viste solo in dittatura”. La Boldrini ha anche sostenuto che “chi segue il blog di Grillo è quasi un potenziale stupratore”.
Domenica è circolato anche un tweet della Boldrini in cui si riportava quel concetto. Il tweet si è poi rivelato falso, ma quelle parole restano vere. La Boldrini dovrebbe essere arbitroma non può esserlo chi reputa una forza – votata da quasi 9 milioni di italiani – eversiva. Chiedere alla Boldrini di essere baluardo della democrazia parlamentare è un po’ come chiedere a Lupin di fare la guardia alla Gioconda. Forse la Boldrini dovrebbe ammettere a se stessa che non ha requisiti, competenze e lucidità per ricoprire quel ruolo. E dunque dimettersi.

domenica 17 marzo 2013

Presidenti delle Camere, qualcosa sta cambiando. - Peter Gomez


E alla fine un segnale è arrivato. Quando ormai tutti si erano rassegnati a vedere sedere sulle poltrone della seconda e della terza carica dello Stato due vecchie cariatidi del centrosinistra come Anna Finocchiaro e Dario Franceschini, Pierluigi Bersani e i suoi hanno sparigliato i giochi e hanno eletto due persone stimate da una larga fetta di cittadini: Pietro Grasso e Laura Boldrini.
Certo, si potrà a lungo discutere, e anche criticare, la scelta del Pd di proseguire con il brutto andazzo inaugurato da Silvio Berlusconi nel 1994 di non concedere la presidenza di una delle due Camere alle opposizioni. Ma il dato (positivo) per ora è questo: i due dinosauri si sono dovuti accomodare in panchina e Renato Schifani, l’indagato per fatti di mafia in attesa di archiviazione che sperava di convincere i montiani a rieleggerlo, non ce l’ha fatta.
Il risultato, impensabile fino a 48 ore prima della votazioni, non nasce per caso. Le elezioni hanno dimostrato con chiarezza come i cittadini si attendano dalla politica segnali di cambiamento. Il responso delle urne ha dato forza a chi nei vecchi partiti, per convinzione o realismo, vuole provare a mutare il corso delle cose.
A poco a poco, e tra molti errori, qualcosa nella politica italiana si muove. Molte certezze non hanno più valore, molte convinzioni vanno riviste. Tra queste anche quella, esemplarmente riassunta da Silvio Berlusconi, secondo la quale il Movimento 5 Stelle (percepito da un terzo degli elettori come il maggior rappresentante della spinta verso il rinnovamento) è “una setta come Scientology”. No, quel Movimento (che legittimamente può piacere o non piacere) non è una setta e nemmeno un partito teleguidato da Beppe Grillo. Lo dimostra proprio la spaccatura nell’assemblea degli eletti al Senato tra chi voleva votare scheda bianca e chi voleva opporsi al rischio Schifani. Idee e teste diverse si sono confrontate e alla fine una dozzina di senatori M5S hanno votato per Grasso.
Tra qualche dramma e molti musi lunghi, certo. Ma questa, in fondo, si chiama democrazia.
Ps: Nella tarda serata di sabato Grillo, dopo aver ricordato una norma del non statuto, ha invitato chi ha votato in maniera diversa da quanto stabilito dalla  maggioranza della loro assemblea a uscire dall’anonimato e a trarre le dovute conclusioni (cioè ad andarsene).  Ha il regolamento dalla sua parte. E chiedere ai senatori di rendere palese il loro voto ha un senso. Tutto il resto, detto con franchezza, non appare una gran trovata. Le regole non vanno solo rispettate. Vanno, alla luce dell’esperienza, pure migliorate. Anche perché tra votare un governo, una legge o una carica istituzionale, le differenze ci sono.  Basta, con intelligenza, volerle vedere.